CASSAZIONE

Valido l’accertamento fondato anche sulle quotazioni dell’OMI

Reddito d’impresa – Accertamento – Contenzioso tributario – Vendita immobili – Valore inferiore alle elaborazioni OMI

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 2155 del 25 gennaio 2019, ha legittimato l’accertamento del maggior corrispettivo della cessione immobiliare basato, oltre che sui valori dell’Osservatorio del Mercato Immobiliare (Omi), anche e soprattutto se esistono altri elementi ben specificati di prova.

L’accertamento di valore nei trasferimenti immobiliari deve basarsi su presunzioni precise e concordanti, dove i valori OMI devono essere considerati come un semplice punto di partenza.

Questo, in sostanza è il ragionamento proposto dai giudici della Suprema Corte perché, come è noto, l’Amministrazione finanziaria non può ricorrere al “valore normale” degli immobili ai fini dell’accertamento di maggiori ricavi occultati nella cessione degli stessi. Ciò, però, non vuol dire che tali valori non possano essere utilizzati per l’avvio di una verifica fiscale focalizzata sul controllo dei prezzi di vendite immobiliari ritenuti non veritieri.

Del resto, l’argomento del controllo dei prezzi delle cessioni immobiliari trova spazio nel corposo documento di prassi operativa della Guardia di Finanza in vigore con la Circolare n. 1/2018 (“Manuale operativo in materia di contrasto all’evasione e alle frodi fiscali”), dove specificatamente nel III volume viene infatti trattato il tema delle “Presunzioni nel settore delle compravendite immobiliari” che ci ricorda, come le “cessioni di immobili effettuate nell’esercizio di impresa costituiscono operazioni che, sotto il profilo fiscale, sono suscettibili di rilevare, oltre che in materia di imposte sui redditi, anche ai fini dell’IVA, dell’imposta di registro e delle imposte ipotecaria e catastale”.

E proprio per l’interesse fiscale che generano tali particolari operazioni, viene anche rammentato che in sede di controllo è necessario far sì che la formulazione di eventuali rilievi per infedeltà del corrispettivo dichiarato nella compravendita di un immobile si basi non soltanto sullo scostamento tra il corrispettivo e il prezzo mediamente praticato per immobili della stessa specie o similari, ma anche su ulteriori elementi presuntivi idonei a integrare la prova del rilievo.

Ciò perché a seguito dell’entrata in vigore della legge 7 luglio 2009, n. 88, è stata abrogata la presunzione legale collegata alla cessione di immobili per cui si poteva provare l’infedeltà sulla base dello scostamento tra il corrispettivo delle cessioni e il valore normale dei beni, desunto dal c.d. valore OMI, sia in ambito IVA che del reddito d’impresa.

La circolare n.1/18, fra l’altro, prendendo spunto dalla circolare n. 16/E del 28 aprile 2016 dell’Agenzia delle Entrate, ricorda inoltre che le quotazioni OMI, pur costituendo un punto di riferimento importante perché derivanti da puntuali analisi del mercato immobiliare, rappresentano solo il dato iniziale ai fini dell’individuazione del valore venale in comune commercio, per cui tali quotazioni devono essere necessariamente integrate anche da ulteriori elementi.

Ricordiamo che l’Osservatorio del Mercato Immobiliare (OMI) cura la rilevazione e l’elaborazione delle informazioni di carattere tecnico-economico relative ai valori immobiliari, al mercato degli affitti e ai tassi di rendita e la pubblicazione di studi ed elaborazioni e la valorizzazione statistica degli archivi dell’Agenzia delle Entrate.

La banca dati OMI costituisce una rilevante fonte d’informazioni relative al mercato immobiliare nazionale, proponendosi come un utile strumento per tutti gli operatori del mercato, per i ricercatori e gli studiosi del settore immobiliare, per istituti di ricerca pubblici e privati, per la Pubblica amministrazione e, più in generale, per il singolo cittadino.

Anche la giurisprudenza vigente sull’argomento, con l’ordinanza n. 19798 del 26 luglio 2018, ha rimarcato questo concetto affermando che per l’avvio di una verifica incentrata sui prezzi di compravendita immobiliare ritenuti non veritieri possa ritenersi corretto l’utilizzo dei valori OMI. L’eventuale scostamento tra le quotazioni in argomento e il corrispettivo delle cessioni, però, non è sufficiente a giustificare un accertamento dell’Agenzia delle Entrate, che deve fondarsi, invece, su altri elementi presuntivi.

Tanto premesso, e tornando al caso esaminato dalla Suprema Corte, una società contribuente aveva proposto ricorso per avvisi di accertamento emessi dall’Agenzia delle Entrate per maggiori ricavi con i quali l’Amministrazione finanziaria rideterminava il reddito d’impresa della società, nonché il reddito di partecipazione dei singoli soci, a seguito della rivalutazione del valore di vendita di due immobili ceduti dalla società medesima ad altra società.

Tale ricorso, confermato dalla competente Commissione tributaria territoriale, veniva infine impugnato dal Fisco con tre motivi, dove specificatamente al secondo veniva posta la violazione e falsa applicazione dell’art. 35 del d.l. n. 223 del 2006, convertito con legge n. 248 del 2006, nonché dell’art. 1 della legge n. 244 del 2007 e dell’art. 2697 c.c. in relazione all’art. 360, co. 1, n. 3) c.p.c., sia per aver erroneamente ritenuto irretroattiva la norma invocata, sia per non aver tenuto conto della disciplina del 2007, che per gli atti formati anteriormente al 4/1/2006 stabiliva che le presunzioni di cui all’art. 35 erano da intendersi presunzioni semplici, sia, per conseguenza, che la rideterminazione del valore dei cespiti alienati era stata fondata dall’ufficio non solo sui valori OMI, ma anche sugli altri elementi documentali acquisiti.

I Supremi giudici di legittimità hanno accolto questa tesi, ricordando che: “… il giudice d’appello ha fondato la sua decisione sul solo assunto della inapplicabilità della presunzione legale relativa, perché non retroattiva rispetto alla data in cui si era compiuta l’operazione di vendita sottoposta all’accertamento della Amministrazione. Così facendo però non solo non si è avveduto della successiva disciplina abrogatrice della presunzione legale -con effetti retroattivi-; ma soprattutto non ha tenuto conto del fatto che nel caso concreto l’Ufficio, oltre che i valori OMI, nell’atto impositivo e nelle difese del giudizio di appello aveva messo in evidenza ulteriori elementi, puntualmente riportati in ricorso nel rispetto del principio di autosufficienza, a fondamento dell’accertamento, e cioè la documentazione ulteriore acquisita (contratto preliminare, importo del mutuo contratto dalla società acquirente dei cespiti, perizia di stima), riportante importi nettamente superiori relativamente al valore dei cespiti). Ebbene, esclusa la dignità di presunzione legale dei valori spettava alla Commissione regionale una valutazione del materiale indiziario allegato dalla Agenzia, al fine di verificare se esso potesse assurgere a prova presuntiva per la convergenza di presunzioni semplici, gravi precise e concordanti, ai sensi dell’art. 39 co. 1, lett. d) del d.P.R. n. 600 del 1973. Sotto tale profilo la motivazione è carente sia quanto a motivazione sia quanto a erronea applicazione dell’art. 2697 c.c. Sul punto anzi va opportunamente avvertito che in materia di presunzioni semplici non è escluso che l’accertamento trovi fondamento anche su un unico elemento presuntivo. Nella prova civile infatti, ed anche ai fini degli accertamenti tributari, non è necessario che gli elementi assunti a fonte di presunzione siano plurimi, benché gli artt. 2729, co. 1, c.c. 38, co. 3 e 39, co. 4 del d.P.R. n. 600 del 1973, 54 del d.P.R. n. 633 del 1972 si esprimano al plurale, potendosi il convincimento del giudice fondare anche su un elemento unico, preciso e grave, la valutazione della cui rilevanza peraltro, nell’ambito del processo logico applicato in concreto, non è sindacabile in sede di legittimità ove sorretta da motivazione adeguata e logicamente non contraddittoria (cfr. Cass., sent. n. 656/2014; sent. 17574/2009); in particolare, e proprio in materia di rettifica dei corrispettivi dichiarati nel settore immobiliare, si è sostenuto che lo scostamento tra l’importo dei mutui e i minori prezzi indicati dal venditore è sufficiente a fondare l’accertamento, non comportando ciò alcuna violazione delle norme in materia di onere probatorio (Cass., Sez. 5, ord. 14388/2017); tali condivisibili conclusioni vanno però ricondotte alle concrete fattispecie, al fine di valutare se anche l’unico elemento presuntivo soddisfi con sufficienza il supporto probatorio alla rettifica del corrispettivo;

infatti se l’ipotesi dello scostamento tra prezzo di vendita dichiarato e importo del mutuo contratto (questo secondo elemento di riscontro superiore al primo) costituisce prova idonea ad evidenziare elementi contraddittori di un’unica specifica operazione, così imponendo al contribuente l’allegazione della prova contraria (ad es. che il mutuo di maggior importo rispetto al prezzo d’acquisto dell’immobile è giustificato dal finanziamento anche della sua ristrutturazione), non altrettanto può dirsi dello scostamento dai valori OMI, quando unico elemento disponibile, che si traduce in ultima analisi in un dato a sua volta presunto e non in un fatto. Infatti si tratta con evidenza di valori normali di mercato desunti da uno studio statistico su una pluralità di atti negoziali registrati, di cui tuttavia, proprio perché finalizzati ad estrarre un dato numerico di valore medio mediante la rilevazione di prezzi riferibili ad immobili il più possibile omogenei, non può di per sé garantire la perfetta sovrapponibilità con la specifica compravendita, potendo intervenire una pluralità di componenti peculiari nella condizione dell’immobile. Questi limiti rendono comprensibile perché la giurisprudenza di legittimità affermi che è legittima, nel settore immobiliare, la rettifica dei corrispettivi dichiarati solo qualora i valori OMI si combinino con altri elementi indiziari gravi, precisi e concordanti (Cass., sent. n. 9474 cit; cfr. anche Cass., Sez. 5, sent. n. 24054/2014 in tema di valori UTE), altrimenti versandosi in una non consentita presumptio de presumpto”.

 

CORTE DI CASSAZIONE Ordinanza 25 gennaio 2019, n. 2155

 

Sul ricorso 27383-2012 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro F.LLI G. & FIGLI SNC, elettivamente domiciliati in ROMA VIA SANNIO 65, presso lo studio dell’avvocato ANSELMO TORCHIA, che li rappresenta e difende;

– controricorrenti –

nonché contro G.G., G.V., G.C., R.T., M.A.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 68/2011 della COMM.TRIB.REG della CALABRIA depositata il 17/10/2011; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 27/09/2018 dal Consigliere Dott. FRANCESCO FEDERICI.

Rilevato che

L’Agenzia delle Entrate ricorre per la cassazione della sentenza n. 68/04/11, emessa dalla Commissione Tributaria Regionale della Calabria e depositata il 17.10.2011;

riferisce che il contenzioso traeva origine dagli avvisi di accertamento con i quali l’Amministrazione finanziaria rideterminava il reddito d’impresa della F.lli G.F. s.n.c., nonché il reddito di partecipazione dei singoli soci, a seguito della rivalutazione del valore di vendita di due immobili ceduti dalla società medesima alla M. s.r.l.;

in particolare, poiché il prezzo dichiarato per la vendita dei due cespiti risultava inferiore al valore emergente dalle elaborazioni OMI, ed essendo stata acquisita documentazione ulteriore, quale il contratto preliminare di compravendita, il mutuo acceso dall’avente causa per l’acquisto, una perizia di stima del compendio, tutti riportanti importi ben superiori a quello dichiarato nell’atto pubblico, l’Amministrazione imputava alla società alienante maggiori ricavi per € 590.000,00.

La società e i soci, contestando gli atti impositivi, promuovevano altrettanti giudizi dinanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Catanzaro, che previa loro riunione li rigettava. La adita Commissione Tributaria Regionale della Calabria, con la sentenza ora impugnata, accoglieva l’appello. In particolare affermava l’inapplicabilità al caso di specie della disciplina introdotta con il d.l. n. 223 del 2006, convertito con I. n. 248 del 2006, il cui art. 35 co. 3 aveva introdotto la presunzione legale di corrispondenza del corrispettivo di cessione di beni immobili al valore normale degli stessi quale risultate dai valori OMI. Ciò per irretroattività della norma.

L’Agenzia censura la sentenza con tre motivi:

con il primo motivo per violazione e falsa applicazione dell’art. 24 del d.lgs. n. 546 del 1992, in relazione all’art. 360 co. 1, n. 4 c.p.c. perché solo con la memoria illustrativa il contribuente avevano eccepito l’irretroattività dell’art. 35 cit., così sollevando tardivamente la censura;

con il secondo motivo per violazione e falsa applicazione dell’art. 35 del d.l. n. 223 del 2006, convertito con I. n. 248 del 2006, nonché dell’art. 1 della I. n. 244 del 2007, e dell’art. 2697 c.c. in relazione all’art. 360, co. 1, n. 3) c.p.c., sia per aver erroneamente ritenuto irretroattiva la norma invocata, sia per non aver tenuto conto della disciplina del 2007 -che per gli atti formati anteriormente al 4.01.2006 stabiliva che le presunzioni di cui all’art. 35 erano da intendersi presunzioni semplici, sia, per conseguenza, che la rideterminazione del valore dei cespiti alienati era stata fondata dall’Ufficio non solo sui valori OMI, ma anche sugli altri elementi documentali acquisiti;

con il terzo motivo per omessa motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio in relazione all’art. 360, co. 1 n. 5 c.p.c., per non aver valutato tutti gli elementi presuntivi su cui era fondato l’accertamento.

in conclusione ha chiesto la cassazione della sentenza ed ogni conseguente statuizione.

Si sono costituiti i contribuenti, contestando i motivi e chiedendo l’inammissibilità o il rigetto del ricorso.

Considerato che

il primo motivo è infondato perché la sollevata questione di irretroattività della disciplina delle presunzioni legali, introdotta con l’art. 35 cit. e prevista dal comma 23 bis della norma, non costituisce una nuova eccezione, sottoposta alle preclusioni processuali dettate dalla normativa processuale e in particolare dall’art. 24 cit., trattandosi non certo di una ragione di decadenza ma di efficacia temporale della normativa, che poteva essere sollevata anche d’ufficio dall’organo giudicante.

Gli altri due motivi, che possono avere una trattazione unitaria perché relazionati a questioni connesse e volte nella sostanza a criticare l’erronea valutazione degli elementi su cui l’accertamento del maggior valore dei cespiti si fondava, trovano accoglimento.

A tal fine va evidenziato che alla disciplina dell’art. 35 co. 3 del d.l. n. 223 del 2006, convertito in I. n. 248 del 2006, che, integrando l’art. 39 co. 1 lett. d) del d.P.R. n. 600 del 1973, attribuiva valore di presunzione legale al valore normale dell’immobile risultante dalle quotazioni OMI al fine della determinazione del corrispettivo di cessione del cespite immobiliare, seguì poi la disciplina introdotta dalla I. n. 244 del 2007, che, nell’intento di regolare il valore probatorio attribuibile alle quotazioni OMI per le fattispecie negoziali insorte in epoca anteriore alla normativa del 2006, dispose all’art. 1, co. 265 che <<In deroga all’articolo 1, comma 2, della legge 27 luglio 2000, n. 212, per gli atti formati anteriormente al 4 luglio 2006 deve intendersi che le presunzioni di cui all’articolo 35, commi 2, 3 e 23-bis, del decreto- legge 4 luglio 2006, n. 223, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 2006, n. 248, valgano, agli effetti tributari, come presunzioni semplici.>>.

Seguì infine la I. n. 88 del 2009 (legge comunitaria 2008), che con l’art. 24 co. 5 intervenne di nuovo sull’art. 39 cit., eliminando la presunzione legale introdotta dal citato art. 35. Ciò a seguito del parere motivato del 19 marzo 2009 della Commissione europea, la quale, nell’ambito del procedimento di infrazione n. 2007/4575, aveva rilevato l’incompatibilità – in relazione specificamente all’IVA, ma con valutazione ritenuta estensibile dal legislatore nazionale anche alle imposte dirette- delle disposizioni del 2006 con il diritto comunitario; l’intervento modificativo del 2009 ha così ripristinato il quadro normativo anteriore al luglio 2006.

Nella successione di leggi si è pertanto definitivamente persa la presunzione legale del valore dei cespiti secondo il valore normale emergente dalle quotazioni OMI. Ciò tuttavia non ha escluso del tutto il riferimento a tali quotazioni. A tal fine questa Corte ha ripetutamente affermato che in tema di accertamento dei redditi d’impresa, in seguito alla sostituzione dell’art. 39 del d.P.R. n. 600 del 1973 ad opera dell’art. 24 co. 5, della I. n. 88 del 2009, che, con effetto retroattivo -stante la sua finalità di adeguamento al diritto dell’Unione europea – ha eliminato la presunzione legale relativa di corrispondenza del corrispettivo della cessione di beni immobili al valore normale degli stessi introdotta dall’art. 35 cit., così ripristinando il precedente quadro normativo in base al quale l’esistenza di attività non dichiarate può essere desunta “anche sulla base di presunzioni semplici, purché queste siano gravi, precise e concordanti”, l’accertamento di un maggior reddito derivante dalla predetta cessione di beni immobili non può essere fondato soltanto sulla sussistenza di uno scostamento tra il corrispettivo dichiarato nell’atto di compravendita ed il valore normale del bene quale risulta dalle quotazioni OMI, ma richiede la sussistenza di ulteriori elementi indiziari gravi, precisi e concordanti (Cass., sent. n. 9474/2017; n. 26487/2016; n. 24054/2014; da ultimo cfr. anche ord. n. 11439/2018).

Ciò chiarito, il giudice d’appello ha fondato la sua decisione sul solo assunto della inapplicabilità della presunzione legale relativa, perché non retroattiva rispetto alla data in cui si era compiuta l’operazione di vendita sottoposta all’accertamento della Amministrazione. Così facendo però non solo non si è avveduto della successiva disciplina abrogatrice della presunzione legale -con effetti retroattivi-; ma soprattutto non ha tenuto conto del fatto che nel caso concreto l’Ufficio, oltre che i valori OMI, nell’atto impositivo e nelle difese del giudizio di appello aveva messo in evidenza ulteriori elementi, puntualmente riportati in ricorso nel rispetto del principio di autosufficienza, a fondamento dell’accertamento, e cioè la documentazione ulteriore acquisita (contratto preliminare, importo del mutuo contratto dalla società acquirente dei cespiti, perizia di stima), riportante importi nettamente superiori relativamente al valore dei cespiti). Ebbene, esclusa la dignità di presunzione legale dei valori spettava alla Commissione regionale una valutazione del materiale indiziario allegato dalla Agenzia, al fine di verificare se esso potesse assurgere a prova presuntiva per la convergenza di presunzioni semplici, gravi precise e concordanti, ai sensi dell’art. 39 co. 1 lett. d) del d.P.R. n. 600 del 1973. Sotto tale profilo la motivazione è carente sia quanto a motivazione sia quanto a erronea applicazione dell’art. 2697 c.c. Sul punto anzi va opportunamente avvertito che in materia di presunzioni semplici non è escluso che l’accertamento trovi fondamento anche su un unico elemento presuntivo. Nella prova civile infatti, ed anche ai fini degli accertamenti tributari, non è necessario che gli elementi assunti a fonte di presunzione siano plurimi, benché gli artt. 2729, co. 1, c.c. 38, co. 3 e 39, co. 4 del d.P.R. n. 600 del 1973, 54 del d.P.R. n. 633 del 1972 si esprimano al plurale, potendosi il convincimento del giudice fondare anche su un elemento unico, preciso e grave, la valutazione della cui rilevanza peraltro, nell’ambito del processo logico applicato in concreto, non è sindacabile in sede di legittimità ove sorretta da motivazione adeguata e logicamente non contraddittoria (cfr. Cass., sent. n. 656/2014; sent. 17574/2009); in particolare, e proprio in materia di rettifica dei corrispettivi dichiarati nel settore immobiliare, si è sostenuto che lo scostamento tra l’importo dei mutui e i minori prezzi indicati dal venditore è sufficiente a fondare l’accertamento, non comportando ciò alcuna violazione delle norme in materia di onere probatorio (Cass., Sez. 5, ord. 14388/2017); tali condivisibili conclusioni vanno però ricondotte alle concrete fattispecie, al fine di valutare se anche l’unico elemento presuntivo soddisfi con sufficienza il supporto probatorio alla rettifica del corrispettivo;

infatti se l’ipotesi dello scostamento tra prezzo di vendita dichiarato e importo del mutuo contratto (questo secondo elemento di riscontro superiore al primo) costituisce prova idonea ad evidenziare elementi contraddittori di un’unica specifica operazione, così imponendo al contribuente l’allegazione della prova contraria (ad es. che il mutuo di maggior importo rispetto al prezzo d’acquisto dell’immobile è giustificato dal finanziamento anche della sua ristrutturazione), non altrettanto può dirsi dello scostamento dai valori OMI, quando unico elemento disponibile, che si traduce in ultima analisi in un dato a sua volta presunto e non in un fatto. Infatti si tratta con evidenza di valori normali di mercato desunti da uno studio statistico su una pluralità di atti negoziali registrati, di cui tuttavia, proprio perché finalizzati ad estrarre un dato numerico di valore medio mediante la rilevazione di prezzi riferibili ad immobili il più possibile omogenei, non può di per sé garantire la perfetta sovrapponibilità con la specifica compravendita, potendo intervenire una pluralità di componenti peculiari nella condizione dell’immobile. Questi limiti rendono comprensibile perché la giurisprudenza di legittimità affermi che è legittima, nel settore immobiliare, la rettifica dei corrispettivi dichiarati solo qualora i valori OMI si combinino con altri elementi indiziari gravi, precisi e concordanti (Cass., sent. n. 9474 cit; cfr. anche Cass., Sez. 5, sent. n. 24054/2014 in tema di valori UTE), altrimenti versandosi in una non consentita presumptio de presumpto.

Considerato che

la sentenza va pertanto cassata e il processo va rinviato alla Commissione Tributaria Regionale della Calabria, che in altra composizione dovrà decidere tenendo conto di tutte le presunzioni semplici allegate dalla Amministrazione nel rispetto del seguente principio di diritto: <<In tema di accertamento del maggior corrispettivo nella vendita di un immobile, la reintroduzione della presunzione semplice, ai sensi dell’art. 24, co. 5, I. n. 88 del 2009 (legge comunitaria 2008), che ha modificato l’art. 39 del d.P.R. n. 600 del 1973 e l’art. 54 del d.P.R. n. 633 del 1972, sopprimendo la presunzione legale (relativa) di corrispondenza del corrispettivo della compravendita al valore normale del bene, introdotta dall’art. 35 del d.l. n. 223 del 2006, convertito in I. n. 248 del 2006, non impedisce al giudice di fondare il proprio convincimento su di un unico elemento, purché dotato dei requisiti di precisione e gravità, tuttavia non riconoscibili nel solo valore OMI, che va pertanto combinato con ulteriori indizi qualora allegati>>.

P.Q.M.

Accoglie il ricorso, cassa la sentenza e rinvia alla Commissione Tributaria Regionale della Calabria, in altra composizione, che deciderà anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il giorno 27 settembre 2018

 

 

 

Desidero ricevere in abbonamento gratuito il vostro periodico FiscotoDay