FISCALITA

Tari e pertinenze: la quota variabile si calcola solo una volta

Con la circolare n. 1/DF del 20 novembre 2017 – “Chiarimenti sull’applicazione della tassa sui rifiuti (Tari). Calcolo della parte variabile” – il Dipartimento delle Finanze del Ministero dell’Economia ha fatto fronte al gran parlare che si è fatto sui diversi mezzi di informazione riguardo la questione relativa al calcolo della parte variabile della tassa sui rifiuti relativa alle utenze domestiche e delle eventuali richieste di rimborso da parte dei contribuenti. L’origine della problematica deriva dal fatto che è risultato che i Comuni a volte calcolano la quota variabile sia in relazione all’abitazione che alle pertinenze, determinando così una tassa decisamente più elevata rispetto a quella che risulterebbe considerando la quota variabile una volta sola rispetto alla superficie totale. Da ciò la risposta a un’interrogazione in Commissione (n. 5-10764) nella quale è stato chiesto se la quota variabile si debba calcolare una sola volta anche nel caso in cui la superficie di riferimento dell’utenza domestica comprenda quella delle pertinenze dell’immobile.

 

La normativa di riferimento

I chiarimenti, come d’uopo, sono preceduti da un richiamo alla normativa che disciplina la determinazione delle tariffe della Tari. In base all’art. 1, comma 651, della legge 147/2013, “Il comune nella commisurazione della tariffa tiene conto dei criteri determinati con il regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 27 aprile 1999, n. 158” il quale dispone, riguardo alla determinazione della tariffa, che è composta da una parte fissa fissata in relazione alle componenti essenziali del costo del servizio, e da una parte variabile rapportata alle quantità di rifiuti conferiti; la stessa, inoltre, è suddivisa nelle fasce di utenza domestica e non domestica.

Quanto alla sua strutturazione, l’art. 5, comma 1, del citato DPR 158/1999 prevede che la parte fissa per le utenze domestiche è determinata in base alla superficie e alla composizione del nucleo familiare (punto 4.1 dell’allegato 1 allo stesso DPR). Per la parte variabile, invece, il comma 2 sancisce che “è rapportata alla quantità di rifiuti indifferenziati e differenziati specificata per kg, prodotta da ciascuna utenza”. Nel caso in cui non sia possibile misurare i rifiuti per singola utenza, il comma 4 dello stesso art. 5 stabilisce che la quota variabile della tariffa relativa alla singola utenza viene determinata applicando un coefficiente di adattamento (la procedura è indicata nel punto 4.2 dell’allegato 1 al DPR n. 158).

 

L’utenza domestica

A questo punto, nel documento di prassi si legge che “In relazione alle problematiche innanzi evidenziate, è essenziale soffermarsi sul contenuto della locuzione di utenza domestica, che deve intendersi comprensiva sia delle superfici adibite a civile abitazione sia delle relative pertinenze”.

Al riguardo viene inoltre richiamato anche l’art. 16 del Prototipo di Regolamento per l’istituzione e l’applicazione del tributo comunale sui rifiuti e sui servizi (Tares), i cui principi di ritengono applicabili anche alla Tari, in base al “la quota fissa della tariffa per le utenze domestiche è determinata applicando alla superficie dell’alloggio e dei locali che ne costituiscono pertinenza le tariffe per unità di superficie parametrate al numero degli occupanti…”.

 

Ecco il calcolo

La quota fissa di ciascuna utenza domestica deve essere quindi calcolata moltiplicando la superficie dell’alloggio sommata a quella delle relative pertinenze per la tariffa unitaria corrispondente al numero degli occupanti dell’utenza stessa; la quota variabile è costituita da un valore assoluto, ossia da un importo rapportato al numero degli occupanti che non deve essere moltiplicato per i metri quadrati dell’utenza e va sommato, come tale, alla parte fissa.

Ne consegue, dunque, che riguardo alle pertinenze è corretto computare la quota variabile una sola volta in relazione alla superficie totale dell’utenza domestica. La diversa modalità applicata dai Comuni risulta priva di un supporto normativo, visto che porterebbe a sommare tante volte la quota variabile quante sono le pertinenze, moltiplicando quindi senza alcuna ragione il numero degli occupanti dell’utenza domestica e facendo di conseguenza salire l’importo da pagare. Viene inoltre evidenziata l’assenza di “un valido sostegno logico-giuridico” soprattutto alla luce del fatto che le pertinenze, le cantine o le autorimesse “non possono ragionevolmente essere contraddistinte da una potenzialità di rifiuti superiore a quella che si può attribuire alle abitazioni”.

In proposito la circolare prospetta l’esempio di due famiglie composte entrambe da 3 persone: la prima proprietaria di un appartamento di 100 mq e la seconda di uno di 80 mq e una cantina di 20 mq, pertinenza dell’abitazione. I numeri mostrano chiaramente – ove ce ne fosse bisogno – che considerando la parte variabile sia in riferimento all’abitazione sia alla pertinenza, a parità di componenti i nuclei e di superfici, l’importo della Tari risulta molto più elevato nel secondo caso, poiché il nucleo familiare, il parametro per la definizione della parte variabile, verrebbe preso in considerazione due volte.

 

Si può chiedere il rimborso entro 5 anni

I contribuenti che hanno pagato di più perché il Comune o il gestore del servizio rifiuti ha calcolato erroneamente la parte variabile possono richiedere il rimborso, solo per le annualità a partire dal 2014, anno di istituzione della Tari come componente dell’imposta unica comunale (IUC) pagata per finanziare i costi del servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti. Non è invece possibile chiedere il rimborso della Tarsu, la tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani, regolata da norme diverse che non ne prevedevano, se non in casi isolati, la ripartizione in quota fissa e variabile.

L’istanza di rimborso deve essere presentata entro il termine di cinque anni dal giorno del versamento (art. 1, comma 164, legge 296/2006), senza particolari formalità ma recando l’indicazione di tutti i dati necessari a identificare il contribuente, l’importo pagato e quello di cui si chiede il rimborso, oltre ai dati identificativi della pertinenza erroneamente conteggiata nel calcolo della Tari.

Non si può richiedere il rimborso nei Comuni che avendo “realizzato sistemi di misurazione puntuale della quantità di rifiuti conferiti al servizio pubblico hanno introdotto, in luogo della TARI, una tariffa avente natura corrispettiva, in applicazione del comma 668 dell’art. 1 della citata legge n. 147 del 2013”.

La circolare si conclude con l’invito, rivolto ai Comuni che hanno adottato disposizioni dal contenuto difforme “rispetto ai criteri di calcolo in questa sede chiariti”, ad apportare le necessarie modifiche alle proprie previsioni regolamentari.

 

 

Desidero ricevere in abbonamento gratuito il vostro periodico FiscotoDay