CASSAZIONE

Si alla confisca dei canoni di locazione se l’immobile era già sequestrato

La Corte di Cassazione, con la sentenza del 27 luglio 2017 n. 37454, ha deliberato che è legittimo il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente, che ricomprende anche i canoni non ancora riscossi e derivanti dalla locazione di un immobile già oggetto di sequestro. Come è sufficientemente noto, il sequestro è previsto nel nostro codice di procedura penale in una duplice accezione: come mezzo di ricerca della prova (sequestro probatorio) e come misura cautelare reale (sequestro conservativo e sequestro preventivo).

Nel campo tributario, e con riferimento al profitto del reato, tale concetto è stato esteso a qualsiasi vantaggio economico derivante dalla condotta illecita, per giungere a includere in tale accezione anche il “risparmio di spesa o di imposta”. Concetto espresso con chiarezza dalla Suprema Corte con la sentenza n. 43397/2015 : “In tema di reati tributari, il profitto, confiscabile anche nella forma per equivalente, del reato di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte, di cui all’articolo 11, D.Lgs. 74/2000, è costituito da qualsivoglia vantaggio patrimoniale direttamente conseguito alla consumazione del reato e può, dunque, consistere anche in un risparmio di spesa, come quello derivante dal mancato pagamento del tributo, interessi, sanzioni dovuti a seguito dell’accertamento del debito tributario”.

Inoltre, la giurisprudenza di legittimità aveva più volte sostenuto che, a differenza del sequestro preventivo, il sequestro funzionale alla confisca per equivalente ha natura sanzionatoria, per cui non sono sottoponibili a tale vincolo i beni meramente futuri (Cassazione, 4097/2016). In tal senso si era già espressa la Cassazione con la sentenza 23649/2013 relativamente a un sequestro preventivo “per equivalente” di alcuni immobili e dei relativi canoni di locazione.

Secondo tale pronunzia, “… a differenza di quanto può dirsi per il sequestro preventivo ex art. 321 c.p.p., il sequestro per equivalente ha natura prettamente sanzionatoria e non è suscettibile di proiezione sul futuro. Nel primo caso, dunque, l’esigenza di impedire l’aggravarsi delle conseguenze da reato e di prevenire ulteriori offese al bene protetto autorizza l’autorità giudiziaria a sottoporre a vincolo anche i canoni di locazione e i vantaggi patrimoniali direttamente derivanti dalla gestione dei beni in sequestro (…); non altrettanto può dirsi per il sequestro disposto ex art. 322 ter c.p.p.…”.

Anche per poter procedere al calcolo del risparmio economico, cioè per individuare concretamente il quantum, la Corte di Cassazione, avvertiva, con la sentenza n. 18374/2013, che “In merito ai reati tributari, il sequestro finalizzato alla confisca per equivalente deve essere riferito all’ammontare dell’imposta evasa, costituente un indubbio vantaggio patrimoniale direttamente derivante dalla condotta illecita e, in quanto tale, riconducibile alla nozione di profitto del reato, rappresentato dal risparmio economico conseguente alla sottrazione degli importi evasi alla loro destinazione fiscale, di cui certamente beneficia il reo. Ai fini della quantificazione di siffatto risparmio, occorre tenere conto anche del mancato pagamento degli interessi e delle sanzioni dovute in seguito all’accertamento del debito tributario”.

In realtà è anche necessario distinguere tra sequestro “impeditivo” (art. 321, c.p.p., comma 1) e sequestro “funzionale alla confisca” (art. 321, c.p.p., comma 2). Nel sequestro impeditivo, presupposto della misura cautelare è il “pericolo” che la libera disponibilità di una “cosa pertinente al reato” possa aggravare o protrarre le conseguenze dell’illecito ovvero possa agevolare la commissione di altri reati. Per cui, il sequestro è finalizzato a interrompere quelle situazioni di pericolosità che possono crearsi con il possesso della “cosa”.

Nel sequestro funzionale alla confisca, invece, il pericolo non è collegato alla libera disponibilità della cosa, ma si ricollega alla confiscabilità del bene (cfr art. 321, comma 2, c.p.p.).

Del resto e al riguardo, è possibile richiamare altre pronunce di legittimità secondo cui il sequestro preventivo funzionale alla confisca per equivalente, a differenza del sequestro preventivo “impeditivo”, ha natura sanzionatoria e non potrebbero essere sottoposti a tale vincolo i beni meramente futuri, non individuati e non individuabili.

Tornando alla decisione in esame gli Ermellini, pur riconoscendo che in via generale la natura sanzionatoria della confisca per equivalente “non tollererebbe l’apprensione di beni futuri”, aderiscono a un altro orientamento che ritiene, invece, pienamente ammissibile il sequestro su beni non ancora nella disponibilità dell’indagato, in quanto: “Sennonché, anche a volere prescindere dalla necessità di distinguere tra beni futuri solo perché non ancora percepiti ma fin d’ora individuabili (come sono i canoni di locazione derivanti da un bene, come quello di specie, comunque già nella disponibilità dell’indagato) e beni futuri proprio in quanto non individuati e non individuabili, giacché, a ben vedere, solo nel secondo caso mancherebbe il presupposto di determinatezza dell’oggetto della misura che imporrebbe di avere riguardo, secondo l’indirizzo appena ricordato, al principio di “non ultrattività” derivante dalla natura sanzionatoria della misura, l’assunto ricordato finisce in realtà per estendere al sequestro, i cui effetti sono inevitabilmente proiettati anche in una dimensione futura, essendo funzione dello stesso quello di impedire che i beni confiscabili non possano più essere reperiti, gli effetti restrittivi derivanti dalla natura sanzionatoria da circoscrivere, evidentemente, invece, unicamente alla confisca : è indubbio infatti che il fatto di assoggettare a sequestro per equivalente un bene ‘futuro’ per un fatto comunque commesso prima del provvedimento cautelare non significa disattendere il principio di legalità tanto più ove si consideri che (per incontroverso indirizzo di questa Corte derivante dalla fisiologica apprensione di beni che non rappresentano il profitto del reato ma unicamente l’equivalente dello stesso) nessuna pertinenza tra bene e reato è, nel caso della confisca per equivalente, richiesta; né, per la stessa ragione appena evidenziata, a diverse conclusioni può condurre l’argomento secondo cui, assoggettandosi a sequestro beni non ancora nella disponibilità dell’indagato ma che potrebbero un giorno ricadervi, si finirebbe per aggredire beni acquisiti del tutto lecitamente. In altri termini, dunque, se è certamente necessario che la confisca riguardi solo beni esistenti al momento della sua adozione, non così per il sequestro, che è misura cautelare diretta a consentire alla confisca di potere operare, e che può invece, proprio per tal ragione, riguardare anche beni che vengano ad esistenza successivamente al sequestro stesso e sino al momento di adozione della confisca ferma restando, peraltro, la sempre necessaria corrispondenza, non invocata nella specie dal ricorrente che di tale profilo non si è mai lamentato, tra valore del profitto e valore dei beni complessivamente assoggettabile a sequestro. Di qui, allora, senza necessità di considerare altre ragioni, o di sottoporre, come richiesto dal ricorrente, la questione alle Sezioni Unite, giacché, da un lato, come già accennato, si versa, nella specie, in ipotesi di frutti derivanti dalla stessa gestione del bene in sequestro di per sé rientrante nei poteri, oltre che di mera conservazione, anche di amministrazione del custode, e, dall’altro, nessuna divergenza in ordine alla natura sanzionatoria della confisca per equivalente è rinvenibile nella giurisprudenza di questa Corte, solo essendovi una diversa considerazione quanto agli effetti sul sequestro, la legittimità del provvedimento impugnato in linea con precedenti decisioni (da ultimo, Sez. 6, n. 33861 del 10/06/2014, dep. 30/07/2014, Riggio, Rv. 260176; Sez. 5, n. 28336 del 07/05/2013, dep. 28/06/2013, Scalera, Rv. 256775).

 

Corte di Cassazione Penale Sez. 3 Sentenza n. 37454 del 27 luglio 2017

Presidente: CAVALLO ALDO

Relatore: ANDREAZZA GASTONE

Data Udienza: 25/05/2017

RITENUTO IN FATTO

  1. Sardagna Ferrari Fabrizio ha proposto ricorso avverso l’ordinanza del Tribunale di Roma in data 20/12/2016 con la quale è stato confermato il provvedimento di sequestro preventivo emesso dal G.i.p. del Tribunale di Roma finalizzato alla confisca per equivalente dei percipiendi proventi derivanti dalla locazione dell’immobile, anch’esso già oggetto di sequestro, rappresentato dal Castello di Tor Crescenza, in relazione alla commissione di reati tributari.
  2. Con un primo motivo lamenta la violazione degli artt. 321 cod. proc. pen. E 322 ter cod. pen. per avere il Tribunale disposto il sequestro preventivo finalizzato alla confisca di beni futuri, ovvero, nella specie, i frutti derivanti dalla locazione del Castello, seguendo un orientamento avallato dalla Suprema Corte mentre avrebbe dovuto aderire ad altro orientamento che esclude la sequestrabilità di detti beni.
  3. Con un secondo motivo lamenta l’erronea applicazione della legge processuale ed in particolare dell’art. 321 cod. proc. pen. in riferimento all’art. 12 bis del d.lgs. 74 del 2000 per essere stato disposto il sequestro su beni non ancora venuti ad esistenza e non, invece, già nella “disponibilità” dell’indagato.
  4. Con un terzo motivo lamenta la violazione degli artt. 2912 cod. civ., 12 bis d.lgs. 74 del 2000 e 2 cod. pen. per avere il Tribunale, al fine di valutare la legittimità del provvedimento di sequestro, richiamato analogicamente in malam partem, a fronte di misura di natura sanzionatoria, l’art. 2912 cod. civ. che consente al custode della cosa pignorata di percepirne i frutti trascurando inoltre di considerare che la funzione del pignoramento è quella di evitare la dispersione delle garanzie patrimoniali in analogia al sequestro conservativo e che ogni interpretazione estensiva sul punto è preclusa appunto dalla natura sanzionatoria dello strumento cautelare in oggetto.
  5. Con successiva istanza ha chiesto l’assegnazione del ricorso alle Sezioni Unite al fine di dirimere il contrasto creatosi in merito alla sequestrabilità per equivalente dei beni futuri.

CONSIDERATO IN DIRITTO

  1. Il ricorso deve essere rigettato.

Le doglianze tutte poste con i motivi di ricorso, congiuntamente esaminabili, si incentrano sulla reclamata impossibilità di assoggettare a sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente beni da ritenersi, come sarebbero quelli di specie consistenti nei corrispettivi derivanti dalla locazione dell’immobile già oggetto di sequestro con distinto provvedimento, non ancora nella disponibilità dell’indagato; a ciò si opporrebbe, infatti, la natura sanzionatoria della confisca per equivalente che non tollererebbe l’apprensione di beni “futuri”; ed in tal senso deporrebbe orientamento giurisprudenziale, specificamente menzionato in ricorso, da cui il provvedimento impugnato si sarebbe ingiustificatamente discostato.

Ciò posto, va allora ricordato che, in effetti, secondo quanto in particolare affermato da Sez.3, n. 4097 del 19/01/2016, dep. 01/02/2016, Tomasi Canovo, Rv. 265844, nonché da Sez. 3, n. 23649 del 27/02/2013, dep. 31/05/2013, D’Addario, Rv. 256164, avendo il sequestro preventivo funzionale alla confisca per equivalente, a differenza del sequestro preventivo “impeditivo”, natura sanzionatoria, non potrebbero essere sottoposti a tale vincolo i beni meramente futuri, non individuati e non individuabili, sicché, mentre l’esigenza di impedire l’aggravarsi delle conseguenze da reato e di prevenire ulteriori offese al bene protetto autorizzerebbe l’autorità giudiziaria a sottoporre a vincolo anche i canoni di locazione e i vantaggi patrimoniali direttamente derivanti dalla gestione dei beni in sequestro, non altrettanto potrebbe essere per il sequestro disposto ex art. 322 ter cod. pen.. Sennonché, anche a volere prescindere dalla necessità di distinguere tra beni futuri solo perché non ancora percepiti ma fin d’ora individuabili (come sono i canoni di locazione derivanti da un bene, come quello di specie, comunque già nella disponibilità dell’indagato) e beni futuri proprio in quanto non individuati e non individuabili, giacché, a ben vedere, solo nel secondo caso mancherebbe il presupposto di determinatezza dell’oggetto della misura che imporrebbe di avere riguardo, secondo l’indirizzo appena ricordato, al principio di “non ultrattività” derivante dalla natura sanzionatoria della misura, l’assunto ricordato finisce in realtà per estendere al sequestro, i cui effetti sono inevitabilmente proiettati anche in una dimensione futura, essendo funzione dello stesso quello di impedire che i beni confiscabili non possano più essere reperiti, gli effetti restrittivi derivanti dalla natura sanzionatoria da circoscrivere, evidentemente, invece, unicamente alla confisca : è indubbio infatti che il fatto di assoggettare a sequestro per equivalente un bene “futuro” per un fatto comunque commesso prima del provvedimento cautelare non significa disattendere il principio di legalità tanto più ove si consideri che (per incontroverso indirizzo di questa Corte derivante dalla fisiologica apprensione di beni che non rappresentano il profitto del reato ma unicamente l’equivalente dello stesso) nessuna pertinenza tra bene e reato è, nel caso della confisca per equivalente, richiesta; né, per la stessa ragione appena evidenziata, a diverse conclusioni può condurre l’argomento secondo cui, assoggettandosi a sequestro beni non ancora nella disponibilità dell’indagato ma che potrebbero un giorno ricadervi, si finirebbe per aggredire beni acquisiti del tutto lecitamente.

In altri termini, dunque, se è certamente necessario che la confisca riguardi solo beni esistenti al momento della sua adozione, non così per il sequestro, che è misura cautelare diretta a consentire alla confisca di potere operare, e che può invece, proprio per tal ragione, riguardare anche beni che vengano ad esistenza successivamente al sequestro stesso e sino al momento di adozione della confisca ferma restando, peraltro, la sempre necessaria corrispondenza, non invocata nella specie dal ricorrente che di tale profilo non si è mai lamentato, tra valore del profitto e valore dei beni complessivamente assoggettabile a sequestro.

Di qui, allora, senza necessità di considerare altre ragioni, o di sottoporre, come richiesto dal ricorrente, la questione alle Sezioni Unite, giacché, da un lato, come già accennato, si versa, nella specie, in ipotesi di frutti derivanti dalla stessa gestione del bene in sequestro di per sé rientrante nei poteri, oltre che di mera conservazione, anche di amministrazione del custode, e, dall’altro, nessuna divergenza in ordine alla natura sanzionatoria della confisca per equivalente è rinvenibile nella giurisprudenza di questa Corte, solo essendovi una diversa considerazione quanto agli effetti sul sequestro, la legittimità del provvedimento impugnato in linea con precedenti decisioni (da ultimo, Sez. 6, n. 33861 del 10/06/2014, dep. 30/07/2014, Riggio, Rv. 260176; Sez. 5, n. 28336 del 07/05/2013, dep. 28/06/2013, Scalera, Rv. 256775).

Il rigetto del ricorso impone la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso, il 25 maggio 2017

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