FISCALITA

Se il fisco stressa, paga i danni per il danno morale

Ora è ufficiale, non si tratta più solo di chiacchiere: lo stress da fisco esiste, ma la notizia – “rivoluzionaria”, in un certo senso – è che il contribuente va risarcito, soprattutto se il danno è causato dalla negligenza dell’ufficio tributario. In estrema sintesi, è quanto emerge con chiarezza dallasentenza di una Commissione Tributaria Provincialeche ha condannato l’Amministrazione finanziaria, e nel caso in questione l’Agenzia delle Entrate, per “lite temeraria”.

Istituzioni pubbliche e “trasparenza”

L’agevole disponibilità di tutte le informazioni di pubblico dominio contribuisce a imprimere massimo impulso alla trasparenza delle Istituzioni pubbliche: una maggiore trasparenza è indice di una maggior democrazia. E se tutto questo lo riteniamo una conquista recente, implementata magari dalla diffusione di Internet, sarà bene rileggere con l’attenzione delle riscoperte quanto affermava alla fine del XVIII secolo Mons. Michele Natale, allora vescovo di Vico Equense: “Tutte le operazioni dei governanti devono essere note al popolo sovrano, eccetto qualche misura di sicurezza che gli si deve fare conoscere quando il pericolo è cessato”. Tali affermazioni sono state riportate da Benedetto Croce (“Storia della Rivoluzione napoletana del ’99” – Ed. Laterza), che ci ha dato anche la notizia che Mons. Natale fu giustiziato proprio nell’ultimo anno dello stesso secolo, in seguito ai turbolenti avvenimenti che caratterizzarono la fine della Repubblica napoletana. E tuttavia, sono comunque da considerare come le prime richieste di una democrazia moderna esercitata attraverso la comprensione popolare degli atti dei “potenti”, anche attraverso quello che con il linguaggio moderno viene definito come la pubblicità degli atti amministrativi e della trasparenza. Il Vescovo di Vico Equense, a suo modo, aveva auspicato la trasformazione dei cittadini da sudditi a interlocutori del referente pubblico e ancora oggi, a oltre duecento anni di distanza, questo dovrebbe essere, in definitiva, il vero obiettivo di chi è chiamato a reimpostare nella forma e nel contenuto il rapporto fra amministratori e amministrati.

Quello fiscale è senza dubbio un settore nel quale molto spesso e a lungo i rapporti tra Istituzione e cittadino sono stati considerati tra i più vessatori per quest’ultimo, tanto da essere paragonati a quelli tra sovrano e suddito. Con la legge 27 luglio 2000, n. 212 – “Disposizioni in materia di Statuto dei diritti del contribuente” – che rappresenta un importante passo in avanti verso l’attuazione dei principi costituzionali di democraticità e trasparenza del prelievo fiscale, ai contribuenti vengono attribuiti strumenti di tutela e di garanzia nei confronti dell’Amministrazione finanziaria, sia in materia di conoscibilità del sistema normativo tributario, sia nell’ambito delle attività di accertamento e riscossione esercitate dagli uffici fiscali. La legge, tra l’altro, introduce l’istituto dell’interpello ordinario per garantire certezza e chiarezza delle norme fiscali, e istituisce il Garante del contribuente quale autorità regionale per la tutela del rapporto di fiducia tra cittadini e Amministrazione finanziaria.

tasse_spesa_pubblicaIl caso

Eppure, nonostante esista e sia regolarmente in vigore questa che è una legge dello Stato, l’azione pervicace e assolutamente priva anche delle elementari nozioni del buon senso, costringe comunque un cittadino a innescare un procedimento contenzioso, a presentare un ricorso e attendere una sentenza per veder tutelati i suoi diritti di fronte a un comportamento che potremmo definire, in barba proprio allo Statuto del contribuente, vessatorio e feudale. I giudici di una Commissione Tributaria Provinciale si sono trovati di fronte al caso di una contribuente che si è vista chiedere dall’Agenzia delle Entrate un importo di oltre 75.000 euro a titolo di IVA, IRPEF e IRAP per l’anno d’imposta 1998 (dichiarazione presentata nel 1999). Ma la notifica di una cartella esattoriale, regolare e più o meno “pazza”, non è un fenomeno raro né isolato.

Gli elementi fondamentali che l’ufficio delle Entrate non ha tenuto in considerazione, ad avviso dei giudici tributari in maniera del tutto temeraria, sono due:

  • le imposte iscritte nei ruoli erano riferite alla madre defunta della contribuente, la quale aveva esplicitamente rifiutato l’eredità;
  • la signora, per di più, aveva regolarmente prodotto e depositato presso il Tribunale di Roma il relativo atto di rinuncia, cosa che era stata peraltro tempestivamente comunicata anche all’ufficio tributario.

Ma nonostante tutto ciò, da parte dell’Amministrazione finanziaria si è ritenuto comunque di procedere nella richiesta di pagamento degli importi in questione.

Lo stress da fisco

A questo punto la contribuente si è venuta a trovare al centro di un meccanismo assurdo, poiché il concessionario della riscossione ha avviato la procedura esecutiva tramite il pignoramento dell’immobile di sua proprietà: ma non basta, perché il peso è stato aggravato dalla circostanza che la contribuente, in presenza di una misura cautelare, si è trovata impossibilitata a rinegoziare il contratto di mutuo con l’istituto di credito.

Le conseguenze, sia economiche che morali, risultano ovvie.

Alla luce di un comportamento tanto negligente da parte dell’ufficio dell’Agenzia, i giudici della CTP hanno applicato, nei confronti dell’Amministrazione finanziaria, l’articolo 96 del c.p.c. (“Responsabilità aggravata. Se risulta che la parte soccombente ha agito o resistito in giudizio con mala fede o colpa grave – c.p.c. 220 – il giudice, su istanza dell’altra parte, la condanna, oltre che alle spese, al risarcimento dei danni, che liquida, anche d’ufficio, nella sentenza”).

Il secondo comma dell’art. 96 sancisce che “il giudice che accerta l’inesistenza del diritto per cui è stato eseguito un provvedimento cautelare – c.p.c. 669-bis – o trascritta domanda giudiziale – c.c. 2652, 2818 – o iscritta ipoteca giudiziale, oppure iniziata o compiuta l’esecuzione forzata – c.c. 2929, 2927; c.p. 483 – su istanza della parte danneggiata condanna al risarcimento dei danni – c.p.c. 97 – l’attore o il creditore procedente, che ha agito senza la normale prudenza. La liquidazione dei danni è fatta a norma del comma precedente”. I giudici tributari, dunque, oltre a rifarsi all’articolo 2043 del codice civile in materia di risarcimento materiale del danno (“Titolo IX – Dei fatti illeciti. Art. 2043. Risarcimento per fatto illecito. Qualunque fatto doloso o colposo – c.c. 935, 939, 1173, 1219, 1227, 1229, 1338 – che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno”), hanno riconosciuto alla contribuente anche un danno morale derivante dal “patema d’animo e dallo stress” causati dalla ostinata resistenza dell’Agenzia delle Entrate, oltre che dalla impossibilità di rinegoziare il contratto di mutuo gravante sull’immobile determinato dalla illegittima iscrizione ipotecaria. Stante l’esito della sentenza, infine, secondo la CTP di Roma si sono delineati chiari profili di danno erariale, tali da disporre la comunicazione della sentenza alla Procura regionale della Corte dei Conti ai fini delle valutazioni di competenza.

Un solo precedente

Appare evidente come questa pronuncia risulti davvero rilevante nel contesto del risarcimento del danno morale per quanto riguarda il contenzioso tributario, che peraltro registra un unico precedente, rinvenibile in una sentenza della Commissione Tributaria Provinciale di Milano del 2007. In quel caso i giudici, pur riconoscendo i presupposti per la responsabilità aggravata, hanno accolto il ricorso del contribuente che chiedeva l’annullamento della cartella esattoriale emessa nei suoi confronti in materia di IRPEF per l’anno 2001, senza però giungere a una quantificazione del danno morale. Anche in quella circostanza l’ufficio delle Entrate, pur trovandosi dalla parte del torto, ha continuato ad avanzare la richiesta di pagamento dell’importo iscritto a ruolo. Le motivazioni dell’Agenzia, si legge nella sentenza, sono state ritenute “inopportune e gravemente pregiudizievoli per la conservazione di un corretto rapporto tra Amministrazione e contribuente, trattato senza il doveroso rispetto e addirittura con ironia, in deciso contrasto, quindi con quanto previsto dallo Statuto del contribuente”.

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