CASSAZIONE SENTENZE

Quando è ravvisabile il vizio di carenza di motivazione

Tributi – Accertamento – Somme pagate per consulenze e servizi di impresa – Compensi a professionisti – Cessione partecipazioni societarie –  Elementi e presupposti – Contenzioso tributario – Contraddittorietà

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 5082 del 21 febbraio 2019, intervenendo in merito alla deducibilità dei costi per consulenze e servizi d’impresa sostenuti da una società nell’ambito della cessione di partecipazioni societarie, ha ritenuto innanzitutto che le motivazioni addotte dalla sentenza impugnata contengono evidenti elementi di contraddittorietà, tanto gravi da determinare un vizio di motivazione.

La Suprema Corte – sezione V – con la sentenza 11 marzo 2015 n. 4851, aveva peraltro già indicato che si riconosce il vizio di carenza di motivazione tutte le volte in cui la sentenza non dia conto dei motivi in diritto sui quali è basata la decisione e, dunque, non consenta la comprensione delle ragioni poste a suo fondamento, non evidenziando gli elementi di fatto considerati o presupposti nella decisione e impedendo ogni controllo sul percorso logico-argomentativo seguito per la formazione del convincimento del Giudice.

Ciò avviene quando vi è un contrasto tra il contenuto informativo di un atto processuale e l’informazione grezza posta a base del ragionamento dal giudice. Anche il vizio di contraddittorietà processuale si ha quando non si motiva su di una prova che è stata acquisita (c.d. “mancata valutazione della prova”).

I vizi di mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione devono risultare dal testo del provvedimento impugnato, ovvero da altri atti del processo specificatamente indicati nei motivi di gravame, e ricorrono solo in presenza di argomentazioni.

La carenza nell’impianto motivazionale della sentenza di alcuno dei momenti logici indicati configura un “vulnus” al principio generale secondo cui tutti i provvedimenti giurisdizionali debbono essere motivati (art. 111, comma 6, Cost.), che può spaziare, secondo la gravità, dal vizio di insufficienza logica (art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c.) fino alla totale difformità della sentenza dal modello legale per assenza dell’indicato requisito essenziale (art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c. in relazione all’art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c. e all’art. 118, comma 1, disp. att. c.p.c.).

Seguendo la giurisprudenza vigente della Corte di legittimità, in buona sostanza, si deve ravvisare il vizio di carenza di motivazione tutte le volte in cui la sentenza non dia conto dei motivi in diritto sui quali è basata la decisione (cfr. Corte cass. V sez. 16.7.2009 n. 16581; id. I sez. 4.8.2010 n. 18108) e dunque non consenta la comprensione delle ragioni poste a suo fondamento, non evidenziando gli elementi di fatto considerati o presupposti nella decisione (cfr. Corte cass. V sez. 10.11.2010 n. 2845) ed impedendo ogni controllo sul percorso logico-argomentativo seguito per la formazione del convincimento del Giudice (cfr. Corte cass. III sez. 3.11.2008 n. 26426, con riferimento al ricorso ex art. 111 Cost; id. sez. lav. 8.1.2009 n. 161).

Nel caso di specie i Supremi Giudici esaminano la logica delle plusvalenze esenti da imposizione fiscale portate a sostegno dalla parte contribuente e accettate dai giudici tributari in opposizione a quanto sostenuto dagli uffici finanziari nell’accertamento eseguito per il recupero a tassazione ai fini IRES, IRAP e IVA, di una Srl.

Tra i motivi di opposizione proposti si evidenzia il secondo, attraverso il quale la ricorrente Agenzia delle Entrate sottopone all’esame della Corte la censura di omessa motivazione

I giudici di Piazza Cavour si sono soffermati per valutare con attenzione il lamentato vizio di motivazione della sentenza impugnata, per avere la CTR contraddittoriamente, da un lato, ritenuto che le spese sostenute dalla società contribuente fossero assolutamente necessarie per addivenire alla cessione della partecipazione in S.E.A. e, dall’altro, escluso che tali spese fossero specificamente collegate alla realizzazione della plusvalenza esente.

Gli Ermellini hanno ritenuto infine che “ … La C.T.R. ha ritenuto (p. 3 della sentenza impugnata) che le somme pagate per consulenze e servizi di impresa nonché per compensi a professionisti costituissero «spese assolutamente necessarie, senza le quali non si sarebbe realizzato alcun accordo, fra cui la cessione della partecipazione della cessione per cui è causa»; ciò nonostante ha concluso nel senso che tali spese non potevano ritenersi oneri accessori sostenuti in occasione della cessione, «non essendo stati sostenuti in occasione della cessione, ma quale suo presupposto: senza di che non ci sarebbe stata alcuna cessione. Neppure si tratta di oneri che siano specificamente, e non solo indistintamente, collegati alla realizzazione della plusvalenza esente». È evidente la contraddittorietà della motivazione della sentenza impugnata, la quale, per un verso, qualifica le spese de quibus come “indispensabili” e “assolutamente necessarie” per l’operazione di cessione (da cui è scaturita la plusvalenza esente) e, per altro verso e contestualmente, esclude che le medesime fossero specificamente destinate alla detta operazione di cessione. Invero, una volta accertata la indispensabilità delle spese ai fini della cessione della partecipazione societaria, da tale accertamento avrebbe dovuto logicamente conseguire l’essere tali spese necessariamente collegate alla realizzazione della cessione (da cui è scaturita la plusvalenza esente).La motivazione della pronuncia, contraddittoria e inintelligibile, non consente di cogliere la ratio decidendi

 

 

 

CORTE DI CASSAZIONE Ordinanza 21 febbraio 2019, n. 5082

Sul ricorso 25818-2012 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro “V.G.C.I.”. SRL, elettivamente domiciliato in ROMA VIA ALBERTO CARONCINI 51, presso lo studio dell’avvocato SIMONETTI PERSICO SCIVOLETTO, rappresentato e difeso dall’avvocato GIUSEPPE PERSICO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 225/2011 della COMM.TRIB.REG. di ROMA, depositata il 27/09/2011;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 21/12/2018 dal Consigliere Dott. LUIGI GIOVANNI LOMBARDO.

Fatti di causa

  1. – La società “V.G.C.I.” s.r.l. impugnò l’avviso di accertamento emesso nei suoi confronti dalla Agenzia delle Entrate per il recupero a tassazione – ai fini IRES, IRAP e IVA relativamente all’anno di imposta 2004 – delle somme pagate per consulenze e servizi di impresa nonché per compensi a professionisti, sul presupposto che costi non fossero deducibili, ai sensi dell’art. 109, comma 5, T.U.I.R. n. 917/1986, perché inerenti ad operazione esente (operazione costituita dalla cessione della partecipazione in S.E.A. – società editoriale adriatica s.p.a.).
  2. – Il ricorso della società fu accolto da C.T.P. di Roma limitatamente al recupero dell’IVA, mentre fu rigettato nel resto.
  3. – Sull’appello proposto dalla società contribuente, la C.T.R. per il Lazio accolse integralmente il ricorso originario.
  4. – Per la cassazione della sentenza di appello ha proposto ricorso l’Agenzia delle Entrate, sulla base di due motivi.

La società “V.G.C.I.” s.r.l. ha resistito con controricorso.

La “N.C.” s.p.a., incorporante la “V.G.C.I.” s.r.l., ha depositato memoria.

Ragioni della decisione

  1. – Col ricorso dell’Agenzia delle Entrate sono formulate le seguenti censure.

1.1. – Col primo motivo di ricorso, si deduce (ex art. 360 n. 3 cod. proc. civ.) la violazione e la falsa applicazione dell’art. 109 TUIR n. 917/109 (nel testo vigente ratione temporis), per avere la C.T.R. ritenuto che fossero deducibili i costi sopportati dalla società contribuente per consulenze e prestazioni professionali necessarie ai fini della conclusione dell’accordo di cessione di partecipazione azionaria, nonostante che si trattasse di costi specificamente collegati alla realizzazione di plusvalenze esenti.

1.2. – Col secondo motivo, si deduce (ex art. 360 n. 5 cod. proc. civ.) il vizio di motivazione della sentenza impugnata, per avere la C.T.R. contraddittoriamente, da un lato, ritenuto che le spese sostenute dalla società contribuente fossero assolutamente necessarie per addivenire alla cessione della partecipazione in S.E.A., dall’altro, escluso che tali spese fossero specificamente collegate alla realizzazione della plusvalenza esente.

  1. – È fondato il secondo motivo di ricorso.

La C.T.R. ha ritenuto (p. 3 della sentenza impugnata) che le somme pagate per consulenze e servizi di impresa nonché per compensi a professionisti costituissero «spese assolutamente necessarie, senza le quali non si sarebbe realizzato alcun accordo, fra cui la cessione della partecipazione della cessione per cui è causa»; ciò nonostante ha concluso nel senso che tali spese non potevano ritenersi oneri accessori sostenuti in occasione della cessione, «non essendo stati sostenuti in occasione della cessione, ma quale suo presupposto: senza di che non ci sarebbe stata alcuna cessione. Neppure si tratta di oneri che siano specificamente, e non solo indistintamente, collegati alla realizzazione della plusvalenza esente».

È evidente la contraddittorietà della motivazione della sentenza impugnata, la quale, per un verso, qualifica le spese de quibus come “indispensabili” e “assolutamente necessarie” per l’operazione di cessione (da cui è scaturita la plusvalenza esente) e, per altro verso e contestualmente, esclude che le medesime fossero specificamente destinate alla detta operazione di cessione.

Invero, una volta accertata la indispensabilità delle spese ai fini della cessione della partecipazione societaria, da tale accertamento avrebbe dovuto logicamente conseguire l’essere tali spese necessariamente collegate alla realizzazione della cessione (da cui è scaturita la plusvalenza esente).

La motivazione della pronuncia, contraddittoria e inintelligibile, non consente di cogliere la ratio decidendi.

In accoglimento del secondo motivo, la sentenza impugnata va pertanto cassata sul punto.

L’accoglimento del secondo motivo comporta l’assorbimento della censura formulata col primo mezzo.

  1. – In definitiva, il ricorso va,accolto in relazione al secondo motivo; va dichiarato assorbito il primo va cassata la sentenza impugnata in relazione alla censura accolta, con rinvio ad altra sezione della C.T.R. del Lazio.

Il giudice di rinvio provvederà anche in ordine alle spese relative al presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

Accoglie il secondo motivo, dichiara assorbito il primo; cassa la sentenza impugnata in relazione alla censura accolta e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimità, ad altra sezione della C.T.R. del Lazio.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Quinta Sezione Civile, addì 21 dicembre 2018.

 

 

 

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