CASSAZIONE

Percentuali di ricarico insufficienti non motivano l’accertamento

La Corte di Cassazione, nell’ordinanza n. 13054 del 24 maggio 2017, è tornata a occuparsi dei limiti entro cui l’Amministrazione finanziaria può, attraverso la determinazione delle percentuali di ricarico, ricostruire gli effettivi margini di guadagno applicati dai contribuenti sulle merci vendute, ritenendo non esaustiva l’applicazione delle percentuali di ricarico come base unica per giustificare l’accertamento analitico–induttivo. Per i Supremi giudici l’accertamento dei maggiori ricavi di impresa può essere valutato in base alla difformità percentuale di ricarico, applicata dal contribuente rispetto a quella mediamente riscontrata nel settore di appartenenza, solo nel solo caso in cui essa raggiunga livelli di abnormità ed irragionevolezza.

Va anche ricordato che, seguendo i suggerimenti dell’attuale giurisprudenza, la scelta del criterio di determinazione della percentuale di ricarico deve rispondere a canoni di coerenza logica e congruità, essendo consentito il ricorso al criterio della “media aritmetica semplice”, in luogo della “media ponderata”, soltanto se risulta una piena omogeneità della merce esaminata, ma non quando esistono notevoli differenza di valore all’interno dello stesso settore merceologico, soprattutto se gli articoli più venduti presentino una percentuale di ricarico inferiore a quella risultante dal ricarico medio.

Per tali motivi i Supremi giudici hanno essenzialmente valutato illegittimo l’accertamento, ma anche perché la differenza rispetto al dichiarato non presenta valori di particolare anomalia.

Il negativo giudizio della S.C. si è soffermato quindi sulle scelte, rivelatesi erronee, delle elaborazioni statistiche trattate dal locale ufficio sulle esperienze e ricarichi in uso nella zona di riferimento che invece, proprio per questi motivi, erano ritenute particolarmente efficaci dall’Agenzia delle Entrate.

La Corte al riguardo vuole così ricordare il costante indirizzo della giurisprudenza, in cui si rammenta che l’accertamento dei maggiori ricavi d’impresa può essere affidato alla considerazione della difformità della percentuale di ricarico applicata dal contribuente rispetto a quella mediamente riscontrata nel settore di appartenenza soltanto se essa raggiunga livelli di abnormità ed irragionevolezza tali da privare la documentazione contabile di ogni attendibilità.

Diversamente dai fatti e prove concrete, la segnalata difformità rischia di tergiversare sul piano teorico del mero indizio e non risulta idonea da sola a integrare una prova per presunzioni.

Nel caso specifico, una società contribuente ricorreva contro la sentenza della CTR che aveva valutato legittimo l’avviso di accertamento emesso per il recupero a tassazione a fini IRPEF, IVA e IRAP di maggiori ricavi determinati applicando sul costo del venduto la percentuale di ricarico media propria del settore e dell’ambito territoriale di competenza, in luogo di quella applicata dalla parte contribuente.

Secondo gli Ermellini, però, non si riscontra alcun caso di abnormità e irragionevolezza, considerando proprio la presenza di un dato aritmetico che non evidenziava uno scostamento rilevante tra il ricarico applicato (133%) e quello medio (162%).

Peraltro, come considerazione non marginale, i fatti risalivano al 2004, quando gli studi di settore erano già in vigore e ai quali la società contribuente si era conformata, dichiarando il ricavo minimo ritenuto congruo in base agli stessi.

Di conseguenza, esaminati i fatti, gli Ermellini sono giunti alle seguenti conclusioni: “… che, invero, secondo costante indirizzo della giurisprudenza di questa Corte, in tema di accertamento delle imposte ed in presenza di una contabilità regolarmente tenuta, l’accertamento dei maggiori ricavi d’impresa può essere affidato alla considerazione della difformità della percentuale di ricarico applicata dal contribuente rispetto a quella mediamente riscontrata nel settore di appartenenza soltanto se essa raggiunga livelli di abnormità ed irragionevolezza tali da privare, appunto, la documentazione contabile di ogni attendibilità; diversamente, siffatta difformità rimane sul piano del mero indizio, ove si consideri che gli indici elaborati per un determinato settore merceologico, pur basati su criteri statistici, non integrano un fatto noto e certo e non sono idonei, da soli, ad integrare una prova per presunzioni (Cass. 09/12/2013, n. 27488; Cass. 24/09/2010, n. 20201; Cass. 05/12/2005, n. 26388; Cass. 14/04/2003, n. 5870); che, nel caso di specie, l’esistenza di un siffatto livello di ‘abnormità e irragionevolezza’ non viene affermata, né tantomeno giustificata, nella sentenza impugnata, giustificazione tanto più necessaria a fronte di un dato aritmetico che di per sé oggettivamente non evidenzia uno scostamento tra ricarico applicato (133%) e ricarico medio (162%) di rilevanti proporzioni; che in accoglimento di tale censura la sentenza va pertanto cassata, con rinvio al giudice a quo, anche per il regolamento delle spese del presente giudizio di legittimità, rimanendo assorbito l’esame dei restanti motivi di ricorso”.

 

Corte di Cassazione Ordinanza n. 13054 del 24 maggio 2017

Rilevato che G.G. ricorre con tre mezzi, nei confronti dell’Agenzia delle entrate (che resiste con controricorso), avverso la sentenza in epigrafe con la quale la C.T.R. della Lombardia, sezione staccata di Brescia, ha rigettato l’appello da essa proposto, ritenendo legittimo l’avviso di accertamento nei suoi confronti emesso per il recupero a tassazione, a fini Irpef, Iva e Irap per l’anno 2004, di maggiori ricavi induttivamente determinati ai sensi dell’art. 39, comma 1, lett. d), d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, applicando, sul costo del venduto, la percentuale di ricarico media propria del settore e dell’ambito territoriale di competenza, pari al 162%, in luogo di quella del 133% applicata dalla contribuente;

che la ricorrente ha depositato memoria ex art. 380-bis.1 cod. proc. civ.;

considerato che con il primo motivo di ricorso la contribuente denuncia violazione e/o falsa applicazione dell’art. 39, comma primo, lett. d), d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, in relazione all’art. 360, comma primo, num. 3, cod. proc. civ., per avere la C.T.R. avallato un accertamento induttivo, condotto sulla sola base della percentuale di ricarico determinata nell’ambito del territorio di competenza, senza considerare che, per l’anno di riferimento (2004), erano già in vigore gli studi di settore, strumento presuntivo generale e più recente ai cui indici essa contribuente si era adeguata dichiarando il ricavo minimo ritenuto congruo in base agli stessi, e, sotto altro profilo, per avere posto a base dell’accertamento detta percentuale media di ricarico, di per sé solo inidonea a costituire idoneo fondamento presuntivo; che con il secondo motivo la ricorrente denuncia altresì insufficiente motivazione, ai sensi dell’art. 360, comma primo, num. 5, cod. proc. civ., per avere la Commissione regionale omesso di spiegare le ragioni per cui il solo scostamento dalla percentuale media di ricarico applicata nel settore possa giustificare l’accertamento induttivo e per avere altresì fatto riferimento a un parametro, l’entità del reddito, diverso da quello considerato dalla norma;

che quest’ultimo rilievo è posto a fondamento anche del terzo motivo di ricorso, con il quale la contribuente denuncia ancora violazione dell’art. 39, comma primo, lett. d), d.P.R. n. 600 del 1973;

ritenuto che è fondato il secondo motivo di ricorso nella parte, di rilievo preliminare e assorbente, in cui denuncia insufficienza della motivazione per avere i giudici d’appello considerato sufficiente a fondare la presunzione di maggiori ricavi non dichiarati il solo scostamento tra la percentuale di ricarico applicata e quella media del settore;

che, invero, secondo costante indirizzo della giurisprudenza di questa Corte, in tema di accertamento delle imposte ed in presenza di una contabilità regolarmente tenuta, l’accertamento dei maggiori ricavi d’impresa può essere affidato alla considerazione della difformità della percentuale di ricarico applicata dal contribuente rispetto a quella mediamente riscontrata nel settore di appartenenza soltanto se essa raggiunga livelli di abnormità ed irragionevolezza tali da privare, appunto, la documentazione contabile di ogni attendibilità; diversamente, siffatta difformità rimane sul piano del mero indizio, ove si consideri che gli indici elaborati per un determinato settore merceologico, pur basati su criteri statistici, non integrano un fatto noto e certo e non sono idonei, da soli, ad integrare una prova per presunzioni (Cass. 09/12/2013, n. 27488; Cass. 24/09/2010, n. 20201; Cass. 05/12/2005, n. 26388; Cass. 14/04/2003, n. 5870);

che, nel caso di specie, l’esistenza di un siffatto livello di «abnormità e irragionevolezza» non viene affermata, né tantomeno giustificata, nella sentenza impugnata, giustificazione tanto più necessaria a fronte di un dato aritmetico che di per sé oggettivamente non evidenzia uno scostamento tra ricarico applicato (133%) e ricarico medio (162%) di rilevanti proporzioni;

che in accoglimento di tale censura la sentenza va pertanto cassata, con rinvio al giudice a quo, anche per il regolamento delle spese del presente giudizio di legittimità, rimanendo assorbito l’esame dei restanti motivi di ricorso;

P.Q.M.

Accoglie il secondo motivo di ricorso nei termini di cui in motivazione; dichiara assorbiti il primo e il terzo motivo; cassa la sentenza in relazione al motivo accolto; rinvia alla Commissione tributaria regionale della Lombardia in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

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