CASSAZIONE

Società estinta: ricorso ex liquidatore improcedibile

Tributi – IVA – IRPEF – Accertamento nei confronti di società in accomandita semplice- Successiva estinzione della società – Ricorso da parte dell’ex socio e liquidatore – Difetto di legittimazione

La Corte di Cassazione con l’0rdinanza n. 19763 del 12 luglio 2021, richiamando alcuni precedenti (ex multis Cass. n. 10572/2020) ha confermato il principio secondo cui la cancellazione dal registro delle imprese, con estinzione della società dopo la notifica dell’avviso di accertamento e prima dell’instaurazione del giudizio di primo grado, determina il difetto della capacità processuale e il difetto di legittimazione dell’ex liquidatore a rappresentarla. Non essendo il destinatario dell’avviso di accertamento, l’ex liquidatore, non può agire nell’interesse della società non più esistente.

Pertanto è stato statuito il seguente principio di diritto: “In materia tributaria, qualora l’avviso di accertamento sia stato notificato ad una società, e la stessa risulti successivamente estinta mediante cancellazione volontaria dal registro delle imprese, vicenda che determina il venir meno del potere di rappresentanza del liquidatore, l’ex liquidatore della società non dispone alla legittimazione ad impugnare l’atto impositivo, venendo il rilievo un vizio insanabile originario del processo che richiede, sin dal primo grado del giudizio, una pronuncia declinatoria di rito”.

I giudici di legittimità hanno ribadito anche la portata applicativa del D.lgs. n. 175/2014 (modificativo dell’art. 2495 c.c.), così come definita da diverse pronunce, trattandosi di una disposizione di natura sostanziale sulla capacità delle società cancellate dal registro delle imprese, non ha valenza interpretativa né efficacia retroattiva.

Le vicende riguardanti il rapporti tra processo e cancellazione della società dal registro delle imprese rappresentano comunque un tema che, negli ultimi anni, ha focalizzato l’attenzione di dottrina e giurisprudenza e sembra opportuno riproporre, seppur brevemente, alcuni tra i provvedimenti giurisdizionali più significativi sulla questione. Si premette che l’articolo 4 del D.lgs. 17 gennaio 2003, n. 6, a decorrere dal 1 gennaio 2004 ha operato un profondo riordino della disciplina delle società di capitali. In tale contesto si colloca la nuova formulazione della disposizione di cui all’articolo art. 2495 c.c. e l’iscrizione della cancellazione della società al registro delle imprese, eventualmente disposta d’ufficio ex art. 2490 c.c., ha efficacia costitutiva e comporta l’estinzione della società, restando irrilevante l’eventuale esistenza di rapporti giuridici ancora pendenti. In tema di società di capitali, la cancellazione dal registro delle imprese, avvenuta dal 1 gennaio 2004 in poi, comporta ex lege l’immediato venir meno del soggetto giuridico, in quanto la nuova formulazione dell’articolo 2495 c.c. non ha portata interpretativa, ma innovativa (Cass. Sez. Un. 22 febbraio 2010, n. 4060).

Quanto alle società di persone, l’iscrizione nel registro delle imprese e la cancellazione hanno, invece, natura meramente dichiarativa. Nondimeno, la pubblicità di quest’ultimo evento determina una presunzione (suscettibile di prova contraria), opponibile ai creditori sociali, del venir meno della capacità giuridica (Cass. Sez. Un., 12 marzo 2013, n. 6070; Cass.  13 novembre 2009, n. 24037; Cass. 20 ottobre 2008, n. 25472; Cass. 8 ottobre 2010, n. 20978 e Trib. Varese 8 marzo 2010).

La soluzione trova giustificazione nella necessità di trattare in maniera omogenea situazioni sostanzialmente identiche e nell’interpretazione costituzionalmente orientata delle norme che regolano le società di persone (Corte Cost. 21 luglio 2000, n. 319), da leggere in parallelo ai nuovi effetti costitutivi della cancellazione di quelle di capitali.

Da tali premesse consegue che, dopo la cancellazione della società, i creditori possono far valere le proprie pretese solo nei confronti dei soci: illimitatamente contro gli ex soci delle S.n.c., ex art. 1312 c.c. e contro gli accomandatari delle S.a.s.; sino alla concorrenza delle somme riscosse in base al bilancio finale di liquidazione (e in proporzione alla rispettiva quota di riparto), nel caso di società di capitali.

Le modifiche introdotte all’art. 2495 c.c. sono intervenute in un contesto di acceso dibattito giurisprudenziale e dottrinario.

La giurisprudenza, durante la vigenza della precedente formulazione della norma, escludeva infatti che la cancellazione della società di capitali o di persone dal registro delle imprese avesse carattere costitutivo e che da essa conseguisse l’estinzione della società.

Quest’ultima derivava soltanto dall’effettiva definizione dei rapporti giuridici pendenti facenti capo alla società e di tutte le controversie giudiziarie in corso con i terzi. Pertanto, a seguito della sopravvenuta cancellazione dal registro delle imprese, la società costituita in giudizio conservava piena capacità processuale (ex multis, Cass. 20 ottobre 2008, n. 25472; Cass. 2 marzo 2006 n. 4652; Cass. 8 luglio 2004 n. 12553). Nel senso opposto si era, altresì, orientata parte della giurisprudenza successiva all’intervento del legislatore del 2003 (Cass.18 settembre 2007 n. 19347; Cass. 10 novembre 2006 n. 24039; Cass. 28 giugno 2006, n. 18618).

A dirimere il contrasto sono intervenute le Sezioni Unite, con due ormai note sentenze “gemelle” che hanno statuito che, qualora all’estinzione della società, di persone o di capitali, conseguente alla cancellazione dal registro delle imprese, non corrisponda il venir meno di ogni rapporto giuridico facente capo alla società estinta, si determina un fenomeno di tipo successorio, in virtù del quale i debiti contratti dalla società non si estinguono. Poiché si sacrificherebbe ingiustamente il diritto del creditore sociale, il debito si trasferisce ai soci, i quali ne rispondono, nei limiti di quanto riscosso a seguito del bilancio finale di liquidazione o illimitatamente, a seconda che, “pendente societate”, fossero limitatamente o illimitatamente responsabili per i debiti sociali.

Altro punto ricordato dalle SS.UU. riguarda i diritti e i beni non compresi nel bilancio di liquidazione della società estinta che si trasferiscono ai soci, in regime di contitolarità o comunione indivisa, con esclusione delle mere pretese, ancorché azionate o azionabili in giudizio, e dei crediti ancora incerti o illiquidi, la cui inclusione in detto bilancio avrebbe richiesto un’attività ulteriore (giudiziale o extragiudiziale), il cui mancato espletamento da parte del liquidatore consente di ritenere che la società vi abbia rinunciato a favore di una più rapida conclusione del procedimento estintivo (Cass. sez. un. 12 marzo 2013, n. 6070, e 6071).

Si è inoltre affermato che la cancellazione della società dal registro delle imprese, a partire dal momento in cui si verifica l’estinzione della società cancellata, determina il difetto della sua capacità processuale e il difetto di legittimazione dell’ex liquidatore a rappresentarla (Cass. 23 marzo 2016, n. 5736).

La giurisprudenza ha inoltre esaminato il caso in cui, dopo la cancellazione della società di capitali, un creditore sociale non soddisfatto voglia far valere il proprio credito nei confronti dei soci: l’azione è possibile solo se e nella misura in cui il bilancio finale di liquidazione abbiano riconosciuto a questi ultimi qualche somma. L’accertamento di tali circostanze costituisce presupposto della assunzione, in capo ai soci, della qualità di successori e, correlativamente, della loro legittimazione ad causam ai fini della prosecuzione del processo (Cass 31 gennaio 2017, n. 2444; Cass. 22 giugno 2017, n. 15474). Un recente orientamento contrario (Cass. 7 aprile 2017 n. 9094) statuisce, invece, che i soci succedono nei rapporti debitori già facenti capo alla società cancellata, ma non definiti all’esito della liquidazione, indipendentemente dalla circostanza che essi abbiano goduto di un qualche riparto in base al bilancio finale di liquidazione.

L’ordinanza 18 dicembre 2018, n. 32682, infine, sancisce che la cancellazione della società di persone dal registro delle imprese ne determina l’estinzione e la priva della capacità di stare in giudizio, operando un fenomeno di tipo successorio in forza del quale i rapporti obbligatori facenti capo all’ente non si estinguono ma si trasferiscono ai soci, i quali ne rispondono, a seconda del regime giuridico dei debiti sociali cui erano soggetti “pendente societate”.

Tanto premesso, torniamo alla vicenda in esame che riguarda una S.a.s. alla quale erano stati contestati ricavi non dichiarati a seguito dell’analisi dei movimenti dei conti correnti bancari del socio accomandatario. Successivamente, venivano notificati avvisi di accertamento e in seguito la società si estingueva per effetto della cancellazione volontaria dal registro delle imprese.

A società estinta il precedente socio accomandatario, in qualità di liquidatore della S.a.s. proponeva ricorso che, poi, appellava la sentenza dinanzi alla CTR in qualità di “socio ed ex liquidatore”.

I giudici tributari, ritenendo l’ex liquidatore non legittimato ad agire, dichiaravano cessata la materia del contendere. Da qui il ricorso per Cassazione, affidato a due motivi, in cui essenzialmente si lamentava che la volontaria estinzione di un ente collettivo non può comportare la cessazione della materia del contendere nei giudizi pendenti in quanto, così argomentando, si avrebbe un ingiustificato sacrificio dei diritti dei creditori.

Da segnalare che gli Ermellini, in via preliminare all’esame dei motivi di ricorso, hanno evidenziato l’improponibilità del ricorso presentato dal liquidatore che non ha legittimazione in proprio, poiché non è il destinatario dell’avviso di accertamento, né può agire nell’interesse della società non più esistente.

L’atto impositivo, peraltro, non poteva essere emesso neppure nei confronti della società ormai giuridicamente inesistente e di conseguenza, anche qualora l’ex liquidatore non avesse impugnato l’avviso di accertamento, non poteva derivarne alcun pregiudizio nei confronti della società, atteso che anche l’eventuale esecuzione forzata sui beni della stessa non era più esperibile.

Pertanto i Supremi Giudici hanno confermato che: “…Il contribuente con il suo primo motivo di ricorso, introdotto ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 3, cod. proc. civ., contesta che la impugnata CTR è incorsa nella violazione degli arti. 2945 cod. civ., e 40 del D.Lgs. n. 546 del 1992, nonché 110 e 299 cod. proc. civ., perché “il giudizio è stato instaurato correttamente in quanto è stato instaurato dal sig. M. G. in qualità di socio della I. Sas cancellata dal registro delle imprese” (ric., p. 3).  – Mediante il suo secondo strumento di impugnazione, introdotto ai sensi dell’art. 360, comma primo, nn. 3 e 4, cod. proc. civ., il ricorrente censura la violazione dell’art. 163 del Dpr n. 917 del 1986 (TUIR), in cui è incorsa la CTR, per aver trascurato che gli importi ritenuti dalla Guardia di Finanza essere “ricavi in nero”, sono stati invece regolarmente dichiarati (ric., p. 5), ed “hanno scontato le relative imposte sui redditi” (ric., p. 9), come emerge dalla copiosa documentazione prodotta, incorrendo il giudice impugnato, in conseguenza, nella violazione del divieto della doppia imposizione. – Il ricorrente contesta, mediante il suo primo motivo di ricorso, la violazione di legge in cui sarebbe incorsa la CTR, nel dichiarare la cessazione della materia del contendere nel presente giudizio, in conseguenza del ritenuto difetto di legittimazione alla sua proposizione da parte del contribuente, nella qualità spesa di liquidatore di società già cancellata dal registro delle imprese, e pertanto dopo il verificarsi dell’evento estintivo.  Il contribuente segnala che il ricorso in appello è stato proposto indicando la propria qualità di socio, oltre che di ex liquidatore della società I. Sas. Invoca, inoltre, la giurisprudenza della Suprema Corte laddove ha statuito: “Ipotizzare che la volontaria estinzione dell’ente collettivo comporti … la cessazione della materia del contendere nei giudizi contro di essa proposti significherebbe imporre un ingiustificato sacrificio ai diritti dei creditori”.  Il contribuente, al di là della formula decisoria utilizzata dalla CTR, propone una critica che non appare fondata.  L’argomento sostenuto dal giudice dell’appello è che l’originario ricorso non poteva essere proposto da G. M. in qualità di liquidatore della società I. Sas perché, pacificamente, all’epoca della proposizione del ricorso di primo grado, la società risultava estinta a seguito di intervenuta cancellazione volontaria dal registro delle imprese. Appare pertanto inconferente il richiamo operato dal ricorrente alla giurisprudenza della Suprema Corte sulla necessità di salvaguardare i diritti dei creditori quando una società si estingua per scelta volontaria nel corso di giudizi già introdotti (ric., p. 3). Nel caso di specie, infatti, la società è stata cancellata dal registro delle imprese prima che M. G. proponesse il ricorso introduttivo del presente giudizio in qualità di liquidatore della stessa; in conseguenza, all’epoca di proposizione del ricorso in primo grado, non vi era un giudizio pendente nei confronti della società. Infondato è pure l’argomento secondo cui l’ipotizzato vizio di legittimazione in primo grado risulterebbe superato dall’avere il contribuente speso la qualità di socio accomandatario della società I. Sas (oltre quella di ex liquidatore) nella proposizione del giudizio di appello. Il difetto di legittimazione del ricorrente nel primo grado del giudizio, infatti, non può essere sanato dalla sua costituzione in secondo grado invocando un diverso titolo di legittimazione. Può pertanto esprimersi il principio di diritto secondo cui: “in materia tributaria, qualora l’avviso di accertamento sia stato notificato ad una società, e la stessa risulti successivamente estinta mediante cancellazione volontaria dal registro delle imprese, vicenda che determina il venir meno del potere di rappresentanza del liquidatore, l’ex liquidatore della società non dispone della legittimazione ad impugnare l’atto impositivo, venendo in rilievo un vizio insanabile originario del processo che richiede, sin dal primo grado del giudizio, una pronuncia declinatoria di rito”.  Il secondo motivo di ricorso rimane assorbito, perché non è consentito a questa Corte esaminarlo, in quanto il ricorso, fin dall’origine, non avrebbe potuto essere proposto”.

Corte di Cassazione – Ordinanza 12 luglio 2021, n. 19763

sul ricorso proposto da:

M. G., in qualità di (già) socio accomandatario della I. Sas, società cancellata dal registro delle imprese, rappresentato e difeso, giusta procura speciale rilasciata in calce al ricorso, dall’Avv. Graziella Silvana Zarcone, che ha indicato recapito Pec, ed elettivamente domiciliato presso lo studio del difensore, al piazzale Clodio n. 56 in Roma,

– ricorrente –

contro

Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore, legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa, ex lege, dall’Avvocatura Generale dello Stato, ed elettivamente domiciliata presso i suoi uffici, alla via dei Portoghesi n. 12 in Roma;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 3981, pronunciata dalla Commissione Tributaria Regionale di Roma il 6.5.2014, e pubblicata il 13.6.2014;

ascoltata, in camera di consiglio, la relazione svolta dal Consigliere Paolo Di Marzio;

la Corte osserva:

Fatti di causa

A seguito di Processo Verbale di Costatazione redatto dalla Guardia di Finanza il 29.9.2010, dal quale emerge che i militari avevano imputato alla società I. Sas ricavi non dichiarati, accertati mediante analisi delle movimentazioni del conto corrente bancario del socio accomandatario G. M., il quale non era riuscito a giustificarle, l’Agenzia delle Entrate notificava il 14.12.2010 alla società gli avvisi di accertamento n. TK5020307322, attinente ad Irap per l’anno 2005; e n. TK5020307487, attinente ad Iva ed Irpef per l’anno 2006; mentre il 20.12.2010 era notificato l’avviso di accertamento n. TK5020308056, attinente ad Iva ed Irpef per l’anno 2008 (ric., p. 2); per un valore complessivo dichiarato di Euro 103.445,41 (ric., p. 11).

Il 15 aprile 2011, a seguito della fase liquidatoria, la società si estingueva per effetto della cancellazione volontaria dal registro delle imprese.

Avverso gli avvisi di accertamento, in data 27 maggio 2011 (sent. CTR, p. 2) proponeva ricorso G. M., innanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Roma, nella qualità dichiarata di “liquidatore della I. Sas” (ric., p. 1), producendo documentazione ed affermando che gli introiti contestati erano stati puntualmente dichiarati dalla società, in quanto derivanti da fatture regolarmente registrate, ed onorate con ritardo dai debitori. La CTP riteneva che “le argomentazioni proposte dalla ricorrente sono del tutto prive di documentazione probatoria di supporto. Infatti, non solo i verificatori evidenziavano una mancata corrispondenza negli importi tra le fatture e i dati emersi dal conto corrente ma la controparte non ha prodotto alcuna documentazione da cui emerge che abbia proceduto al recupero dei crediti che sostiene di avere incassato con ritardo” (ric., p. 5).

Pertanto la CTP respingeva il ricorso.

G. M. spiegava appello avverso la decisione sfavorevole conseguita, innanzi alla Commissione Tributaria Regionale del Lazio, qualificandosi come “socio ed ex liquidatore della società I. Sas cancellata dal registro delle imprese” (ibidem).

Produceva ulteriore documentazione volta a dimostrare che i redditi indicati dalla Guardia di Finanza nel Pvc quali ricavi “in nero” erano stati regolarmente dichiarati, e domandava l’accoglimento dell’originario ricorso presentato.

La CTR osservava che l’originario ricorso era stato proposto il 27.5.2011, a seguito della notifica dell’avviso di accertamento alla società, intervenuta il 6.12.2010, ma successivamente alla estinzione della stessa, per effetto della cancellazione volontaria dal registro delle imprese, intervenuta in data 15.4.2011.

Riteneva pertanto G. M., che aveva introdotto il ricorso innanzi alla CTP nella qualità di liquidatore della società, privo della legittimazione a proporlo, e dichiarava cessata la materia del contendere.

Avverso la decisione assunta dalla CTR ha proposto ricorso per cassazione G. M., “in qualità di socio accomandatario della I. Sas” (ric., p. 1), affidandosi a due motivi di impugnazione.

Resiste mediante controricorso l’Agenzia delle Entrate.

Ragioni della decisione

1.1. – Il contribuente con il suo primo motivo di ricorso, introdotto ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 3, cod. proc. civ., contesta che la impugnata CTR è incorsa nella violazione degli arti. 2945 cod. civ., e 40 del D.Lgs. n. 546 del 1992, nonché 110 e 299 cod. proc. civ., perché “il giudizio è stato instaurato correttamente in quanto è stato instaurato dal sig. M. G. in qualità di socio della I. Sas cancellata dal registro delle imprese” (ric., p. 3).

1.2. – Mediante il suo secondo strumento di impugnazione, introdotto ai sensi dell’art. 360, comma primo, nn. 3 e 4, cod. proc. civ., il ricorrente censura la violazione dell’art. 163 del Dpr n. 917 del 1986 (TUIR), in cui è incorsa la CTR, per aver trascurato che gli importi ritenuti dalla Guardia di Finanza essere “ricavi in nero”, sono stati invece regolarmente dichiarati (ric., p. 5), ed “hanno scontato le relative imposte sui redditi” (ric., p. 9), come emerge dalla copiosa documentazione prodotta, incorrendo il giudice impugnato, in conseguenza, nella violazione del divieto della doppia imposizione.

2.1. – 2.2. – Il ricorrente contesta, mediante il suo primo motivo di ricorso, la violazione di legge in cui sarebbe incorsa la CTR, nel dichiarare la cessazione della materia del contendere nel presente giudizio, in conseguenza del ritenuto difetto di legittimazione alla sua proposizione da parte del contribuente, nella qualità spesa di liquidatore di società già cancellata dal registro delle imprese, e pertanto dopo il verificarsi dell’evento estintivo. Il contribuente segnala che il ricorso in appello è stato proposto indicando la propria qualità di socio, oltre che di ex liquidatore della società I. Sas. Invoca, inoltre, la giurisprudenza della Suprema Corte laddove ha statuito: “Ipotizzare che la volontaria estinzione dell’ente collettivo comporti … la cessazione della materia del contendere nei giudizi contro di essa proposti significherebbe imporre un ingiustificato sacrificio ai diritti dei creditori”.  Il contribuente, al di là della formula decisoria utilizzata dalla CTR, propone una critica che non appare fondata.

L’argomento sostenuto dal giudice dell’appello è che l’originario ricorso non poteva essere proposto da G. M. in qualità di liquidatore della società I. Sas perché, pacificamente, all’epoca della proposizione del ricorso di primo grado, la società risultava estinta a seguito di intervenuta cancellazione volontaria dal registro delle imprese.

Appare pertanto inconferente il richiamo operato dal ricorrente alla giurisprudenza della Suprema Corte sulla necessità di salvaguardare i diritti dei creditori quando una società si estingua per scelta volontaria nel corso di giudizi già introdotti (ric., p. 3).

Nel caso di specie, infatti, la società è stata cancellata dal registro delle imprese prima che M. G. proponesse il ricorso introduttivo del presente giudizio in qualità di liquidatore della stessa; in conseguenza, all’epoca di proposizione del ricorso in primo grado, non vi era un giudizio pendente nei confronti della società.

Infondato è pure l’argomento secondo cui l’ipotizzato vizio di legittimazione in primo grado risulterebbe superato dall’avere il contribuente speso la qualità di socio accomandatario della società I. Sas (oltre quella di ex liquidatore) nella proposizione del giudizio di appello.

Il difetto di legittimazione del ricorrente nel primo grado del giudizio, infatti, non può essere sanato dalla sua costituzione in secondo grado invocando un diverso titolo di legittimazione.

Può pertanto esprimersi il principio di diritto secondo cui: “in materia tributaria, qualora l’avviso di accertamento sia stato notificato ad una società, e la stessa risulti successivamente estinta mediante cancellazione volontaria dal registro delle imprese, vicenda che determina il venir meno del potere di rappresentanza del liquidatore, l’ex liquidatore della società non dispone della legittimazione ad impugnare l’atto impositivo, venendo in rilievo un vizio insanabile originario del processo che richiede, sin dal primo grado del giudizio, una pronuncia declinatoria di rito”.

Il secondo motivo di ricorso rimane assorbito, perché non è consentito a questa Corte esaminarlo, in quanto il ricorso, fin dall’origine, non avrebbe potuto essere proposto.

Le spese di lite seguono l’ordinario criterio della soccombenza e sono liquidate come in dispositivo, in considerazione del valore della causa e della natura e complessità delle questioni esaminate. Risulta dovuto anche il pagamento del c.d. doppio contributo.

La Corte,

P.Q.M.

rigetta il ricorso proposto da M. G., che condanna al pagamento delle spese di lite in favore dell’Agenzia delle Entrate, e le liquida in complessivi Euro 5.600,00, oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del citato art. 13, comma 1 bis, se dovuto. Così deciso in Roma, il 25 marzo 2021.

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