CASSAZIONE FISCALITA

Violazione è giustificata da obiettive condizioni di incertezza, non si applicano le sanzioni

Tributi – Diritti per l’esportazione – Errata classificazione merceologica della merce esportata – Irrogazione sanzioni amministrative – Incertezza nella classificazione merceologica – Irrilevanza – Condotta cosciente e volontaria – Presunzione di colpa per l’atto vietato.

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 22329 del 13 settembre 2018, per dirimere un contenzioso tra l’Agenzia delle Dogane e una società contribuente ha sentenziato che in tema di sanzioni amministrative per la violazione di norme tributarie – art. 5, D.lgs. 472/1997, relativo alla “colpevolezza” – si applica alla materia fiscale il principio generale sancito dall’art. 3 della legge 24 novembre 1981, n. 689, riguardante la depenalizzazione, che testualmente statuiva: “… Nelle violazioni cui è applicabile una sanzione amministrativa ciascuno è responsabile della propria azione od omissione, cosciente e volontaria, sia essa dolosa o colposa”, e al secondo comma, recita “…Nel caso in cui la violazione è commessa per errore sul fatto, l’agente non è responsabile quando l’errore non è determinato da sua colpa”.

In pratica, si afferma e si stabilisce che non è sufficiente la mera volontarietà del comportamento sanzionato, essendo richiesta anche la consapevolezza del contribuente, al quale deve potersi imputare un comportamento quanto meno negligente, ancorché non necessariamente doloso. È, in breve, sufficiente una condotta cosciente e volontaria, senza che occorra la concreta dimostrazione del dolo o della colpa (o di un intento fraudolento), atteso che la norma pone una presunzione di colpa per l’atto vietato a carico di colui che lo abbia commesso, gravandolo dell’onere di provare il contrario.

E’ doveroso ricordare, vista la laboriosità dell’argomento, che gli elementi rilevanti ai fini della classificazione doganale delle merci permette di individuare la tipologia della merce e di associare a ogni voce doganale, anche in funzione dell’origine della merce, il relativo trattamento tariffario e, se del caso, applicare le misure di politica commerciale stabilite dalla Ue per la relativa categoria merceologica: per trattamento tariffario si intendono principalmente i dazi, ma anche dazi antidumping o dazi compensativi e altre misure di fiscalità nazionale (IVA, sovrimposte di confine, accise). Quindi, il codice di classificazione determina non solo l’aliquota del dazio applicabile in importazione, dove la maggior parte dei casi di contenzioso nasce proprio dalla volontà dell’impresa importatrice di utilizzare il codice corrispondente al dazio più basso e dalla posizione della dogana a favore del codice cui corrisponde il dazio più elevato, ma anche l’origine preferenziale e non preferenziale della merce e l’identificazione di prodotti da escludere dalla liberalizzazione tariffaria comportante la riduzione o l’esenzione del dazio applicabile nell’ambito di un accordo di libero scambio, o per l’apposizione del “Made in”.

Classificare correttamente le merci dal punto di vista doganale è un’attività che può presentare difficoltà tecniche e interpretative, sia per l’estensione delle categorie merceologiche che per le norme e regole interpretative da considerare. Ricordiamo, perché inerente al caso prospettato, anche che per incentivare l’esportazione dei prodotti dell’industria, in particolare quella meccanica, l’Italia emanò la legge 5 luglio 1964, n. 639, che stabiliva una restituzione all’esportazione dei diritti doganali per taluni prodotti industriali in materiali metallici comuni, come ghisa, ferro, acciaio e acciaio inossidabile: i prodotti interessati spaziano dall’ossatura degli ombrelli, fili, ferro, bulloni, fino alle apparecchiature più complesse quali serbatoi, caldaie, macchine, apparecchi e congegni meccanici. Analoga restituzione è prevista con DPR 788/1977 per le esportazioni verso i Paesi EFTA: meglio conosciuta, generalmente, come “rimborso dazio” o “rimborso siderurgico”, tale restituzione viene accordata all’atto dell’esportazione dei prodotti elencati nella Tabella allegata alla legge in argomento.

Tornando alla fase dibattimentale, l’Agenzia delle Dogane proponeva ricorso avverso la sentenza dei giudici tributari regionali della Lombardia, riportando che si erano riscontrate differenze di qualità e di quantità tra le merci destinate all’esportazione e la dichiarazione presentata per ottenere la restituzione dei diritti, in violazione dell’art. 304 del DPR 43/1973, dell’art. 5 del D.lgs. 472/1997 e degli artt. 2697 e 2729 cod. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.

Evidenziava altresì la CTR, da un lato, che aveva erroneamente ritenuto inapplicabile la sanzione amministrativa prevista dall’art. 304 del DPR 43/1973 per carenza del dolo, atteso che le sanzioni, anche quelle tributarie, si applicano sulla base della colpa, che nella specie non può essere negata a carico della società contribuente.

La tesi non convince la Suprema Corte, che al riguardo afferma: “ … Va evidenziato che in tema di sanzioni amministrative per violazione di norme tributarie, l’art. 5 del d.lgs. n. 472 del 1997, applicando alla materia fiscale il principio generale sancito dall’art. 3 della I. 24 novembre 1981, n. 689, stabilisce che non è sufficiente la mera volontarietà del comportamento sanzionato, essendo richiesta, anche, la consapevolezza del contribuente, al quale deve potersi imputare un comportamento quanto meno negligente, ancorché non necessariamente doloso. È, insomma, sufficiente una condotta cosciente e volontaria, senza che occorra la concreta dimostrazione del dolo o della colpa (o di un intento fraudolento), atteso che la norma pone una presunzione di colpa per l’atto vietato a carico di colui che lo abbia commesso, gravandolo dell’onere di provare il contrario (così sostanzialmente, in motivazione, Cass. n. 14042 del 03/08/2012; cfr. Cass. n. 13068 del 15/06/2011; Cass. n. 22890 del 25/10/2006; sulla non necessità di un intento fraudolento si veda anche Cass. n. 4171 del 20/02/2009”.

Con un secondo motivo di ricorso la stessa Agenzia denunciava la non punibilità dell’autore della violazione, se determinata da obiettive condizioni di incertezza sulla portata e sull’ambito di applicazione delle disposizioni alle quali si riferiscono, nonché da indeterminatezza delle richieste di informazioni o dei modelli per la dichiarazione e per il pagamento (ex art. 6, comma 2, D.lgs. 472/1997), evidenziando peraltro l’insussistenza dei presupposti della esenzione dall’obbligazione sanzionatoria per l’incertezza della normativa in materia.

La Suprema Corte, in merito all’invocata incertezza normativa, ha specificato che: “… l’incertezza normativa oggettiva che, ai sensi dell’art. 8 del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, costituisce causa di esenzione del contribuente dalla responsabilità amministrativa tributaria, richiede una condizione di inevitabile incertezza sul contenuto, sull’oggetto e sui destinatari della norma tributaria, ovverosia l’insicurezza ed equivocità del risultato conseguito attraverso il procedimento di interpretazione normativa, riferibile non già ad un generico contribuente, o a quei contribuenti che per la loro perizia professionale siano capaci di interpretazione normativa qualificata (studiosi, professionisti, operatori giuridici di elevato livello professionale), e tanto meno all’Ufficio finanziario, ma al giudice, unico soggetto dell’ordinamento sui è attribuito il potere-dovere di accertare la ragionevolezza di una determinata interpretazione”.

CORTE DI CASSAZIONE Sentenza 13 settembre 2018, n. 22329

 

Sul ricorso iscritto al n. 26015/2011 R.G. proposto da:

Agenzia delle dogane, in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso la quale è domiciliata in Roma, via dei Portoghesi n. 12;

– ricorrente –

contro M. R. s.r.I., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, via M. Prestinari n. 13, presso lo studio dell’avv. Giuseppe Ramadori, che la rappresenta e difende unitamente all’avv. Massimo Zanoletti, giusta procura speciale in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Lombardia n. 85/46/11, depositata il 30 giugno 2011.

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 22 maggio 2018 dal Cons. Giacomo Maria Nonno.

Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale dott. Mauro Vitiello, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Udito l’avv. Carlo Maria Pisana per l’Agenzia delle Dogane, nonché l’avv. Giuseppe Lomonaco per delega dell’avv. Massimo Zanoletti per la M. R. s.r.l.

Fatti di causa

  1. Con sentenza n. 85/46/11 del 30/06/2011, la CTR della Lombardia respingeva l’appello proposto dall’Agenzia delle dogane avverso la sentenza della CTP di Brescia, che aveva parzialmente accolto l’impugnazione della M.R. s.r.l. nei confronti di un avviso di contestazione ed irrogazione sanzioni, con il quale – a seguito del rigetto del ricorso proposto dalla società contribuente al Direttore Regionale delle dogane avverso l’avviso di accertamento con cui venivano riliquidati i diritti per l’esportazione dei prodotti siderurgici ai sensi della I. 5 luglio 1964, n. 639 e del d.P.R. 7 settembre 1977, n. 788 – l’Ufficio applicava alla ricorrente la sanzione prevista dall’art. 304 del d.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43.

1.1. Come si evinceva dalla sentenza della CTR nonché dalle difese delle parti: a) la CTP annullava l’atto sanzionatorio in considerazione della situazione di incertezza nella classificazione merceologica della merce esportata, respingendo per il resto il ricorso; b) l’Agenzia delle dogane impugnava la decisione della CTP per la parte in cui era rimasta soccombente.

1.2. La CTR motivava il rigetto dell’appello evidenziando, per quanto ancora interessa in questa sede, che non era provato «il comportamento doloso da parte della contribuente», ravvisandosi la possibilità di «un’effettiva difficoltà di riportare la merce in questione all’esatta classificazione merceologica della tabella doganale»; la violazione era quindi «riconducibile alla fattispecie prevista dall’art. 8 del D.Lgs. 546/92 in quanto giustificabile da obiettive condizioni di incertezza sulla portata e sull’ambito di applicazione delle disposizioni in materia doganale».

  1. Avverso la sentenza della CTR l’Agenzia delle dogane proponeva tempestivo ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, e depositava memoria ai sensi dell’art. 378 cod. proc. civ.
  2. La M.R. s.r.l. resisteva con controricorso.

Ragioni della decisione

  1. Con il primo motivo di ricorso l’Agenzia delle dogane denuncia la violazione dell’art. 304 del d.P.R. n. 43 del 1973, dell’art. 5 del d.lgs. n. 472 del 18 dicembre 1972 (ndr: art. 5 del d.lgs. n. 472 del 18 dicembre 1997) e degli artt. 2697 e 2729 cod. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., evidenziando che la CTR, da un lato, ha erroneamente ritenuto inapplicabile la sanzione amministrativa prevista dall’art. 304 del d.P.R. n. 43 del 1973 per carenza del dolo, atteso che le sanzioni, anche quelle tributarie, si applicano sulla base della colpa, che, nella specie, non può essere negata a carico della società contribuente e, dall’altro, non ha considerato che le uniche ipotesi di deroga alla disciplina del primo comma dell’art. 304 sono quelle previste dal secondo e dal terzo comma del menzionato art. 304, che escludono l’operatività di altre esimenti di ordine generale.
  2. Con il secondo motivo di ricorso la ricorrente denuncia la violazione dell’art. 6, comma 2, del d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, dell’art. 8, comma del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 e dell’art. 10, comma 3, della I. 27 luglio 2000, n. 212, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., evidenziando l’insussistenza dei presupposti della esenzione dall’obbligazione sanzionatoria per l’incertezza della normativa nella materia.
  3. Con il terzo motivo di ricorso si deduce carenza di motivazione su punti controversi decisivi della controversia, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., costituiti sia dalla mancata applicazione dell’art. 304 del d.P.R. n. 43 del 1973 per assenza di dolo, sia dall’operatività, in ipotesi, dell’art. 8 del d.lgs. n. 546 del 1992.
  4. Va pregiudizialmente esaminata l’eccezione di inammissibilità del ricorso proposta da parte controricorrente e basata sulla sussistenza di un asserito giudicato, quantomeno implicito, in ordine alla assoluta mancanza del fatto costitutivo della fattispecie sanzionata, costituito dal mendacio; secondo la prospettazione della M.R. s.r.l. le sentenze di merito avrebbero ragionato sul presupposto di una implicita verità delle dichiarazioni doganali predisposte dalla società contribuente, sicché non potrebbe configurarsi quel mendacio che solo è in grado di far scattare la sanzione prevista dall’art. 304 del d.P.R. n. 43 del 1973.

4.1. L’eccezione è infondata.

4.2. L’Agenzia delle dogane ha contestato (peraltro, con valutazione ineccepibile: cfr. Cass. n. 12628 del 13/12/1997) alla M.R. s.r.l. la violazione dell’art. 304 del d.P.R. n. 43 del 1973 e, a seguito dell’impugnazione dell’atto di contestazione, la CTP prima e, quindi, la CTR non ha preso alcuna posizione in ordine all’integrazione della fattispecie sanzionatoria, essendosi le corti di merito limitate a ritenere l’inapplicabilità della sanzione per incertezza della classificazione merceologica della merce esportata (la CTP e la CTR), nonché per assenza di dolo (la sola CTR).

4.3. Del resto, non è provato che la circostanza della non configurabilità della fattispecie sanzionatoria prevista dall’art. 304 del d.P.R. n. 43 del 1973 sia stata oggetto di specifica censura nel giudizio di merito, con la conseguenza che nessun giudicato può essersi formato sul punto. Tanto più che il controricorrente non ha proposto nemmeno formale ricorso incidentale.

  1. Il primo motivo di ricorso è fondato nei limiti di cui subito si dirà.

5.1. Va evidenziato che in tema di sanzioni amministrative per violazione di norme tributarie, l’art. 5 del d.lgs. n. 472 del 1997, applicando alla materia fiscale il principio generale sancito dall’art. 3 della I. 24 novembre 1981, n. 689, stabilisce che non è sufficiente la mera volontarietà del comportamento sanzionato, essendo richiesta, anche, la consapevolezza del contribuente, al quale deve potersi imputare un comportamento quanto meno negligente, ancorché non necessariamente doloso. È, insomma, sufficiente una condotta cosciente e volontaria, senza che occorra la concreta dimostrazione del dolo o della colpa (o di un intento fraudolento), atteso che la norma pone una presunzione di colpa per l’atto vietato a carico di colui che lo abbia commesso, gravandolo dell’onere di provare il contrario (così sostanzialmente, in motivazione, Cass. n. 14042 del 03/08/2012; cfr. Cass. n. 13068 del 15/06/2011; Cass. n. 22890 del 25/10/2006; sulla non necessità di un intento fraudolento si veda anche Cass. n. 4171 del 20/02/2009).

5.2. Ha, dunque, errato la CTR quando ha ritenuto necessaria, ai fini dell’applicazione dell’art. 304 del d.P.R. n. 43 del 1973, la prova del comportamento doloso della società contribuente, così di fatto eludendo la presunzione di colpa prevista dalla legge e ritenendo, dunque, sussistente un non configurabile onere probatorio in capo all’Agenzia delle dogane; onere probatorio che grava, invece, sul soggetto ritenuto responsabile della violazione.

5.3. Non si ritiene, invece, diversamente da quanto sostenuto dalla difesa erariale, che la riduzione prevista dal secondo comma dell’art. 304 del d.P.R. n. 43 del 1973 e l’esimente prevista dal terzo comma del menzionato decreto escludano l’applicazione delle altre esimenti generali e, in particolare, quella relativa all’incertezza normativa prevista dall’art. 8 del d.lgs. n. 546 del 1992, cui si è riferita la CTR.

5.4. Invero, «l’incertezza normativa oggettiva che, ai sensi dell’art. 8 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, costituisce causa di esenzione del contribuente dalla responsabilità amministrativa tributaria, richiede una condizione di inevitabile incertezza sul contenuto, sull’oggetto e sui destinatari della norma tributaria, ovverosia l’insicurezza ed equivocità del risultato conseguito attraverso il procedimento d’interpretazione normativa, riferibile non già ad un generico contribuente, o a quei contribuenti che per la loro perizia professionale siano capaci di interpretazione normativa qualificata (studiosi, professionisti legali, operatori giuridici di elevato livello professionale), e tanto meno all’Ufficio finanziario, ma ai giudice, unico soggetto dell’ordinamento cui è attribuito il potere-dovere di accertare la ragionevolezza di una determinata interpretazione» (Cass. n. 3245 del 11/02/2013; conf. Cass. n. 4522 del 22/02/2013; Cass. n. 23845 del 23/11/2016).

Trattasi, all’evidenza, di disposizione pienamente compatibile con le previsioni dell’art. 304, secondo e terzo comma, del d.P.R. n. 43 del 1973, che operano sul diverso piano della delimitazione della fattispecie sanzionatoria e, dunque, degli elementi che vanno a costituirla.

  1. Il secondo motivo di ricorso è fondato.

6.1. Come si è già precisato, la CTR ha ritenuto la sussistenza in ipotesi di «un’effettiva difficoltà di riportare la merce in questione all’esatta classificazione merceologica della tabella doganale», con conseguente riconducibilità della violazione «alla fattispecie prevista dall’art. 8 del D.Lgs. 546/92 in quanto giustificabile da obiettive condizioni di incertezza sulla portata e sull’ambito di applicazione delle disposizioni in materia doganale».

6.2. L’unica disposizione richiamata dalla CTR è, dunque, l’art. 8 del d.lgs. n. 546 del 1992 che, peraltro, come si è detto in precedenza, prevede un’incertezza applicativa, nella specie delle disposizioni doganali, riferibile al giudice e non alla società contribuente; incertezza della quale la sentenza impugnata non ha minimamente delineato i presupposti.

  1. Il terzo motivo, involgendo analoghe questioni dei primi due motivi affrontate sotto il profilo motivazionale, è da ritenersi assorbito.
  2. In conclusione, vanno accolti il primo (per quanto di ragione) e il secondo motivo di ricorso, assorbito il terzo. La sentenza impugnata va cassata in relazione ai motivi accolti e, non essendoci ulteriori questioni di fatto da esaminare, la controversia può essere decisa nel merito con il rigetto dell’originario ricorso proposto dalla M.R. s.r.l. avverso l’avviso di contestazione e irrogazione sanzioni dalla stessa impugnato.

8.1. Per quanto riguarda il regolamento delle spese, vanno interamente compensate tra le parti quelle relative ai gradi di merito, anche in ragione del consolidamento, successivamente alla proposizione del ricorso originario, dell’orientamento relativo alla esimente dell’art. 8 del d.lgs. n. 546 del 1992. La società contribuente va, invece, condannata al pagamento delle spese relative al presente giudizio di cassazione, che si liquidano come in dispositivo, avuto conto di un valore della lite pari ad euro 45.900,00.

P.Q.M.

Accoglie, per quanto di ragione, il primo motivo di ricorso, nonché il secondo motivo e dichiara assorbito il terzo; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e, decidendo nel merito, rigetta l’originario ricorso proposto dalla M.R. s.r.l. avverso l’avviso di contestazione e irrogazione sanzioni dalla stessa impugnato; condanna la controricorrente al pagamento, in favore della ricorrente, della spese del giudizio di cassazione, che si liquidano in complessivi euro 5.000,00, oltre alle spese prenotate a debito; dichiara interamente compensate tra le parti le spese relative ai gradi di merito.

Così deciso in Roma il 22 maggio 2018

 

 

 

 

 

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