CASSAZIONE

Sulle liberalità indirette tra coniugi e genitori-figli, aliquota massima dell’8%

Tassazione – Donazione indiretta – Accertamento delle liberalità indirette

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 28047 del 9 dicembre 2020 interviene per fare chiarezza su un tema assai dibattuto, tanto in dottrina

quanto in giurisprudenza: se l’operazione attributiva di strumenti finanziari dal patrimonio del beneficiante a quello di altro soggetto, compiuta a titolo liberale attraverso una banca chiamata a dare attuazione all’ordine di trasferimento di titoli impartito dal titolare, rientri nel novero della donazione diretta di cui all’art. 782 c.c. e seguenti, o tra le liberalità non donative, le cosiddette donazioni indirette, di cui all’art. 809 c.c.

Orbene gli Ermellini, seguendo la scia di una ormai consolidata giurisprudenza sull’argomento, hanno formulato un importante principio di diritto, affermando che “… le donazioni indirette, la cui esistenza risulti da una dichiarazione resa dall’interessato nell’ambito di un procedimento di accertamento tributario, sono tassate, per la parte eccedente la franchigia prevista, con l’aliquota massima dell’8% ai fini dell’imposta di donazione e successione”. La Suprema Corte ha così accolto il ricorso promosso dall’Agenzia delle entrate contro la sentenza della CTR che aveva giudicato illegittimo l’avviso di liquidazione dell’imposta sulle donazioni dovuta per liberalità indirette effettuate da un genitore nei confronti della figlia, ex art. 56-bis, commi 1 e 2, D.lgs. 346/1990 (TUS). In particolare, i giudici regionali avevano ritenuto che le liberalità in oggetto fossero da qualificare non come donazioni indirette ma come “dirette tra genitore e figlio”, considerando priva di rilevanza l’assenza delle formalità richieste dall’art. 782 c.c. La fattispecie, per la Commissione tributaria, non era riconducibile alla disciplina prevista dal menzionato art. 56-bis ma alla generale disciplina sulle imposte di successione e donazione. Secondo gli Ermellini, tuttavia, i giudici regionali avevano operato una erronea ricostruzione della fattispecie astratta recata dall’art. 56-bis e per questo hanno cassato, con rinvio, la decisione impugnata.

In buona sostanza, stabilire se una liberalità ha natura donativa o no è quindi molto importante, in quanto per la prima l’articolo 782 Codice civile richiede, a pena di nullità, la forma dell’atto pubblico, mentre per la seconda l’articolo 809 Codice civile, nell’individuare le norme applicabili alle liberalità diverse dalla donazione, non richiama tale articolo.

Dal dettato normativo, pertanto, deriva una semplificazione di forma per le cosiddette liberalità indirette, che restano valide anche se non hanno la forma di atto pubblico: ne consegue che la donazione indiretta è valida ed efficace anche se non riveste la forma dell’atto pubblico, essendo necessario solamente il rispetto dei requisiti previsti dalla legge per la validità del negozio attraverso il quale viene realizzata.  

Ma se la distinzione, da un punto di vista teorico appare lineare, nella realtà di tutti i giorni vengono posti in essere atti e negozi sempre più particolari rispetto ai quali non sempre è agevole stabilire se si tratta di donazione diretta, nulla se priva della forma dell’atto pubblico, o indiretta. Inoltre, quando una donazione indiretta emerge nell’ambito di un’attività di accertamento tributario, molti dubbi possono sorgere per la corretta applicazione dell’imposta di donazione: è infatti prevista una specifica disciplina dall’articolo 56-bis del TUS, ma non è sempre chiaro come questa norma possa coordinarsi con l’articolo 2, commi da 47 a 53, DL 262/2006, che peraltro ha reintrodotto l’imposta sulle successioni e le donazioni, rimodulando però franchigie e aliquote.

Infatti, per le donazioni e gli atti di trasferimento a titolo gratuito di beni e diritti e la costituzione di vincoli di destinazione di beni, l’imposta, come recita l’articolo 2 (Misure in materia di riscossione), commi da 47 a 53, D.L. 262/2006, è determinata dall’applicazione, al valore globale dei beni e dei diritti al netto degli oneri da cui è gravato il beneficiario, diversi da quelli indicati dall’articolo 58, comma 1, del citato Testo unico, ovvero, se la donazione è fatta congiuntamente a favore di più soggetti o se in uno stesso atto sono compresi più atti di disposizione a favore di soggetti diversi, al valore delle quote dei beni o diritti attribuiti, delle seguenti aliquote:

a) a favore del coniuge e dei parenti in linea retta sul valore complessivo netto eccedente, per ciascun beneficiario, 1.000.000 di euro: 4%;

a-bis)  a  favore  dei  fratelli  e  delle  sorelle  sul valore complessivo netto eccedente, per ciascun beneficiario, 100.000  euro: 6%. 

Anche in dottrina l’argomento si è mutato in una questione assai dibattuta e molto discussa, sulla quale non c’è stato accordo e identità d’opinioni, creando differenti prese di posizione.

Secondo una prima tesi dottrinale, la donazione indiretta è la risultante della combinazione di due negozi (il negozio-mezzo e il negozio-fine), nessuno dei quali ha come causa astratta quella donativa; in base a una seconda tesi dottrinale, la donazione indiretta sarebbe data da un (solo) negozio indiretto, che si realizzerebbe quando le parti utilizzano un negozio diverso dalla donazione, piegandolo in concreto al perseguimento di una causa donandi. In altri termini, il negozio prescelto dalle parti perseguirebbe in concreto uno scopo diverso e ulteriore rispetto alla propria causa astratta.

Una terza impostazione dottrinale vorrebbe definire la donazione indiretta a fronte di qualsiasi vantaggio unilaterale di tipo patrimoniale, che non derivi da un contratto di donazione: la donazione indiretta potrebbe risultare, dunque, tanto da un atto materiale quanto da un negozio giuridico.

A fronte della complessità del quadro definitorio e casistico appena descritto, la Corte di Cassazione, con l’ordinanza di rimessione del 4 gennaio 2017, n. 106, ha chiesto alle Sezioni Unite di chiarire in quali ipotesi sia possibile ravvisare una donazione indiretta e se la fattispecie sottoposta alla Corte rimettente fosse configurabile come tale.

Con la sentenza 27 luglio 2017 n. 18725, le Sezioni Unite della Suprema Corte, al fine di risolvere il quesito sollevato dalla Seconda Sezione circa la necessità o meno di più atti negoziali per la realizzazione di una donazione indiretta (punto sul quale sussistono – come evidenziato dalla Sezione Seconda – orientamenti giurisprudenziali non uniformi), ha compiuto un esame delle varie fattispecie che sono state oggetto di pronunce giurisprudenziali, distinguendo fra quelle che sono state qualificate come donazioni dirette e quelle che sono state qualificate come donazioni indirette, che hanno dato un importante contributo alla individuazione della linea di demarcazione giurisprudenziale tra due situazioni il cui confine, come si è appena accennato, è stato spesso assai incerto.

E ciò al fine, come si legge nel testo della citata sentenza, “di considerare gli aspetti di distinzione delle liberalità non donative rispetto al contratto di donazione”.

Aspetti che vengono individuati recependo quanto affermato in materia dalla dottrina secondo la quale la donazione diretta è un contratto fra donante e donatario la cui unica funzione è quella di realizzare direttamente, per puro spirito di liberalità, l’arricchimento di quest’ultimo con conseguente depauperamento del donante, mentre nella donazione indiretta questa funzione è ulteriore rispetto a quella propria dello strumento giuridico utilizzato, enunciando anche il principio di diritto secondo il quale “Il trasferimento per spirito di liberalità di strumenti finanziari dal conto di deposito titoli del beneficiante a quello del beneficiario realizzato a mezzo banca, attraverso l’esecuzione di un ordine di bancogiro impartito dal disponente, non rientra tra le donazioni indirette, configura una donazione tipica ad esecuzione indiretta; ne deriva che la stabilità dell’attribuzione patrimoniale presuppone la stipulazione dell’atto pubblico di donazione tra beneficiante e beneficiario, salvo che ricorra l’ipotesi della donazione di modico valore.”

Quindi, anche per la Suprema Corte il limes fra donazione diretta e indiretta va ricercato nelle modalità giuridiche con cui viene realizzata la liberalità e, in buona sostanza, la donazione indiretta ex art. 809 c.c. si può configurare quando l’effetto di arricchimento unilaterale sorretto da causa donandi si realizza attraverso un atto o un negozio diverso dal contratto di donazione. In base all’art. 809 c.c. “Le liberalità, anche se risultano da atti diversi da quelli previsti dall’articolo 769, sono soggette alle stesse norme che regolano la revocazione delle donazioni per causa d’ingratitudine e per sopravvenienza di figli, nonché a quelle sulla riduzione delle donazioni per integrare la quota dovuta ai legittimari. Questa disposizione non si applica alle liberalità previste dal secondo comma dell’articolo 770 e a quelle che a norma dell’articolo 742 non sono soggette a collazione”.  Tale disposizione consente dunque di realizzare l’effetto della donazione attraverso negozi privi della forma dell’atto pubblico.

Secondo una parte minoritaria della giurisprudenza, la donazione indiretta può essere realizzata anche attraverso atti non negoziali, come ricorda l’ordinanza n. 27665, pubblicata il 7 dicembre 2020, dove i Supremi Giudici hanno confermato la decisione di secondo grado con cui la CTR aveva riliquidato l’imposta di donazione dovuta da una contribuente rispetto alla liberalità indiretta di 12 milioni di euro – non registrata ed emersa nel corso di un controllo sui redditi dichiarati – ricevuta dal marito mediante un accredito in conto corrente.

Tanto premesso e tornando alla sentenza in commento, l’Agenzia presenta due motivi di ricorso per la cassazione della sentenza n. 7069/29/16, depositata il 19/7/2016, con la quale la CTR respingeva l’appello erariale e confermava la decisione di primo grado, che aveva ritenuto illegittimo l’avviso di liquidazione dell’imposta sulle donazioni dovuta per liberalità indirette effettuate dal padre della contribuente, a favore della figlia, con applicazione dell’aliquota del 7%.

La Commissione tributaria regionale riteneva che le liberalità in oggetto fossero da qualificarsi non come donazioni indirette, ma come donazioni dirette tra genitore e figlio, che non avesse rilevanza l’assenza delle formalità richieste dall’art. 782 c.c. e che, quindi, la fattispecie non fosse riconducibile alla disciplina prevista dall’art. 56-bis del citato decreto legislativo, ma alla generale disciplina prevista dall’art. 2, commi 47, 49 e 50, D.L. 262/2006 (conv. con L. 286/ 2006), che ha reintrodotto l’imposta sulle successioni e donazioni con conseguente applicazione dell’imposta con l’aliquota del 4% e la franchigia di un milione di euro.

I Supremi Giudici hanno offerto una importante decifrazione sul quadro normativo di riferimento, affermando che “…Giova premettere che l’Agenzia delle entrate di Caserta aveva chiesto chiarimenti a C. D’A. in merito a movimenti di capitale riscontrati nell’anno 2009, e che proprio sulla base delle informazioni e della documentazione ricevute (cfr. p.v.c. prot. 40951 del 13/5/2014) aveva provveduto a notificare alla contribuente l’avviso di liquidazione dell’imposta sulle donazioni, in relazione alle liberalità dichiaratamente effettuate in suo favore dal padre, A. D’A.  Il D’A., in particolare, aveva disposto il cambio di contraenza di una polizza denominata “Bussola Speciale” della Banca Monte Paschi Siena, poi liquidata (€ 2.155.560,49) a favore della contribuente, e con altra disposizione aveva beneficiato la figlia, ancorché senza rispettare le formalità di cui all’art. 782 c.c., della metà (pari ad € 1.0009.664,00) della somma rinveniente dalla liquidazione di altre due polizze denominate “Personalità 2006” di AXA-Banca Monte Paschi Siena, avendo con l’altra metà beneficiato la figlia E. L’Ufficio, qualificate le due disposizioni come liberalità indirette, “stante la chiara intenzione di una parte, (il) genitore D’A. A., di beneficiare la figlia D’A. C.”, aveva applicato, sul complessivo importo di € 1.165.224,49, ai sensi dell’art. 56 bis, commi 1 e 2, d.lgs. n. 346 del 1990, l’imposta sulle donazioni, “con aliquota del sette per cento per la parte eccedente l’importo di lire 350.000.000, pari ad euro 180.760,00”, costituente l’area di franchigia esente.  Giova osservare che le liberalità oggetto di causa sono state effettuate nell’anno 2009, ovvero in epoca successiva alla reintroduzione dell’imposta sulle successioni e donazioni, per effetto del d.l. n. 262 del 2006, art. 2, comma 47, e dunque quando era tornata ad essere applicabile la disciplina – base – dì cui al d.lgs. n. 346 del 1990, secondo le disposizioni vigenti al 24 ottobre 2006 (ovvero il giorno precedente all’entrata in vigore della L. n. 383 del 2001 recante la soppressione dell’imposta), fatti salvi rinvii ai commi da 48 a 54, e fermo restando il generale vincolo di compatibilità di cui al comma 50 sempre dell’articolo citato.  Recita l’art. 1, d.lgs. n. 346 del 1990, al comma 1, che “ L’imposta sulle successioni e donazioni si applica ai trasferimenti di beni e diritti per successione a causa di morte ed ai trasferimenti di beni e diritti per donazione o altra liberalità tra vivi.”, ed al comma 4bis, che “Ferma restando l’applicazione dell’imposta anche alle liberalità indirette risultanti da atti soggetti a registrazione, l’imposta non si applica nei casi di donazioni o di altre liberalità collegate ad atti concernenti il trasferimento o la costituzione di diritti immobiliari ovvero il trasferimento di aziende, qualora per l’atto sia prevista l’applicazione dell’imposta di registro, in misura proporzionale, o dell’imposta sul valore aggiunto”, mentre il successivo art. 55, comma 1, che “Gli atti di donazione sono soggetti a registrazione secondo le disposizioni del testo unico sull’imposta di registro, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 26 aprile 1986, n. 131, concernenti gli atti da registrare in termine fisso”; l’art. 2, d. l. n. 262 del 2006, al comma 47, che “È istituita l’imposta sulle successioni e donazioni sui trasferimenti di beni e diritti per causa di morte, per donazione o a titolo gratuito e sulla costituzione di vincoli di destinazione, secondo le disposizioni del testo unico delle disposizioni concernenti l’imposta sulle successioni e donazioni, di cui al decreto legislativo 31 ottobre 1990, n. 346, nel testo vigente alla data del 24 ottobre 2001, fatto salvo quanto previsto dai commi da 48 a 54”.  Con l’introduzione dell’art. 56 bis da parte della L. n. 342 del 2000, art. 69, comma 1, lett. p), nel Testo Unico in esame, il legislatore ha previsto una disciplina per le “liberalità diverse dalle donazioni”, quali appunto sono le liberalità “indirette”, ampio genus nel quale rientrano, e rilevano ai fini impositivi considerati dalla norma, liberalità che neppure si traducono in contratti scritti, trattandosi di meri comportamenti materiali, oppure che risultano da documenti scritti per i quali non è imposta la formalità della registrazione, per cui anche la donazione per così dire “informale” non sembra estranea, come pure sostenuto in dottrina, al meccanismo di emersione oggetto di causa, atteso che l’inosservanza della forma pubblica richiesta dall’art. 782 c.c., e la relativa sanzione della nullità, se rilevano sul piano civilistico, a tutela del donante, nessuna conseguenza producono sul piano tributario, in ragione del principio generale affermato dall’art. 53 Cost. (Cass. n. 15144/2017; n. 15144/2017; n. 634/2012).  L’art. 56 bis ammette la possibilità, per l’Amministrazione finanziaria, di accertare l’esistenza di tali liberalità (diverse dalle donazioni) ove l’attribuzione patrimoniale gratuita emerga nel corso di un’attività di controllo delle imposte sui redditi, a condizione che la natura liberale dell’attribuzione risulti da esplicite dichiarazioni rese dal contribuente, e che sia superata una determinata soglia di rilevanza fiscale. Il quadro normativo di riferimento sopra delineato risulta significativamente modificato dall’articolo 2, commi da 47 a 53, del decreto legge 3 ottobre 2006, n. 262, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 novembre 2006, L. n. 286 del 2006. Prevede, in particolare, il comma 47 dell’art. 2 del più volte citato decreto legge che “È istituita l’imposta sulle successioni e donazioni sui trasferimenti di beni e diritti per causa di morte, per donazione o a titolo gratuito e sulla costituzione di vincoli di destinazione, secondo le disposizioni del testo unico delle disposizioni concernenti l’imposta sulle successioni e donazioni, di cui al decreto legislativo 31 ottobre 1990, n. 346, nel testo vigente alla data del 24 ottobre 2001, fatto salvo quanto previsto dai commi da 48 a 54”, mentre il successivo comma 50 recita che “Per quanto non disposto dai commi da 47 a 49 e da 51 a 54 si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni previste dal citato testo unico di cui al decreto legislativo 31 ottobre 1990, n. 346, nel testo vigente alla data del 24 ottobre 2001”. Orbene, anche a seguito delle modifiche introdotte al complessivo impianto normativo delle imposte sulle successioni e donazioni, l’art. 56 bis non può ritenersi affatto implicitamente abrogato, perché si tratta di disposizione che ha una propria ragion d’essere, oltre che autonomia funzionale, rispetto a quanto previsto e, per il resto, disciplinato dal TUS. La citata disposizione regola l’emersione di peculiari fattispecie impositive, avendo il legislatore – come già detto – inteso, da un lato, incentivare l’autodichiarazione del contribuente, anche per evitare ulteriori e più onerose pretese fiscali (si pensi alle indagini relative alle imposte dirette dalle quali possono emergere elementi patrimoniali incompatibili con i redditi dichiarati) e, dall’altro, limitare l’esercizio del potere di accertamento dell’Amministrazione finanziaria, quanto alle liberalità ivi contemplate, ancorandolo alla ricorrenza di determinati presupposti.  Il Collegio ritiene di dare prevalenza alle esigenze di conservazione e di continuità normativa, in quanto non sembra potersi dubitare che il legislatore abbia nuovamente disciplinato il tributo di cui qui si discute in sostanziale soluzione di continuità con la normativa previgente alla soppressione, considerato che l’ampliamento dell’ambito del prelievo fiscale agli atti a titolo gratuito (oltre alla costituzione dei vincoli di destinazione) non supera il meccanismo di emersione del fatto imponibile introdotto dal legislatore del 2000 nell’ambito del d.lgs. n. 346 del 1990 (v. art. 69, L. n. 342 del 2000).

Ciò è tanto più vero rispetto ad un istituto, quale è quello disciplinato dall’art. 56 bis, intitolato “Accertamento delle liberalità indirette”, che prevede la possibilità, per trasferimenti di ricchezza privi di immediata evidenza fiscale, di acquisire rilevanza impositiva anche in ipotesi di mancanza di un atto scritto, attesa la constatata insufficienza pratica dello schema proprio dell’imposta di registro laddove l’intento liberale non venga in qualche modo esplicitato dal contribuente.  La ragione della diversa modulazione del potere di accertamento dell’Amministrazione finanziaria riguardo alla tassazione di fattispecie, come quella esaminata, nelle quali prevaleva precedentemente l’esigenza di contenere l’ingerenza dello Stato rispetto ad atti espressivi di autonomia privata che i singoli avrebbero voluto mantenere nel “segreto della famiglia”, appare chiaramente ravvisabile, con l’introduzione dell’ art. 56 bis nel sistema dell’imposta sulle successioni e donazioni, nell’interesse del legislatore alla corretta percezione dei tributi. La ratio legis della disciplina in tema di liberalità attuate in forme diverse da quella della donazione tipica (art. 769 c.c.) porta ad escludere che il prospettato contrasto tra vecchie e nuove norme comporti necessariamente l’implicita abrogazione delle prime, atteso che, a ben vedere, a siffatta opzione interpretativa conseguirebbe un vuoto di regole nel complessivo quadro normativo di riferimento delineato dal d. l. n. 262 del 2006 e dal d.lgs. n. 346 del 1990.

Deve precedersi, allora, ad una operazione interpretativa diversa da quella puramente letterale, e ciò al fine di armonizzare l’art. 56 bis con le disposizioni che disciplinano la reintrodotta imposta sulle successioni e donazioni, considerato che non è un dato conclusivo il diverso regime delle aliquote e delle franchigie attualmente vigente, avuto riguardo alla natura di rinvio “dinamico” e non “statico” attribuibile al richiamo, operato dalla disposizione in esame, alla disciplina delle aliquote e franchigie applicabili alle donazioni.  Si tratta di una interpretazione che non appare in contrasto con altri interessi meritevoli di tutela, o con i principi generali dell’ordinamento tributario, certamente consentita dal fatto che, come già detto, la normativa in tema di accertamento delle liberalità indirette e di registrazione volontaria delle stesse venne introdotta dal legislatore nel contesto delle disposizioni del TUS e, pertanto, essa non poteva che far riferimento, tramite richiamo, alle aliquote e franchigie previste dal TUS ed all’epoca vigenti (si pensi all’aliquota massima del 7 per cento applicata in chiave latamente sanzionatoria). E’ appena il caso di osservare, invece, la peculiare tecnica legislativa utilizzata con il riferimento, contenuto nell’art. 2 comma 47, d. l. n. 262 del 2006, alle “disposizioni del testo unico delle disposizioni concernenti l’imposta sulle successioni e donazioni, di cui al decreto legislativo 31 ottobre 1990, n. 346, nel testo vigente alla data del 24 ottobre 2001”, com’è reso evidente dalla formulazione della norma, che fatto salvo quanto previsto dai commi da 48 a 54 ed il generale limite di compatibilità, rinvia proprio e solo alle disposizioni richiamate, le quali diventano idealmente parte integrante dell’atto rinviante, così come esse si trovavano scritte nel momento a cui il rinvio fa riferimento.

E’ appena il caso di osservare, invece, la peculiarità della tecnica legislativa utilizzata con il riferimento, contenuto nell’art. 2 comma 47, d. l. n. 262 del 2006, alle “disposizioni del testo unico delle disposizioni concernenti l’imposta sulle successioni e donazioni, di cui al decreto legislativo 31 ottobre 1990, n. 346, nel testo vigente alla data del 24 ottobre 2001”, com’è reso evidente dalla formulazione della norma, che fatto salvo quanto previsto dai commi da 48 a 54 ed il generale limite di compatibilità, rinvia proprio e solo alle disposizioni richiamate, le quali diventano idealmente parte integrante dell’atto rinviante, così come esse si trovano scritte nel momento a cui il rinvio fa riferimento.  Ciò detto, in caso di accertamento officioso, il comma 2 dell’art. 56-bis, d.lgs. citato, prevede l’applicazione dell’aliquota unica del 7 per cento, all’epoca la misura massima prevista, ed a prescindere dal grado di parentela del beneficiario, da calcolare sulla parte dell’incremento patrimoniale dovuto alla liberalità eccedente la sopra indicata soglia di 350 milioni di lire.

Secondo la prescelta interpretazione logico-sistematica della disposizione, si deve evitare l’applicazione di una aliquota e di una franchigia non più previste dalla novellata imposta, ed al fine di consentire ad essa disposizione di continuare ad operare, in maniera non priva di coerenza, nel modificato contesto normativo di riferimento, si deve guardare alle nuove disposizioni e, segnatamente, all’art. 2, commi 49 e 49 bis, d. l. n. 262 del 2006.  Del resto, se è vero che l’articolo 2, comma 50, d. l. n. 262 del 2006, stabilisce l’applicazione delle disposizioni del TUS “in quanto compatibili”, tale limite non preclude l’armonizzazione del contenuto della disposizione in esame con le nuove aliquote e franchigie nei termini qui considerati. Ne discende che l’articolo 56-bis, comma 1, va interpretato nel senso che le liberalità diverse dalle donazioni (e da quelle risultanti da atti di donazione effettuati all’estero a favore di residenti), ossia tutti quegli atti di disposizione mediante i quali viene realizzato un arricchimento (del donatario) correlato ad un impoverimento (del donante) senza l’adozione della forma solenne del contratto di donazione tipizzato dall’art. 769 c.c., e che costituiscono manifestazione di capacità contributiva, essendo irrilevante a tali fini la formale stipula di un atto e viceversa rilevante il fatto economico provocato dal trasferimento da un patrimonio ad un altro, sono accertate e sottoposte ad imposta in presenza di una dichiarazione circa la loro esistenza, resa dall’interessato nell’ambito di procedimenti diretti all’accertamento di tributi, se sono di valore superiore alle franchigie oggi esistenti: euro 1.000.000 per coniuge e parenti in linea retta, euro 100.000 per fratelli e sorelle, euro 1.500.000 per persone portatrici di handicap, mentre per i casi in cui la norma vigente non prevede franchigie (ovvero con riguardo a soggetti diversi da coniuge, parenti in linea retta, fratelli e sorelle, persone portatrici di handicap), l’imposta trova applicazione sull’intero importo della liberalità. Per le fattispecie di liberalità imponibili come sopra individuate, l’aliquota da applicare è quella dell’8 per cento, che costituisce attualmente la percentuale massima prevista dalla legge, a prescindere dal rapporto di parentela del beneficiario, così da mantenere la funzione latamente sanzionatoria contemplata dal legislatore (l’aliquota del 7% non esiste più e non appare coerente “mescolare” tra loro aliquote e franchigie vecchie e nuove). A ciò si aggiunga che, con riguardo alla registrazione volontaria prevista dall’articolo 56-bis, comma 3, – ipotesi che non assume concreto rilievo decisorio ma che si esamina per completezza argomentativa -, il rinvio operato dall’articolo 56-bis, alle aliquote di cui all’articolo 56 (disposizione espressamente abrogata, nei commi da 1 a 3, dal d. l. n. 262 del 2006), deve ora essere inteso come riferito alle nuove aliquote e franchigie introdotte dall’articolo 2, commi 49 e 49 bis, del d.lgs. più volte citato, così da mantenere il regime impositivo più favorevole riservato al contribuente totalmente collaborativo. La sentenza impugnata, in conclusione, è affetta da una erronea ricostruzione della fattispecie astratta recata dall’art. 56 bis, ricostruzione che rende ineludibile la preventiva soluzione del problema interpretativo concernete l’applicabilità e la portata della disposizione. Il giudice di secondo grado non ha considerato che, senza la dichiarazione della contribuente ex art. 56 bis, le liberalità poste in essere dal disponente (A. D’A.) non sarebbero state accettabili dall’Ufficio, e neppure tassabili, e che le nuove aliquote e franchigie previste dall’art. 2, commi 49 e 49 bis , d. l. n. 262 del 2006, nell’ambito della fattispecie disciplinata dall’art. 56 bis, si applicano in caso di registrazione volontaria delle liberalità, ipotesi che qui pacificamente non ricorre.  La sentenza impugnata non si è attenuta ai principi innanzi esposti e merita di essere cassata, con rinvio alla medesima CTR, in diversa composizione, la quale provvederà a nuovo esame ed alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità”.

Corte di Cassazione – Ordinanza 9 dicembre 2020, n. 28047

sul ricorso 3781-2017 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro D’A. C., con domicilio eletto in ROMA 2020 PIAZZA CAVOUR presso la cancelleria della CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’Avvocato IOLANDA BUONO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 7069/2016 della COMM.TRIB.REG. di NAPOLI, depositata il 19/07/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 07/10/2020 dal Consigliere Dott. ORONZO DE MASI.

RITENUTO CHE

L’Agenzia delle entrate propone due motivi di ricorso per la cassazione della sentenza n. 7069/29/16, depositata il 19/7/2016, con la quale la commissione tributarla regionale della Campania ha respinto l’appello erariale e confermato la decisione di primo grado, che aveva ritenuto illegittimo l’avviso di liquidazione dell’imposta sulle donazioni dovuta per liberalità indirette effettuate nel corso del 2009 da A. D’A., padre della contribuente, a favore della figlia C., con applicazione dell’aliquota del 7% per la parte eccedente l’importo di lire 350.000, pari ad euro 180.760,00, ai sensi dell’art. 56 bis, commi 1 e 2 del d.lgs. n. 346 del 1990 (TUS).

La commissione tributaria regionale, per quanto qui rileva, ha ritenuto che le liberalità in oggetto fossero da qualificarsi non come donazioni indirette, ma come donazioni dirette “tra genitore e figlio”, che non avesse rilevanza l’assenza delle formalità richieste dall’art. 782 c.c., che quindi la fattispecie non fosse riconducibile alla disciplina prevista dall’art. 56 bis del citato decreto legislativo, ma alla generale disciplina prevista dall’art. 2, commi 47, 49 e 50, d. l. n. 262 del 2006, conv. con L. n. 286 del 2006, che ha reintrodotto l’imposta sulle successioni e donazioni, con conseguente applicazione dell’imposta con “l’aliquota del 4% e la franchigia di un milione” di euro.

Resiste con controricorso la contribuente.

CONSIDERATO CHE

Con il primo motivo di ricorso l’Agenzia delle entrate lamenta – ex art.360 c.p.c., primo comma, n. 4 – violazione e falsa applicazione degli artt. 112 e 132 c.p.c., per avere la CTR omesso di esaminare le argomentazioni svolte nell’appello sulla qualificazione giuridica degli atti di liberalità tassati, a sostegno dell’applicabilità dell’art. 56 bis, d.lgs. n. 346 del 1990, ed apoditticamente inquadrato la fattispecie esaminata nell’ambito della donazione diretta, mediante il mero richiamo ad altra sentenza (n. 4329/2016) pronunciata dalla medesima CTR nei confronti di E. D’A., afferente analoga questione e favorevole alla contribuente, senza specificare le ragioni logico-giuridiche poste a fondamento della propria decisione.

Con il secondo motivo di ricorso lamenta – ex art.360 c.p.c., primo comma, n. 3 – violazione e falsa applicazione degli artt. 56 e 56 bis, d.lgs. n. 346 del 1990, 2, commi 49 e 50, d. l. n. 262 del 2006, per non avere la CTR considerato: che l’impianto normativo del nuovo tributo sulle successioni e donazioni si basa su principio per il quale, ove compatibile e per quanto non diversamente disposto dal d. l. n. 262 del 2006, è applicabile la disciplina della “vecchia” imposta contenuta nel d.lgs. n. 346 del 1990, nel testo vigente alla data del 24 ottobre 2001;

che ricorrono, nella specie, tutti i presupposti, requisiti e condizioni di cui alle lettere a) e b) dell’art. 56 bis, commi 1 e 2, L. n. 346 del 1990, disposizione quest’ultima che si pone su un piano di autonomia rispetto all’impianto impositivo generale e che pertanto coesiste, anche se mediante coordinamento, con il nuovo sistema delle aliquote e franchigie che si applica alle donazioni e agli atti a titolo gratuito;

che l’avviso di liquidazione impugnato scaturisce non da una semplice tassazione di somme di cui alla registrazione di una scheda testamentaria o di un atto di donazione, ma dall’accertamento di liberalità frutto dell’attività d’indagine dell’Ufficio, il quale, sulla scorta dei chiarimenti e della documentazione fornita dall’interessata circa le rilevanti movimentazioni di capitali effettuate nell’anno 2009, ha provveduto alla liquidazione dell’imposta di donazione sulla ricchezza pervenuta a C. D’A., ai sensi e per gli effetti del citato art. 56 bis, che è norma sanzionatoria, applicando integralmente l’aliquota (7%) e la franchigia (euro 180.760,00) in essa previste.

La prima censura è infondata.

La sentenza della CTR, contrariamente a quanto dedotto dalla ricorrente Agenzia delle entrate, non appare motivata soltanto per relationem mediante il richiamo ad altra pronuncia adottata in analoga controversia riguardante la sorella (E. D’A.) della contribuente, prodotta all’udienza pubblica e della quale non viene riprodotto il contenuto essenziale. Il giudice di appello, infatti, ha anche osservato che la che l’esaminata fattispecie “non rientra nella donazione indiretta disciplinata dall’art. 56 bis della L. n. 346/90 bensì trattandosi di donazione diretta tra genitore e figlia si rende applicabile l’aliquota del 4% con la franchigia di un milione”. Orbene, alla specifica questione giuridica – riproposta dal gravame erariale – concernente la prospettata perdurante integrale applicabilità del più volte menzionato art. 56 bis, nonostante il suo non agevole coordinamento con il nuovo sistema di aliquote e franchigie previsto dall’art. 2, commi 49 e 49 bis, d. l. n. 262 del 2006, alla quale il giudice di prime cure aveva dato risposta negativa, ritenendo applicabile l’art. 2, d. l. 262 del 2006, con le nuove aliquote e franchigie, la CTR campana non risponde esplicitamente, essendosi limitata a sottolineare la natura “innovativa” della disciplina istituita dal d. l. n. 262 del 2006.  La CTR ha, invece, ritenuto decisivo il fatto – e ciò costituisce la effettiva ratio decidendi della sentenza di secondo grado – che non ricorre, nel caso di specie, alcuna figura di donazione indiretta, per cui la fattispecie è estranea alla disciplina dell’art. 56 bis, L. n. 346 del 1990, avendo qualificato le liberalità oggetto di causa come donazioni dirette, “pur in assenza (come nel caso esaminato) di atto pubblico di donazione e della relativa accettazione”, ed ha concluso per l’applicabilità della “nuova” disciplina dell’imposta sulle donazioni recata dal d. I. n. ha ritenuto.

La seconda censura, invece, è fondata nei termini di seguito meglio precisati.

Giova premettere che l’Agenzia delle entrate di Caserta aveva chiesto chiarimenti a C. D’A. in merito a movimenti di capitale riscontrati nell’anno 2009, e che proprio sulla base delle informazioni e della documentazione ricevute (cfr. p.v.c. prot. 40951 del 13/5/2014) aveva provveduto a notificare alla contribuente l’avviso di liquidazione dell’imposta sulle donazioni, in relazione alle liberalità dichiaratamente effettuate in suo favore dal padre, A. D’A. Il D’A., in particolare, aveva disposto il cambio di contraenza di una polizza denominata “Bussola Speciale” della Banca Monte Paschi Siena, poi liquidata (€ 2.155.560,49) a favore della contribuente, e con altra disposizione aveva beneficiato la figlia, ancorché senza rispettare le formalità di cui all’art. 782 c.c., della metà (pari ad € 1.0009.664,00) della somma rinveniente dalla liquidazione di altre due polizze denominate “Personalità 2006” di AXA-Banca Monte Paschi Siena, avendo con l’altra metà beneficiato la figlia E. L’Ufficio, qualificate le due disposizioni come liberalità indirette, “stante la chiara intenzione di una parte, (il) genitore D’A. A., di beneficiare la figlia D’A. C.”, aveva applicato, sul complessivo importo di € 1.165.224,49, ai sensi dell’art. 56 bis, commi 1 e 2, d.lgs. n. 346 del 1990, l’imposta sulle donazioni, “con aliquota del sette per cento per la parte eccedente l’importo di lire 350.000.000, pari ad euro 180.760,00”, costituente l’area di franchigia esente.

Giova osservare che le liberalità oggetto di causa sono state effettuate nell’anno 2009, ovvero in epoca successiva alla reintroduzione dell’imposta sulle successioni e donazioni, per effetto del d. l. n. 262 del 2006, art. 2, comma 47, e dunque quando era tornata ad essere applicabile la disciplina – base – dì cui al d.lgs. n. 346 del 1990, secondo le disposizioni vigenti al 24 ottobre 2006 (ovvero il giorno precedente all’entrata in vigore della L. n. 383 del 2001 recante la soppressione dell’imposta), fatti salvi rinvii ai commi da 48 a 54, e fermo restando il generale vincolo di compatibilità di cui al comma 50 sempre dell’articolo citato.

Recita l’art. 1, d.lgs. n. 346 del 1990, al comma 1, che “ L’imposta sulle successioni e donazioni si applica ai trasferimenti di beni e diritti per successione a causa di morte ed ai trasferimenti di beni e diritti per donazione o altra liberalità tra vivi.”, ed al comma 4 bis, che “ Ferma restando l’applicazione dell’imposta anche alle liberalità indirette risultanti da atti soggetti a registrazione, l’imposta non si applica nei casi di donazioni o di altre liberalità collegate ad atti concernenti il trasferimento o la costituzione di diritti immobiliari ovvero il trasferimento di aziende, qualora per l’atto sia prevista l’applicazione dell’imposta di registro, in misura proporzionale, o dell’imposta sul valore aggiunto”, mentre il successivo art. 55, comma 1, che “Gli atti di donazione sono soggetti a registrazione secondo le disposizioni del testo unico sull’imposta di registro, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 26 aprile 1986, n. 131, concernenti gli atti da registrare in termine fisso.”; l’art. 2, d. l. n. 262 del 2006, al comma 47, che “È istituita l’imposta sulle successioni e donazioni sui trasferimenti di beni e diritti per causa di morte, per donazione o a titolo gratuito e sulla costituzione di vincoli di destinazione, secondo le disposizioni del testo unico delle disposizioni concernenti l’imposta sulle successioni e donazioni, di cui al decreto legislativo 31 ottobre 1990, n. 346, nel testo vigente alla data del 24 ottobre 2001, fatto salvo quanto previsto dai commi da 48 a 54.

Con l’introduzione dell’art. 56 bis da parte della L. n. 342 del 2000, art. 69, comma 1, lett. p), nel Testo Unico in esame, il legislatore ha previsto una disciplina per le “liberalità diverse dalle donazioni”, quali appunto sono le liberalità “indirette”, ampio genus nel quale rientrano, e rilevano ai fini impositivi considerati dalla norma, liberalità che neppure si traducono in contratti scritti, trattandosi di meri comportamenti materiali, oppure che risultano da documenti scritti per i quali non è imposta la formalità della registrazione, per cui anche la donazione per così dire “informale” non sembra estranea, come pure sostenuto in dottrina, al meccanismo di emersione oggetto di causa, atteso che l’inosservanza della forma pubblica richiesta dall’art. 782 c.c., e la relativa sanzione della nullità, se rilevano sul piano civilistico, a tutela del donante, nessuna conseguenza producono sul piano tributario, in ragione del principio generale affermato dall’art. 53 Cost. (Cass. n. 15144/2017; n. 15144/2017; n. 634/2012).  L’art. 56 bis ammette la possibilità, per l’Amministrazione finanziaria, di accertare l’esistenza di tali liberalità (diverse dalle donazioni) ove l’attribuzione patrimoniale gratuita emerga nel corso di un’attività di controllo delle imposte sui redditi, a condizione che la natura liberale dell’attribuzione risulti da esplicite dichiarazioni rese dal contribuente, e che sia superata una determinata soglia di rilevanza fiscale. Il quadro normativo di riferimento sopra delineato risulta significativamente modificato dall’articolo 2, commi da 47 a 53, del decreto legge 3 ottobre 2006, n. 262, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 novembre 2006, L n. 286 del 2006. Prevede, in particolare, il comma 47 dell’art. 2 del più volte citato decreto legge che “È istituita l’imposta sulle successioni e donazioni sui trasferimenti di beni e diritti per causa di morte, per donazione o a titolo gratuito e sulla costituzione di vincoli di destinazione, secondo le disposizioni del testo unico delle disposizioni concernenti l’imposta sulle successioni e donazioni, di cui al decreto legislativo 31 ottobre 1990, n. 346, nel testo vigente alla data del 24 ottobre 2001, fatto salvo quanto previsto dai commi da 48 a 54”, mentre il successivo comma 50 recita che “Per quanto non disposto dai commi da 47 a 49 e da 51 a 54 si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni previste dal citato testo unico di cui al decreto legislativo 31 ottobre 1990, n. 346, nel testo vigente alla data del 24 ottobre 2001”.

Orbene, anche a seguito delle modifiche introdotte al complessivo impianto normativo delle imposte sulle successioni e donazioni, l’art. 56 bis non può ritenersi affatto implicitamente abrogato, perché si tratta di disposizione che ha una propria ragion d’essere, oltre che autonomia funzionale, rispetto a quanto previsto e, per il resto, disciplinato dal TUS. La citata disposizione regola l’emersione di peculiari fattispecie impositive, avendo il legislatore – come già detto – inteso, da un lato, incentivare l’autodichiarazione del contribuente, anche per evitare ulteriori e più onerose pretese fiscali (si pensi alle indagini relative alle imposte dirette dalle quali possono emergere elementi patrimoniali incompatibili con i redditi dichiarati) e, dall’altro, limitare l’esercizio del potere di accertamento dell’Amministrazione finanziaria, quanto alle liberalità ivi contemplate, ancorandolo alla ricorrenza di determinati presupposti.

Il Collegio ritiene di dare prevalenza alle esigenze di conservazione e di continuità normativa, in quanto non sembra potersi dubitare che il legislatore abbia nuovamente disciplinato il tributo di cui qui si discute in sostanziale soluzione di continuità con la normativa previgente alla soppressione, considerato che l’ampliamento dell’ambito del prelievo fiscale agli atti a titolo gratuito (oltre alla costituzione dei vincoli di destinazione) non supera il meccanismo di emersione del fatto imponibile introdotto dal legislatore del 2000 nell’ambito del d.lgs. n. 346 del 1990 (v. art. 69, L. n. 342 del 2000). Ciò è tanto più vero rispetto ad un istituto, quale è quello disciplinato dall’art. 56 bis, intitolato “accertamento delle liberalità indirette”, che prevede la possibilità, per trasferimenti di ricchezza privi di immediata evidenza fiscale, di acquisire rilevanza impositiva anche in ipotesi di mancanza di un atto scritto, attesa la constatata insufficienza pratica dello schema proprio dell’imposta di registro laddove l’intento liberale non venga in qualche modo esplicitato dal contribuente.

La ragione della diversa modulazione del potere di accertamento dell’Amministrazione finanziaria riguardo alla tassazione di fattispecie, come quella esaminata, nelle quali prevaleva precedentemente l’esigenza di contenere l’ingerenza dello Stato rispetto ad atti espressivi di autonomia privata che i singoli avrebbero voluto mantenere nel “segreto della famiglia”, appare chiaramente ravvisabile, con l’introduzione dell’ art. 56 bis nel sistema dell’imposta sulle successioni e donazioni, nell’interesse del legislatore alla corretta percezione dei tributi.  La ratio legis della disciplina in tema di liberalità attuate in forme diverse da quella della donazione tipica (art. 769 c.c.) porta ad escludere che il prospettato contrasto tra vecchie e nuove norme comporti necessariamente l’implicita abrogazione delle prime, atteso che, a ben vedere, a siffatta opzione interpretativa conseguirebbe un vuoto di regole nel complessivo quadro normativo di riferimento delineato dal d. l. n. 262 del 2006 e dal d.lgs. n. 346 del 1990. Deve precedersi, allora, ad una operazione interpretativa diversa da quella puramente letterale, e ciò al fine di armonizzare l’art. 56 bis con le disposizioni che disciplinano la reintrodotta imposta sulle successioni e donazioni, considerato che non è un dato conclusivo il diverso regime delle aliquote e delle franchigie attualmente vigente, avuto riguardo alla natura di rinvio “dinamico” e non “statico” attribuibile al richiamo, operato dalla disposizione in esame, alla disciplina delle aliquote e franchigie applicabili alle donazioni.

Si tratta di una interpretazione che non appare in contrasto con altri interessi meritevoli di tutela, o con i principi generali dell’ordinamento tributario, certamente consentita dal fatto che, come già detto, la normativa in tema di accertamento delle liberalità indirette e di registrazione volontaria delle stesse venne introdotta dal legislatore nel contesto delle disposizioni del TUS e, pertanto, essa non poteva che far riferimento, tramite richiamo, alle aliquote e franchigie previste dal TUS ed all’epoca vigenti (si pensi all’aliquota massima del 7 per cento applicata in chiave latamente sanzionatoria).

E’ appena il caso di osservare, invece, la peculiare tecnica legislativa utilizzata con il riferimento, contenuto nell’art. 2 comma 47, d. l. n. 262 del 2006, alle “disposizioni del testo unico delle disposizioni concernenti l’imposta sulle successioni e donazioni, di cui al decreto legislativo 31 ottobre 1990, n. 346, nel testo vigente alla data del 24 ottobre 2001”, com’è reso evidente dalla formulazione della norma, che fatto salvo quanto previsto dai commi da 48 a 54 ed il generale limite di compatibilità, rinvia proprio e solo alle disposizioni richiamate, le quali diventano idealmente parte integrante dell’atto rinviante, così come esse si trovavano scritte nel momento a cui il rinvio fa riferimento.

E’ appena il caso di osservare, invece, la peculiarità della tecnica legislativa utilizzata con il riferimento, contenuto nell’art. 2 comma 47, d. l. n. 262 del 2006, alle “disposizioni del testo unico delle disposizioni concernenti l’imposta sulle successioni e donazioni, di cui al decreto legislativo 31 ottobre 1990, n. 346, nel testo vigente alla data del 24 ottobre 2001”, com’è reso evidente dalla formulazione della norma, che fatto salvo quanto previsto dai commi da 48 a 54 ed il generale limite di compatibilità, rinvia proprio e solo alle disposizioni richiamate, le quali diventano idealmente parte integrante dell’atto rinviante, così come esse si trovano scritte nel momento a cui il rinvio fa riferimento. Ciò detto, in caso di accertamento officioso, il comma 2 dell’art. 56-bis, d.lgs. citato, prevede l’applicazione dell’aliquota unica del 7 per cento, all’epoca la misura massima prevista, ed a prescindere dal grado di parentela del beneficiario, da calcolare sulla parte dell’incremento patrimoniale dovuto alla liberalità eccedente la sopra indicata soglia di 350 milioni di lire.

Secondo la prescelta interpretazione logico-sistematica della disposizione, si deve evitare l’applicazione di una aliquota e di una franchigia non più previste dalla novellata imposta, ed al fine di consentire ad essa disposizione di continuare ad operare, in maniera non priva di coerenza, nel modificato contesto normativo di riferimento, si deve guardare alle nuove disposizioni e, segnatamente, all’art. 2, commi 49 e 49 bis, d. I. n. 262 del 2006.

Del resto, se è vero che l’articolo 2, comma 50, d. I. n. 262 del 2006, stabilisce l’applicazione delle disposizioni del TUS “in quanto compatibili”, tale limite non preclude l’armonizzazione del contenuto della disposizione in esame con le nuove aliquote e franchigie nei termini qui considerati. Ne discende che l’articolo 56-bis, comma 1, va interpretato nel senso che le liberalità diverse dalle donazioni (e da quelle risultanti da atti di donazione effettuati all’estero a favore di residenti), ossia tutti quegli atti di disposizione mediante i quali viene realizzato un arricchimento (del donatario) correlato ad un impoverimento (del donante) senza l’adozione della forma solenne del contratto di donazione tipizzato dall’art. 769 c.c., e che costituiscono manifestazione di capacità contributiva, essendo irrilevante a tali fini la formale stipula di un atto e viceversa rilevante il fatto economico provocato dal trasferimento da un patrimonio ad un altro, sono accertate e sottoposte ad imposta in presenza di una dichiarazione circa la loro esistenza, resa dall’interessato nell’ambito di procedimenti diretti all’accertamento di tributi, se sono di valore superiore alle franchigie oggi esistenti: euro 1.000.000 per coniuge e parenti in linea retta, euro 100.000 per fratelli e sorelle, euro 1.500.000 per persone portatrici di handicap, mentre per i casi in cui la norma vigente non prevede franchigie (ovvero con riguardo a soggetti diversi da coniuge, parenti in linea retta, fratelli e sorelle, persone portatrici di handicap), l’imposta trova applicazione sull’intero importo della liberalità.

Per le fattispecie di liberalità imponibili come sopra individuate, l’aliquota da applicare è quella dell’8 per cento, che costituisce attualmente la percentuale massima prevista dalla legge, a prescindere dal rapporto di parentela del beneficiario, così da mantenere la funzione latamente sanzionatoria contemplata dal legislatore (l’aliquota del 7% non esiste più e non appare coerente “mescolare” tra loro aliquote e franchigie vecchie e nuove). A ciò si aggiunga che, con riguardo alla registrazione volontaria prevista dall’articolo 56-bis, comma 3, – ipotesi che non assume concreto rilievo decisorio ma che si esamina per completezza argomentativa -, il rinvio operato dall’articolo 56-bis, alle aliquote di cui all’articolo 56 (disposizione espressamente abrogata, nei commi da 1 a 3, dal d. l. n. 262 del 2006), deve ora essere inteso come riferito alle nuove aliquote e franchigie introdotte dall’articolo 2, commi 49 e 49 bis, del d.lgs. più volte citato, così da mantenere il regime impositivo più favorevole riservato al contribuente totalmente collaborativo.

La sentenza impugnata, in conclusione, è affetta da una erronea ricostruzione della fattispecie astratta recata dall’art. 56 bis, ricostruzione che rende ineludibile la preventiva soluzione del problema interpretativo concernete l’applicabilità e la portata della disposizione. Il giudice di secondo grado non ha considerato che, senza la dichiarazione della contribuente ex art. 56 bis, le liberalità poste in essere dal disponente (A. D’A.) non sarebbero state accettabili dall’Ufficio, e neppure tassabili, e che le nuove aliquote e franchigie previste dall’art. 2, commi 49 e 49 bis , d. l. n. 262 del 2006, nell’ambito della fattispecie disciplinata dall’art. 56 bis, si applicano in caso di registrazione volontaria delle liberalità, ipotesi che qui pacificamente non ricorre.

La sentenza impugnata non si è attenuta ai principi innanzi esposti e merita di essere cassata, con rinvio alla medesima CTR, in diversa composizione, la quale provvederà a nuovo esame ed alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La corte accoglie il secondo motivo di ricorso, rigetta il primo, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla CTR della Campania, in diversa composizione, anche per le spese del presente giudizio. Cosi deciso, nella camera di consiglio della V civile, il 7 ottobre 2020.

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