CASSAZIONE SENTENZE

TIA: nullo l’avviso di accertamento dell’imposta soppressa

Tributi locali – Avviso di accertamento per omesso versamento – Regolamento comunale di passaggio dalla Tarsu alla TIA1 successivo alla sua soppressione – Ricorso per Cassazione – Contenzioso tributario – d.p.r. n. 158/1999

– Regime transitorio – Illegittimità dell’avviso di accertamento – Nullità

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 11212 dell’11 giugno 2020 è nuovamente intervenuta a far chiarezza sulle questione degli accertamenti TIA1, peraltro sulla scia di quanto già affermato, in un caso analogo, nell’ordinanza della Corte di Cassazione Sez. V Civile n. 17271/2017, chiamata allora a dirimere la questione sollevata da un contribuente in relazione a un avviso di accertamento TIA 1 per l’anno 2006 nel Comune di Latina, emesso dalla soc. Latina Ambiente in qualità di gestore del Servizio Rifiuti.  In quel caso, analogamente al caso odierno, la Ctp aveva accolto il ricorso del contribuente sul rilievo che il Comune, con la delibera n. 44 del 30 maggio 2006, aveva illegittimamente adottato la Tariffa Igiene Ambientale (TIA1) di cui al D.lgs. n. 22/1997 (c.d. decreto Ronchi) in sostituzione della TARSU, in quanto il D.lgs. n.152/2006, entrato in vigore il 29 aprile 2006, aveva abrogato la c.d. Tariffa Ronchi consentendo agli enti interessati di continuare a riscuotere il tributo fino alla completa attuazione della nuova tariffa (TIA2) secondo la vigente disciplina regolamentare del Comune.

La Corte, partendo quindi dal ricorso del contribuente avverso la decisione della Ctr, ha cassato la stessa in quanto questa avrebbe dovuto individuare le specifiche disposizioni di legge disciplinanti la fattispecie e, quindi, disapplicare la delibera comunale del 30 maggio 2006 perché adottata oltre la data del 29 aprile 2006 di soppressione della TIA 1, ricorrendo le condizioni del giudice tributario di disapplicare gli atti amministrativi presupposti di carattere generale.

La Tariffa di Igiene Ambientale non sembra aver ancora trovato una sua definitiva collocazione, nonostante in questi anni sia stata oggetto di una lunga evoluzione normativa: basti ricordare che la Tassa Rifiuti trae origine dal Testo Unico Finanza Locale (TUFL) n.1175 del 1931, che aveva disciplinato la materia per oltre mezzo secolo, fino alla prima riforma con il D.lgs. n. 507/1993 (artt. 58-79) e, a seguire, il D.lgs. n. 22/1997, il D.lgs. n. 152/2006, e così con la TARES (D.L. n. 201/2011), la TARI e la TARIFFA CORRISPETTIVO di cui alla Legge di Stabilità per il 2014, che hanno alimentato negli anni recenti la produzione del contenzioso tributario coinvolgendo enti locali, contribuenti e operatori del settore, costretti a districarsi nella grande confusione provocata dalla normativa in continua evoluzione che non ha avuto quindi il tempo di consolidare chiare modalità di applicazione.

E a rendere incerta tale collocazione ha contribuito, in parte, anche la giurisprudenza che, assumendo posizioni diverse nel succedersi delle pronunce, ha sollevato importanti dibattiti circa la natura stessa della tariffa in questione e sulla questione processuale di competenza dei giudici.

Fin dalla sua entrata in vigore la Tariffa Ronchi (TIA), che doveva sostituire a regime la TARSU, è stata oggetto di dispute in dottrina e giurisprudenza. La contrapposizione verteva sulla natura tributaria o meno del prelievo e di conseguenza sulle corrette modalità di gestione dell’entrata comunale. Prendiamo ad esempio la debenza IVA sulla tassa rifiuti o a quale giurisdizione spetti la competenza delle eventuali liti tra il cittadino e l’ente gestore, sia esso Comune o società concessionaria.

Per quanto attiene la questione della debenza IVA ci limitiamo a ricordare  che nella sentenza n. 8631/20 del 7 maggio 2020, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno enunciato il seguente principio di diritto: “… la tariffa di cui all’art. 238, d.lgs. n. 152/2006, come interpretato dall’art. 14, comma 33, d.l. n. 78 del 2010, convertito con modificazioni, dalla l. n 122 del 2010, ha natura privatistica ed è, pertanto, soggetta ad IVA ai sensi degli artt. 1, 3, 4, commi 2 e 3, d.p.r. n. 633/1972”.

L’orientamento della giurisprudenza di legittimità riconosce natura di interpretazione autentica alla norma dettata dall’art. 14, comma 33, D.L. n. 78/2010 (si veda Cass., sez. III civ., 21 giugno 2018, n. 16332, in CED Cass., Rv. 649418): a tale indirizzo si allineano anche la Sezioni Unite della Corte di Cassazione nella sentenza menzionata. Ulteriore elemento è rappresentato dall’immediatezza della misura rispetto alla sentenza n. 238 del 2009, con la quale la Corte Costituzionale ha riconosciuto la natura tributaria della c.d. “TIA 1”. A ciò si aggiunga il diritto vivente formatosi nella giurisprudenza di legittimità in merito alla natura di corrispettivo della TIA 2, “parametrando l’entità del dovuto alla quantità e qualità dei rifiuti prodotti” (a partire da Cass., sez. III civ., 21 giugno 2018, n. 16332).

Con ciò le Sezioni Unite della Corte di Cassazione argomentano la natura privatistica della TIA 2 e la sua assoggettabilità a IVA ex art. 3, DPR n. 633/1972, ciò non trovando ostacolo nella circostanza che il pagamento della TIA 2 (come quello della TIA 1) sia obbligatorio per legge, atteso che il citato art. 3, DPR n. 633, prevede che “le prestazioni verso corrispettivo dipendenti da contratti d’opera, appalto, trasporto, mandato, spedizione, agenzia, mediazione, deposito e in genere da obbligazioni di fare, di non fare e di permettere” costituiscono prestazioni di servizi (ai fini dell’assoggettabilità all’IVA e art. 1, del medesimo decreto) “quale ne sia la fonte” (Cass. n. 16332/2018). 

Detti approdi interpretativi hanno trovato conferma nella sentenza n. 188/18, con la quale la Corte Costituzionale ha richiamato principi già enunciati con riferimento alla tariffa per il servizio di fognatura e depurazione: nella sentenza n. 335 del 2008 si fa riferimento ai medesimi elementi elencati sopra, vale a dire le finalità enunciate nei lavori preparatori, la costruzione della tariffa in maniera tale da coprire i costi del servizio erogato, la natura di corrispettivo della prestazione erogata da ente pubblico, l’esistenza di un diritto vivente fermo nell’escluderne la natura tributaria. 

Sul piano della giurisdizione competente ricordiamo che, nonostante al tempo si fosse affermato l’orientamento della natura tributaria della tariffa, margini di incertezza in ordine alla giurisdizione tributaria sussistevano in dottrina proprio a causa dell’art. 14, comma 33, D.L. n. 78/2010, in virtù del quale “… Le disposizioni di cui all’articolo 238 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, si interpretano nel senso che la natura della tariffa ivi prevista non è tributaria. Le controversie relative alla predetta tariffa, sorte successivamente alla data di entrata in vigore del presente decreto, rientrano nella giurisdizione dell’autorità giudiziaria ordinaria”.

Tale incertezza ha dato luogo a decisioni di merito contrastanti.

Diversamente opinando, la Corte a Sezioni Unite civili, con l’ordinanza n. 14903 del 21 giugno 2010 affermava di conformare il proprio orientamento alla pronuncia della Corte Costituzionale e che, pertanto, nelle controversie in materia di Tariffa rifiuti deve essere dichiarata la giurisdizione del giudice tributario.

Da ricordare inoltre che in precedenza, prima della sentenza della Corte, la Cassazione si era espressa diversamente (n. 13894/09, depositata il 15 giugno 2009). La VI sezione della Corte di Cassazione, con le ordinanze gemelle n. 24637 e 24638/2018, ribadiva peraltro il principio secondo cui “spettano alla giurisdizione tributaria le controversie aventi ad oggetto la debenza della tariffa di igiene ambientale disciplinata dall’art. 49 del d. lgs. n. 22 del 1997 (cosiddetta TIA 1), in quanto, come evidenziato anche dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 238 del 2009 e con l’ordinanza n. 64 del 2010, tale tariffa non costituisce una entrata di diritto privato, ma una mera variante della TARSU disciplinata dal d. lgs. 15 novembre 1993 n. 507, di cui conserva la qualifica di tributo (Cass. Sez. unite nn. 14903 del 2010, 25929 del 2011 e 9600 del 2012); avendo quindi ancora le Sezioni Unite di questa Corte, sulla riaffermata natura tributaria della cosiddetta TIA 1, di conseguenza escluso l’assoggettabilità ad IVA del relativo costo fatturato del servizio di raccolta e smaltimento rifiuti (Cass. 15 marzo 2016 n. 5078)”.

Da ultimo le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, richiamando un proprio precedente, vale a dire l’ordinanza del 27 gennaio 2020, n. 1839, affermavano il seguente principio di diritto: “… Spettano alla giurisdizione del giudice ordinario le controversie sorte successivamente al 31 maggio 2010 (data di entrata in vigore del d.l. n. 78 del 2010, conv. con modif. dalla l. n. 122 del 2010) aventi ad oggetto la debenza della tariffa integrata ambientale di cui all’art. 238 del d.lgs. n. 152 del 2006 (cd. TIA-2), nonché le controversie, sorte successivamente alla medesima data, aventi ad oggetto la debenza della soppressa tariffa di igiene ambientale, in regime transitorio, di cui all’art. 49 del d.lgs. n. 22 del 1997 (cd. TIA-1)”. 

La questione posta oggi all’attenzione della Corte origina dalla scelta del legislatore che, nel D.lgs. n. 22/1997 (Decreto Ronchi), ha previsto l’introduzione del nuovo sistema incentrato sulla “tariffa” (TIA 1), sostitutivo di quello incentrato sul “tributo”, e che avrebbe dovuto superare – almeno nelle intenzioni – le inefficienze finanziarie dimostrate dalla soppressa TARSU, con modalità progressive, sostanzialmente demandate agli enti locali (art. 49, D.lgs. n. 22/1997), cosa che ha consentito a numerosi Comuni di continuare ad applicare la TARSU nonostante la previsione di un termine per passare alla TIA 1, originariamente fissato nel 10 gennaio 1999 ma più volte prorogato, e ad alcuni Comuni di attivare il sistema tariffario “in via sperimentale” anche prima del suddetto termine ultimo (art. 49, citato, comma 16), proprio nell’ottica di accelerare il processo di copertura dei costi del servizio di gestione dei rifiuti da ripartire tra i contribuenti, intento legislativo insito nel passaggio, ancorché come già detto graduale, dal regime di “tassa” a quello di “tariffa”; che il ricordato art. 238, D.Lgs. n. 152 del 2006 (Codice dell’Ambiente), che ha istituito la nuova “tariffa” sui rifiuti TIA 2, destinata a sostituire quella di cui al D.Lgs. n. 22 del 1997, ha previsto, al comma 1, che: “La tariffa di cui all’articolo 49 del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22, è soppressa a decorrere dall’entrata in vigore del presente articolo, salvo quanto previsto dal comma 11.”, il quale recita che “Sino alla emanazione del regolamento di cui al comma 6 e fino al compimento degli adempimenti per l’applicazione della tariffa continuano ad applicarsi le discipline regolamentari vigenti.”; che, invero, il regolamento ministeriale di cui sopra non è stato adottato (entro il prorogato termine del 30 giugno 2010), per cui sono rimaste in vigore, e applicate dai Comuni nei rispettivi territori, per quanto qui d’interesse, sia la TARSU che la TIA 1, quella appunto prevista dal D.lgs. n. 22 /1997, alla quale, per effetto dei commi 183 e 184 della L. n. 296/2006 (Finanziaria 2007), sono stati estesi i criteri di determinazione della TARSU; che l’art. 5, comma 2 quater, del D.L. n. 208/2008, convertito dalla L. n. 13/2009, ha altresì disposto che, “Ove il regolamento di cui al comma 6 dell’articolo 238 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, non sia adottato dal Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare (entro il 30 giugno 2010), i comuni che intendano adottare la tariffa integrata ambientale (TIA) possono farlo ai sensi delle disposizioni legislative e regolamentari vigenti.”, per cui si è prevista per gli enti locali, inutilmente decorso il termine più volte richiamato, la facoltà di adottare delibere di passaggio dalla TARSU alla TIA 2, con effetto dal 10 gennaio 2011.

Le controversie relative alla predetta tariffa, sorte successivamente alla data di entrata in vigore del presente decreto, rientrano nella giurisdizione dell’autorità giudiziaria ordinaria, e ciò al fine di sottoporre a IVA le somme versate in passato a titolo di TIA, ma detta norma non ha natura interpretativa (Cass. S.U. n. 26266/2016; Cass. n. 26266/2016), “… perché la giurisprudenza della Corte Costituzionale e di questa Corte era … già al momento della entrata in vigore del D.L. n. 78 del 2010, pacificamente orientata nel senso di ritenere la natura tributaria e non di corrispettivo della TIA 1 “, e risulta inapplicabile alla “prima TIA”, che ha “ natura tributaria e quindi non è soggetta ad IVA, dal momento che l’IVA come qualsiasi altra imposta deve colpire una qualche capacità contributiva”, che si manifesta soltanto quando un soggetto acquisisce beni o servizi versando un corrispettivo, non già quando paga un’imposta “sia pure ‘mirata’ o ‘di scopo’ cioè destinata a finanziare un servizio da cui trae beneficio il soggetto stesso” (cfr. anche Cass. n. 2320/2012).

Ricostruito il quadro normativo di riferimento, e tornando al caso di specie, la soluzione della questione in esame risulta alquanto agevole, considerando anche in funzione della cennata precedente pronunzia, poiché il Regolamento adottato con la delibera C.C. del 30 maggio 2006, istitutiva della TIA 1 “in via sperimentale” nel Comune di Latina, si colloca temporalmente in una fase della trasformazione della disciplina fiscale in cui, stante la mancata adozione del regolamento attuativo di cui al D.lgs. n. 152/2006, art. 238, comma 6, i Comuni che già erano passati dalla TARSU alla TIA 1 potevano continuare ad applicarla, essendo tale sistema tariffario destinato a operare sino all’adozione della disciplina attuativa prevista dal Codice dell’Ambiente, così come i Comuni che tale opzione non avevano effettuato, potevano continuare ad applicare la TARSU – i cui criteri di determinazione sono stati peraltro estesi alla TIA – ma era loro precluso di passare alla “tariffa” prevista dal Decreto Ronchi, ormai destinata a essere sostituita dalla “tariffa” del Codice dell’Ambiente, intesa come “corrispettivo” del servizio prestato e, pertanto, necessitante di un’apposita regolamentazione, peraltro mai intervenuta.

Inoltre, a corroborare siffatta interpretazione si trova conferma nella stessa testuale formulazione dell’art. 238, D.lgs. n. 152/2006, il quale, nel disporre la soppressione della TIA 1 ha fatto salve, secondo quanto previsto dal successivo comma 11, “le discipline regolamentari vigenti” e, dunque, quelle già adottate alla data di entrata in vigore del Codice dell’Ambiente (29/4/2006), almeno nella parte che qui interessa.

A ulteriore conferma di quanto esposto si può rilevare che l’art. 5, comma 2-quater, D.L. n. 208/2008, convertito dalla L. n. 13/2009, ha consentito ai Comuni che intendessero adottare, “ai sensi delle disposizioni legislative e regolamentari vigenti” la tariffa integrata ambientale (TIA 2), e non già la soppressa tariffa di igiene ambientale (TIA 1), di farlo soltanto dopo la inutile scadenza del termine (30 giugno 2010) per l’adozione del regolamento attuativo e con effetto dal 10 gennaio 2011, e ciò proprio perché, in precedenza, ai Comuni era impedito di effettuare il passaggio alla TIA, per così dire “sbloccato” soltanto dopo il 30 giugno 2010; ma di semplice facoltà si è trattato, il che costituisce ulteriore argomento che attesta la piena legittimità del precedente regime, basato su due tipi di prelievo.

Tale soluzione, infine, è confermata dal D.lgs. n. 23/2001 (Disposizioni in materia di federalismo municipale), art. 14, comma 7, secondo il quale “Sino alla revisione della disciplina relativa ai prelievi relativi alla gestione dei rifiuti solidi urbani, continuano ad applicarsi i regolamenti comunali adottati in base alla normativa concernente la tassa sui rifiuti solidi urbani e la tariffa di igiene ambientale”.

Tanto premesso, e tornando più in particolare al caso di specie, la Ctr, in accoglimento dell’appello proposto dalla L. Ambiente S.p.a., ha riformato la pronuncia di primo grado rigettando il ricorso originario della contribuente avverso all’avviso di accertamento relativo al pagamento della TIA per gli anni 2006, 2007, 2008 e 2009.

Per la cassazione della sentenza ricorre la contribuente, sulla base di un solo motivo di impugnazione, lamentando essenzialmente che i giudici tributari regionali hanno ritenuto che la delibera comunale del 30 maggio 2006 contestata potesse consentire di continuare a istituire la Tariffa di Igiene Ambientale (TIA 1) anche successivamente alla sua soppressione. Gli Ermellini hanno riconosciuto le ragioni della parte contribuente affermando che “… In relazione ad analoghe controversie, questa Corte ha avuto modo di rilevare che – alla stregua della sopra ripercorsa sequenza normativa – «il Regolamento adottato con la delibera cons. com. del 30/5/2006, istitutiva della TIA 1 “in via sperimentale” nel Comune di Latina, si colloca temporalmente in una fase della trasformazione della disciplina fiscale in cui, stante la mancata adozione del regolamento attuativo di cui al d.lgs. n. 152 del 2006, art. 238, comma 6, i Comuni che già erano passati dalla TARSU alla TIA 1 potevano continuare ad applicarla, essendo tale sistema tariffario destinato ad operare sino alla adozione della disciplina attuativa prevista dal Codice dell’Ambiente, così come i Comuni che tale opzione non avevano effettuato, potevano continuare ad applicare la TARSU – i cui criteri di determinazione sono stati peraltro estesi alla TIA – ma era loro precluso di passare alla “tariffa” prevista dal Decreto Ronchi, ormai destinata ad essere sostituita dalla “tariffa” del Codice dell’Ambiente, intesa come “corrispettivo” del servizio prestato e, pertanto, necessitante di un’apposta regolamentazione (mai intervenuta)», aggiungendo che, pertanto, detta delibera (adottata, si ribadisce, il 30 maggio 2006) «con cui è stata istituita la tariffa di igiene ambientale prevista dal d.lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, così determinandosi il passaggio dalla Tarsu alla Tia, è illegittima in quanto sin dal 29 aprile 2006 non era più in vigore la tariffa ambientale e sino alla emanazione delle norme attuative del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, istitutivo della Tia 2, era consentito ai Comuni di continuare ad applicare le discipline regolamentari vigenti, da intendersi quali fonti secondarie di determinazione della tariffa stessa, tra le quali le delibere che gli enti locali avessero già adottato ai sensi del D.lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, art. 49, comma 6» (v. Cass., Sez. 5, n. 8650 del 2019; Cass., Sez. 5, n. 34283 del 2018; Cass., Sez. 5, n. 31286 del 2018; Cass., Sez. 5, n. 23820; Cass., Sez. 5, n. 17271 del 2017). E si è, in particolare, rimarcato che alcun riflesso potevano produrre, su di un siffatto quadro regolativo, le disposizioni di proroga del termine per la deliberazione del bilancio di previsione da parte degli enti locali, posto che dette disposizioni non conferivano (anche) il potere «di deliberare il passaggio dalla Tarsu» ad una tassa (la Tia 1) già soppressa (v., in particolare, Cass., Sez. 5, n. 31286 del 2018 e Cass., Sez. 5, n. 23820 del 2018; Cass., Sez. 5, n. 17271 del 2018).Ritiene, quindi, il collegio di dare continuità alla soluzione interpretativa in discorso che – contrariamente alla diversa opzione interpretativa pur emersa (minoritariamente) nella giurisprudenza della Corte (v. Cass., Sez. 5, n. 1999 del 2019; Cass., Sez. 5, n. 33424 del 2018), – condivisibilmente correla, alla data di entrata in vigore del d.lgs. n. 152 del 2006 (29 aprile 2006), la cessazione dello stesso regime transitorio delineato dall’art. 11 del d.P.R. n. 158 del 1999, posto che, con la soppressione della tariffa di cui all’art. 49 del d.lgs. n. 22 del 1997, le clausole di salvaguardia avevano ad oggetto (solo) le discipline regolamentari «vigenti» (art. 238, comma 11, cit.), ed i «provvedimenti attuativi del d.lgs. 5 febbraio 1997, n. 22» (art. 264, comma 1, lett. i), cit.). In difetto di una chiara voluntas legis di segno contrario (nel segno cioè della ultrattività), dunque, oltre ai regolamentari «vigenti» e ai «provvedimenti attuativi del d.lgs. 5 febbraio 1997, n. 22», sopra richiamati, nessun regime transitorio, correlato all’istituzione della TIA 1, poteva residuare, all’indomani della soppressione di tale tassa. All’accoglimento del motivo di ricorso segue la cassazione della sentenza impugnata”.

Corte di Cassazione – Sentenza 11 giugno 2020, n. 11212

sul ricorso n. 29477/2015 proposto da:

P. A., elettivamente domiciliata in Roma, via A. Riboty 23, presso lo studio dell’avv. Salvatore A. Napoli, rappresentata e difesa dall’avv. Luigi d’Aniello, in virtù di procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro L. Ambiente s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, via della Scrofa 57, presso lo studio dell’avv. De Persis, rappresentata e difesa dall’avv. Patrizia Soscia e dall’Avvocato Giacomo Mignano in virtù di procura speciale a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2837/39/15 della CTR del Lazio, sezione staccata di Latina, depositata il 19/05/2015;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 05/11/2019 dal Consigliere ELEONORA REGGIANI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale GIOVANNI GIACALONE, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso per quanto di ragione;

udito l’avv. LUIGI D’ANIELLO, per la ricorrente, che ha chiesto l’accoglimento del ricorso;

letti gli atti del procedimento in epigrafe. 

Svolgimento del processo

Con sentenza n. 2837/39/15 della CTR del Lazio, sezione staccata di Latina, depositata il 19/05/2015, la CTR del Lazio, in accoglimento dell’appello proposto dalla L. Ambiente s.p.a., ha riformato la pronuncia di primo grado, rigettando il ricorso originario della contribuente avverso l’avviso di accertamento per il pagamento della TIA relativa agli anni 2006, 2007, 2008 e 2009.

Il giudice del gravame ha, in sintesi, ritenuto che con la deliberazione n. 44 del 2006 il Comune di Latina avesse legittimamente istituito la Tariffa di Igiene ambientale (TIA1), per essere ciò consentito dall’art. 238 d.lgs. n. 152 del 2006.

Per la cassazione della sentenza ricorre P. A., sulla base di un solo motivo di impugnazione.

La L. Ambiente s.p.a. resiste con controricorso.

Prima dell’udienza la ricorrente ha depositato memoria illustrativa delle proprie difese.

Motivi della decisione

1. Con l’unico motivo di ricorso, formulato ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3), c.p.c., la ricorrente denuncia la violazione dell’art. 238 d.lgs. n. 152 del 2006, nella parte in cui la CTR ha ritenuto che tale norma abbia consentito di continuare a istituire la Tariffa di Igiene Ambientale (TIA 1) successivamente alla sua soppressione, mentre invece ha semplicemente previsto che, perdurando la mancata adozione dei regolamenti attuativi, i comuni potessero istituire comunque la nuova TIA, e cioè la Tariffa Integrata Ambientale (TIA 2), se entro una determinata data i suddetti regolamenti non fossero stati adottati.

2. Si deve preliminarmente rilevare che il fallimento della controricorrente, dichiarato dal Tribunale di Latina con sentenza n. 105 del 07/12/2016, e dunque intervenuto successivamente alla notifica del ricorso per cassazione, non produce alcun effetto in questa sede, rendendo conseguentemente inutilter data anche la riassunzione operata dalla ricorrente.

Il giudizio di legittimità è infatti dominato dall’impulso d’ufficio e pertanto non trova in esso applicazione l’istituto dell’interruzione del processo, previsto per le ipotesi disciplinate dall’art. 299 e ss. c.p.c. (v., ex plurimis, Cass., Sez. L, n. 1757 del 2016; Cass., Sez. 3, n. 24635 del 2015; Cass., Sez. 1, n. 22624 del 2011; Cass. Sez. U, n. 14385 del 2007) e dunque anche per il caso di fallimento di una delle parti (cfr., con riferimento alla riformulazione dell’art. 43 I.fall., Sez. 1, n. 27143 del 2017 e Cass., Sez. L, n. 21153 del 2010).

3. Prima di esaminare il motivo di ricorso per cassazione sopra illustrato, si deve rilevare che la L. Ambiente s.p.a. ha eccepito in via pregiudiziale il proprio difetto di legittimazione passiva per avere il Comune di Latina, con deliberazione n. 638 del 2013, ripreso in carico la gestione della TIA per gli anni 2006-2009 e il relativo contenzioso.

L’eccezione è infondata, tenuto conto che la successione nei rapporti giuridici, anche contenziosi, nella gestione della tariffa TIA trova disciplina nell’art. 111 c.p.c., secondo il quale, nel caso in cui nel corso del processo si trasferisca il diritto controverso per atto tra vivi a titolo particolare, il processo prosegue sempre tra le parti originarie, salva la possibilità che il successore a titolo particolare (nella fattispecie in esame il Comune di Latina) intervenga o sia chiamato in causa, con conseguente estromissione dell’alienante (nella fattispecie la L. Ambiente s.p.a.), solo sull’accordo delle parti (cfr. Cass., Sez. 5, n. 8650 del 2019).

4. Tanto premesso, il motivo di ricorso risulta fondato.

La ricognizione normativa della fattispecie evidenzia, sul punto, innanzitutto che l’art. 49 d.lgs. n. 22 del 1997 ha istituito (art. 49) la tariffa di igiene ambientale (cd. TIA 1) che, nel disegno del legislatore, avrebbe dovuto sostituire la TARSU.

L’articolo appena richiamato ha disposto, al comma 1, la soppressione della TARSU (istituita dall’art. 58 e ss. d.lgs. n. 507 del 1993) «a decorrere dai termini previsti dal regime transitorio, disciplinato dal regolamento di cui al comma 5» e ha previsto, al comma 5, che il Ministro dell’ambiente, di concerto con il Ministro dell’industria, del  commercio e dell’artigianato (sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano) dovesse elaborare «un metodo normalizzato per definire le componenti dei costi e determinare la tariffa di riferimento, prevedendo disposizioni transitorie per garantire la graduale applicazione del metodo normalizzato e della tariffa, ed il graduale raggiungimento dell’integrale copertura dei costi del servizio di gestione dei rifiuti urbani da parte dei comuni.».

L’atto regolamentare in questione è stato adottato col d.P.R. n. 158 del 1999, n. 158, il cui art. 11 ha previsto un regime transitorio (anche per effetto di successive modifiche normative) così articolato: «Gli enti locali sono tenuti a raggiungere la piena copertura dei costi del servizio di gestione dei rifiuti urbani attraverso la tariffa entro la fine della fase di transizione della durata massima così articolata: a) sette anni per i comuni che abbiano raggiunto nell’anno 1999 un grado di copertura dei costi superiore all’85%; b) sette anni per i comuni che abbiano raggiunto un grado di copertura dei costi tra il 55 e l’85%; c) otto anni per i comuni che abbiano raggiunto un grado di copertura dei costi inferiore al 55%; d) otto anni per i comuni che abbiano un numero di abitanti fino a 5000, qualunque sia il grado di copertura dei costi raggiunto nel 1999».

La soppressione della TARSU, quindi, non ha comportato l’immediata abrogazione della relativa disciplina istitutiva ma – secondo il cennato regime transitorio – detta imposta rimaneva in vigore (con la conseguente disciplina regolamentare adottata dai Comuni, ai sensi dell’art. 68 d.lgs. n. 507 del 1993) almeno sino al 19 giugno 2006 (il d.P.R. n. 158 del 1999 è stato pubblicato sulla gazzetta ufficiale n. 129 del 4 giugno 1999 e, come appena sopra ricordato, il termine più breve istituito dal regime transitorio prevedeva una durata di almeno 7 anni).

Detto regime transitorio, peraltro, non è stato portato a compimento, in quanto col d.lgs. n. 152 del 2006 (pubblicato sulla gazzetta ufficiale del il 14 aprile 2006) il legislatore è intervenuto nuovamente sulla materia, disponendo la soppressione della TIA 1, istituita col d.lgs. n. 22 del 1997.

Il d.lgs. n. 152 del 2006 ha in particolare previsto che:

– «La tariffa di cui al D. Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, art. 49, è soppressa a decorrere dall’entrata in vigore del presente articolo, salvo quanto previsto dal comma 11.» (art. 238, comma 1, d.lgs. cit.);

– «Sino alla emanazione del regolamento di cui al comma 6 e fino al compimento degli adempimenti per l’applicazione della tariffa continuano ad applicarsi le discipline regolamentari vigenti» (art. 238, comma 11, d.lgs. cit.);

– è abrogato «il D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22. Al fine di assicurare che non vi sia alcuna soluzione di continuità nel passaggio dalla preesistente normativa a quella prevista dalla parte quarta del presente decreto, i provvedimenti attuativi del D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22 cit., continuano ad applicarsi sino alla data di entrata in vigore dei corrispondenti provvedimenti attuativi previsti dalla parte quarta del presente decreto» (art. 264, comma 1, lett. 1), d.lgs. cit.).

4. In relazione ad analoghe controversie, questa Corte ha avuto modo di rilevare che – alla stregua della sopra ripercorsa sequenza normativa – «il Regolamento adottato con la delibera cons. com. del 30/5/2006, istitutiva della TIA 1 “in via sperimentale” nel Comune di Latina, si colloca temporalmente in una fase della trasformazione della disciplina fiscale in cui, stante la mancata adozione del regolamento attuativo di cui al d.lgs. n. 152 del 2006, art. 238, comma 6, i Comuni che già erano passati dalla TARSU alla TIA 1 potevano continuare ad applicarla, essendo tale sistema tariffario destinato ad operare sino alla adozione della disciplina attuativa prevista dal Codice dell’Ambiente, così come i Comuni che tale opzione non avevano effettuato, potevano continuare ad applicare la TARSU – i cui criteri di determinazione sono stati peraltro estesi alla TIA – ma era loro precluso di passare alla “tariffa” prevista dal Decreto Ronchi, ormai destinata ad essere sostituita dalla “tariffa” del Codice dell’Ambiente, intesa come “corrispettivo” del servizio prestato e, pertanto, necessitante di un’apposta regolamentazione (mai intervenuta)», aggiungendo che, pertanto, detta delibera (adottata, si ribadisce, il 30 maggio 2006) «con cui è stata istituita la tariffa di igiene ambientale prevista dal d.lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, così determinandosi il passaggio dalla Tarsu alla Tia, è illegittima in quanto sin dal 29 aprile 2006 non era più in vigore la tariffa ambientale e sino alla emanazione delle norme attuative del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, istitutivo della Tia 2, era consentito ai Comuni di continuare ad applicare le discipline regolamentari vigenti, da intendersi quali fonti secondarie di determinazione della tariffa stessa, tra le quali le delibere che gli enti locali avessero già adottato ai sensi del DIgs. 5 febbraio 1997, n. 22, art. 49, comma 6» (v. Cass., Sez. 5, n. 8650 del 2019; Cass., Sez. 5, n. 34283 del 2018; Cass., Sez. 5, n. 31286 del 2018; Cass., Sez. 5, n. 23820; Cass., Sez. 5, n. 17271 del 2017).

E si è, in particolare, rimarcato che alcun riflesso potevano produrre, su di un siffatto quadro regolativo, le disposizioni di proroga del termine per la deliberazione del bilancio di previsione da parte degli enti locali, posto che dette disposizioni non conferivano (anche) il potere «di deliberare il passaggio dalla Tarsu» ad una tassa (la Tia 1) già soppressa (v., in particolare, Cass., Sez. 5, n. 31286 del 2018 e Cass., Sez. 5, n. 23820 del 2018; Cass., Sez. 5, n. 17271 del 2018).

Ritiene, quindi, il collegio di dare continuità alla soluzione interpretativa in discorso che – contrariamente alla diversa opzione interpretativa pur emersa (minoritariamente) nella giurisprudenza della Corte (v. Cass., Sez. 5, n. 1999 del 2019; Cass., Sez. 5, n. 33424 del 2018), – condivisibilmente correla, alla data di entrata in vigore del d.lgs. n. 152 del 2006 (29 aprile 2006), la cessazione dello stesso regime transitorio delineato dall’art. 11 del d.P.R. n. 158 del 1999, posto che, con la soppressione della tariffa di cui all’art. 49 del d.lgs. n. 22 del 1997, le clausole di salvaguardia avevano ad oggetto (solo) le discipline regolamentari «vigenti» (art. 238, comma 11, cit.), ed i «provvedimenti attuativi del d.lgs. 5 febbraio 1997, n. 22» (art. 264, comma 1, lett. i), cit.).

In difetto di una chiara voluntas legis di segno contrario (nel segno cioè della ultrattività), dunque, oltre ai regolamentari «vigenti» e ai «provvedimenti attuativi del d.lgs. 5 febbraio 1997, n. 22», sopra richiamati, nessun regime transitorio, correlato all’istituzione della TIA 1, poteva residuare, all’indomani della soppressione di tale tassa.

5. All’accoglimento del motivo di ricorso segue la cassazione della sentenza impugnata.

Poiché non sono necessari ulteriori accertamenti in fatto, né risultano altri profili controversi rilevanti ai fini della decisione, sussistono i presupposti per la decisione nel merito ex art. 384 c.p.c., con l’accoglimento dell’originario ricorso della contribuente.

6. Le spese dell’intero giudizio vanno integralmente compensate tra le parti, avuto riguardo alle obiettive incertezze indotte dal quadro normativo di riferimento, alle antinomie, ed oscillazioni, emerse negli orientamenti giurisprudenziali di merito ed allo stesso consolidarsi della giurisprudenza di legittimità in momento successivo alla proposizione del ricorso in trattazione.

P.Q.M.

– accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo la causa nel merito, accoglie l’originario ricorso della contribuente;

– compensa integralmente, tra le parti, le spese dell’intero giudizio.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della V Sezione Civile, il 5 novembre 2019.

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