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Versamento IVA indebito, le condizioni e chi può richiedere il rimborso

Il sistema di recupero dell’IVA indebitamente versata è disciplinato dall’articolo 30-ter, DPR 633/1972 (modifica introdotta dall’articolo 8 della legge167/2017), in base al quale il soggetto passivo può presentare domanda di restituzione dell’imposta non dovuta entro due anni dalla data del versamento, “ovvero, se successivo, dal giorno in cui si è verificato il presupposto per la restituzione”. Il comma 2 dello stesso articolo riguarda, invece, il caso di applicazione di un’imposta non dovuta a una cessione di beni o prestazione di servizi accertata in via definitiva

dall’Amministrazione finanziaria: in questi casi la domanda di restituzione può essere presentata dal cedente o prestatore entro due anni dall’avvenuta restituzione al cessionario o committente dell’importo pagato a titolo di rivalsa.

Riqualificazione contrattuale e IVA non dovuta

Una società rappresenta che fino all’anno 2017 si è avvalsa dei servizi forniti da una cooperativa  che ha fornito servizi di logistica integrata e facchinaggio in regime di appalto: questa ha regolarmente registrato le fatture emesse alla società istante e provveduto a effettuare le relative liquidazioni e i versamenti IVA. Ciò nonostante, nel corso di una  verifica l’Agenzia delle entrate, pur riconoscendo l’esistenza del rapporto, dei servizi resi e attestandone anche la relativa inerenza, ha riqualificato contrattualmente tale rapporto considerandolo un contratto di somministrazione lavoro, invece che un contratto di appalto per servizi. Tale riqualificazione avrebbe comportato che per gli anni d’imposta 2016 e 2017 le fatture emesse  non avrebbero dovuto essere assoggettate a IVA.

Inoltre, la cooperativa – attualmente soggetta a procedura concorsuale e quindi non operativa – non ha ricevuto alcun accertamento né recupero, dunque l’unica soggetta e sanzionata per i rilievi eseguiti è stata la società istante, che pur non condividendo il rilievo in questione, ha ritenuto di aderire alla tregua  fiscale introdotta con la legge 197/2022 e ha provveduto a riversare le somme accertate, corrispondenti all’IVA indicata sulle fatture ricevute per gli anni 2016 e 2017, eccepita come non detraibile.

Da quanto esposto deriva l’interpello nel quale si chiede se sia corretto presentare istanza di rimborso della maggiore IVA versata (ai sensi dell’articolo 30-ter, DPR 633/1972), considerato che la cooperativa, in quanto soggetta a procedura concorsuale non emetterà alcuna nota di variazione, né rimborserà all’istante l’IVA a suo tempo corrisposta.

La restituzione dell’imposta

L’Agenzia, nella risposta 66/2024, ricorda di aver già chiarito – da ultimo, nella risposta 66/2018 –  che per motivi di cautela fiscale e onde evitare un arricchimento illegittimo del cedente/prestatore, il rimborso dell’IVA indebitamente versata è strettamente connesso alla restituzione al cessionario/committente di quanto erroneamente addebitato e incassato a titolo di rivalsa. Iun  due anni entro i quali presentare la richiesta di rimborso decorrono dal momento in cui avviene la restituzione al cessionario/committente della stesso importo versato a seguito di accertamento definitivo. In pratica la citata disciplina del rimborso dell’IVA, osservando la neutralità  dell’imposta, garantisce al cedente/prestatore la possibilità di ottenere il rimborso della somma indebitamente versata subordinandola specificatamente alla restituzione al cessionario/committente dell’imposta addebitata in fattura, che se detratta, lo stesso cessionario/committente  deve  aver  restituito all’erario a seguito di un accertamento definitivo.

Cassazione e Corte di giustizia Ue

In merito alla possibilità da parte del committente/cessionario di chiedere direttamente il rimborso dell’IVA, in una recente sentenza (n. 14838/2023) la Corte di Cassazione ha chiarito che non può avvenire, “posto che il soggetto obbligato al  pagamento dell’imposta non coincide con il soggetto obbligato in rivalsa” (Cass.,  Sez. V, 26 agosto 2015, n. 17173). Trattandosi di rapporti distinti che giacciono su piani diversi (il rapporto di imposta e la rivalsa), il contribuente non può, pertanto, far valere pretese che nascono dal rapporto privatistico di rivalsa al fine di far valere pretese altrui legate al rapporto di imposta, ma solo pretese che da questo rapporto derivano e che attengono all’esercizio della detrazione, le quali sono state già oggetto di definizione con adesione”.

Con la sentenza 15 marzo 2007, C-35/05, la Corte di Giustizia Ue ha precisato che, da un lato, il prestatore che ha erroneamente versato l’IVA è legittimato a chiederne il rimborso e, dall’altro, il destinatario dei servizi può esercitare un’azione civilistica di ripetizione dell’indebito nei confronti del prestatore: tale sistema rispetta i principi di neutralità ed effettività, permettendo al destinatario gravato dell’imposta erroneamente fatturata di ottenere il rimborso di quanto indebitamente versato.

Chi può chiedere il rimborso

Alla luce di quanto sopra esposto, la richiesta di rimborso può essere presentata soltanto dal soggetto obbligato al pagamento dell’imposta, dunque la cooperativa, entro due anni (a pena di decadenza )dalla restituzione al cessionario/committente dell’imposta indebitamente applicata.

La società istante, soggetto obbligato in rivalsa, non potendo ricorre ad altri istituti previsti dalla normativa IVA, può solo richiederne il rimborso al cedente/prestatore.

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