CASSAZIONE

Sbagliata concessione di sgravio su cartella di pagamento e recupero somme

Tributi – Errata concessione di sgravio su cartella di pagamento – Recupero somme sgravate – Art. 25 D.P.R. 602/73 – Emissione nuova cartella di pagamento – Applicazione disciplina di recupero somme rimborsate – Esclusione – Rispetto dei termini ordinari – Necessità

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 18407 del 12 luglio 2018, ha ricordato che il Fisco deve provvedere al recupero dei tributi illegittimamente sgravati entro i termini ordinari previsti, a pena di decadenza dell’azione di riscossione, e che non può beneficiare dei più ampi termini previsti per il recupero delle somme indebitamente rimborsate.

Lo sgravio della cartella esattoriale è la richiesta che il debitore inoltra all’ufficio dell’ente creditore (impositore) che ha formato il ruolo della cartella esattoriale, quando ritiene infondato l’addebito riportato nella cartella esattoriale stessa.

Al fine, poi, di garantire l’interesse del contribuente alla conoscenza in termini certi della pretesa tributaria derivante dalla liquidazione delle dichiarazioni, e di assicurare l’interesse pubblico alla riscossione dei crediti tributari, la notifica delle relative cartelle di pagamento dev’essere effettuata, a pena di decadenza entro i termini stabiliti dall’art. 25, DPR n. 602/73.

E’ bene precisare che nel tempo si sono succedute importanti modifiche che in breve riassumiamo.

Venuto meno, a far data dal 9 giugno 2001 (data di entrata in vigore del D.lgs. n. 193/2001), il termine di decadenza previsto dall’art. 25, DPR n. 602/73 per la notifica della cartella di pagamento, e in considerazione della disposizione espressamente definita di interpretazione autentica, contenuta nell’art. 28 della legge 27 dicembre 1997, n. 449, che aveva dichiarato “non perentorio” il termine annuale per la rettifica in controllo automatizzato delle dichiarazioni fissato dall’art. 36-bis, DPR n. 600/73, le SS.UU. della Cassazione erano intervenute a colmare la completa mancanza di termini perentori per l’esercizio della potestà impositiva determinatasi a seguito del combinato disposto normativo sopra indicato statuendo, con sentenza n. 21498 del 12 novembre 2004, che “non essendo concepibile che il cittadino resti soggetto <sine die> al potere dell’Amministrazione, il termine di decadenza entro cui va circoscritta l’azione accertatrice dell’Amministrazione finanziaria va ricollegato, nelle ipotesi di “controllo cd. formale” (o, più rettamente, cartolare), a cui segua una mera attività di liquidazione, a quello per l’iscrizione a ruolo, fissato nell’art. 17, comma primo, d. P.R. n. 602 del 1973 (nel testo vigente <ratione temporis>), mentre nelle ipotesi di “rettifica cartolare” (o formale), il relativo potere deve, a pena di decadenza, essere esercitato mediante la notifica dell’atto impugnabile (la cartella di pagamento) entro il termine stabilito, in via generale, dal comma primo dell’art. 43 d.P.R. n. 600 del 1973 (nel testo applicabile <ratione temporis>)”.

Tale soluzione non era stata tuttavia ritenuta praticabile dalla Corte Costituzionale, investita della questione di legittimità dell’art. 25, DPR n. 602/73 come modificato dal D.lgs. n. 193/2001, che nella ordinanza 19 novembre 2004, n. 352, aveva rilevato come – pur non dovendo il carattere perentorio di un termine risultare in modo esplicito dalla norma, ben potendo esso desumersi dalla funzione che al termine chiaramente assegna la legge “dal combinato disposto degli articoli 17 del DPR n. 602/73 e 43, DPR n. 600/73 per la consegna del ruolo ai fini del visto di esecutorietà (e, quindi, per un’attività interna all’ufficio)’’ – non potesse desumersi che nel termine ivi previsto “debba altresì provvedersi alle successive attività di consegna del ruolo al concessionario e di notifica della cartella di pagamento al contribuente (previste dagli articoli 24 e 25 del d.P.R. n. 602 del 1973)”, attesa “l’impossibilità logica di includere, in un termine previsto esplicitamente per un’attività preliminare, anche ulteriori attività ad essa successive”.

In seguito la questione relativa alla mancanza di un termine di decadenza per la notificazione delle cartelle di pagamento approdava nuovamente avanti alla Corte Costituzionale, che con sentenza 7 luglio 2005, n. 280, dichiarava l’illegittimità costituzionale dell’art. 25, DPR n. 602, nel testo modificato dal D.lgs. n. 193/2001, nella parte in cui non prevedeva alcun termine a pena di decadenza entro il quale si doveva notificare al contribuente la cartella di pagamento (la Corte dava altresì atto della inefficacia del termine di decadenza stabilito dalla modifica dell’art. 25, DPR n. 602/73 disposta dall’art. 1, comma 417 della legge 30/12/2004, n. 311), norma peraltro non investita dalla questione di costituzionalità, in quanto la decorrenza di tale termine era collegata alla consegna dei ruoli al concessionario, attività per la quale non era previsto alcun termine, venendo in tal modo ad essere resa praticamente inefficace la stessa funzione del termine di decadenza.

Il Legislatore ha quindi inteso conformarsi alla pronuncia del Giudice delle Leggi adottando il decreto legge 17/6/2005, n. 106, convertito con modificazioni nella legge 31/7/2005, n. 156, ridisciplinando la intera materia dei termini di decadenza sia per l’attività di accertamento che per la notificazione delle cartelle.

Tanto premesso, la vicenda in questione esaminata dai Giudici di legittimità nasce dal provvedimento con il quale l’Agenzia delle Entrate aveva disposto l’emissione, nei confronti del contribuente, di una cartella di pagamento per il recupero di imposte illegittimamente sgravate, oggetto di una precedente cartella di pagamento.

Nel successivo ricorso presentato presso le Commissioni tributarie, il contribuente aveva sostenuto l’avvenuto decorso dei termini di riscossione. Ipotesi non convalidata dai giudici tributari, che avevano invece reputato tempestiva la nuova cartella ritenendo applicabile la previsione relativa al recupero di imposte indebitamente “rimborsate”, che riconosce al Fisco un termine più ampio, in considerazione della valenza di rimborso attribuita allo sgravio.

Questa tesi non ha però convinto i Giudici del Palazzaccio, che hanno invece sottolineato che in base alle norme in materia di riscossione delle imposte, l’Amministrazione finanziaria provvede al recupero delle somme erroneamente rimborsate e degli interessi eventualmente corrisposti, notificando la relativa cartella di pagamento, a pena di decadenza, entro il 31 dicembre del terzo anno successivo a quello di esecuzione del rimborso o, se più ampio, entro il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui è stata presentata la dichiarazione, maggiorato di dodici mesi.

Riguardo a detta previsione, i giudici della Suprema Corte hanno precisato che il presupposto per l’applicazione di tale norma è il recupero di imposte erroneamente rimborsate, cioè somme materialmente pagate dall’Erario al contribuente.

La stessa disposizione, quindi, non può ritenersi applicabile nel caso di recupero di somme oggetto di precedente sgravio, mancando la circostanza del materiale trasferimento di denaro: in tal caso trovano applicazione, invece, le ordinarie disposizioni sulla riscossione della sentenza passata in giudicato.

In particolare, “…Osserva preliminarmente la Corte che le eccezioni di inammissibilità del ricorso formulate dalla controricorrente agenzia delle entrate sono infondate. Ciò in quanto la questione di diritto oggetto della sentenza e del presente gravame risulta essere stata posta a base del ricorso fin dal primo grado di giudizio né si appalesava necessaria alcuna ulteriore specificazione.

  1. I primi tre motivi di ricorso debbono essere esaminati congiuntamente in quanto sottendono la medesima questione giuridica. Essi sono fondati. Ciò in quanto il presupposto per l’applicazione della norma di cui all’art. 43 d.p.r. 602/73 è il recupero di somme erroneamente versate ; mentre nel caso di specie si tratta di emissione di una nuova cartella esattoriale dopo che la prima era stata erroneamente sgravata. In tal caso si applica l’art. 25 del d.p.r. 602/73 e l’amministrazione finanziaria, la quale ha per errore disposto lo sgravio della prima cartella, può emettere un’altra cartella purché i termini per l’emissione della cartella non siano decorsi in relazione al periodo di imposta cui attiene il recupero. L’agenzia delle entrate è, dunque, facoltizzata ad emettere una nuova cartella, ma nel rispetto dei termini previsti a pena di decadenza e sempreché sulla cartella impugnata non sia stata pronunciata sentenza passata in giudicato (cfr. Cass. n. 8292 del 8/3/2018).

 

CORTE DI CASSAZIONE Sentenza 12 luglio 2018, n. 18407

 

Sul ricorso 17019-2011 proposto da:

A.M., elettivamente domiciliato in ROMA VIA DI VILLA GRAZIOLI 5, presso lo studio dell’avvocato AMEDEO TONACHELLA, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato LEONARDO MUSURACA giusta delega in calce;

– ricorrente –

contro AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

nonché contro EQUITALIA ESATRI SPA, AGENZIA DELLE ENTRATE UFF.DI MONZA l;

– intimati –

avverso la sentenza n. 67/2010 della COMM.TRIB.REG. di MILANO, depositata il 07/05/2010;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 08/06/2018 dal Consigliere Dott. LIANA MARIA TERESA ZOSO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. UMBERTO DE AUGUSTINIS che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito per il controricorrente l’Avvocato GAROFOLI che ha chiesto il rigetto.

Esposizione dei fatti di causa

  1. A.M. proponeva ricorso avverso la cartella esattoriale relativa agli anni dal 1994 al 2001, con cui l’Agenzia delle Entrate aveva recuperato somme illegittimamente sgravate, eccependo la decadenza dell’amministrazione finanziaria dal potere di riscossione ai sensi dell’articolo 25 del d.p.r. 602/73. La Commissione Tributaria Provinciale di Milano accoglieva il ricorso.

Proposto appello da parte dell’Agenzia delle Entrate, la Commissione Tributaria Regionale della Lombardia lo accoglieva respingendo il ricorso del contribuente sul rilievo che l’articolo 43 del d.p.r. 602/73 prevedeva che l’ufficio provvedesse al recupero delle somme erroneamente rimborsate e degli interessi eventualmente corrisposti entro il 31 dicembre del terzo anno successivo a quello di esecuzione del rimborso e tale norma disciplinava il recupero di tutte le somme erroneamente rimborsate dall’ufficio mediante iscrizione a ruolo; non si ricavava dalla norma stessa che il procedimento di recupero delle somme dovute all’erario fosse precluso quando fosse stato disposto lo sgravio della cartella esattoriale, posto che lo sgravio aveva valore di rimborso.

  1. Avverso la sentenza della CTR propone ricorso per cassazione il contribuente affidato a quattro motivi. L’Agenzia delle Entrate si è costituita in giudizio con controricorso.

Esposizione delle ragioni della decisione

  1. Con il primo ed il secondo motivo il contribuente deduce nullità della sentenza, ai sensi dell’art. 360 n. 4 cod. proc. civ., per error in judicando in relazione agli articoli 25 e 43 del d.p.r. 602/73. Sostiene che la CTR è incorsa in errore di diritto poiché la norma di cui all’articolo 43 cit. si applica solo nel caso in cui l’agenzia delle entrate abbia disposto il rimborso di somme erroneamente versate e non anche nel caso in cui sia disposto lo sgravio di una cartella in relazione alla quale non è stato corrisposto il versamento di alcun importo, dovendosi applicare in tal caso l’articolo 25 del d.p.r. 602/73 ed i termini da tale norma previsti.
  2. Con il terzo motivo deduce difetto di motivazione per aver la CTR basato il proprio ragionamento sull’articolo 43 del d.p.r. 602/72, omettendo di valutare tutti gli ulteriori aspetti giuridici indicati dalle parti.
  3. Con il quarto motivo deduce violazione di legge, ai sensi dell’art. 360 n. 3 cod. proc. civ., per non aver la CTR dichiarato la nullità della cartella derivante dalla mancata indicazione in essa del funzionario responsabile del procedimento.
  4. Osserva preliminarmente la Corte che le eccezioni di inammissibilità del ricorso formulate dalla controricorrente agenzia delle entrate sono infondate. Ciò in quanto la questione di diritto oggetto della sentenza e del presente gravame risulta essere stata posta a base del ricorso fin dal primo grado di giudizio né si appalesava necessaria alcuna ulteriore specificazione.
  5. I primi tre motivi di ricorso debbono essere esaminati congiuntamente in quanto sottendono la medesima questione giuridica. Essi sono fondati. Ciò in quanto il presupposto per l’applicazione della norma di cui all’art. 43 d.p.r. 602/73 è il recupero di somme erroneamente versate ; mentre nel caso di specie si tratta di emissione di una nuova cartella esattoriale dopo che la prima era stata erroneamente sgravata. In tal caso si applica l’art. 25 del d.p.r. 602/73 e l’amministrazione finanziaria, la quale ha per errore disposto lo sgravio della prima cartella, può emettere un’altra cartella purché i termini per l’emissione della cartella non siano decorsi in relazione al periodo di imposta cui attiene il recupero. L’agenzia delle entrate è, dunque, facoltizzata ad emettere una nuova cartella, ma nel rispetto dei termini previsti a pena di decadenza e sempreché sulla cartella impugnata non sia stata pronunciata sentenza passata in giudicato (cfr. Cass. n. 8292 del 8/3/2018 ).
  6. Il quarto motivo di ricorso rimane assorbito.
  7. Il ricorso va dunque accolto e l’impugnata sentenza cassata. Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa va decisa nel merito, a norma dell’art. 384, comma 2, cod. proc. civ., ed il ricorso originario del contribuente va accolto. Le spese processuali dei giudizi di merito si compensano tra le parti per il dispiegarsi delle vicende processuali e quelle di questo giudizio, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, accoglie il ricorso originario del contribuente annullando l’atto impositivo. Compensa le spese processuali relative ai giudizi di merito e condanna l’Agenzia delle Entrate a rifondere al contribuente le spese processuali di questo giudizio che liquida in complessivi euro 6.000,00, oltre al rimborso delle spese forfettarie nella misura del 15% ed oltre agli accessori di legge.

 

 

 

 

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