ECONOMIA FISCALITA

Scioglimento di società, quali adempimenti dichiarativi

L’art. 183 del TUIR (“Fallimento e liquidazione coatta”) sancisce che nei casi di fallimento e di liquidazione coatta amministrativa il reddito d’impresa relativo al periodo compreso tra l’inizio dell’esercizio e la dichiarazione di fallimento o il provvedimento che ordina la liquidazione è determinato in base al bilancio redatto dal curatore o dal commissario liquidatore. Per le imprese individuali e per le società in nome collettivo e in accomandita semplice tale reddito concorre a formare il reddito complessivo dell’imprenditore, dei familiari partecipanti all’impresa o dei soci relativo al periodo d’imposta in corso alla data della dichiarazione di fallimento o del provvedimento che ordina la liquidazione.

E’ in questo contesto che si inserisce la risoluzione n. 14/E del 1° febbraio 2017, emanata dall’Agenzia delle Entrate in risposta al commissario liquidatore di una società che ha presentato istanza di interpello per conoscere l’interpretazione dell’art. 183 TUIR e gli adempimenti dichiarativi da effettuare a seguito dello scioglimento della società disposto dall’Autorità di vigilanza ai sensi dell’art. 2545-septiesdecies del codice civile.

In particolare, l’istante ricorda che il citato art. 183 del TUIR dispone che, ai fini delle imposte sul reddito, l’intera fase del procedimento costituisce un “unico periodo d’imposta” qualunque sia la sua durata e anche in caso di esercizio provvisorio. Il dubbio interpretativo del commissario liquidatore riguarda la possibilità di applicare lo stesso principio anche al diverso istituto dello “Scioglimento per atto dell’autorità” (art. 2545-septiesdecies c.c.), ritenendo che, trattandosi anche in questo caso di scioglimento d’ufficio e non di una liquidazione volontaria, la procedura sia assimilabile alla liquidazione coatta e risulti pertanto applicabile quanto disposto dall’art. 183 TUIR, con conseguente possibilità di presentare un’unica dichiarazione dei redditi.

 

La risoluzione 14/E

Nella risposta dell’Agenzia si fa riferimento alla legge fallimentare (R.D. n. 267/1942), che all’art. 1 stabilisce che “Sono soggetti alle disposizioni sul fallimento e sul concordato preventivo gli imprenditori che esercitano una attività commerciale, esclusi gli enti pubblici” e, all’art. 2, che “La legge determina le imprese soggette a liquidazione coatta amministrativa, i casi per i quali la liquidazione coatta amministrativa può essere disposta e l’autorità competente a disporla”. Entrambe le procedure, quindi, sono applicabili a soggetti economici che svolgono attività di impresa e sono volte al soddisfacimento concorsuale dei creditori. A differenza di quanto previsto per il fallimento, al quale accedono solo i soggetti in possesso dei requisiti fissati dalla legge fallimentare, l’accesso alla liquidazione coatta ammnistrativa dipende da una specifica previsione normativa; in particolare, in materia vige una riserva di legge statale (art. 117 della Costituzione). La Corte Costituzionale ha infatti chiarito che “quando l’art. 2 della legge fallimentare prevede che a determinare le imprese assoggettabili a tale procedura concorsuale sia ‘la legge’, tale espressione deve essere intesa nel senso di legge idonea a incidere sul regime, sostanziale e processuale, delle situazioni soggettive coinvolte nella procedura. L’art. 183 del TUIR fissa i criteri di determinazione del reddito prodotto nel periodo di applicazione della procedura concorsuale, mentre il successivo art. 184 prevede che “Le disposizioni degli articoli 182 (liquidazione ordinaria n.d.r.) e 183 valgono, in quanto applicabili, anche nei casi di liquidazione e fallimento di enti diversi dalle società”. Tanto premesso, in merito all’equiparazione della procedura di liquidazione delle società cooperative disposta dal comma 2 dell’articolo 2545-septiesdecies c.c. alla liquidazione coatta amministrativa, si osserva quanto segue.

L’art. 2545-septiesdecies c.c. dispone che “L’autorità di vigilanza, con provvedimento da pubblicarsi nella Gazzetta Ufficiale e da iscriversi nel registro delle imprese, può sciogliere le società cooperative e gli enti mutualistici che non perseguono lo scopo mutualistico o non sono in condizione di raggiungere gli scopi per cui sono stati costituiti o che per due anni consecutivi non hanno depositato il bilancio di esercizio o non hanno compiuto atti di gestione. Se vi è luogo a liquidazione, con lo stesso provvedimento sono nominati uno o più commissari liquidatori”.

Si tratta di un procedimento limitato dalla norma in esame alle società cooperative e agli enti mutualistici che rientra, insieme alla Gestione commissariale, tra i provvedimenti sanzionatori derivanti dai controlli sulle Società cooperative. A queste tipologie va aggiunta la previsione dell’art. 2545-terdecies del codice civile secondo cui, in caso di insolvenza della società cooperativa, l’autorità governativa alla quale spetta il controllo dispone la liquidazione coatta amministrativa “con distinto e apposito provvedimento”.

In proposito l’Agenzia evidenzia che il citato art. 2545-septiesdecies contiene elementi rinvenibili nel potere dell’autorità di vigilanza di sciogliere il sodalizio quando non persegue lo scopo mutualistico o non sia in condizione di raggiungere gli scopi per cui è stato costituito, o che per due anni consecutivi non ha depositato il bilancio di esercizio o non ha compiuto atti di gestione.

Sottolinea inoltre che l’art. 1 della legge n. 400/1975 dispone che “la liquidazione coatta amministrativa delle società cooperative disposta ai sensi dell’articolo 2540 del codice civile, la liquidazione delle società cooperative conseguente allo scioglimento della società per atto dell’autorità nei casi di cui all’articolo 2544 del codice civile (…) è disciplinata dalle norme generali sulla liquidazione coatta amministrativa contenute nel titolo V del R.D., n. 267, del 16 marzo 1942 (legge fallimentare), salvo quanto previsto dalle leggi speciali e – in ogni caso – dalle disposizioni della presente legge”.

Essendo dunque in presenza, come richiesto dall’art. 117 della Costituzione, di un espresso rinvio alle procedure della liquidazione coatta amministrativa contenuto in una norma statale (art. 1, legge 400/1975), si può rispondere positivamente al quesito proposto, concludendo a favore dell’applicabilità dell’art. 183 del TUIR in caso di scioglimento per atto dell’autorità, nel caso in cui, ovviamente, si dia luogo alla liquidazione ai sensi del comma 2.

In entrambi i casi emerge la figura del commissario liquidatore, l’organo che sovrintende alla procedura, sottoposto al controllo e alle direttive dell’autorità di vigilanza e revocabile/sostituibile, la cui nomina viene disposta dall’autorità governativa o richiesta da creditori e altri interessati.

La risoluzione si chiude con la segnalazione dell’applicabilità dell’art. 183 del TUIR anche ai casi di scioglimento per atto dell’autorità, che sembra in linea con quanto evidenziato nella Relazione illustrativa agli artt. Del TUIR n. 182 (Liquidazione ordinaria) e 183 (Fallimento e liquidazione coatta).

Per quanto concerne l’art. 182 si legge, infatti, che “Si potrebbe forse sostenere che in ogni caso, considerata la funzione propria del procedimento liquidatorio, l’imposta debba essere applicata una sola volta a chiusura della liquidazione, come stabilito nel successivo art. 127 per la liquidazione fallimentare e per la liquidazione coatta amministrativa. Ma non si è ritenuto di poter prescindere da quei motivi di cautela fiscale, inerenti alla possibilità di impiego della liquidazione volontaria a fini dilatori ed elusivi, che già nel 1973 indussero il legislatore delegato a prevedere la tassazione a titolo provvisorio esercizio per esercizio”. In merito all’art. 183 si legge, poi, che “La liquidazione concorsuale, che non dà motivo alle preoccupazioni di cautela fiscale cui si deve il metodo di tassazione provvisoria anno per anno adottato per la liquidazione ordinaria, è considerata, dall’articolo in esame (e già dalle norme vigenti) come produttiva di un unico reddito (o perdita) quale che ne sia la durata ed anche se vi sia stato esercizio provvisorio come se costituisse un periodo d’imposta a sé stante”. La lettura della Relazione Ministeriale, si legge nel documento di prassi, evidenzia che l’opportunità di imporre la presentazione della dichiarazione dei redditi in ciascun periodo d’imposta ordinario “è riconducibile ai possibili fini dilatori ed elusivi perpetrabili per mezzo di un lungo procedimento di liquidazione volontaria. Ad analoghe conclusioni non può, invece, giungersi con riferimento ad una liquidazione condotta da appositi organi di nomina amministrativa, sottoposti a specifici controlli”.

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