CASSAZIONE

Si sana con la rinnovazione immediata la notifica PEC non andata a buon fine

La Corte di Cassazione, con l’Ordinanza n. 20381 del 6 luglio 2017, depositata il 24 agosto 2017, in merito alla notificazione di atti processuali in forma elettronica che riguardavano una controversia per un avviso di accertamento che l’Agenzia delle Entrate aveva emesso nei confronti di una società, ha dichiarato che la notifica dell’impugnazione via PEC non andata a buon fine per ragioni non imputabili al notificante, è sanata se c’è una rinnovazione immediata.

I supremi Giudici hanno così ritenuto che è valida la notifica via PEC degli atti processuali anche se il primo tentativo non è andato a buon fine, ma ne sia poi seguito un secondo, senza attendere il provvedimento giudiziale di rinnovazione, inviato a distanza di pochi giorni dal primo, entro il tempo pari alla metà dei termini di cui all’art. 325 del codice di procedura civile.

Nel caso in esame l’Agenzia delle Entrate ha avuto ragione anche nel merito, visto che l’appello che la CTR aveva considerato inammissibile per difetto dei motivi specifici risulta invece, secondo la Cassazione, sufficientemente specifico e contenente quella fondamentale parte argomentativa, come peraltro indicato dal recente dettato delle S.U. che, con la sentenza 14594/2016, aveva affermato che “… In virtù della regola della scissione cronologica degli effetti della notificazione, qualora la stessa si perfezioni soltanto dopo un primo tentativo incolpevolmente fallito, ai fini dell’eventuale decadenza dell’istante dovrà comunque aversi riguardo al momento dell’originaria consegna dell’atto all’ufficiale giudiziario, purché la seconda notificazione venga richiesta immediatamente e senza la necessità di domandare previamente la rimessione nel termine medio tempore scaduto; in particolare, salvo circostanze eccezionali, la rinnovazione della notificazione dell’impugnazione deve essere richiesta entro un numero di giorni pari alla metà del termine breve di gravame a partire dalla restituzione del plico relativo al primo tentativo di notificazione”.

La vicenda in breve ha dunque riguardato la notifica del ricorso per cassazione dell’Agenzia delle Entrate, effettuata tramite l’Avvocatura dello Stato a mezzo PEC in data 10 settembre 2016, entro il termine decadenziale che, tenendo conto della sospensione feriale, scadeva il 12 settembre 2016. Sul server del difensore della società contribuente, però, arrivava un file elettronico che non conteneva il testo del ricorso. Appreso l’esito negativo della notifica del ricorso, a sé non imputabile, l’Agenzia ha provveduto, cinque giorni dopo, all’invio di una seconda notifica sempre a mezzo PEC, del tutto regolare e completa. Più precisamente, l’avvocato difensore riceveva, in data 15 settembre 2016 (quindi a termine già scaduto), una nuova notifica del ricorso per cassazione, stavolta interamente leggibile.

Nel caso di specie vi è stata dunque una prima notifica tempestiva, ma “meramente tentata ma non compiuta, cioè, in definitiva, omessa” (Sez. Un. 14916/2016), e poi una seconda notifica che, per quanto stabilito dalla citata sentenza delle Sezioni Unite, ha avuto l’effetto di rendere l’impugnazione comunque ammissibile. Pertanto, la rinotifica agli Ermellini appare valida nonostante sia avvenuta senza attendere un provvedimento giudiziale che autorizzasse la rinnovazione, in ossequio al principio della ragionevole durata del processo.

Dunque, secondo quanto si evince dall’ordinanza in esame, parrebbe che da oggi in poi, nel caso in cui una qualunque disfunzione di sistema ritardi la notifica, anche la parte privata potrà sfruttare il principio di diritto fissato dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 14594/2016, attivandosi prontamente e diligentemente entro la metà del termine di cui all’art. 325 c.p.c per riprendere la procedura notificatoria e, come riportano gli Ermellini: “…questa Corte ha affermato che “in tema di contenzioso tributario, la mancanza o l’assoluta incertezza dei motivi specifici dell’impugnazione, le quali, ai sensi dell’art. 53, comma primo, del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, determinano l’inammissibilità ricorso in appello, non sono ravvisabili qualora l’atto di appello, benché formulato in modo sintetico, contenga una motivazione e questa non possa ritenersi “assolutamente” incerta, essendo interpretabile, anche alla luce delle conclusioni formulate, in modo non equivoco” (Cass. 6473/2002) ed, inoltre, “non essendo imposti dalla norma rigidi formalismi, gli elementi idonei a rende. e “specifici” i motivi d’appello possono essere ricavati, anche per implicito, purché in maniera univoca, dall’intero atto di impugnazione considerato nel suo complesso, comprese le premesse in fatto, la parte espositiva e le conclusioni” (Cass.1224/2007). Come poi ribadito anche di recente da questa Corte (Cass. Ord. 14908/2014), nel processo tributario, anche “la riproposizione in appello delle stesse argomentazioni poste a sostegno della domanda disattesa dal giudice di primo grado – in quanto ritenute giuste e idonee al conseguimento della pretesa fatta valere – assolve l’onere di specificità dei motivi di impugnazione imposto dall’art. 53 de: d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, ben potendo il dissenso della parte soccombente investire la decisione impugnata nella sua interezza”. Nella specie, l’appellante, in sede di gravarne, chiedendo l’annullamento della decisione di primo grado, contestava la motivazione e l’erronea valutazione operata dai giudici della C.T.p„ in ordine all’uso “distorto e strumentale della denuncia penale”, fini del raddoppio dei termini di cui all’art.43 DPR 600/1973, nonché in ordine allo svolgimento dell’attività istruttoria ed alla ricostruzione analitico-induttiva operata, riprendendo anche le argomentazioni poste a fondamento dell’atto impositivo e delle controdeduzioni primo grado. Risulta, pertanto, che l’appello fosse sufficientemente specifico e contenesse quella necessaria “parte argomentativa che, contrapponendosi alla motivazione della sentenza impugnata, con espressa e motivata censura, miri ad incrinarne il fondamento logico- giuridico” (Cass.S.U.23299/2011)”.

 

CORTE di CASSAZIONE Ordinanza n. 20381, depositata il 24 agosto 2017

Fatti di causa

L’Agenzia delle Entrate propone ricorso per cassazione, affidato ad un motivo, nei confronti della CGR C. srl in liquidazione (che resiste con controricorso), avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale dell’Emilia-Romagna n. 376/05/2016, depositata in data 12/02/2016, con la quale – in controversia concernente l’impugnazione di avviso di accertamento emesso per IRES, IVA ed IRAP dovute dalla società, in relazione all’anno d’imposta 2005, seguito di recupero a tassazione di maggiori ricavi, ex art.39 DPR 600/1973, – è stata confermata la decisione di primo grado, che aveva accolto il ricorso della contribuente.

In particolare, i giudici d’appello, nel respingere il gravame dell’Agenzia delle Entrate, ne hanno rilevato l’inammissibilità per difetto di motivi specifici, essendo l’atto riproduttivo delle medesime “considerazioni” svolte in sede di controdeduzioni nel giudizio T primo grado, in difetto di motivo di doglianza su quanto statuito nella decisione impugnata.

A seguito di deposito di proposta ex art.380 bis c.p.c., è stata fissata l’adunanza della Corte in camera di consiglio, con rituale comunicazione alle parti; la ricorrente ha depositato memoria.

Ragioni della decisione

  1. La ricorrente lamenta, con unico motivo, la nullità della sentenza. ex art.360 n. 4 c.p.c., per violazione dell’art. 53 dlgs. 545/1992. essendo l’atto di appello fondato su specifici motivi e doglianze nei confronti della sentenza di primo grado.
  2. Preliminarmente, non è fondata l’eccezione, sollevata dalla controricorrente, di inammissibilità del gravame per tardività, art.327 c.p.c.. Vero che, a fronte di una sentenza pubblicata, nell’ambito di un giudizio instaurato successivamente all’entrata in vigore della Novella di cui alla 1.69/2009, il 12/02/2016 e non notificata, il termine di impugnazione (di sei mesi, oltre sospensione feriale, come ridotta dall’art.16 dl. 132/2014, conv. con modifiche dalla l. 162/2014, cfr. Cass.27338/2016), scadeva il 12/09/2016, lunedì.

Risulta, tuttavia, sulla base di quanto dedotto e documentato dalle parti, che l’Agenzia delle Entrate ricorrente ha effettuato una prima notifica, a mezzo PEC, in data 10/09/2016 (entro dunque il termine di legge per impugnare), che, malgrado “ricevuta di avvenuta consegna”, è stata effettuata, a causa di disfunzioni verificatesi sul server (come da documentazione allegata dalla ricorrente), in forma incompleta, in quanto il file allegato, contenente il ricorso per – cassazione, era “non leggibile” (come riconosciuto da entrambe le parti); la ricorrente ha quindi effettuato una seconda notifica„ sempre a mezzo PEC, il successivo 15/09/2016, questa del tutto regolare e completa. Vi è stata dunque una doppia notifica e la prima, tempestiva, deve ritenersi “meramente tentata ma non compiuta„ cioè, in definitiva, omessa” (cfr. Cass.S.U. 14916/2016). La ricorrente, appreso l’esito negativo della notifica dei ricorso, ae essa non imputabile, in quanto dipendente da disfunzione dei sistema generale di notifica degli atti a mezzo PEC utilizzato dall’Avvocatura Generale dello Stato, si è immediatamente attivata : senza attendere un provvedimento giudiziale che autorizzasse, !a rinnovazione, in ossequio al principio di ragionevole durata del processo (Cass. 5974/2017) riprendendo il procedimento notificatorio e completandolo, a distanza di pochi giorni delta prima tentata notifica, entro dunque il tempo pari alla metà dei termini di cui all’art.325 c.p.c.„ fissato dalle Sezioni Unite nella sentenza n. 14594/2016, così conservando gli effetti collegati ella notifica originaria.

  1. Il motivo di ricorso è fondato. Ed infatti questa Corte ha affermato che “in tema di contenzioso tributario, la mancanza o l’assoluta incertezza dei motivi specifici dell’impugnazione, le quali, ai sensi dell’art. 53, comma primo, del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, determinano l’inammissibilità ricorso in appello, non sono ravvisabili qualora l’atto di appello, benché formulato in modo sintetico, contenga una motivazione e questa non possa ritenersi “assolutamente” incerta, essendo interpretabile, anche alla luce delle conclusioni formulate, in modo non equivoco” (Cass. 6473/2002) ed, inoltre, “non essendo imposti dalla norma rigidi formalismi, gli elementi idonei a rende. e “specifici” i motivi d’appello possono essere ricavati, anche per implicito, purché in maniera univoca, dall’intero atto di impugnazione considerato nel suo complesso, comprese le premesse in fatto, la parte espositiva e le conclusioni” (Cass.1224/2007). Come poi ribadito anche di recente da questa Corte (Cass. Ord. 14908/2014), nel processo tributario, anche “la riproposizione in appello delle stesse argomentazioni poste a sostegno della domanda disattesa dal giudice di primo grado – in quanto ritenute giuste e idonee al conseguimento della pretesa fatta valere – assolve l’onere di specificità dei motivi di impugnazione imposto dall’art. 53 de: d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, ben potendo il dissenso della parte soccombente investire la decisione impugnata nella sua interezza”. Nella specie, l’appellante, in sede di gravarne, chiedendo l’annullamento della decisione di primo grado, contestava la motivazione e l’erronea valutazione operata dai giudici della C.T.p„ in ordine all’uso “distorto e strumentale della denuncia penale”, fini del raddoppio dei termini di cui all’art.43 DPR 600/1973, nonché in ordine allo svolgimento dell’attività istruttoria ed alla ricostruzione analitico-induttiva operata, riprendendo anche le argomentazioni poste a fondamento dell’atto impositivo e delle cotrodeduzioni primo grado. Risulta, pertanto, che l’appello fosse sufficientemente specifico e contenesse quella necessaria “parte argomentativa che, contrapponendosi alla motivazione della sentenza impugnata, con espressa e motivata censura, miri ad incrinarne il fondamento logico- giuridico” (Cass.S.U.23299/2011).
  2. Per tutto quanto sopra esposto, in accoglimento de ricorsa, va cassata la sentenza impugnata con rinvio alla C.T.R. dell’Emilia-Romagna, in diversa composizione. Il giudice del rinvio provvederà alla liquidazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

PQM

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla C.T.R. dell’Emilia-Romagna in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del presente giudizio di legittimità.

Così deciso, in Roma, il 6/07/2017

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