CASSAZIONE

Sentenza annullata se le motivazioni non sono chiare, univoche ed esaustive

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 27500 del 30 dicembre 2016, intervenendo in materia di accertamento per operazioni inesistenti, pur riconoscendo che nell’ambito tributario del processo è ammissibile la motivazione che rinvia in toto ad altro provvedimento giudiziario, ha voluto soffermarsi con ampia motivazione sul concetto stesso di sentenza, sul significato letterale del termine, indicato come quel complesso di considerazioni circa una controversia espresso da chi abbia autorità di pronunciarsi, affermando che le ragioni della decisione devono essere sempre chiare, univoche ed esaustive, pena la nullità. Solo così è possibile garantire che il giudice ha saputo ben motivare il provvedimento senza lasciare spazio a dubbi o interpretazioni.

Dunque, seguendo le indicazioni dell’attuale interpretazione giurisprudenziale, gli Ermellini ritengono che non è nulla la sentenza la cui motivazione riproduce il contenuto di un atto di parte ma – ricordano i supremi giudici – la legge impone al giudice un unico obbligo che è, per l’appunto, quello di procedere alla motivazione in maniera chiara, univoca ed esaustiva. E’ acclarato, quindi, che la professionalità del giudice risiede nelle ragioni stesse alla base della pronuncia, anche se non sono esposte in maniera originale, come peraltro ribadito dalla stessa giurisprudenza della Corte (Cass. n. 642 del 16 gennaio 2015; Cass. n. 12142 del 14 giugno 2016). Del resto, in base alle disposizioni costituzionali e processuali, la redazione della sentenza tramite “copia e incolla” non può ritenersi, di per sé, sintomatica di un difetto d’imparzialità del giudice, al quale non è imposta l’originalità né dei contenuti né delle modalità espositive. Infatti, in base al principio generale per cui tutti i provvedimenti giurisdizionali vanno motivati, il giudice deve fornire, anche sinteticamente, le ragioni per cui condivide le statuizioni espresse in primo grado, sussistendo in caso contrario la nullità della sentenza per carenza di motivazione.

Sul punto si sono già espresse definitivamente le Sezioni unite della Cassazione (sent. n. 642/2015), che hanno così precisato: “Nel processo civile e in quello tributario, la sentenza la cui motivazione si limiti a riprodurre il contenuto di un atto di parte (o di altri atti processuali o provvedimenti giudiziari), senza niente aggiungervi, non è nulla qualora le ragioni della decisione siano, in ogni caso, attribuibili all’organo giudicante e risultino in modo chiaro, univoco ed esaustivo, atteso che, in base alle disposizioni costituzionali e processuali, tale tecnica di redazione non può ritenersi, di per sé, sintomatica di un difetto d’imparzialità del giudice, al quale non è imposta l’originalità né dei contenuti né delle modalità espositive”.

Nel caso di specie l’Agenzia delle Entrate notificava un avviso d’accertamento ai fini delle imposte dirette nei confronti di una ditta individuale esercente attività di costruzione. L’atto impositivo riguardava la contestazione di un maggior reddito imponibile a seguito della ripresa a tassazione di costi per la fornitura di calcestruzzo relativi a fatture per operazioni inesistenti. I documenti fittizi erano emersi nel corso di una verifica fiscale condotta dalla Guardia di Finanza nei confronti della società fornitrice del materiale della ditta accertata. La Commissione Tributaria Provinciale, dinanzi a cui la ditta ha impugnato l’avviso di accertamento, ha accolto il ricorso. A seguito di appello da parte dell’Amministrazione finanziaria, anche la Ctr ha accolto le doglianze della società e respinto nel merito le motivazioni dell’ufficio. I giudici hanno avallato la tesi per cui è stato dato rilievo a un verbale della Polizia di Stato in cui si constatava – a dimostrazione dell’effettiva realizzazione dell’operazione asseritamente inesistente – il superamento del “carico massimo consentito da parte di un autoveicolo di autotrasporto” e il fatto che l’impresa “aveva portato a termine i lavori di interconnessione viaria”. L’Agenzia delle Entrate ha impugnato tale decisione in Cassazione, affidando il ricorso a quattro motivi.

I giudici della suprema Corte hanno deciso per la cassazione della sentenza di secondo grado, ritenendo quanto segue: “Osserva in argomento la Corte che, come recentemente affermato dalle sezioni unite (n. 642 del 2015), nel processo civile e in quello tributario la sentenza la cui motivazione (motivazione “per relationem”) si limiti a rinviare al contenuto di un atto di parte o di altri atti processuali o di provvedimenti giudiziari, senza niente aggiungervi, non è nulla qualora le ragioni della decisione siano, in ogni caso, attribuibili all’organo giudicante e risultino in modo chiaro, univoco ed esaustivo, atteso che, in base alle disposizioni costituzionali e processuali, tale tecnica di redazione non può ritenersi, di per sé, sintomatica di un difetto d’imparzialità del giudice, al quale non è imposta l’originalità né dei contenuti né delle modalità espositive. Ciò posto, non può tuttavia essere considerata “motivazione” la mera adesione acritica da parte del giudice alla sentenza di primo grado, dovendo il giudice fornire, anche sinteticamente, le ragioni per le quali le altrui tesi sono seguite, sussistendo in caso contrario la nullità della sentenza per carenza di motivazione. Come chiarito dalla giurisprudenza di legittimità, la carenza nell’impianto motivazionale della sentenza di alcuno dei momenti logici necessari configura un “vulnus” al principio generale secondo cui tutti i provvedimenti giurisdizionali debbono essere motivati, ai sensi dell’art. 111 Cost., co. 6, vizio che può spaziare, secondo la gravità, dall’insufficienza logica ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 5, cod. proc. civ. (nel testo anteriore alle modifiche apportate dal d.l. n. 83 del 2012 all’art. 54, co. 1, lett. b, convertito in I. n. 134 del 2012), fino alla totale difformità della sentenza dal modello legale per assenza dell’indicato requisito essenziale, ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 4, cod. proc. civ. in relazione all’art. 132, co. 2, n. 4 cod. proc. civ. e art. 118, co. 1 disp. att. cod. proc. civ. (cfr. sez. 5, n. 12664 del 2012 e sez. 1, n. 28663 del 2013). Nel caso di specie, le ripetute espressioni di condivisione e le ripetute citazioni, presentate o meno come tali, mancano dei necessari sviluppi argomentativi in rapporto:

  1. a) alla enunciazione dei motivi di appello, neppure menzionati (se non, nella parte relativa allo svolgimento del processo, come relativi a “difetto di motivazione”; viceversa, sia dalla p. 2 del ricorso, che dalla trascrizione a p. 14, emerge che con l’appello si contesta l’erroneità della decisione, tra l’altro, per avere l’ufficio dedotto sia operazioni inesistenti che operazioni esistenti in evasione d’imposta, con riferimenti a risultanze probatorie di cui si chiedeva l’esame);
  2. b) alle “ragioni della conferma della pronunzia in relazione ai motivi di impugnazione proposti, in modo che il percorso argomentativo desumibile dalle parti motive delle due sentenze risulti appagante e corretto” (cfr. sez. 3, n. 15483 del 2008; v. anche sez. 5 n. 7347 del 11/05/2012, che enuncia l’esigenza che si dia conto delle argomentazioni delle parti). Ne deriva che, a sostegno della conclusione di rigetto dell’appello, non solo non viene, neppure sommariamente, riportato il contenuto dell’atto di appello, ma manca ogni indicazione, seppur sintetica, delle ragioni per le quali si è ritenuto di condividere la tesi di cui alla prima sentenza – pur estesamente riportate – a fronte dei motivi di impugnazione, rendendosi impossibile apprezzare l’iter logico-giuridico posto a fondamento del rigetto dei motivi stessi. La sentenza merita dunque cassazione”.

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CORTE DI CASSAZIONE Sentenza 30 dicembre 2016, n. 27500

Svolgimento del processo

L’Agenzia delle Entrate, sulla base di verifica fiscale della Guardia di finanza nei confronti della B.C. s.r.l. fornitrice di calcestruzzo alla ditta individuale R.P. esercente attività di costruzioni edilizie, ha notificato a quest’ultimo con riferimento all’anno di imposta 2007 avviso di accertamento contestando utilizzo di fatture per operazioni inesistenti di cessione di calcestruzzo, recuperando a tassazione maggiori Irpef, Irap e Iva.

La Commissione tributaria provinciale di Caserta ha accolto il ricorso proposto dal contribuente. Avverso tale sentenza ha proposto appello l’Agenzia, che la Commissione tributaria regionale della Campania in Napoli ha rigettato; in particolare, ritenuto ammissibile l’appello, la Commissione regionale lo ha respinto nel merito condividendo la sentenza di primo grado, che aveva dato rilievo a un verbale di p.s. nel quale si constatava il superamento del carico massimo consentito da parte di un veicolo di autotrasporto e al fatto che l’impresa aveva portato a termine lavori di interconnessione viaria.

Avverso questa decisione l’Agenzia propone ricorso per cassazione affidato a quattro motivi, rispetto al quale il contribuente resiste con controricorso.

Motivi della decisione

  1. – Preliminarmente si dà atto che è stata autorizzata la redazione della sentenza in forma semplificata ai sensi del decreto del primo presidente del 14 settembre 2016.
  2. – Con il primo motivo di ricorso l’Agenzia censura la sentenza impugnata per nullità processuale di difetto assoluto di motivazione ex art. 360 co. 1 n. 4 c.p.c., in relazione agli artt. 1 e 36 d. Igs. n. 546 del 1992 e 132 n. 4 c.p.c. – 118 disp. att. c.p.c., essendo apparente e sostanzialmente inesistente la motivazione con la quale la Commissione regionale ha affermato di condividere le statuizioni del primo giudice, riproducendone pedissequamente il testo, senza nulla osservare circa le specifiche censure dell’ufficio e omettendo un proprio iter argomentativo.
  3. – Il motivo è fondato. Al riguardo, si legge nella sentenza della Commissione regionale: “l’appello va rigettato condividendo le argomentazioni dei giudici di prima istanza” (p. 3); seguono poi, come illustrato dalla ricorrente che ha riprodotto le parti rilevanti della prima sentenza:

– una frase, non virgolettata, preceduta da “invero”, testualmente ripresa dalla prima sentenza, e con in coda l’espressione “non rilevabili nella presente vicenda processuale” (a fronte di una più lunga, ma equivalente espressione nella prima sentenza);

– altra frase, nuovamente preceduta da “invero”, iniziante con l’espressione “con motivazione chiara e condivisibile i giudici di primo grado hanno evidenziato che” cui segue un brano virgolettato;

– due paragrafi, non virgolettati, ma testualmente corrispondenti a paragrafi della prima sentenza;

– la frase “correttamente i giudici di primo grado hanno evidenziato come” seguita da una espressione che, ricongiungendo due membri con l’interposizione di cui in appresso, si rinviene anch’essa quasi testualmente nella sentenza di primo grado;

– la frase “risultano infatti prodotti in primo grado”, seguita dal brano come innanzi detto interposto nella frase di cui sopra nella prima sentenza.

La motivazione si conclude con un’espressione dante atto del rigetto dell’appello con assorbimento delle eccezioni riproposte.

  1. – Osserva in argomento la Corte che, come recentemente affermato dalle sezioni unite (n. 642 del 2015), nel processo civile e in quello tributario la sentenza la cui motivazione (motivazione “per relationem”) si limiti a rinviare al contenuto di un atto di parte o di altri atti processuali o di provvedimenti giudiziari, senza niente aggiungervi, non è nulla qualora le ragioni della decisione siano, in ogni caso, attribuibili all’organo giudicante e risultino in modo chiaro, univoco ed esaustivo, atteso che, in base alle disposizioni costituzionali e processuali, tale tecnica di redazione non può ritenersi, di per sé, sintomatica di un difetto d’imparzialità del giudice, al quale non è imposta l’originalità né dei contenuti né delle modalità espositive.

Ciò posto, non può tuttavia essere considerata “motivazione” la mera adesione acritica da parte del giudice alla sentenza di primo grado, dovendo il giudice fornire, anche sinteticamente, le ragioni per le quali le altrui tesi sono seguite, sussistendo in caso contrario la nullità della sentenza per carenza di motivazione. Come chiarito dalla giurisprudenza di legittimità, la carenza nell’impianto motivazionale della sentenza di alcuno dei momenti logici necessari configura un “vulnus” al principio generale secondo cui tutti i provvedimenti giurisdizionali debbono essere motivati, ai sensi dell’art. 111 Cost., co. 6, vizio che può spaziare, secondo la gravità, dall’insufficienza logica ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 5, cod. proc. civ. (nel testo anteriore alle modifiche apportate dal d.l. n. 83 del 2012 all’art. 54, co. 1, lett. b, convertito in I. n. 134 del 2012), fino alla totale difformità della sentenza dal modello legale per assenza dell’indicato requisito essenziale, ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 4, cod. proc. civ. in relazione all’art. 132, co. 2, n. 4 cod. proc. civ. e art. 118, co. 1 disp. att. cod. proc. civ. (cfr. sez. 5, n. 12664 del 2012 e sez. 1, n. 28663 del 2013).

  1. – Nel caso di specie, le ripetute espressioni di condivisione e le ripetute citazioni, presentate o meno come tali, mancano dei necessari sviluppi argomentativi in rapporto:
  2. a) alla enunciazione dei motivi di appello, neppure menzionati (se non, nella parte relativa allo svolgimento del processo, come relativi a “difetto di motivazione”; viceversa, sia dalla p. 2 del ricorso, che dalla trascrizione a p. 14, emerge che con l’appello si contesta l’erroneità della decisione, tra l’altro, per avere l’ufficio dedotto sia operazioni inesistenti che operazioni esistenti in evasione d’imposta, con riferimenti a risultanze probatorie di cui si chiedeva l’esame);
  3. b) alle “ragioni della conferma della pronunzia in relazione ai motivi di impugnazione proposti, in modo che il percorso argomentativo desumibile dalle parti motive delle due sentenze risulti appagante e corretto” (cfr. sez. 3, n. 15483 del 2008; v. anche sez. 5 n. 7347 del 11/05/2012, che enuncia l’esigenza che si dia conto delle argomentazioni delle parti).
  4. – Ne deriva che, a sostegno della conclusione di rigetto dell’appello, non solo non viene, neppure sommariamente, riportato il contenuto dell’atto di appello, ma manca ogni indicazione, seppur sintetica, delle ragioni per le quali si è ritenuto di condividere la tesi di cui alla prima sentenza – pur estesamente riportate – a fronte dei motivi di impugnazione, rendendosi impossibile apprezzare l’iter logico-giuridico posto a fondamento del rigetto dei motivi stessi. La sentenza merita dunque cassazione.
  5. – Per effetto dell’accoglimento del primo motivo, restano assorbiti gli ulteriori motivi di ricorso, con cui l’Agenzia ha dedotto violazione e falsa applicazione degli artt. 39 co. 1 lett. d) del d.p.r. n. 600 del 1973 e 2697 c.c., contraddittoria motivazione in ordine a fatto decisivo e omesso esame di fatto decisivo.
  6. – La Commissione tributaria regionale della Campania in Napoli, in diversa composizione, oltre a riesaminare l’appello fornendo idonea motivazione in base agli elementi istruttori in atti, regolerà anche le spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

Accoglie il primo motivo ricorso, assorbiti gli altri, cassa l’impugnata sentenza e rinvia alla Commissione tributaria regionale della Campania in Napoli in diversa composizione anche per le spese del giudizio di legittimità.

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