CASSAZIONE

Società cancellata, differimento di 5 anni a fini tributari e contributivi

Tributi- IRES IVA IRAP – Società cancellata dal registro delle imprese – Richiesta di cancellazione presentata nella vigenza del D.lgs. n. 175/2014 – Applicabilità

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 3750 del 14 febbraio 2020, intervenendo in tema di responsabilità dei soci accomandatari di una società in accomandita, estinta per le obbligazioni contratte dalla società, ha rilevato l’inammissibilità dell’originario ricorso proposto dal liquidatore, in difetto non solo della capacità processuale della società dopo la cancellazione dal registro, ma anche della legittimità a rappresentarla da parte dello stesso ex liquidatore. Il differimento di cinque anni degli effetti dell’estinzione della società cancellata, sentenziano gli Ermellini, non è retroattivo e si applica solo ai casi in cui la richiesta di cancellazione venga presentata nella vigenza del D.lgs. 175/2014. In altre parole, la Suprema Corte ha statuito che l’effetto estintivo della società di persone o di capitali, qualora derivi da una cancellazione dal registro delle imprese disposta su richiesta, è differito di cinque anni decorrenti dalla richiesta di cancellazione, limitatamente al settore tributario e contributivo. Questo ai sensi del citato articolo 28, comma 4, del D.lgs. 175/2014, recante disposizioni di natura sostanziale sulla capacità della società cancellata dal registro delle imprese. Poiché questa ultima disposizione, però, non ha efficacia retroattiva, il differimento quinquennale degli effetti dell’estinzione della società derivanti dall’articolo 2495 c.c., comma 2, si applica solo ai casi in cui la richiesta di cancellazione sia stata presentata quando tale decreto era vigente. L’accertamento del difetto di legittimazione ad causam, sin prima dell’instaurazione del giudizio, eliminava in radice ogni possibilità di prosecuzione dell’azione comportando, altresì, l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata. Si sviluppava un vizio insanabile originario del processo che avrebbe dovuto condurre a una pronuncia declinatoria del merito. Da qui l’affermazione della nullità dell’intero giudizio. 

In via generale c’è da notare che ultimamente la Corte di Cassazione ha accolto numerose ordinanze (ad es. Cass. civ., sez. VI – 5 Ord., 09/10/2017, n. 23625; Cass. civ. Sez. VI – 5, Ord., 02/10/2017, n. 23029. Cass. civ., sez. VI – 5, Ord.,04/09/2017, n. 20752; Cass. civ., sez. VI – 5 Ord., 23/05/2017, n. 12953) che hanno affrontato due questioni della materia fiscale legate alla cancellazione di una società dal registro delle imprese, la cui corretta soluzione rileva al fine di poter individuare, da un lato, chi possa essere chiamato a rispondere di eventuali debiti tributari della società che residuano dopo la cancellazione e, dall’altro, chi possa agire in giudizio per contestare gli atti dell’Amministrazione finanziaria rivolti a società già estinte.

A monte della riforma del legislatore e del mutamento d’indirizzo giurisprudenziale si pone la sentenza della Corte Costituzionale n. 319/2000, in cui si evidenzia come la lettura delle norme allora vigenti sugli effetti della pubblicità della cancellazione delle società comportasse una chiara disparità di trattamento tra imprese individuali e imprese collettive, e ciò con particolare riferimento al principio di cui all’articolo 10 della legge fallimentare per cui gli imprenditori individuali e collettivi possono essere dichiarati falliti entro un anno dalla cancellazione dal registro delle imprese, se l’insolvenza si è manifestata anteriormente alla medesima o entro l’anno successivo.

La dichiarazione di fallimento è consentita, invero, entro un anno dalla cancellazione, ma per le imprese collettive, a differenza di quelle individuali, rimaneva incerto il momento della loro fine o estinzione da cui far decorrere il termine di un anno poiché si faceva riferimento, alla luce dell’interpretazione prima vigente, all’incerto momento in cui tutti i rapporti giuridici pendenti fossero estinti.

Una volta chiarito che il comma 4 dell’art. 28 del d.lgs. n. 175/2014 non ha alcuna valenza interpretativa – “dato il suo tenore testuale, che non solo non assegna espressamente alla disposizione alcuna natura interpretativa, ai sensi del comma 2 dell’art. 1 dello statuto dei diritti del contribuente, ma neppure in via implicita intende privilegiare una tra le diverse possibili interpretazioni delle precedenti disposizioni in tema di estinzione della società” – la Suprema Corte, rivolgendosi chiaramente alla interpretazione fornita dall’Agenzia delle entrate con la  circolare n. 31/E/2014, ha affermato che “il testo della disposizione non consente di individuare alcun indice di retroattività per la sua efficacia e, pertanto, rispetta il comma 1 dell’art. 3 dello statuto dei diritti del contribuente(e) non autorizza ad attribuire effetti di sanatoria in relazione ad atti notificati a società già estinte per le quali la richiesta di cancellazione e l’estinzione siano intervenute anteriormente al 13 dicembre 2014”.

Ricordiamo, infine, che contrariamente a quanto sostenuto dall’Amministrazione finanziaria, si opera su un piano sostanziale e non procedurale, in quanto non si risolve in una diversa regolamentazione dei termini processuali o dei tempi e delle procedure di accertamento o di riscossione: il caso in esame, cioè, è del tutto diverso da quello di interventi normativi che, ad esempio, incidano sulla disciplina dei termini del processo tributario o prolunghino i termini di accertamento o introducano nuovi parametri di settore e che, per loro natura, possono applicarsi a fattispecie processuali o sostanziali precedenti.

Appare del tutto irrilevante, poi, che il periodo sia stato individuato dal legislatore nella misura di cinque anni facendo riferimento (come si legge nella relazione illustrativa) al termine quinquennale di accertamento previsto dagli arti. 43, comma 2, del DPR 600/1973 e 57, comma 2, del DPR 633/1972: è del tutto evidente, infatti, che la fattispecie oggetto del comma 4 dell’art. 28 del D.lgs. 175/2014 attiene alla capacità della società e non ai termini fissati per l’accertamento (che restano regolati da altra normativa, non toccata dal comma 4) .

Per completezza non è possibile non citare, per gli intervenuti rilievi interpretativi sull’argomento,  l’importante pronuncia della Suprema Corte, n. 6743 del 2 aprile 2015, che dopo aver ripercorso l’evoluzione giurisprudenziale sulla cancellazione della società dal registro delle imprese e dopo aver richiamato i suoi precedenti specifici, e cioè le sentenze nn. 4060, 4061 e 4062 del 2010, ha affermato che per effetto della riforma societaria del 2003 la cancellazione dal registro delle imprese delle società di persone, ne comporta l’estinzione (efficacia dichiarativa) con la conseguente incapacità di agire in giudizio.

La Suprema Corte ha infatti affermato che per gli effetti della citata giurisprudenza, alla cancellazione della società consegue un fenomeno di tipo successorio, in virtù del quale  l’obbligazione della società non si estingue ma si trasferisce ai soci, i quali ne rispondono, nei limiti di quanto riscosso a seguito della liquidazione o illimitatamente, a seconda che, pendente societate, fossero limitatamente o illimitatamente responsabili per i debiti sociali. Inoltre, proseguono gli Ermellini, i diritti e i beni non compresi nel bilancio di liquidazione della società estinta si trasferiscono ai soci, in regime di contitolarità o comunione indivisa, con esclusione delle mere pretese, ancorché azionate o azionabili in giudizio, e dei crediti ancora incerti o illiquidi, la cui inclusione in detto bilancio avrebbe richiesto un’attività ulteriore (giudiziale o extragiudiziale), il cui mancato espletamento da parte del liquidatore consente di ritenere che la società vi abbia rinunciato, a favore di una più rapida conclusione del procedimento estintivo (Cassazione, Sezioni Unite, n. 6070, n. 6071 e n. 6072 del 2013; ex pluribus, Cassazione n. 1677, n. 9110 e n. 12796 del 2012; n. 24955 del 2013). Tanto premesso, e tornando al caso di specie, gli Ermellini sono stati chiamati a intervenire su una vicenda in cui l’ex legale rappresentante della Srl estinta aveva proposto ricorso per cassazione contro la decisione di merito, che confermava l’avviso di accertamento per IRES, IVA e IRAP, affermando che la società chiamata in giudizio era stata cancellata dal registro delle imprese sin dal febbraio 2014, con richiesta di cancellazione avanzata prima dell’entrata in vigore della citata normativa. La tesi è stata però ricusata dai Giudici di Piazza Cavour, in quanto: “… occorre perciò concludere che il D.Lgs. n. 175 del 2014, art. 28, comma 4, recante disposizioni di natura sostanziale sulla capacità della società cancellata dal registro delle imprese, non ha efficacia retroattiva e, pertanto, il differimento quinquennale (operante nei soli confronti dell’amministrazione finanziaria e degli altri enti creditori o di riscossione, indicati nello stesso comma, con riguardo a tributi o contributi) degli effetti dell’estinzione della società derivanti dall’art. 2495 c.c., comma 2, si applica esclusivamente ai casi in cui la richiesta di cancellazione della società dal registro delle imprese (richiesta che costituisce il presupposto di tale differimento) sia presentata nella vigenza di detto decreto legislativo (cioè il 13 dicembre 2014 o successivamente); 1.9. per quanto sopra osservato, il menzionato ius superveniens non sì applica alla fattispecie di causa, perché – come visto – è pacifico che la s.r.l. era stata cancellata dal registro delle imprese, a sua richiesta, sin dal 27.2.2014, con richiesta di cancellazione avanzata, dunque, prima del 13.12.2014; 1.10. posta tale premessa, circa l’inapplicabilità, ratione temporis, del comma 4 del D.Lgs. n. 175 del 2014, art. 28, alla fattispecie di causa, va altresì evidenziato che per procedere nei confronti dei soci di una società estinta è del tutto insufficiente la mera notifica ad essi dell’avviso di accertamento emesso nei confronti della società medio tempore estintasi, tale circostanza ponendosi solo come < presupposto della proponibilità dell’azione nei confronti dei soci (Cass. S.U. n, 6070 e 6071 del 2013), da esercitarsi con un autonomo e diverso atto impositivo che dia atto della sussistenza dei presupposti legittimanti la responsabilità del socio ex art. 36 d.P.R. n. 600 del 1973 (arg. da Cass. n. 23916 del 2016, secondo cui «in tema di contenzioso tributario, nell’ipotesi di cancellazione della società di capitali dal registro delle imprese, l’Amministrazione finanziaria può agire in via sussidiaria nei confronti dei soci, nei limiti di cui all’art. 2495 c.c., sino alla concorrenza delle somme da questi riscosse in base al bilancio finale di liquidazione, ma è tenuta a dimostrare i presupposti della loro responsabilità e, cioè che, in concreto, vi sia stata distribuzione dell’attivo e che una quota di quest’ultimo sia stata riscossa, non potendo allegare per la prima volta in appello la circostanza, non dedotta in sede di accertamento, della distribuzione occulta dì utili extracontabili>>); 1.11. ciò posto, deve, pertanto, comunque rilevarsi l’inammissibilità dell’originario ricorso, proposto dal liquidatore, stante il difetto sia della capacità processuale della società dopo la cancellazione dal Registro delle Imprese, sia della legittimazione a rappresentarla dell’ex liquidatore (cfr. Cass. nn. 33278/2018, 11100/2017), sia del socio, privo di legittimazione, nei confronti di atto impositivo diretto alla società non più esistente (cfr. Cass.n. 7236/2018 in motiv.); 1.12. l’accertamento dei difetto di legítimatio ad causam sin da prima che venisse instaurato il primo grado di giudizio, secondo giurisprudenza costante, elimina in radice ogni possibilità di prosecuzione dell’azione, e comporta, a norma dell’art. 382, terzo comma, c.p.c. l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata per cassazione (cfr. Cass. nn. 4853/2015, 21188/2014, 22863/2011, 4266/2006, 2517/2000); 1.13. ricorre invero un vizio insanabile originario del processo, che da subito avrebbe dovuto condurre a una pronuncia declinatoria del merito (cfr. Cass. n. 5736 del 2016), nel caso in esame non trovando applicazione, come dianzi illustrato, l’art. 28, somma 4, d.lgs. n. 175/2014, trattandosi di norma non retroattiva (cfr. Cass. n. 6743/2015 cit. ); 2. pertanto, stante la nullità dell’intero giudizio, poiché la causa non poteva essere proposta su iniziativa dei liquidatore e socio della società estinta, la sentenza impugnata va cassata senza rinvio e le spese di tutti i gradi di giudizio vanno integralmente compensare tra le parti, ricorrendo giusti motivi, in relazione alle motivazioni poste a sostegno della decisione”.  

Corte di Cassazione – Ordinanza 14 febbraio 2020, n. 3750

Sul ricorso 28731-2018 proposto da:

S. G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE MAZZINI 13, presso lo studio dell’avvocato MARIA CRISTINA CALAMANI, che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati ELENIO BIDOGGIA, GIOVANNA MARIA CARLA ODDO;

– ricorrente –

contro AGENZIA DELLE ENTRATE;

– intimata –

avverso la sentenza n. 987/8/2018 della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE della LOMBARDIA, depositata il 08/03/2018; R.G. 28731/2018

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 12/12/2019 dal Consigliere Relatore Dott.ssa ANTONELLA DELL’ORFANO

RILEVATO CHE

G. S., «in proprio e „. quale ex legale rappresentante di S. S.R.L.», estinta per cancellazione dal Registro delle Imprese in data 27.2.2014, propone ricorso per cassazione, affidato a due motivi, nei confronti della sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Lombardia, indicata in epigrafe, che aveva accolto l’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate contro la decisione della Commissione Tributaria Provinciale di Milano n. 3239/2017, in accoglimento del ricorso proposto avverso avviso di accertamento IRES IVA IRAP 2011 emesso nei confronti della società; l’Agenzia delle Entrate è rimasta intimata; il ricorrente ha depositato memoria difensiva

CONSIDERATO CHE

1.1. il ricorrente lamenta con il primo motivo di ricorso, ai sensi dell’ad. 360, nn. 3, c.p.c., violazione di norme di diritto (artt. 2495 c.c., 28, 4 c., D.Lgs. n. 175/2014) per avere la CTR affermato la validità dell’avviso di accertamento, emesso nei confronti di società già cancellata dal Registro delle Imprese e notificato alla stessa ed ai soci, sul presupposto della retroattività dell’art. 28 cit.;

1.2. con il secondo motivo di ricorso, ai sensi dell’ad, 360, nn. 3, e.p.c., parimenti si lamenta violazione di norme di diritto (artt. 2312 e 2495 c.c., 36 DPR n. 600/1973) per avere la CTR ritenuto che l’accertamento emesso nei confronti della società potesse essere notificato anche «al socio/amministratore/liquidatore S. G. ed al socio S. I. quali soci “successori” anche nelle correlative obbligazioni societarie»,

1.3. le censure vanno esaminate congiuntamente, in quanto strettamente connesse, sulla scorta dei principi già espressi da questa Corte (cfr. Cass. n. 6743/2015, conf. Cass. n. 15648/2015), secondo cui lo ius superveniens costituito dal D.Lgs. n. 175 del 2014 art. 28, comma 4, entrato in vigore il R.G. 28731/2018 13 dicembre 2014 ed emesso in attuazione della Legge di delegazione n. 23 del 2014, artt. 1 e 7, non si applica alla fattispecie di causa;

1.4. in base al menzionato art. 28, comma 4, l’effetto estintivo della società (di persone o di capitali), qualora derivi da una cancellazione dal registro delle imprese disposta su richiesta, come nel presente caso, sia differito per cinque anni, decorrenti dalla richiesta di cancellazione, con differimento limitato al settore tributario e contributivo («ai soli fini»), nel senso che l’estinzione intervenuta durante tale periodo non fa venir meno la «validità e l’«efficacia» sia degli atti di liquidazione, di accertamento, di riscossione relativi a tributi e contributi, sanzioni e interessi, sia degli atti processuali afferenti a giudizi concernenti detti tributi e contributi, sanzioni e interessi, dovendo evidenziarsi che il differimento degli effetti dell’estinzione non opera necessariamente per un quinquennio, ma per l’eventuale minor periodo che risulta al netto dello scarto temporale tra la richiesta di cancellazione e l’estinzione;

1.5. con riguardo all’ambito temporale di efficacia della norma, giova osservare che questa intende limitare (per il periodo da essa previsto) gli effetti dell’estinzione societaria previsti dal codice civile, mantenendo parzialmente per la società una capacità e soggettività (anche processuali) altrimenti inesistenti, al «solo» fine di garantire (per il medesimo periodo) l’efficacia dell’attività (sostanziale e processuale) degli enti legittimati a richiedere tributi o contributi, con sanzioni ed interessi;

1.6. la norma, pertanto (contrariamente a quanto talora sostenuto dall’amministrazione finanziaria nelle sue circolari), opera su un piano sostanziale e non «procedurale», in quanto non si risolve in una diversa regolamentazione dei termini processuali o dei tempi e delle procedure di accertamento o di riscossione;

1.7. il testo della disposizione, che non consente di individuare alcun indice di retroattività per sua efficacia e, pertanto, rispetta il comma 1 dell’art. 3 dello statuto dei diritti del contribuente, non autorizza, quindi, ad attribuire effetti di sanatoria in relazione ad atti notificati a società già estinte per le quali la richiesta di cancellazione e l’estinzione siano intervenute anteriormente al 13 dicembre 2014, come nel presente caso; R.G. 28731/2018

1.8. occorre perciò concludere che il D.Lgs. n. 175 del 2014, art. 28, comma 4, recante disposizioni di natura sostanziale sulla capacità della società cancellata dal registro delle imprese, non ha efficacia retroattiva e, pertanto, il differimento quinquennale (operante nei soli confronti dell’amministrazione finanziaria e degli altri enti creditori o di riscossione, indicati nello stesso comma, con riguardo a tributi o contributi) degli effetti dell’estinzione della società derivanti dall’art. 2495 c.c., comma 2, si applica esclusivamente ai casi in cui la richiesta di cancellazione della società dal registro delle imprese (richiesta che costituisce il presupposto di tale differimento) sia presentata nella vigenza di detto decreto legislativo (cioè il 13 dicembre 2014 o successivamente);

1.9. per quanto sopra osservato, il menzionato ius superveniens non sì applica alla fattispecie di causa, perché – come visto – è pacifico che la s.r.l. era stata cancellata dal registro delle imprese, a sua richiesta, sin dal 27.2.2014, con richiesta di cancellazione avanzata, dunque, prima del 13.12.2014;

1.10. posta tale premessa, circa l’inapplicabilità, ratione temporis, del comma 4 del D.Lgs. n. 175 del 2014, art. 28, alla fattispecie di causa, va altresì evidenziato che per procedere nei confronti dei soci di una società estinta è del tutto insufficiente la mera notifica ad essi dell’avviso di accertamento emesso nei confronti della società medio tempore estintasi, tale circostanza ponendosi solo come < presupposto della proponibilità dell’azione nei confronti dei soci (Cass. S.U. n, 6070 e 6071 del 2013), da esercitarsi con un autonomo e diverso atto impositivo che dia atto della sussistenza dei presupposti legittimanti la responsabilità del socio ex art. 36 d.P.R. n. 600 del 1973 (arg. da Cass. n. 23916 del 2016, secondo cui «in tema di contenzioso tributario, nell’ipotesi di cancellazione della società di capitali dal registro delle imprese, l’Amministrazione finanziaria può agire in via sussidiaria nei confronti dei soci, nei limiti di cui all’art. 2495 c.c., sino alla concorrenza delle somme da questi riscosse in base al bilancio finale di liquidazione, ma è tenuta a dimostrare i presupposti della loro responsabilità e, cioè che, in concreto, vi sia stata distribuzione dell’attivo e che una quota di quest’ultimo sia stata riscossa, non potendo allegare per la prima volta in appello la circostanza, non dedotta in sede di accertamento, della distribuzione occulta dì utili extracontabili>>);  

1.11. ciò posto, deve, pertanto, comunque rilevarsi l’inammissibilità dell’originario ricorso, proposto dal liquidatore, stante il difetto sia della capacità processuale della società dopo la cancellazione dal Registro delle Imprese, sia della legittimazione a rappresentarla dell’ex liquidatore (cfr. Cass. nn. 33278/2018, 11100/2017), sia del socio, privo di legittimazione, nei confronti di atto impositivo diretto alla società non più esistente (cfr. Cass.n. 7236/2018 in motiv.);

1.12. l’accertamento dei difetto di legítimatio ad causam sin da prima che venisse instaurato il primo grado di giudizio, secondo giurisprudenza costante, elimina in radice ogni possibilità di prosecuzione dell’azione, e comporta, a norma dell’art. 382, terzo comma, c.p.c. l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata per cassazione (cfr. Cass. nn. 4853/2015, 21188/2014, 22863/2011, 4266/2006, 2517/2000);

1.13. ricorre invero un vizio insanabile originario del processo, che da subito avrebbe dovuto condurre a una pronuncia declinatoria del merito (cfr. Cass. n. 5736 del 2016), nel caso in esame non trovando applicazione, come dianzi illustrato, l’art. 28, somma 4, d.lgs. n. 175/2014, trattandosi di norma non retroattiva (cfr. Cass. n. 6743/2015 cit. );

2. pertanto, stante la nullità dell’intero giudizio, poiché la causa non poteva essere proposta su iniziativa dei liquidatore e socio della società estinta, la sentenza impugnata va cassata senza rinvio e le spese di tutti i gradi di giudizio vanno integralmente compensare tra le parti, ricorrendo giusti motivi, in relazione alle motivazioni poste a sostegno della decisione.

P.Q.M.

La Corte cassa la sentenza impugnata, senza rinvio, dichiarando improponibile il ricorso originario e compensa le spese processuali.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio Sesta Sezione, a seguito di riconvocazione, in data 15.1.2020.

Desidero ricevere in abbonamento gratuito il vostro periodico FiscotoDay