CASSAZIONE

Riduzione delle accise e invio della dichiarazione senza controllo ma certificando i requisiti: concorso in falso ideologico per il professionista

Reati tributari – Accertamento – Detrazioni fiscali – Rimborsi delle accise sui gasoli – Servizio telematico – Falsità dei dati trasmessi all’Ufficio delle Dogane – Art. 40, c. 1, D.lgs. n. 504/95

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 44097 del 4 ottobre 2018, è nuovamente intervenuta per affrontare il delicato tema della responsabilità professionale del consulente fiscale, soffermandosi in particolare su chi ha l’obbligo di trasmettere telematicamente all’Autorità competente i dati fiscali del cliente rilevanti ai fini dell’imposizione o del rimborso fiscale.

La S.C. ha ritenuto che il commercialista che attesta in atto pubblico la sussistenza, in capo al cliente, di requisiti a quel fine normativamente richiesti senza averne consapevolmente verificata l’effettiva esistenza, concorre con il medesimo, quanto meno a titolo di dolo eventuale, nel reato di falso ideologico.

Ricordiamo che la riforma dei reati tributari (art. 12, D.lgs. n. 158/2015) ha stabilito la responsabilità fiscale del professionista che prende parte con il contribuente alla commissione dell’illecito.

I reati penali possono coinvolgere il consulente fiscale che fornisce pareri in materia o suggerimenti circa la conduzione e l’organizzazione dell’attività imprenditoriale del cliente, tenendo conto però che la configurazione del reato avviene solo in presenza dell’elemento soggettivo del dolo: in altre parole, occorre che sia cosciente di commettere reato, in caso contrario non può essere punibile penalmente. Inoltre, come si deduce esaminando alcune precedenti pronunce sul tema, può avvenire che il consulente sia partecipe all’evasione di imposte, suggerendo con quali modalità aggirare le prescrizioni normative o inducendo il contribuente a evadere, mentre non può essere accusato di reato penale in caso di incapacità o incoscienza, come affermato dalla Cassazione (sentenza n. 4383 del 10 dicembre 2013). Anche la recente sentenza n. 1999 del 18 gennaio 2018, emessa dalla Sez. III penale della Corte di Cassazione, puntualizza il tema relativo ai profili di responsabilità penale e amministrativa del consulente in ordine alle correlative violazioni commesse dal contribuente, nell’ambito del rapporto professionale con quest’ultimo. Il consulente risponde di concorso nel reato di frode fiscale commesso dal cliente quando egli è stato l’ispiratore della frode, anche quando a beneficiarne sia stato esclusivamente il cliente.

Nella citata sentenza gli Ermellini riportavano che “… non può dubitarsi circa la responsabilità concorsuale del professionista in consimili ipotesi. Deve, infatti, ritenersi responsabile in concorso il consulente fiscale, per la violazione commessa dal cliente (come nel caso di specie, di indebite compensazioni: v., in termini, Sez. 3, sentenza n. 24166 del 2011, ud. 5/05/2011 – dep. 16/06/2011, ric. Cascino, non massimata), quando sia l’ispiratore della frode, ed anche se per avventura solo il cliente abbia beneficiato della frode. Pertanto, la responsabilità penale del commercialista a titolo di concorso di persone nel reato sussiste solo in caso di dolo. La condotta dolosa da parte del consulente, consiste infatti nell’essere consapevole e cosciente del fatto che sta ponendo in essere una frode fiscale. Nella fattispecie sottoposta a questa Corte, il tribunale aveva rilevato che il professionista, anche in proprio, si era avvalso del medesimo sistema di indebita compensazione utilizzato per le società e l’aveva poi utilizzato per i clienti. Non si era comportato da consulente fiscale che, nell’ambito della propria attività, fornisce suggerimenti alle società assistite ma, partecipando in pieno alle operazioni illecite, invece, ne aveva assunto il ruolo di regista e aveva ideato lo schema dell’indebita compensazione, tramite F24, di crediti inesistenti, con la finalità di omettere i versamenti IVA dovuti”.

E’ peraltro significativa la puntualizzazione, nella sentenza, sull’aggravante in capo al professionista che progredisce dove l’elaborazione o la commercializzazione di modelli di evasione fiscale sia caratterizzata da “serialità”, vale a dire una certa abitualità e professionalità nella condotta incriminata.

Tornando al caso di specie un commercialista veniva condannato nel doppio grado di merito per il reato di cui agli artt. 110, 81, cpv., 483 cod. pen., 14, comma 4, d.lgs. n. 504 del 1995 (in concorso con il cliente legale rappresentante di una società di capitali): gli era contestato di avere, con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, redatto dichiarazioni sostitutive di atto notorio, poi trasmesse per via telematica all’Agenzia delle Dogane di Trento, attestando falsamente che la società di trasporti poteva fruire della riduzione dell’aliquota di accisa sul gasolio per autotrazione, consentendo così di evadere l’importo complessivo di 31.841,74 euro.

La Corte di legittimità, nell’interessante ricostruzione dell’istituto fiscale oggetto della condotta illecita descritta nell’imputazione, ricorda inizialmente la disciplina dei rimborsi delle accise, regolamentata dal DPR 9 giugno 2000, n. 277, passando poi a censurare le critiche della difesa mosse alla sentenza resa in grado di appello dalla Corte territoriale di Trento, offrendo una interessante spiegazione sui motivi di diniego: “ … Tanto premesso, osserva questa Corte che: la dichiarazione sostitutiva di atto notorio riporta notizie fornite dall’autotrasportatore mediante la produzione delle fatture e dell’ulteriore documentazione richiesta; la consapevole indicazione, da parte dell’autotrasportatore, di dati decisivi oggettivamente falsi destinati a confluire nella dichiarazione sostitutiva costituisce condotta che integra il reato di cui all’art. 483 cod. pen., nella forma dell’autore mediato di cui all’art. 48 cod. pen., se in conseguenza di tale condotta l’autore della dichiarazione (o della sua trasmissione) è stato tratto in inganno;il commercialista, però, non si è limitato, nel caso di specie, a recepire e trasmettere i dati contenuti nelle fatture trasmessegli, ma ha positivamente concorso ad attestare anche il possesso degli ulteriori requisiti in capo all’autotrasportatore dei quali, a suo dire, ignorava la sussistenza, consentendogli di fruire di benefici fiscali nella consapevolezza, anche solo sotto il profilo del dolo eventuale, della loro natura indebita;. tale condotta integra, a sua volta, il reato di cui all’art. 483 cod. pen., punito a titolo di dolo generico, e il concorso nel reato di cui all’art. 14, comma 4, d.lgs. n. 504 del 1995; come insegnato da questa Corte, il dolo integratore del delitto di falsità ideologica di cui all’art. 483 cod. pen. è costituito dalla volontà cosciente e non coartata di compiere il fatto e nella consapevolezza di agire contro il dovere giuridico di dichiarare il vero (Sez. 2, n. 47867 del 28/10/2003, Ammatura, Rv. 227078; Sez. 5, n. 315 del 25/03/1968, Buo, Rv. 108270; Sez. 5, n. 729 del 10/05/1967, Rv. 105363);non può dunque essere attribuita a negligenza/imprudenza/imperizia la precisa scelta del commercialista di non verificare il possesso, da parte dell’autotrasportatore, di requisiti dei quali ignorava l’esistenza e che era tenuto a verificare per impedire proprio rimborsi non dovuti; dalla convergenza di queste due condotte, ognuna autosufficiente sul piano della integrazione dei reati, non è manifestamente illogico desumere la sussistenza di un accordo tra i due imputati, con la conseguenza che ciascuno risponde anche della (porzione) di condotta dell’altro; peraltro, secondo l’autorevole insegnamento di questa Corte, la volontà di concorrere non presuppone necessariamente un previo accordo o, comunque, la reciproca consapevolezza del concorso altrui, essendo sufficiente che la coscienza del contributo fornito all’altrui condotta esista unilateralmente, con la conseguenza che essa può indifferentemente manifestarsi o come previo concerto o come intesa istantanea ovvero come semplice adesione all’opera di un altro che rimane ignaro (Sez. U, n. 31 del 22/11/2000, Sormani, Rv. 218525; la responsabilità di chi coopera ad un fatto criminoso non presuppone la convergenza psicologica sull’evento finale perseguito da altro dei concorrenti, essendo sufficiente che il suo apporto sia stato prestato con consapevole volontà di contribuire, anche solo agevolandola, alla verificazione del fatto criminoso (Sez. 6, n. Sez. 1, n. 15860 del 09/12/2014, Crivellari, Rv. 263089; Sez. 6, n. 46309 del 09/10/2012, Angotti, Rv. 253984; Sez. 5, n. 25894 del 15/05/2009, Catanzaro, Rv. 243901; Sez. 6, n. 1271 del 05/12/2003, Misuraca, Rv. 228424; Sez. 2, n. 18745 del 15/01/2003, Ambrosiano, Rv. 255260, secondo cui assume carattere decisivo l’unitarietà del “fatto collettivo” realizzato che si verifica quando le condotte dei concorrenti risultino, alla fine, con giudizio di prognosi postumo, integrate in unico obiettivo, perseguito in varia e diversa misura dagli imputati, sicché è sufficiente che ciascun agente abbia conoscenza, anche unilaterale, del contributo recato alla condotta altrui)”.

 

CORTE DI CASSAZIONE Sentenza 4 ottobre 2018, n. 44097

 

Sui ricorsi proposti da:

  1. W. nato a M. B.( PAKISTAN) il 10/12/1985, M. E. nato a BREZ il 31/03/1946 avverso la sentenza del 17/03/2017 della CORTE APPELLO di TRENTO

visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi;

udita la relazione svolta dal Consigliere ALDO ACETO;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore PIETRO MOLINO che ha concluso chiedendo il rigetto dei ricorsi.

Ritenuto in fatto

  1. I sigg.ri I. W. e M. E. ricorrono per l’annullamento della sentenza del 17/03/2017 della Corte di appello di Trento che, rigettando le loro impugnazioni avverso la sentenza di condanna del 01/04/2016 del Tribunale di quello stesso capoluogo, ha confermato la loro condanna, alla pena ritenuta di giustizia, per il reato di cui agli artt. 110, 81, cpv., 483 cod. pen., 14, comma 4, d.lgs. n. 504 del 1995, perché, in concorso fra loro e con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, l’I. quale legale rappresentante della società <<G.T.>> e fornitore dei dati da inserire nelle dichiarazioni, il M. quale compilatore e sottoscrittore delle dichiarazioni stesse con la propria firma digitale, nelle dichiarazioni sostitutive di atto notorio trasmesse per via telematica all’Agenzia delle Dogane di Trento avevano attestato falsamente che la <<G.T.>> poteva fruire della riduzione dell’aliquota di accisa sul gasolio per autotrazione consentendo così all’I. di evadere l’importo complessivo di 31.841,74 euro.

I fatti sono contestati come commessi in Trento, dal 01/01/2011 al 29/10/2012.

  1. I. W. articola tre motivi.

2.1. Con il primo eccepisce, ai sensi dell’art. 606, lett. b) ed e), cod. proc. pen., l’inosservanza/erronea applicazione dell’art. 483 cod. pen. e vizio di motivazione assente.

Premette, in fatto, che egli, pachistano, quasi analfabeta e a digiuno della normativa di settore, si era limitato a seguire le istruzioni ricevute dallo studio del commercialista M. al quale si era rivolto. Questi, dichiaratosi esperto del settore, aveva materialmente provveduto a compilare le istanze indicate nella rubrica sulla base della documentazione a lui (ricorrente) richiesta. La sentenza impugnata tace completamente sul proprio apporto causale al falso del commercialista, posto che la fornitura della documentazione necessaria non è di per sé un presupposto logico stringente della successiva attività del M. il quale, secondo un comportamento tenuto anche in casi simili e che gli era valsa la nomea di buon commercialista tra i camionisti, avrebbe plausibilmente proceduto a “ritoccare” le dichiarazioni per ottenere i rimborsi delle accise sui gasoli.

Tale conclusione è confermata dal fatto che dall’istruttoria dibattimentale non è mai emersa la volontà dell’I. di ottenere fraudolentemente i rimborsi non dovuti, né esistono prove di questo intento truffaldino, con esclusione, di conseguenza, dell’elemento soggettivo del reato. Si sarebbe potuto addebitare al ricorrente un atteggiamento colposo (sotto forma di “culpa in eligendo”), ma mai doloso. Appare provato in atti che:

  1. a) il M. era un esperto del settore;
  2. b) lo stesso venne processato e sempre assolto per fatti analoghi a quelli oggetto di odierno processo, come risulta dalle numerose sentenze prodotte in giudizio. A conferma della sua reputazione come persona esperta sta il fatto che molti autotrasportatori si erano affidati a lui; il fatto che alcuni suoi clienti furono sottoposti a processo penale prova solamente che egli non fosse realmente all’altezza della sua reputazione, ma questo prova solo l’imprudenza del ricorrente, non il dolo. Il nostro ordinamento non conosce il falso colposo.

In ogni caso la Corte di appello non affronta affatto questo argomento.

Manca, inoltre, qualsiasi motivazione relativa alla sussistenza del dolo di concorso nel reato; è evidente, infatti, che la condanna dell’I. si fonda esclusivamente su una presunzione. Il fatto che egli si fosse rivolto al M. e che questi abbia compilato un’istanza fraudolenta non giustifica, sul piano logico, l’attribuzione all’I. della responsabilità per fatto altrui.

A comprova di ciò si aggiunge che su alcuni documenti è stata apposta una firma non riconducibile alla mano dell’I.. Sul punto, evidente “ictu oculi”, vi era stata un’esplicita doglianza del tutto negletta dalla Corte di appello. Del resto, prosegue, le dichiarazioni sostitutive recano in calce esclusivamente la firma del M..

Le uniche firme apparentemente riconducibili all’I. sono quelle poste nell’Adesione al servizio telematico digitale al quale è allegata una Scheda informativa contenente i dati del M. quale “sottoscrittore diverso dal richiedente” e un foglio libero di autorizzazione del M. e della sua segretaria E. a ritirare il numero di autorizzazione e i dati necessari alla compilazione della richiesta. Le firme di questi tre atti non sono del ricorrente. E’ fin troppo evidente capire chi possa aver apposto quelle firme; è sufficiente confrontarle con quella della E., come peraltro suggerito al PM dalla stessa PG.

2.2. Con il secondo motivo eccepisce, ai sensi dell’art. 606, lett. b) ed e), cod. proc. pen., l’inosservanza/erronea applicazione degli artt. 14, comma 7 (rectius, 4), e 40, comma 1, d.lgs. n. 504 del 1995, e dell’art. 483 cod. pen., e vizio di motivazione illogica/assente.

Deduce che la Corte di appello, citando giurisprudenza della Corte di cassazione, ha ritenuto la sua penale responsabilità per il reato di cui all’art. 40, comma 1, d.lgs. n. 504 del 1995, perché essersi rivolto ad un commercialista non esauriva il suo dovere di attivazione, rimanendo egli il titolare di una (supposta e non meglio definita) posizione di garanzia verso l’Erario.

In realtà, i principi di diritto citati dalla Corte di appello non si attagliano al caso di specie nel quale rileva non la violazione dell’art. 40, comma 1, d.lgs. n. 504 del 1995, bensì dell’art. 14, comma 7 (rectius, 4), dello stesso decreto, equiparato solo “quoad poenam” all’art. 40, cit. Non è corretto, pertanto, porre la questione in termini di conoscenza del precetto penale: l’I. conosceva la disciplina, sapeva che poteva richiedere le detrazioni sui gasoli e poteva immaginare la rilevanza penale di condotte fraudolente.

Si era rivolto al commercialista perché da solo non avrebbe potuto attendere all’espletamento delle pratiche. Bisognerebbe piuttosto chiedersi quale fosse l’atteggiamento interiore del soggetto in riferimento al reato contestato e, cioè, alle dichiarazioni infedeli volte a ottenere rimborsi per importi non dovuti.

Si ipotizza che egli abbia agito in concorso doloso con il M., ma dall’istruttoria non è emerso alcunché che possa far concludere per l’affermazione della sua penale responsabilità, né sotto il profilo del dolo, né sotto quello di eventuali accordi con il commercialista.

Al più, l’I. si può essere negligentemente disinteressato delle pratiche da sbrigare, ma tale atteggiamento esclude il dolo, né vi è traccia di un accordo criminoso. Se il M. ha ritenuto di far lucrare ai suoi clienti vantaggi illeciti, ciò non prova di per sé un consenso dell’I., il quale si era rivolto al commercialista sol perché noto nell’ambiente degli autotrasportatori. La Corte di appello, invece, ha ritenuto l’I. colpevole perché autotrasportatore e sol perché si era rivolto ad un commercialista, presumendo in tal modo il concorso in un’azione che da lui non era dipesa minimamente. E’ evidente, invece, la natura intrinsecamente colposa del comportamento dell’I. e ciò anche in base a due ulteriori considerazioni:

  1. a) il principio del legittimo affidamento nell’operato del professionista;
  2. b) la personale condizione dell’I., straniero, non padrone della lingua italiana, non a conoscenza della complessa legislazione in materia tributaria.

Nella sentenza impugnata non v’è traccia di motivazione su questi argomenti.

E’ invece evidente che il reato deve essere attribuito all’autonoma iniziativa del M.; non v’è alcuna prova della partecipazione psicologica dell’I. all’accordo criminoso. Il difetto dell’elemento psicologico sarebbe stato ancor più evidente se la Corte di appello avesse accolto la richiesta di rinnovazione dell’istruttoria al fine di accertare, mediante perizia, la falsità delle firme poste in calce alla richiesta di iscrizione al servizio telematico dell’Agenzia delle Entrate. Il che risalta ancor più il difetto di motivazione della sentenza impugnata.

2.3. Con il terzo motivo eccepisce, ai sensi dell’art. 606, lett. b), cod. proc. pen., l’inosservanza/erronea applicazione dell’art. 81 cod. pen. Deduce che, in assenza di prova dell’esistenza di un progetto criminoso, i reati a lui ascritti non sarebbero avvinti da un medesimo disegno criminoso ma concorrerebbero formalmente.

  1. M. E. articola tre motivi.

3.1. Con il primo, deducendo l’assenza del dolo di concorso nel reato, sotto il profilo della mancanza di consapevolezza del falso dell’I., e lamentando che

la Corte di appello ha liquidato in poche battute la questione devoluta con l’impugnazione, eccepisce, ai sensi dell’art. 606, lett. b), cod. proc. pen., l’inosservanza o l’erronea applicazione della legge penale. Precisa che egli, nell’esercizio della sua professione, non è in grado di verificare i dati che i clienti gli consegnano quando funge da intermediario per l’invio di dichiarazioni sostitutive telematiche, come è stato dimostrato nella fase di merito.

3.2. Con il secondo motivo, deducendo la mancanza di consapevolezza del falso, e lamentando il carente accertamento sul punto, eccepisce, ai sensi dell’art. 606, lett. b), cod. proc. pen., l’inosservanza o l’erronea applicazione della legge penale.

Anche ammettendo il dolo eventuale di falso, ciò non toglie che tale aspetto debba essere rigorosamente accertato, non potendo l’indagine esaurirsi nella mera constatazione della compilazione dei documenti. Dai fatti di causa – prosegue – non è emersa alcuna volontà di agevolare la condotta illecita dell’I. né di averla in qualche misura prevista; al massimo gli si potrebbe rimproverare una leggerezza, un’imperizia, persino nella forma della colpa cosciente, non di certo la volontà consapevole di concorrere a commettere un falso. Del resto – aggiunge – per fatti analoghi, contestati come commessi in concorso con altra persona, lo stesso Tribunale lo aveva assolto per mancanza di dolo. Nel caso di specie, invece, il Tribunale e la Corte di appello lo hanno ritenuto penalmente responsabile sul rilievo che avrebbe dovuto controllare i dati ricevuti dal cliente prima di comunicarli all’Agenzia delle Entrate. L’aver omesso tale controllo – ribadisce – può giustificare un rimprovero a titolo di colpa, ma non di dolo, non potendosi presumere la cattiva fede del cliente, come invece sostenuto dai Giudici di merito in base al rapporto professionale.

3.3. Con il terzo motivo, sviluppando, sotto altro profilo, gli argomenti proposti con il secondo, eccepisce, ai sensi dell’art. 606, lett. b), cod. proc. pen., l’inosservanza o l’erronea applicazione dell’art. 48 cod. pen. Deduce che la condotta di invio dei dati da parte dell’I. lo ha ingannato, avendo egli agito da mero tramite. Sicché, in applicazione dell’art. 48 cod. pen., del fatto avrebbe dovuto rispondere solo l’I. cui appartengono le componenti intellettive e volitive del fatto.

3.4. Con il quarto motivo eccepisce, ai sensi dell’art. 606, lett. e), cod. proc. pen., il vizio di mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione in punto di ricostruzione del fatto. Deduce che, in violazione del principio dell’’oltre ogni ragionevole dubbio”, la propria responsabilità è stata affermata in base alla sola condotta materiale di inserimento e invio dei dati telematici, ma il punto non trova adeguato riscontro nemmeno nelle risultanze processuali. Dall’istruttoria è emerso che il suo studio forniva ai clienti tutte le informazioni necessarie per la consegna del corretto materiale per la redazione delle dichiarazioni, sincerandosi che fosse tutto chiaro. Il materiale veniva firmato dai clienti, che sottoscrivevano anche la delega all’invio degli atti da parte del titolare della firma digitale, e trasmesso telematicamente dopo la materiale compilazione della dichiarazione.

Appare, perciò, evidente il ruolo di mero intermediario inconsapevole da lui svolto rispetto ai dati comunicati dalla società <<G.T.I>> e certamente sussistevano validi argomenti per ritenere ragionevole il dubbio della propria dolosa compartecipazione.

Considerato in diritto

4.1 ricorsi sono infondati.

  1. Gli imputati sono stati ritenuti responsabili dei reati di cui agli artt. 483 cod. pen., e 14, comma 4, 40, comma 1, lett. b), d.lgs. n. 594 del 1995, contestati nei termini già riportati sub §1 della premessa in fatto.

5.1.1 loro ricorsi non propongono il tema della oggettiva sussistenza dei reati, sotto il profilo dell’oggettiva falsità dei dati trasmessi all’Ufficio delle Dogane di Trento e della natura indebita delle somme ottenute dall’I. a titolo di rimborso sulle accise. Le difese, epurati i ricorsi dagli inammissibili quanto generici richiami ai risultati dell’istruttoria dibattimentale, si concentrano piuttosto sulla dedotta inesistenza di un accordo e sull’insussistenza, sotto vari profili, del dolo.

5.2. Costituisce un dato assodato che all’Ufficio delle Dogane di Trento fu ripetutamente dichiarato che l’I., nel periodo di tempo considerato, aveva consumato molto più gasolio di quello effettivo, per differenze davvero rilevanti, tali da far maturare al ricorrente un diritto al rimborso pari complessivamente a 31.841,74 euro.

5.3. Dalla lettura della sentenza impugnata risulta che M. E., impiegata presso lo studio del M., forniva ai clienti spiegazioni sulle detrazioni fiscali alle quali avevano diritto e sui documenti (fatture di acquisto del carburante e libretti dei mezzi) necessari per procedere alla redazione dei relativi moduli. La stessa aveva riferito che i clienti non consegnavano i libretti dei mezzi per cui i modelli per fruire dei benefici fiscali venivano redatti in base a quanto fornito. La testimonianza della E. è riportata nel testo della motivazione e non è oggetto di contestazione. Dal suo contenuto la Corte di appello ha tratto argomento per affermare che l’I. era stato posto a conoscenza di quanto necessario per la fruizione delle detrazioni delle accise sul carburante ed in particolare anche del possesso di un mezzo di trasporto avente massa complessiva non inferiore a 7,5 tonnellate, requisito, quest’ultimo, di facile comprensione e imprescindibile per fruire delle detrazioni. L’I. non aveva un mezzo di tale stazza. Di qui la affermata superfluità dell’accertamento delle firme oggetto dei primi due motivi di ricorso dell’I.. Il richiamo operato dalla Corte di appello ai suoi doveri derivanti dall’attività svolta in modo professionale, costituisce pertanto un argomento che non ha un peso decisivo nell’economia della decisione impugnata e vale piuttosto a sottolineare la giusta circostanza che egli non poteva certo addurre di essere all’oscuro dei requisiti necessari a fruire di un beneficio fiscale da lui stesso richiesto.

5.4. E’ di immediata evidenza, dalla lettura dei motivi, che l’I. non contesta di non essere in possesso di un mezzo di trasporto avente massa complessiva non inferiore a 7,5 tonnellate, né di aver trasmesso al commercialista le fatture di acquisto di carburante (come riferito dall’impiegata). Egli non contesta nemmeno che le fatture di acquisto indicassero quantitativi di carburante corrispondenti a quelli, falsi, indicati nella rubrica e riportati nelle dichiarazioni trasmesse all’Ufficio delle Dogane.

5.5. Quanto al M., la Corte di appello argomenta che la natura indebita degli sgravi fiscali derivava dalla assenza di un requisito indispensabile per poterne fruire (il possesso, da parte dell’I., di un mezzo di trasporto avente massa complessiva non inferiore a 7,5 tonnellate); la sussistenza di tale requisito doveva essere verificata dal professionista il quale non poteva attribuire a leggerezza la errata compilazione della dichiarazione sul punto, trattandosi di elemento indispensabile costitutivo del diritto al rimborso. Del resto, osserva il Collegio, l’impiegata dello studio aveva chiaramente affermato che gli autotrasportatori non avevano inviato la copia dei libretti di circolazione dei mezzi di trasporto (come del resto aveva affermato anche il primo Giudice).

5.6. Nemmeno il M. prende posizione su questi specifici argomenti della sentenza impugnata, né lo aveva fatto in sede di appello.

5.7. E’ opportuno, a questo punto, riportare, per la parte di interesse, la disciplina dei rimborsi delle accise, regolamentata dal d.P.R. 9 giugno 2000 n. 277, il cui articolo 3, così recita: <<1. Per ottenere il beneficio (…) gli esercenti nazionali e gli esercenti comunitari presentano al competente ufficio dei Dipartimento delle dogane e delle imposte indirette (…) apposita dichiarazione [sostitutiva di atto notorio].

  1. La dichiarazione di cui al comma 1 contiene: la denominazione dell’impresa, la sede legale e amministrativa, il codice fiscale o la partita IVA, il codice identificativo della ditta limitatamente agli esercenti comunitari, le generalità del titolare o del rappresentante legale o negoziale, gli estremi degli atti previsti dall’articolo 1, comma 2, l’indicazione dell’eventuale titolarità di depositi o di distributori privati di carburanti ad imposta assolta, con specificazione della capacità di stoccaggio dei relativi serbatoi contenenti gasolio destinato al rifornimento degli autoveicoli aventi titolo al beneficio, nonché degli estremi della licenza fiscale, se prescritta, di cui all’articolo 25, comma 4, del testo unico approvato con decreto legislativo 26 ottobre 1995, n. 504.
  2. Nella dichiarazione sono riportati i seguenti ulteriori elementi: il numero di autoveicoli di massa massima complessiva non inferiore a 11.5 tonnellate in ordine ai quali compete il beneficio e con riferimento ai dati delle fatture di acquisto contenenti anche gli estremi della targa dell’autoveicolo rifornito, il numero totale dei litri di gasolio consumati per i quali si richiede il rimborso, nonché l’importo dello stesso espresso in lire italiane ed in euro. Per gli esercenti comunitari si fa riferimento ai dati delle fatture anch’esse contenenti gli estremi della targa dell’autoveicolo rifornito, già presentate al competente ufficio del Dipartimento delle entrate ai fini del rimborso dell’imposta sul valore aggiunto (IVA), concesso ai sensi dell’articolo 38-ter del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, concernente l’esecuzione dei rimborsi a soggetti non residenti. Qualora gli esercenti comunitari non abbiano presentato domanda di rimborso dell’IVA, allegano alla dichiarazione le fatture in originale, che vengono restituite all’interessato decorsi trenta giorni dalla relativa richiesta.
  3. Nel caso di titolarità dei depositi e dei distributori di cui al comma 2, nella dichiarazione è contenuta l’attestazione che il gasolio custodito nei medesimi è stato utilizzato esclusivamente per il rifornimento degli autoveicoli di massa massima complessiva non inferiore ad 11,5 tonnellate per i quali compete il beneficio. Qualora invece i predetti impianti siano utilizzati anche per il rifornimento di altri automezzi, nel prospetto di cui al comma 6 del presente articolo è riportato, oltre agli ulteriori elementi richiesti, anche l’elenco completo di tali automezzi con i relativi dati identificativi.
  4. Nella dichiarazione sono anche riportati: la modalità prescelta di fruizione del credito di cui all’articolo 1, comma 1, e l’impegno a presentare, a richiesta dell’ufficio, i documenti giustificativi concernenti gli elementi dichiarati.
  5. Alla dichiarazione è allegata copia dei certificati di immatricolazione degli autoveicoli aventi titolo al beneficio, nonché un prospetto, costituente parte integrante della dichiarazione stessa, riportante i seguenti ulteriori dati per singolo autoveicolo: il numero di targa, il chilometraggio registrato dal contachilometri alla chiusura del periodo considerato, il proprietario ovvero, nel caso di contratto di locazione con facoltà di compera o di contratto di noleggio di cui all’articolo 84 del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, e successive modificazioni, l’intestatario dei predetti contratti che parimenti sono allegati in copia.
  6. Qualora la documentazione prescritta dal presente articolo sia stata già precedentemente allegata, nelle successive dichiarazioni è sufficiente fame riferimento>>.

5.8. La rubrica imputa all’I. di aver trasmesso al commercialista dati non corrispondenti al vero circa la quantità di litri di gasolio effettivamente consumati; al M. di aver inoltrato la dichiarazione sostitutiva dell’atto notorio nella consapevolezza della mancanza di prova della sussistenza del

requisito del possesso di mezzi del tonnellaggio richiesto ai fini della fruizione del beneficio.

  1. Tanto premesso, osserva questa Corte che:

6.1.la dichiarazione sostitutiva di atto notorio riporta notizie fornite dall’autotrasportatore mediante la produzione delle fatture e dell’ulteriore documentazione richiesta;

6.2.la consapevole indicazione, da parte dell’autotrasportatore, di dati decisivi oggettivamente falsi destinati a confluire nella dichiarazione sostitutiva costituisce condotta che integra il reato di cui all’art. 483 cod. pen., nella forma dell’autore mediato di cui all’art. 48 cod. pen., se in conseguenza di tale condotta l’autore della dichiarazione (o della sua trasmissione) è stato tratto in inganno;

6.3.il commercialista, però, non si è limitato, nel caso di specie, a recepire e trasmettere i dati contenuti nelle fatture trasmessegli, ma ha positivamente concorso ad attestare anche il possesso degli ulteriori requisiti in capo all’autotrasportatore dei quali, a suo dire, ignorava la sussistenza, consentendogli di fruire di benefici fiscali nella consapevolezza, anche solo sotto il profilo del dolo eventuale, della loro natura indebita;

6.4. tale condotta integra, a sua volta, il reato di cui all’art. 483 cod. pen., punito a titolo di dolo generico, e il concorso nel reato di cui all’art. 14, comma 4, d.lgs. n. 504 del 1995;

6.5. come insegnato da questa Corte, il dolo integratore del delitto di falsità ideologica di cui all’art. 483 cod. pen. è costituito dalla volontà cosciente e non coartata di compiere il fatto e nella consapevolezza di agire contro il dovere giuridico di dichiarare il vero (Sez. 2, n. 47867 del 28/10/2003, Ammatura, Rv. 227078; Sez. 5, n. 315 del 25/03/1968, Buo, Rv. 108270; Sez. 5, n. 729 del 10/05/1967, Rv. 105363);

6.6. non può dunque essere attribuita a negligenza/imprudenza/imperizia la precisa scelta del commercialista di non verificare il possesso, da parte dell’autotrasportatore, di requisiti dei quali ignorava l’esistenza e che era tenuto a verificare per impedire proprio rimborsi non dovuti;

6.7. dalla convergenza di queste due condotte, ognuna autosufficiente sul piano della integrazione dei reati, non è manifestamente illogico desumere la sussistenza di un accordo tra i due imputati, con la conseguenza che ciascuno risponde anche della (porzione) di condotta dell’altro;

6.8. peraltro, secondo l’autorevole insegnamento di questa Corte, la volontà di concorrere non presuppone necessariamente un previo accordo o, comunque, la reciproca consapevolezza del concorso altrui, essendo sufficiente che la coscienza del contributo fornito all’altrui condotta esista unilateralmente, con la conseguenza che essa può indifferentemente manifestarsi o come previo concerto o come intesa istantanea ovvero come semplice adesione all’opera di un altro che rimane ignaro (Sez. U, n. 31 del 22/11/2000, Sormani, Rv. 218525; la responsabilità di chi coopera ad un fatto criminoso non presuppone la convergenza psicologica sull’evento finale perseguito da altro dei concorrenti, essendo sufficiente che il suo apporto sia stato prestato con consapevole volontà di contribuire, anche solo agevolandola, alla verificazione del fatto criminoso (Sez. 6, n. Sez. 1, n. 15860 del 09/12/2014, Crivellari, Rv. 263089; Sez. 6, n. 46309 del 09/10/2012, Angotti, Rv. 253984; Sez. 5, n. 25894 del 15/05/2009, Catanzaro, Rv. 243901; Sez. 6, n. 1271 del 05/12/2003, Misuraca, Rv. 228424; Sez. 2, n. 18745 del 15/01/2003, Ambrosiano, Rv. 255260, secondo cui assume carattere decisivo l’unitarietà del “fatto collettivo” realizzato che si verifica quando le condotte dei concorrenti risultino, alla fine, con giudizio di prognosi postumo, integrate in unico obiettivo, perseguito in varia e diversa misura dagli imputati, sicché è sufficiente che ciascun agente abbia conoscenza, anche unilaterale, del contributo recato alla condotta altrui).

6.9. ne consegue l’infondatezza di tutti i motivi dei ricorsi, posto che:

6.9.1. a prescindere dagli inammissibili richiami alle prove assunte nel giudizio di merito, l’I. non contesta mai che i quantitativi di gasolio dichiarati corrispondevano a quelli indicati nelle fatture consegnate al commercialista, né che tali quantitativi fossero “gonfiati”;

6.9.2. egli non contesta nemmeno di non essere in possesso dell’ulteriore requisito del possesso di mezzi di stazza corrispondente a quella minima richiesta dalla legge;

6.9.3. è perciò irrilevante stabilire chi avesse materialmente firmato la dichiarazione di adesione al servizio telematico digitale;

6.9.4.la consegna di fatture contenenti dati falsi sui quantitativi di gasolio, esclude in radice la fondatezza del secondo motivo, del tutto fuori tema rispetto alla “ratio deciderteli”.

6.9.5.il ricorrente non ha alcun interesse a coltivare il terzo motivo di ricorso, non derivandogli, in ogni caso, alcuna conseguenza favorevole dall’applicazione della disciplina del concorso formale di reati piuttosto che quella della continuazione tra reati;

6.9.6. anche il ricorso del M. si fonda, oltre che su inammissibili deduzioni fattuali, su presupposti errati che, alla luce delle considerazioni che precedono, non colgono la “ratio dedicendi” della sua condanna.

P.Q.M.

Rigetta i ricorsi condanna ciascun ricorrente al pagamento delle spese processuali.

 

 

 

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