CASSAZIONE

Slot machine irregolare: concessionario e gestore tenuti al versamento del Prelievo erariale unico

Tributi – Importi relativi alle giocate effettuate ma non comunicate per via telematica – Rettifica reddito d’impresa – Avviso di accertamento –  Responsabilità del concessionario

–  Occultamento delle giocate – Fondatezza della pretesa erariale – Decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 640

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 3570 del 13 febbraio 2020 è intervenuta in materia di illeciti per le slot machine al fine di evidenziare la responsabilità del concessionario per la trasmissione di dati di gioco difformi da quelli realizzati, in quanto è il diretto referente dell’amministrazione e ha il controllo giuridico degli apparecchi. La S.C. ricorda inoltre la piena responsabilità dello stesso concessionario per il prelievo erariale non versato, oltre a quello relativo a sanzioni, interessi e spese di notifica relativamente all’uso illecito di apparecchi da intrattenimento rientranti nella tipologia di cui all’art. 110, comma 6, del R.D. 18 giugno 1931, n. 773.

Gli Ermellini, in buona sostanza, hanno ritenuto di dover applicare all’obbligazione tributaria le regole civilistiche in tema di solidarietà, con la conseguenza che il riferimento alla pluralità dei rapporti obbligatori consente pacificamente che ciascuno di essi abbia vicende diverse da quelle degli altri. I principi di fondo della disciplina civilistica trovano, dunque, applicazione anche nel diritto tributario, nel senso che l’atto impositivo produce così effetti soltanto nei confronti dei soggetti cui è stato notificato, essendo irrilevante la mancata notifica agli altri corresponsabili. Come peraltro dispone l’art. 39, comma 13, D.l. n. 269 del 2003, nel testo applicabile ratione temporis, “agli apparecchi e congegni di cui all’art. 110, comma 6, … collegati in rete, si applica un prelievo erariale unico fissato nella misura del 13,5 per cento delle somme giocate …”, sicché l’imposta, il PREU, investe la totalità dei giochi effettuati e delle relative somme.

Comunque, per fare chiarezza sul tema è bene osservare che nel caso di apparecchi che elargiscono premi in denaro vi è un concessionario al quale viene rilasciato il nulla osta per gli apparecchi da gioco da parte dell’Amministrazione Autonoma dei Monopoli di Stato. Il concessionario dà mandato al gestore, che in genere è il proprietario degli apparecchi, di trovare dei titolari di locali idonei che intendano ospitare le slot machine e di stipulare con essi dei contratti di collaborazione. Infine vi è l’esercente, il titolare del locale che installa le slot machine nel proprio esercizio al fine di guadagnare un compenso. Infine, c’è da notare che il compenso stabilito, generalmente, è definito da una percentuale del residuo della raccolta. Con questa espressione si intende la somma che rimane dopo aver sottratto, dalle somme giocate, le vincite erogate, le somme dovute all’erario e i canoni dovuti ai concessionari. Pertanto, in ogni caso di utilizzo illecito delle apparecchiature, ossia con interventi tali da determinare la trasmissione telematica di dati di gioco difformi da quelli effettivamente realizzati, ma anche con la loro messa in opera senza il nulla osta, si verifica che il prelievo viene corrisposto solo per una parte delle giocate, mentre per le altre viene evaso.

E’ chiaro, infatti, che ove difetti la trasmissione dei dati per qualsiasi motivo, al creditore del tributo è manifestata una base imponibile inferiore a quella reale e conseguentemente versato un tributo la cui misura è determinata in modo infedele, in tal modo sottraendolo in parte a imposizione. Ne deriva, quindi, che l’imposta è unica, integrando il cd. maggior PREU solo l’importo, pur sempre dovuto, anche se non dichiarato e quindi evaso. La disposizione specificamente individua il soggetto passivo d’imposta nel “soggetto al quale l’Amministrazione Autonoma dei Monopoli di Stato ha rilasciato il nulla osta”, ossia nel concessionario di rete; questi, in relazione al ruolo ricoperto, è colpito dall’obbligo di versare il PREU complessivo maturato.

Ricordiamo in proposito che la stessa Corte, con l’ordinanza 28 maggio 2019, n. 14535, stabilisce che nel caso di apparecchi e congegni di cui all’art. 110, comma 6, TULPS, privi del nulla osta, per le somme dovute a titolo di PREU il possessore dei locali in cui sono installati risponde in solido con il soggetto che ha provveduto alla loro installazione, per le giocate effettuate a decorrere dal 1° gennaio 2007,data di entrata in vigore dell’art. 39-quater, comma 2, D.l. 269/2003, convertito con modificazioni dalla legge 326/2003, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 84, della legge n. 296/2006.

Tornando al caso esaminato, la vicenda trae origine da un accertamento dell’Azienda Autonoma dei Monopoli di Stato nei confronti nei confronti di una società contribuente in cui si rilevava che gli apparecchi di gioco collocati presso un esercizio commerciale non erano conformi alle prescrizioni di legge in quanto erano scollegati alla rete. Dopo l’iter espletato dinanzi alla giustizia tributaria si perviene in Cassazione, ove la contribuente affidandosi a un unico motivo lamentava violazione e falsa interpretazione dell’art. 39-quater, comma 2, D.l. 269/2003, quale introdotto dalla legge 296/2006 in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, del cpc.

La tesi difensiva è stata rigettata dalla Suprema Corte, che ha ritenuto che nella vicenda in capo al concessionario di rete, la disciplina ratione temporis applicabile configura due ragioni in forza delle quali il tributo è dovuto. La prima, in via principale, alla condizione della mancata identificazione dell’autore dell’illecito; la seconda, in via di solidarietà, incondizionatamente. Conseguentemente, gli Ermellini hanno perciò statuito che: “… Contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente va anche sottolineato che trova applicazione la disciplina vigente alla data dell’illecito secondo la contestazione in armonia al principio del tempus regit actum non potendosi alle successive disposizioni richiamate riconoscersi natura interpretativa o, comunque, di esplicitazione di precetti normativi già in vigore, stante l’assenza di elementi letterali che depongano in tal senso. Né è pertinente il richiamo al principio della retroattività della legge più favorevole per il contribuente, previsto dall’art. 3, d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, solo con riguardo alle sanzioni amministrative pecuniarie. Comunque la nuova disciplina invocata dal ricorrente non avrebbe modificato l’esito della lite. In base al presupposto di imposta del tributo, rappresentato dalla gestione e l’esercizio del gioco tramite apparecchi e congegni che erogano vincite in denaro, il legislatore ha inteso assicurare il gettito derivante dalle giocate (peraltro inserito nel bilancio dello Stato e quindi diretto a soddisfare preminenti interessi pubblici) considerando responsabili del tributo oltre al concessionario anche ulteriori soggetti in relazione ai quali è possibile configurare una posizione di garanzia e controllo in ordine al corretto utilizzo degli apparecchi (per esempio gli impresari in cui sono collocati gli apparecchi ) e, conseguentemente, alla corretta trasmissione dei dati relativi alle giocate. Né incide sulla regolarità della pretesa fiscale la circostanza che l’accertamento non sarebbe stato notificato agli altri corresponsabili in solido.  La giurisprudenza di questa Corte, (a partire dalla pronuncia delle SS.UU. 2580/1973) è orientata nel ritenere applicabili, all’obbligazione tributaria le regole civilistiche in tema di solidarietà, con la conseguenza che il riferimento alla pluralità dei rapporti obbligatori consente pacificamente che ciascuno di essi abbia vicende diverse da quelle degli altri. I principi di fondo della disciplina civilistica trovano, dunque, applicazione anche nel diritto tributario nel senso che l’atto impositivo produce così effetti soltanto nei confronti dei soggetti cui è stato notificato, essendo irrilevante la mancata notifica agli altri corresponsabili”.

Corte di Cassazione – Sentenza 13 febbraio 2020, n. 3570

Sul ricorso 6519-2016 proposto da:

G. S.77 L., elettivamente domiciliato in ROMA VIA GIAMBATTISTA VICO 22, presso lo studio dell’avvocato MICHELE PROCIDA, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato SALVATORE MILETO;

– ricorrente –

contro AGENZIA DELLE DOGANE E DEI MONOPOLI in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 4457/2015 della COMM.TRIB.REG. DEL LAZIO, depositata il 29/07/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 28/03/2019 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE D’AURIA.

Rilevato che

A seguito di indagine da parte della Guardia di Finanza era emesso l’avviso di accertamento nr. 85 \2010 da parte della Azienda Autonoma dei Monopoli di Stato (di seguito AAMS ) per l’anno 2005 nei confronti della B. G. L. (ora G. S. L. ), quale responsabile per Preu non versato, per l’importo di €.1353,80 oltre sanzioni ed interessi e spese di notifica relativamente all’uso illecito di apparecchi da intrattenimento rientranti nella tipologia di cui all’art. 110 co. 6 LUTPS .

La pretesa fiscale sottesa all’accertamento, traeva origine dal verbale di sequestro redatto dalla Guardia di Finanza che aveva accertato che gli apparecchi di gioco collocati presso l’esercizio commerciale Caffè Chalet di Z. Y. ec. sas, riconducibili alla tipologia di cui al comma 6 lett. a) dell’art. 110 TULPS non erano conformi alle prescrizioni di legge in quanto erano scollegati alla rete.

Avverso il predetto provvedimento proponeva ricorso presso la commissione tributaria provinciale la società ingiunta, la quale, in particolare, assumeva la non imputabilità del debito tributario al concessionario, dovendosi ritenere invece, ai sensi dell’art. 39 quater comma 2 del D.L n. 269 \2003 il gestore l’unico responsabile delle asserite somme non incassate a titolo di maggiore PREU.

La AAMS resisteva all’opposizione .

Con sentenza n. 11970\31\2014 la Commissione Tributaria Provinciale di Roma accoglieva il ricorso.

Tale decisione era impugnata dalla Agenzia delle Dogane e Monopoli assumendo che nel 2005 secondo la disciplina dell’art. 39 comma 13 dl n. 269\2003 il concessionario di rete era il solo responsabile del pagamento del PREU .

La Commissione regionale del Lazio con sentenza n.4457\1\2015 accoglieva l’appello proposto dalla Agenzia delle Dogane.

Propone ricorso in Cassazione la G. S. L. , affidandosi ad un unico complesso motivo e cioè : violazione e falsa interpretazione dell’art. 39 quater comma 2 D.L. n. 269 del 30 9 2003 quale introdotto dalla legge 296 \ 2006 in relazione all’art. 360 comma 1 n.3 del cpc.

Resiste con controricorso, tramite l’Avvocatura dello Stato, l’Agenzia delle Dogane e Dei Monopoli (successore ex lege della AAMS ), concludendo per la dichiarazione di inammissibilità e\ o infondatezza del ricorso.

Considerato che

Con l’unico motivo dedotto, il ricorrente denuncia violazione e falsa interpretazione dell’art. 39 quater comma 2 D.L. n. 269 del 30. 09. 2003 quale introdotto dalla legge 296\2006 in relazione all’art. 360 comma 1 n.3 del cpc.

Dalla sentenza di appello si evince che pacificamente la vicenda ha per oggetto non già il pagamento da parte della concessionaria, odierna ricorrente, del «semplice» prelievo unico erariale sulle somme relative alle giocate effettuate e registrate dalla rete telematica, bensì il pagamento, da parte della medesima concessionaria, del «maggior» prelievo unico erariale sugli importi relativi alle giocate effettuate ma non comunicate per via telematica.

Il giudice di appello perviene alla conclusione della fondatezza della pretesa erariale in quanto sussisterebbe la responsabilità del concessionario non solo per il «semplice» prelievo unico erariale (relativo alle giocate regolarmente registrate ), ma anche nel caso di recupero del «maggior» prelievo unico erariale a seguito di occultamento delle giocate.

Il collegio intende aderire a tale tesi, volendo peraltro dare continuità al principio già espresso con l’ordinanza del 21-2-2019 n. 5093, secondo cui il legislatore aveva attribuito al concessionario di rete la responsabilità esclusiva per il pagamento del preu .

Come dispone l’art. 39, comma 13, d.l. n. 269 del 2003, nel testo applicabile ratione temporis, “agli apparecchi e congegni di cui all’art. 110, comma 6, … collegati in rete, si applica un prelievo erariale unico fissato nella misura del 13,5 per cento delle somme giocate …”, sicché l’imposta, il PREU, investe la totalità dei giochi effettuati e delle relative somme.

Pertanto, in ogni caso di utilizzo illecito delle apparecchiature, ossia con interventi tali da determinare la trasmissione telematica di dati di gioco difformi da quelli effettivamente realizzati, ma anche con la loro messa in opera senza il nulla osta, si verifica che il prelievo viene corrisposto solo per una parte delle giocate, mentre per le altre viene evaso. E’ chiaro infatti che ove difetti la trasmissione dei dati, per qualsiasi motiv, al creditore del tributo è manifestata una base imponibile inferiore a quella reale e conseguentemente versato un tributo la cui misura è determinata in modo infedele , in tal modo sottraendolo in parte ad imposizione. Ne deriva, quindi, che l’imposta è unica, integrando il cd. maggior PREU solo l’importo pur sempre dovuto, anche se non dichiarato e quindi evaso.

La disposizione specificamente individua il soggetto passivo d’imposta nel “soggetto al quale l’Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato ha rilasciato il nulla osta”, ossia nel concessionario di rete; questi, in relazione al ruolo ricoperto, è colpito dall’obbligo di versare il PREU complessivo maturato.

Nella vicenda in capo al concessionario di rete, dunque, la disciplina ratione temporis applicabile configura due ragioni in forza delle quali il tributo è dovuto: la prima, in via principale, alla condizione della mancata identificazione dell’autore dell’illecito; la seconda, in via di solidarietà, incondizionatamente.

Contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente va anche sottolineato che trova applicazione la disciplina vigente alla data dell’illecito secondo la contestazione in armonia al principio del tempus regit actum non potendosi alle successive disposizioni richiamate riconoscersi natura interpretativa o, comunque, di esplicitazione di precetti normativi già in vigore, stante l’assenza di elementi letterali che depongano in tal senso.

Né è pertinente il richiamo al principio della retroattività della legge più favorevole per il contribuente, previsto dall’art. 3, d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, solo con riguardo alle sanzioni amministrative pecuniarie. Comunque la nuova disciplina invocata dal ricorrente non avrebbe modificato l’esito della lite.

In base al presupposto di imposta del tributo, rappresentato dalla gestione e l’esercizio del gioco tramite apparecchi e congegni che erogano vincite in denaro, il legislatore ha inteso assicurare il gettito derivante dalle giocate (peraltro inserito nel bilancio dello Stato e quindi diretto a soddisfare preminenti interessi pubblici) considerando responsabili del tributo oltre al concessionario anche ulteriori soggetti in relazione ai quali è possibile configurare una posizione di garanzia e controllo in ordine al corretto utilizzo degli apparecchi (per esempio gli impresari in cui sono collocati gli apparecchi ) e, conseguentemente, alla corretta trasmissione dei dati relativi alle giocate.

Né incide sulla regolarità della pretesa fiscale la circostanza che l’accertamento non sarebbe stato notificato agli altri corresponsabili in solido.

La giurisprudenza di questa Corte, (a partire dalla pronuncia delle SS.UU. 2580/1973) è orientata nel ritenere applicabili, all’obbligazione tributaria le regole civilistiche in tema di solidarietà, con la conseguenza che il riferimento alla pluralità dei rapporti obbligatori consente pacificamente che ciascuno di essi abbia vicende diverse da quelle degli altri.

I principi di fondo della disciplina civilistica trovano, dunque, applicazione anche nel diritto tributario nel senso che l’atto impositivo produce così effetti soltanto nei confronti dei soggetti cui è stato notificato, essendo irrilevante la mancata notifica agli altri corresponsabili.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali liquidate in euro 1000,00 oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi dell’art. 13 comma i quater del dpr 115\2002 dà atto della sussistenza dei presupposti previsionali per il versamento da parte del ricorrente principale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale a norma del comma 1bis dello stesso art.13 se dovuto.

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