LEGGE

Statuto del contribuente, le modifiche alla disciplina dell’interpello – 1

La legge n. 23/2014 – “Delega al Governo recante disposizioni per un sistema fiscale più equo, trasparente e orientato alla crescita” – ha fissato importanti linee guida per la revisione dell’istituto dell’interpello, basate sostanzialmente su tre diverse esigenze: a) garantire una maggiore omogeneità nel contesto della disciplina, sia per la classificazione delle diverse tipologie sia, principalmente, per la regolamentazione degli effetti e della procedura applicabile; b) ridurre i tempi di lavorazione delle istanze per una maggiore tempestività dei pareri; c) procedere a una razionalizzazione dell’istituto anche attraverso l’eliminazione delle forme di interpello “obbligatorio”. Il D.Lgs. n. 156/2015 (“Revisione della disciplina degli interpelli”), attuativo della legge delega, ha provveduto a un riordino complessivo del sistema: • intervenendo sull’art. 11 della legge n. 212/2000, modificandone la precedente formulazione; • elencando espressamente i requisiti per la valida presentazione dell’istanza; • disciplinando l’istruttoria e i tempi di lavorazione delle istanze; • classificando le cause di inammissibilità delle istanze.

Con la circolare n. 9/E del 2016 le Entrate forniscono una nutrita serie di chiarimenti, che saranno oggetto di diversi articoli.

 

Il diritto di interpello

Il contribuente può interpellare l’Amministrazione finanziaria per ottenere un parere relativamente a un caso concreto e personale relativo:

– all’applicazione delle disposizioni tributarie, in presenza di condizioni di obiettiva incertezza sulla loro corretta interpretazione (interpello ordinario puro) e alla corretta qualificazione (interpello qualificatorio) di fattispecie alla luce delle norme tributarie alle stesse applicabili, se ricorrono condizioni di obiettiva incertezza;

– alla esistenza delle condizioni e la valutazione della idoneità degli elementi probatori richiesti dalla legge per l’adozione di specifici regimi fiscali nei casi espressamente previsti (interpello probatorio);

– all’applicazione della disciplina sull’abuso del diritto a una specifica fattispecie (interpello antiabuso).

L’Amministrazione finanziaria può essere interpellata anche per la disapplicazione di norme tributarie che, al fine di contrastare comportamenti elusivi, limitano deduzioni, detrazioni, crediti d’imposta, ecc., fornendo la dimostrazione che nel caso particolare gli effetti elusivi non possono verificarsi.

 

L’interpello ordinario puro e l’interpello qualificatorio

L’interpello ordinario puro resta linea con le disposizione previgenti: si conferma, infatti, come strumento generale di dialogo, attivabile per qualsiasi disposizione obiettivamente incerta nella sua applicazione al caso concreto e personale. In sede di lavorazione degli interpelli ordinari risultavano però precluse, sulla base della previgente normativa, le valutazioni “caratterizzate da una spiccata prevalenza degli elementi fattuali rispetto a quelli giuridici”, vale a dire tutti i casi in cui il dubbio del contribuente, più che sulla interpretazione delle norme, era la qualificazione del fatto, determinante ai fini dell’applicazione di una disposizione invece di un’altra: proprio per superare questo limite è stato inserito un profilo nuovo, basato di più sulla qualificazione normativa del caso concreto. Ne consegue che con il nuovo interpello ordinario l’obiettiva incertezza che legittima la presentazione di un’istanza di interpello viene distinta l’obiettiva incertezza interpretativa e l’obiettiva incertezza qualificatoria.

La previsione di un interpello ordinario di tipo qualificatorio ha di fatto riconosciuto “la vocazione espansiva dell’interpello ordinario, esplicitando l’applicabilità dell’istituto anche ai casi in cui oggetto di obiettiva incertezza non è la norma tributaria in quanto tale, ma la qualificazione giuridico-tributaria della fattispecie prospettata dal contribuente, quando cioè quest’ultimo ha dubbi sulla qualificazione del fatto e, dunque, sull’applicazione della norma, più che sull’interpretazione della medesima”.

In proposito, la relazione illustrativa al decreto menziona, a titolo esemplificativo, le seguenti ipotesi:

→ la valutazione della sussistenza di un’azienda;

→ la valutazione della sussistenza di una stabile organizzazione all’estero ai fini dell’esenzione degli utili e delle perdite delle stabili organizzazioni di imprese residenti (art. 168-ter del TUIR);

→ la riconducibilità di una determinata spesa alla categoria delle spese di pubblicità o a quelle di rappresentanza, che non è una nuova tipologia di interpello in quanto la qualificazione della spesa era oggetto, prima delle modifiche, dell’interpello antielusivo (art. 21, comma 9, legge 413/1991).

Quest’ultimo esempio conferma che nell’ambito dell’interpello qualificatorio rientrano sia casi che già costituivano oggetto di interpello (come, appunto, i ricordati casi delle spese di pubblicità o rappresentanza), sia casi che prima del decreto 165/2015 non potevano rientrare nel perimetro dell’interpello.

 

La relazione illustrativa al decreto 165

Quest’ultimo è il caso – citato nella relazione illustrativa – della valutazione dell’esistenza di una stabile organizzazione estera ai sensi e per gli effetti dell’art. 168-ter del TUIR. La previsione esplicita della facoltà di presentazione di un’istanza di interpello in relazione a tale ipotesi porta a escludere che il tema della stabile organizzazione, in casi diversi da quello di cui al citato art. 168-ter possa essere oggetto di istanze di interpello presentate ai sensi dell’art. 11 dello Statuto del contribuente. Di conseguenza, considerato che tale attività, ai fini delle imposte sui redditi, rientra nell’ambito applicativo dell’art. 31-ter del DPR 600/1973 e, come tale, esclusa dagli interpelli in questione, devono considerarsi non validamente presentabili le istanze di interpello qualificatorio con oggetto l’esistenza di una stabile organizzazione ai fini IVA. Per meglio definire l’ambito applicativo del nuovo interpello nella circolare 9/E l’Agenzia ritiene utile richiamare due passaggi della relazione illustrativa al decreto.

In un primo passaggio si legge che “La facoltà di presentazione delle istanze di interpello presuppone in ogni caso l’esistenza di un’obiettiva incertezza sulla qualificazione delle fattispecie, con la conseguenza che quelle ricorrenti, se non caratterizzate da elementi di peculiarità o, comunque, di complessità, non possono costituire oggetto dell’istanza”. Con questa precisazione si è voluto attribuire all’obiettiva incertezza come presupposto applicativo dell’interpello una prerogativa particolare “o in termini di peculiarità e non ricorrenza delle fattispecie o in termini di complessità”.

Così, ad esempio, nel caso in cui l’istanza riguardi la determinazione del periodo di corretta imputazione temporale di un costo o il parere rispetto all’inerenza di un determinato componente di reddito (art. 109 del TUIR), il contribuente può presentare un’istanza solo se il dubbio qualificatorio nasca dalla peculiarità del componente: può accadere, ad esempio, in relazione a componenti generati da operazioni riferite a rapporti commerciali non riconducibili a figure contrattuali conosciute dal nostro ordinamento, come spesso succede per quelle di derivazione estera. In assenza di tali caratteristiche l’interpello si trasformerebbe in uno strumento di accertamento preventivo. L’assenza di una obiettiva incertezza, infatti, senza un dubbio che legittimi la presentazione di un interpello, si traduce in un vizio dell’istanza che ne determina l’inammissibilità.

Al riguardo si ricorda il secondo passaggio della relazione illustrativa, nel quale si legge che “l’interpello qualificatorio, al pari dell’interpello ordinario, non può comunque avere ad oggetto accertamenti di tipo tecnico. Non potrà quindi correttamente qualificarsi istanza di interpello quella tesa ad ottenere accertamenti di fatto (ad esempio, le operazioni di classamento, di calcolo della consistenza e l’estimo catastale ovvero l’accertamento della natura illecita di un provento ai fini dell’applicazione della relativa disciplina) esperibili esclusivamente nelle sedi proprie”. Attraverso questo passaggio si è voluto escludere dall’area dell’interpello, oltre che le casistiche menzionate, quelle ipotesi che coerentemente alla natura, alle finalità dell’istituto e alle regole istruttorie di lavorazione delle istanze, sono caratterizzate, alternativamente:

  1. a) da una spiccata e ineliminabile rilevanza dei profili fattuali riscontrabili dalla stessa Amministrazione finanziaria ma solo in sede di accertamento. Si tratta, in pratica, di tutti quei casi in cui, “più che rilevare l’aspetto qualificatorio, rileva il mero appuramento del fatto (cd. accertamenti di fatto)”;
  2. b) dalla necessità di compiere attività istituzionalmente di competenza di altre amministrazioni, enti o altri soggetti che presuppongono specifiche competenze tecniche non di carattere fiscale (cd. accertamenti di tipo tecnico).

Rispetto al punto a), in presenza di disposizioni espressamente individuate dalla normativa che riconoscono al contribuente la possibilità di fornire elementi probatori idonei a ottenere un determinato effetto fiscale, il D.Lgs. 165 ha introdotto una particolare tipologia di interpello, denominato probatorio, che permette all’istante, appunto, di ottenere un parere dell’Amministrazione sulla idoneità delle prove a sua disposizione in un momento anteriore a quello dell’accertamento. Per quanto riguardale attività di cui al punto b) l’Agenzia cita ad esempio la qualificazione alla stregua di opere di urbanizzazione primaria o secondaria di un determinato bene rilevante ai fini IVA o alla possibilità di qualificare una determinata attività di ricerca e sviluppo come agevolabile ai sensi dell’art. 3 del DL n. 145/2013, convertito dalla legge n. 9/2014.

In questi casi, poiché il contribuente non può presentare un’istanza di interpello qualificatorio per ottenere un parere su questioni chiaramente non di competenza dell’Agenzia delle Entrate, potrà comunque ottenere una risposta in relazione alla spettanza del credito d’imposta, in linea di principio, allegando all’istanza di interpello il parere del competente organo (ad esempio il MISE) rispetto all’inquadramento tecnico-giuridico dell’attività espletata.

In proposito si evidenzia che in presenza di disposizioni di rilevanza pluridisciplinare, nell’ambito delle relazioni istituzionali tra l’Agenzia delle Entrate e le altre Amministrazioni dello Stato o soggetti diversi istituzionalmente interessati, si potranno raggiungere specifici accordi in base ai quali, in caso di presentazione di un’istanza di interpello che presupponga un accertamento tecnico, sarà l’Agenzia “ad attivarsi per ottenere il parere, sgravando in tal modo il contribuente del relativo onere”. Un accordo di questo tipo, ad esempio, è attivo in relazione alle istanze di interpello riguardanti il credito d’imposta per la ricerca e sviluppo (art. 3, DL n. 145/2013, convertito dalla legge n. 9/2014).

In relazione all’interpello qualificatorio, come dimostrano gli esempi sopra illustrati, le stesse questioni che per effetto delle novità introdotte sono oggetto dell’interpello qualificatorio, in presenza delle condizioni richieste, possono costituire presupposto per la risposta dell’Amministrazione nell’ambito della stessa o di una diversa tipologia di interpello presentato dal contribuente. Si cita ad esempio un interpello ordinario o un interpello antiabuso relativi a un’operazione di conferimento di azienda rispetto ai quali può risultare preliminare stabilire se trova applicazione il regime di neutralità previsto per il conferimento di azienda o di rami di essa. Rispetto a tali casi, pur non essendo necessario presentare due distinte istanze – una qualificatoria relativa alla sussistenza di un’azienda e l’altra antiabuso – è compito del contribuente fornire nell’istanza antiabuso presentata elementi sufficienti a permettere al Fisco di esprimere un parere anche sulla sussistenza dell’azienda, sempre che rispetto a questo profilo ci siano le obiettive condizioni di incertezza richieste dall’art. 11 dello Statuto. In assenza di qualsiasi elemento, la risposta “sarà fornita assumendo acriticamente l’esistenza dell’azienda e produrrà effetti esclusivamente laddove, in sede di accertamento, non risulti appurato che oggetto del conferimento non è un’azienda o un ramo di essa”. Resta inteso che in questi casi e, più in generale, in presenza di un’istanza con richieste riconducibili a diverse tipologie di interpello, la risposta fornita dall’Amministrazione finanziaria è unica e viene fornita entro il termine più lungo (120 giorni) previsto in relazione a uno o più dei quesiti esposti.

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