CASSAZIONE FISCALITA

Per l’esterovestizione il Fisco deve sempre accertare l’attività ordinaria della società

Reati tributari – Contenzioso – Esterovestizione di società – Sede Sociale – Sede dell’amministrazione – Rilevanza – Indebito vantaggio fiscale – Irrilevanza penale – Libertà di stabilimento art. 48, TCE ora art. 54, TFUE

La Corte di Cassazione, con le sentenze gemelle n.33234 e n.,33235,,entrambe del 21/12/2018, chiamata a intervenire su un presunto caso di esterovestizione, ha per il momento chiuso un lungo contenzioso tra il Fisco e una nota casa di moda milanese. In buona sostanza, i giudici di piazza Cavour non hanno condiviso le ragioni del Fisco, affermando che il giudizio di merito non ha dimostrato che la società lussemburghese, interamente posseduta dalla casa di moda milanese, sia da considerarsi come un’illegittima esterovestizione di una persona giuridica italiana, creata al solo scopo di eludere la normale imposta nazionale sugli utili e accedere a un trattamento fiscale più favorevole. Le sentenze in esame, pur trattando di situazioni diverse, presentano tratti distintivi in continuum che giustificano la trattazione di una sola, la 33234/2018, che fa da guida esaustiva all’argomento.

Inoltre, vogliamo segnalare anche l’interessante approfondimento della Suprema Corte sul principio di libertà di stabilimento, riportato nello stralcio della sentenza 33235/2018, a cui rimandiamo la lettura.

La vicenda ha origini antiche, risale al marzo 2004 e coinvolge la Gado Sàrl (poi Gado Srl, ridenominata Dolce&Gabbana Trademarks), alla quale fu concesso con contratto di licenza il diritto esclusivo di sfruttamento delle royalties della casa madre italiana.

Un’operazione però ritenuta sospetta dagli uomini del Fisco, che nella costituzione della Gado, complice il fatto che l’azienda non avesse struttura amministrativa né dipendenti, avevano individuato la costruzione di un’operazione mirata all’evasione fiscale. Conseguentemente sono stati compiuti gli avvisi di accertamento per i periodi di imposta 2004/2005 e 2005/2006, impugnati però dalla Gado Sàrl – senza successo – sia in primo sia in secondo grado.

Da premettere che con il termine “esterovestizione” si individua la fittizia localizzazione all’estero della residenza fiscale di una società che, di fatto, svolge la sua attività e persegue il suo oggetto sociale nel territorio dello Stato. Tale termine è spesso usato dal Fisco per definire l’attività imprenditoriale in Italia per ottenere un indebito vantaggio fiscale attraverso compagini aziendali solo formalmente residenti o domiciliate e operanti all’estero; in altri termini, la società può sottrarsi all’invasivo regime tributario interno e al contempo beneficiare delle agevolazione fiscali che la maggioranza delle nazioni Ue garantiscono agli investitori.

Gli Ermellini hanno contraddetto questa ipotesi di fondo, affermando che la posizione della società lussemburghese Gado Sàrl, poi Dolce&Gabbana Trademarks – accusata di esterovestizione – va riesaminata con accertamenti rigorosi, alla luce dei principi del diritto comunitario sulla libertà di stabilimento.

Ne consegue, così, che in caso di società con sede legale estera controllata non può costituire come criterio esclusivo di accertamento della sede di direzione effettiva l’individuazione del luogo ove partono gli impulsi gestionali o le direttive amministrative, ove essa si identifichi con la sede della controllante italiana. Secondo i Supremi giudici è necessario accertare che la società controllata estera non sia una costruzione di puro artificio, ovvero una semplice casella postale o schermo.

Sotto il profilo impositivo, una persona giuridica residente nel territorio dello Stato è assoggettata a tassazione per i redditi ovunque prodotti nel mondo, in base al noto principio della tassazione su base mondiale (c.d. “world wide taxation”).

La normativa domestica individua tre criteri, alternativi tra di loro, che consentono di individuare la residenza fiscale della persona giuridica: la sede legale, l’oggetto sociale, la sede dell’amministrazione.

Da considerare, inoltre, che il riconoscimento del Paese di residenza di una società e la relativa assoggettabilità alla potestà tributaria del relativo Paese, può essere un procedimento assai complesso, dovendosi fare riferimento a elementi non sempre facilmente individuabili.

Sulla vicenda in esame, “il caso Dolce & Gabbana”, vi sono state diverse pronunce della stessa Corte, fra le quali annoveriamo la n. 43809 del 2015 e, di riflesso, la n.7739 del 2011.

Particolarmente interessante il percorso argomentativo presente nella sentenza n. 43809/2015, che viene condotto prendendo a riferimento l’art. 73, comma 3, TUIR, che disciplina i requisiti di individuazioni della residenza delle società ed enti assoggettati a imposizione IRES: la caratteristica di fondo della disciplina introdotta all’art. 73, comma 3, TUIR, risponde alla funzione, centrale nell’economia di un sistema impositivo come quello italiano improntato a un criterio di tassazione personale dei redditi, di offrire un criterio di collegamento per la delimitazione del potere impositivo degli Stati.

In questa chiave l’obiettivo dell’istituto della residenza fiscale è quello di fornire, appunto, validi criteri che permettano agli operatori di comprendere se e a quali condizioni l’ordinamento domestico consideri effettivamente sussistente una tipologia di legame qualificato tra il soggetto passivo IRES e un dato Paese, tale da legittimare l’assoggettamento a tassazione da parte di quello stesso Stato di tutti i redditi prodotti, su base mondiale, invece che dei soli redditi prodotti sul suo territorio.

A tale proposito, in conformità a un consolidato orientamento, la Cassazione ha riconosciuto la prevalenza di criteri basati su una logica di effettività, attribuendo centralità al criterio della sede amministrativa quale definizione che meglio permette di cogliere il profilo della direzione effettiva della persona giuridica e confermano che le contestazioni di esterovestizione postulano la dimostrazione, da parte dell’Amministrazione finanziaria, che la società verificata sia stata trasferita in un Paese dove non svolge alcuna attività economica.

Inoltre, va tenuto presente che soltanto nel 2010, a seguito di una richiesta di chiarimenti da parte della Commissione europea nell’ambito di una istruttoria circa la legittimità della normativa italiana in tema di esterovestizione, l’Agenzia delle Entrate ha proceduto a fornire, per la prima volta, un elenco esemplificativo della documentazione-tipo necessaria a vincere la presunzione, come si evince dalla nota protocollo Agenzia delle Entrate n. 2010/39678 del 19 marzo 2010 e n. 2010/157346 del 20 dicembre 2010, chiarendo che quelle previste dall’articolo 73, comma 5-bis, del TUIR “costituiscono solo il punto di partenza di una verifica più ampia […] sull’intensità del legame tra la società e lo Stato estero e tra la medesima società e l’Italia”.

Tali presunzioni hanno, pertanto, la funzione di facilitare il compito del verificatore nell’accertamento degli elementi di fatto per la determinazione della residenza elettiva.

Tuttavia, la presunzione in discorso non esonera l’ufficio accertatore dall’onere di fornire una prova “piena”, ossia completa ed esaustiva circa la presunta esterovestizione dell’ente non residente.

L’Amministrazione finanziaria deve, cioè, dimostrare in concreto l’elettività dell’esterovestizione. Con la premessa che “è lasciata al contribuente ogni possibilità di dotarsi, caso per caso, degli elementi probatori idonei a dimostrare che la società estera, indipendentemente dal rapporto di controllo ovvero dalla residenza dei consiglieri, è di fatto amministrata al di fuori del territorio italiano”. A corroborare tale punto di vista interviene anche la normativa europea, che lega la valutazione del fenomeno della “costruzione di puro artificio” al criterio della presenza economica e di commerciabilità delle transazioni, per la cui individuazione deve aversi riguardo alla sede di direzione effettiva, alla presenza tangibile della società, nonché al rischio commerciale da essa assunto, a cui si aggiunge la vantaggiosità fiscale ottenuta dalla sua allocazione in sede estera.

Inoltre, la direttiva 2016/1164/UE, in materia di contrasto all’elusione fiscale, introduce la nozione di “costruzioni non genuine”, facendo riferimento a società che non siano poste in essere per valide ragioni commerciali che rispecchiano la realtà economica, ma costituite al solo fine di ottenere un vantaggio fiscale in contrasto con l’oggetto o la finalità della disciplina applicabile.

In parole più dirette , è opportuno ricapitolare il fatto: quando una società è collocata all’estero per ottenere un risparmio fiscale non implica automaticamente l’accusa di esterovestizione.

La Cassazione ha concluso affermando, per la sentenza n. 33234, che: “… In definitiva, per determinare il luogo della sede dell’attività economica di una società occorre prendere in considerazione un complesso di fattori, al primo posto dei quali figurano la sede statutaria, il luogo dell’amministrazione centrale, il luogo di riunione dei dirigenti societari e quello, abitualmente identico, in cui si adotta la politica generale di tale società; possono essere presi in considerazione, tuttavia, anche altri elementi, quali il domicilio dei principali dirigenti, il luogo di riunione delle assemblee generali, di tenuta dei documenti amministrativi e contabili e di svolgimento della maggior parte delle attività finanziarie, in particolare bancarie (Corte giust. 28 giugno 2007, causa C-73/06, Planzer Luxembourg Sàrl). – In applicazione di questi principi, con riferimento al versante penale della medesima vicenda in esame, la terza sezione penale di questa Corte (con sentenza 24 ottobre 2014/30 ottobre 2015, n. 43809) ha stabilito, in generale, che in caso di società con sede legale estera controllata ai sensi dell’art. 2359, 10 comma, c.c., non può costituire criterio esclusivo di accertamento della sede della direzione effettiva l’individuazione del luogo dal quale partono gli impulsi gestionali o le direttive amministrative qualora esso s’identifichi con la sede (legale o amministrativa) della società controllante italiana, precisando che in tal caso è necessario accertare anche che la società controllata estera non sia costruzione di puro artificio, ma corrisponda a un’entità reale che svolge effettivamente la propria attività in conformità al proprio atto costitutivo o allo statuto. In particolare, la Corte ha svalutato la rilevanza della mancanza di autonomia gestionale e finanziaria delle dipendenti addette in successione alla sede della GADO, che agivano in base a direttive provenienti da Milano e veicolate dalle e-mail sulle quali punta anche la Commissione tributaria regionale della Lombardia.

E ciò sia alla luce della necessità d’interpretare le informazioni ricavabili dalle e-mail in base al complesso intreccio organizzativo e funzionale che intercorre tra una controllata e la sua controllante capo-gruppo, che fisiologicamente si risolve in un rapporto tra uffici e personale dell’una e dell’altra, sia perché «resta difficile comprendere quale autonomia gestionale e finanziaria dovessero avere due semplici dipendenti per poter qualificare l’insediamento lussemburghese in termini di effettiva realtà. Una valutazione di tale natura avrebbe avuto un significato coerente se oggetto ne fosse stata l’attività del legale rappresentante (eventualmente “eterodiretto)… Si comprende, in realtà, che dietro quel ripetuto richiamo alla mancanza di autonomia gestionale e finanziaria si cela l’ispirazione di fondo dell’intera decisione: la predisposizione degli aspetti gestionali ed organizzativi dell’attività di GADO s.à.r.l.” interamente in Italia, lasciando alla sede lussemburghese i soli compiti esecutivi. Con il che, però, si ammette che qualcosa in Lussemburgo effettivamente si faceva, sì da giustificare una sede amministrativa collocata in una struttura diversa da quella legale e i costi del personale dapprima distaccato, quindi direttamente assunto, che vi operava». Ancora recentemente la terza sezione penale di questa Corte (con sentenza 7 novembre 2018, n. 50151) ha ribadito che le società esterovestite non sono, per ciò soltanto, prive della loro autonomia giuridico-patrimoniale e, quindi, automaticamente qualificabili come schermi, ossia come assetti creati esclusivamente per farvi confluire i profitti degli illeciti fiscali”.

 

Nota a margine, con stralcio della sentenza n.33235/2018

I giudici delle Suprema Corte con la successiva pronuncia hanno accolto il ricorso della società contribuente e annullato con rinvio le pronunce della CTR Lombardia 86/27/11 e 87/27/11 del 28 giugno 2011, puntualizzando altri aspetti decisivi sul principio di libertà di stabilimento, che costituisce un principio fondante dell’Unione europea, ritenendo che: “ … La nozione di “sede dell’amministrazione”, infatti, in quanto contrapposta alla “sede legale”, si deve ritenere coincidente con quella di “sede effettiva” (di matrice civilistica), intesa come il luogo ove hanno concreto svolgimento le attività amministrative e di direzione dell’ente e si convocano le assemblee, e cioè il luogo deputato, o stabilmente utilizzato, per l’accentramento -nei rapporti interni e con i terzi- degli organi e degli uffici societari in vista del compimento degli affari e dell’impulso dell’attività dell’ente; laddove il criterio calibrato sull’oggetto principale identifica il luogo in cui si concretizzano gli atti produttivi e negoziali dell’ente nonché i rapporti economici che esso intrattiene con i terzi. 5.- In definitiva, per determinare il luogo della sede dell’attività economica di una società occorre prendere in considerazione un complesso di fattori, al primo posto dei quali figurano la sede statutaria, il luogo dell’amministrazione centrale, il luogo di riunione dei dirigenti societari e quello, abitualmente identico, in cui si adotta la politica generale di tale società; possono essere presi in considerazione, tuttavia, anche altri elementi, quali il domicilio dei principali dirigenti, il luogo di riunione delle assemblee generali, di tenuta dei documenti amministrativi e contabili e di svolgimento della maggior parte delle attività finanziarie, in particolare bancarie (Corte giust. 28 giugno 2007, causa C-73/06, Planzer Luxembourg Sàrl). 6.- In applicazione di questi principi, con riferimento al versante penale della medesima vicenda in esame, la terza sezione penale di questa Corte (con sentenza 24 ottobre 2014/30 ottobre 2015, n. 43809) ha stabilito, in generale, che in caso di società con sede legale estera controllata ai sensi dell’art. 2359, 10 comma, c.c., non può costituire criterio esclusivo di accertamento della sede della direzione effettiva l’individuazione del luogo dal quale partono gli impulsi gestionali o le direttive amministrative qualora esso s’identifichi con la sede (legale o amministrativa) della società controllante italiana, precisando che in tal caso è necessario accertare anche che la società controllata estera non sia costruzione di puro artificio, ma corrisponda a un’entità reale che svolge effettivamente la propria attività in conformità al proprio atto costitutivo o allo statuto. 6.1.- In particolare, la Corte ha svalutato la rilevanza della mancanza di autonomia gestionale e finanziaria delle dipendenti addette in successione alla sede della GADO, che agivano in base a direttive provenienti da Milano e veicolate dalle e-mail sulle quali punta anche la Commissione tributaria regionale della Lombardia. E ciò sia alla luce della necessità d’interpretare le informazioni ricavabili dalle e-mail in base al complesso intreccio organizzativo e funzionale che intercorre tra una controllata e la sua controllante capo-gruppo, che fisiologicamente si risolve in un rapporto tra uffici e personale dell’una e dell’altra, sia perché «resta difficile comprendere quale autonomia gestionale e finanziaria dovessero avere due semplici dipendenti per poter qualificare l’insediamento lussemburghese in termini di effettiva realtà. Una valutazione di tale natura avrebbe avuto un significato coerente se oggetto ne fosse stata l’attività del legale rappresentante (eventualmente “eterodirette… Si comprende, in realtà, che dietro quel ripetuto richiamo alla mancanza di autonomia gestionale e finanziaria si cela l’ispirazione di fondo dell’intera decisione: la predisposizione degli aspetti gestionali ed organizzativi dell’attività di GADO s.à.r.l.” interamente in Italia, RG n. 21720/2012 Angelina-Mgia Perrino estensore lasciando alla sede lussemburghese i soli compiti esecutivi. Con il che, però, si ammette che qualcosa in Lussemburgo effettivamente si faceva, sì da giustificare una sede amministrativa collocata in una struttura diversa da quella legale e i costi del personale dapprima distaccato, quindi direttamente assunto, che vi operava». Ancora recentemente la terza sezione penale di questa Corte (con sentenza 7 novembre 2018, n. 50151) ha ribadito che le società esterovestite non sono, per ciò soltanto, prive della loro autonomia giuridico-patrimoniale e, quindi, automaticamente qualificabili come schermi, ossia come assetti creati esclusivamente per farvi confluire i profitti degli illeciti fiscali. 7.- La complessiva censura proposta dalla contribuente si rivela allora fondata, in quanto il giudice d’appello ha esaurito la propria valutazione nella sbrigativa considerazione, meramente assertiva, che «il top management della Gado operava in Italia», facendo leva su «gli impulsi, gli incontri per assumere le decisioni riguardanti la realizzazione dell’attività sociale», senza valutare l’attività comunque svolta in Lussemburgo, che emerge proprio dalla corrispondenza e-mail valorizzata in senso opposto e trascritta in ricorso. 8.- L’accoglimento del quarto motivo determina l’assorbimento dei restanti, che riguardano la censura di nullità/illegittimità dell’avviso di accertamento perché adottato a seguito d’indagini irritualmente avviate nei confronti di una società di diritto lussemburghese (primo motivo), la nullità/illegittimità dell’avviso di accertamento perché adottato in carenza di potere (secondo motivo), l’illegittimità dell’avviso perché viziato da eccesso di potere sotto l’aspetto della contraddittorietà della motivazione (terzo motivo) e la necessità di considerare i costi nella determinazione del reddito imponibile (quinto motivo). La sentenza impugnata va in conseguenza cassata, con rinvio, anche per le spese, alla Commissione tributaria regionale della Lombardia in diversa composizione”.

 

Corte di Cassazione Sentenza 21 dicembre 2018, n. 33234

 

Sul ricorso iscritto al numero 21718 del ruolo generale dell’anno 2012, proposto da S.r.l. con socio unico Dolce & Gabbana Trademarks, subentrata a S.r.l. con socio unico GADO, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso, giusta procura speciale a margine del ricorso, dagli avvocati Eugenio Briguglio e Gianluca Boccalatte, coi quali elettivamente si domicilia in Roma, alla via Germanico, n. 146, presso lo studio dell’avv. Ernesto Mocci

-ricorrente-

contro Agenzia delle entrate, in persona del direttore pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, presso gli uffici della quale in Roma, alla via dei Portoghesi, n. 12, si domicilia

-controricorrente-

per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria regionale della Lombardia, depositata in data 28 giugno 2011, n. 87/27/11;

udita la relazione sulla causa svolta alla pubblica udienza in data 12 novembre 2018 dal consigliere Angelina-Maria Perrino;

udito il pubblico ministero, in persona del sostituto procuratore generale Federico Sorrentino, che ha concluso per l’accoglimento dell’ultimo motivo di ricorso;

sentiti per la società l’avv. Eugenio Briguglio e per l’Agenzia delle entrate l’avvocato dello Stato Barbara Tidore.

Fatti di causa

La S.a.r.l. Dolce & Gabbana Luxembourg costituì in Lussemburgo il 4 marzo 2004 la S.a.r.l. GADO, alla quale è subentrata dapprima la s.r.l. con socio unico GADO e poi la s.r.l. con socio unico Dolce & Gabbana Trademarks, che pochi giorni dopo acquistò da Domenico Dolce e da Stefano Gabbana i marchi di cui è proprietaria, dei quali concesse il diritto di sfruttamento in esclusiva, e a fronte del pagamento di royalties, alla s.r.l. Dolce & Gabbana, in virtù di contratto di licenza.

L’Agenzia delle entrate ravvisò nell’operazione un meccanismo volto a evitare l’assoggettamento delle royalties a ritenuta e a usufruire in Lussemburgo di un trattamento fiscale privilegiato e lo ritenne artificioso, perché, sostenne, il centro decisionale della società era da collocare a Milano, presso la sede della s.r.l. Dolce & Gabbana, e non già a Lussemburgo, dove l’allora GADO non aveva struttura amministrativa e soltanto a partire dal 2006 contava una dipendente con mansioni di segretaria.

L’Ufficio fece leva al riguardo su vasta corrispondenza e-mail intercorsa tra amministratori e dipendenti delle società, che a suo dire documentavano l’esterovestizione della società oggetto di verifica.

Ne seguì un avviso di accertamento col quale, per il periodo d’imposta 2005/2006, l’Agenzia contestò alla GADO l’omessa presentazione delle dichiarazioni fiscali e recuperò imposte dirette e IRAP.

La società impugnò l’avviso, senza successo né in primo, né in secondo grado. In particolare, il giudice d’appello, dopo aver dato atto dell’adeguatezza della motivazione dell’avviso, ha convenuto con quello di primo grado che la GADO fosse stata costituita all’estero soltanto per ottenere un regime fiscale maggiormente favorevole, in quanto ha ritenuto che essa non avesse una propria organizzazione e fosse di fatto eterogestita, perché rispondeva agli ordini a essa impartiti da Milano.

Contro questa sentenza propone ricorso la s.r.l. GADO per ottenerne la cassazione, che affida a cinque motivi, dei quali il quarto articolato in cinque subcensure, cui l’Agenzia replica con controricorso.

Presenta memoria la s.r.l. Dolce & Gabbana Trademarks con socio unico, succeduta alla GADO.

Ragioni della decisione

  1. Va preliminarmente respinta l’eccezione proposta dall’Agenzia d’inammissibilità del ricorso perché privo del requisito della specificità, anche a causa della tecnica dell’assemblaggio con la quale è costruito.

Il ricorso per cassazione assemblato mediante integrale riproduzione di una serie di documenti, difatti, è comunque ammissibile qualora, espunti i documenti e gli atti integralmente riprodotti, in quanto facilmente individuabili ed isolabili, una volta ricondotto al canone di sinteticità, rispetti il principio di autosufficienza (tra le ultime, Cass. 4 aprile 2018, n. 8245).

E, nel caso in esame, le giunzioni tra i vari comparti del ricorso consentono di ritenere rispettato questo canone. Parimenti infondata è l’ulteriore eccezione d’inammissibilità del ricorso, perché tendente a una mera rivalutazione dei fatti, perché la società sottopone a critica impianto di diritto e motivazione della sentenza impugnata.

2.- Col quarto motivo di ricorso, da esaminare preliminarmente, perché logicamente prodromico, la contribuente lamenta: – la violazione dell’art. 73, commi 5-bis e 5-ter, del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 e dell’art. 35, 14° comma, del d.l. n. 223/06, come convertito, là dove il giudice d’appello ha applicato il meccanismo presuntivo scaturente dalla combinazione delle suddette norme in relazione a un periodo d’imposta al quale tale combinazione non era applicabile; -la violazione dell’art. 73, 3° comma, del d.P.R. n. 917/86 e dell’art. 49 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, là dove la Commissione tributaria regionale ha trascurato che sia il diritto interno, sia quello internazionale delle convenzioni escludono la rilevanza dei motivi sottesi a un’operazione e ai vantaggi fiscali da questa derivanti al fine d’individuare la residenza fiscale di una società oppure di risolvere eventuali conflitti tra ordinamenti in ordine ai criteri di localizzazione della residenza; – l’insufficienza della motivazione in ordine al risparmio fiscale che secondo l’Agenzia sarebbe stato perseguito mediante la costituzione di GADO all’estero, in relazione alla collocazione dell’attività di direzione amministrativa e di gestione imprenditoriale della GADO in Italia e all’ubicazione dell’oggetto principale, nonché con riguardo all’integrazione, nel periodo d’imposta accertato, del requisito temporale richiesto dall’art. 73, 3° comma, del d.P.R. n. 917/86, come presupposto indefettibile RG n. 21718/2012 Angelina-Nrari4 Perrino estensore per ricondurre in Italia la residenza fiscale di una società avente sede legale all’estero. 2.1.- Questa Corte ha già avuto occasione di chiarire (si veda, in particolare, Cass. 7 febbraio 2013, n. 2869) che per esterovestizione s’intende la fittizia localizzazione della residenza fiscale di una società all’estero, in particolare in un Paese con un trattamento fiscale più vantaggioso di quello nazionale, allo scopo, ovviamente, di sottrarsi al più gravoso regime nazionale. 2.2.- Perché, tuttavia, questo meccanismo risponda alla nozione di pratica abusiva occorre, per un verso, che esso abbia come risultato l’ottenimento di un vantaggio fiscale la cui concessione sarebbe contraria all’obiettivo perseguito dalle norme e, dall’altro, che da un insieme di elementi oggettivi risulti che lo scopo essenziale dell’operazione si limiti all’ottenimento di tale vantaggio fiscale (vedi Corte giust. 17 dicembre 2015, causa C- 419/14, WebMindLicenses Kft, punto 36).

Non è difatti sufficiente applicare criteri generali predeterminati, ma occorre passare in rassegna la singola operazione. Ciò perché una presunzione generale di frode e di abuso non può giustificare né un provvedimento fiscale che pregiudichi gli obiettivi di una direttiva, né uno che pregiudichi l’esercizio di una libertà fondamentale garantita dal Trattato (in particolare, Corte giust. 7 settembre 2017, causa C-6/16, Equiom e Enka, punti 30-32). È necessario quindi accertare che lo scopo essenziale di un’operazione si limiti all’ottenimento di tale vantaggio fiscale: ciò perché quando il contribuente può scegliere tra due operazioni, non è obbligato a preferire (E;Q;tinam quella che implica il pagamento di maggiori imposte, ma, al contrario, ha il diritto di scegliere la forma di conduzione degli affari che gli consenta di ridurre la sua contribuzione fiscale (Corte giust. in causa C- 419/14, cit., punto 42; vedi, poi le sentenze Halifax e a., causa C- RG n. 21718/2012 Angelinfi-Maria Perrino estensore 255/02, punto 73; Part Service, causa C-425/06, punto 47, nonché Weald Leasing, causa C-103/09, punto 27, RBS Deutschland Holdings, causa C-277/09, punto 53 e, da ultimo, X BV e X NV, cause C-398/16 e 399/16, punto 49). 2.3.- Giustappunto con riguardo al fenomeno della localizzazione all’estero della residenza fiscale di una società, si è quindi sottolineato (Corte giust. 12 settembre 2006, in causa C- 196/04, Cadbury Schweppes e Cadbury Schweppes Overseas) che, in tema di libertà di stabilimento, la circostanza che una società sia stata creata in uno Stato membro per fruire di una legislazione più vantaggiosa non costituisce per se stessa un abuso di tale libertà; una misura nazionale che restringe la libertà di stabilimento è ammessa soltanto se concerne specificamente le costruzioni di puro artificio finalizzate ad eludere la normativa dello Stato membro interessato.

2.4.- L’obiettivo della libertà di stabilimento è di permettere a un cittadino di uno Stato membro di creare uno stabilimento secondario in un altro Stato membro per esercitarvi le proprie attività e di partecipare così, in maniera stabile e continuativa, alla vita economica di uno Stato membro diverso dal proprio di origine e di trarne vantaggio. La nozione di stabilimento implica, quindi, l’esercizio effettivo di un’attività economica per una durata di tempo indeterminata, mercé l’insediamento in pianta stabile in un altro Stato membro: presuppone, pertanto, un insediamento effettivo della società interessata nello Stato membro ospite e l’esercizio quivi di un’attività economica reale. Ne consegue che, perché sia giustificata da motivi di lotta a pratiche abusive, una restrizione alla libertà di stabilimento deve avere lo scopo specifico di ostacolare comportamenti consistenti nel creare costruzioni puramente artificiose, prive di effettività economica e finalizzate ad eludere la normale imposta sugli utili generati da attività svolte sul territorio nazionale.

In definitiva, quel che rileva, ai fini della configurazione di un abuso del diritto di stabilimento, non è accertare la sussistenza o meno di ragioni economiche diverse da quelle relative alla convenienza fiscale, ma accertare se il trasferimento in realtà vi è stato o meno, se, cioè, l’operazione sia meramente artificiosa (wholly artificial arrangement), consistendo nella creazione di una forma giuridica che non riproduce una corrispondente e genuina realtà economica.

2.5.- In particolare poi, con riferimento alle imposte dirette e all’Irap, occorre altresì che l’operazione rientri nel novero di quelle contemplate dal 3° comma dell’art. 37-bis del d.P.R. n. 600/73, nel testo ratione temporis applicabile: una diversa opzione renderebbe incostituzionale qualsiasi disciplina, anche meramente procedurale, limitativa del divieto e porrebbe nel nulla la lettera dell’art. 37-bis, che ha invece espressamente previsto, quale «condizione» per l’inopponibilità all’amministrazione finanziaria degli effetti dell’elusione fiscale, l’utilizzazione di una o più tra le operazioni elencate nel 3° comma (Cass. 18 settembre 2015, nn. 18353, 18354, 18355 e 18356).

3.- Per quanto riguarda la fattispecie in esame, la normativa applicabile all’epoca dei fatti è costituita essenzialmente dall’art. 87, 3° co., del d.P.R. n. 917/86 (poi divenuto, con la rinumerazione operata dal d.lgs. n. 344 del 2003, art. 73, 3° comma), in base al quale «Ai fini delle imposte sui redditi si considerano residenti le società e gli enti che per la maggior parte del periodo d’imposta hanno la sede legale o la sede dell’amministrazione o l’oggetto principale nel territorio dello Stato>>.

3.1.- Sono dunque tre i parametri ai quali è in via alternativa ancorata la residenza degli enti: uno di natura formale (la sede legale) e gli altri due di carattere sostanziale (l’oggetto principale e la sede dell’amministrazione). Gli indici di natura sostanziale hanno chiara matrice civilistica, in quanto derivano dall’art. 2505 c.c., il quale, allo scopo di stabilire la disciplina applicabile a società costituite all’estero, prevedeva che «Le società costituite all’estero, le quali hanno nel territorio dello Stato la sede dell’amministrazione ovvero l’oggetto principale dell’impresa, sono soggette, anche per i requisiti di validità dell’atto costitutivo, a tutte le disposizioni della legge italiana».

La norma è stata poi abrogata e sostituita dall’art. 25 della I. 31 maggio 1995, n. 218, che ne ha, peraltro, riprodotto i contenuti, stabilendo che «Si applica, tuttavia, la legge italiana se la sede dell’amministrazione è situata in Italia, ovvero se in Italia si trova l’oggetto principale di tale enti».

3.2.- Viene altresì in rilievo la Convenzione tra Italia e Lussemburgo intesa a evitare le doppie imposizioni in materia di imposte sul reddito e sul patrimonio ed a prevenire la frode e l’evasione fiscali, firmata il 3 giugno 1981 e ratificata e resa esecutiva con la I. 14 agosto 1982, n. 747: l’art. 4, in particolare, prevede, al 1° co., come criterio principale, che, ai fini della Convenzione, «l’espressione residente di uno Stato contraente designa ogni persona che, in virtù della legislazione di detto Stato, è assoggettata ad imposta nello stesso Stato a motivo del suo domicilio, della sua residenza, della sede della sua direzione o di ogni altro criterio di natura analoga»; e, al 30 comma, come criterio sussidiario per le persone giuridiche, che, «quando, in base alle disposizioni del comma 1, una persona diversa da una persona fisica è considerata residente di entrambi gli Stati contraenti, si ritiene che essa è residente dello Stato contraente in cui si trova la sede della sua direzione effettiva».

4.- Le due discipline, quella interna e quella pattizia, a ben vedere, sono sostanzialmente equivalenti, perché la seconda rinvia, come criterio generale, alla legislazione interna ed assume, poi, come criterio sussidiario nel caso di accertata doppia residenza, quello della sede “effettiva” della società, che non è altro che il criterio decisivo anche per la norma interna, secondo la consolidata interpretazione dottrinale e giurisprudenziale di questa (vedi, in particolare, Cass. 7 febbraio 2013, n. 2869).

4.1.- La nozione di “sede dell’amministrazione”, infatti, in quanto contrapposta alla “sede legale”, si deve ritenere coincidente con quella di “sede effettiva” (di matrice civilistica), intesa come il luogo ove hanno concreto svolgimento le attività amministrative e di direzione dell’ente e si convocano le assemblee, e cioè il luogo deputato, o stabilmente utilizzato, per l’accentramento -nei rapporti interni e con i terzi- degli organi e degli uffici societari in vista del compimento degli affari e dell’impulso dell’attività dell’ente; laddove il criterio calibrato sull’oggetto principale identifica il luogo in cui si concretizzano gli atti produttivi e negoziali dell’ente nonché i rapporti economici che esso intrattiene con i terzi.

5.- In definitiva, per determinare il luogo della sede dell’attività economica di una società occorre prendere in considerazione un complesso di fattori, al primo posto dei quali figurano la sede statutaria, il luogo dell’amministrazione centrale, il luogo di riunione dei dirigenti societari e quello, abitualmente identico, in cui si adotta la politica generale di tale società; possono essere presi in considerazione, tuttavia, anche altri elementi, quali il domicilio dei principali dirigenti, il luogo di riunione delle assemblee generali, di tenuta dei documenti amministrativi e contabili e di svolgimento della maggior parte delle attività finanziarie, in particolare bancarie (Corte giust. 28 giugno 2007, causa C-73/06, Planzer Luxembourg Sàrl).

6.- In applicazione di questi principi, con riferimento al versante penale della medesima vicenda in esame, la terza sezione penale di questa Corte (con sentenza 24 ottobre 2014/30 ottobre 2015, n. 43809) ha stabilito, in generale, che in caso di società con sede legale estera controllata ai sensi dell’art. 2359, 10 comma, c.c., non può costituire criterio esclusivo di accertamento della sede della direzione effettiva l’individuazione del luogo dal quale partono gli impulsi gestionali o le direttive amministrative qualora esso s’identifichi con la sede (legale o amministrativa) della società controllante italiana, precisando che in tal caso è necessario accertare anche che la società controllata estera non sia costruzione di puro artificio, ma corrisponda a un’entità reale che svolge effettivamente la propria attività in conformità al proprio atto costitutivo o allo statuto.

6.1.- In particolare, la Corte ha svalutato la rilevanza della mancanza di autonomia gestionale e finanziaria delle dipendenti addette in successione alla sede della GADO, che agivano in base a direttive provenienti da Milano e veicolate dalle e-mail sulle quali punta anche la Commissione tributaria regionale della Lombardia.

E ciò sia alla luce della necessità d’interpretare le informazioni ricavabili dalle e-mail in base al complesso intreccio organizzativo e funzionale che intercorre tra una controllata e la sua controllante capo-gruppo, che fisiologicamente si risolve in un rapporto tra uffici e personale dell’una e dell’altra, sia perché «resta difficile comprendere quale autonomia gestionale e finanziaria dovessero avere due semplici dipendenti per poter qualificare l’insediamento lussemburghese in termini di effettiva realtà. Una valutazione di tale natura avrebbe avuto un significato coerente se oggetto ne fosse stata l’attività del legale rappresentante (eventualmente “eterodiretto)… Si comprende, in realtà, che dietro quel ripetuto richiamo alla mancanza di autonomia gestionale e finanziaria si cela l’ispirazione di fondo dell’intera decisione: la predisposizione degli aspetti gestionali ed organizzativi dell’attività di GADO s.à.r.l.” interamente in Italia, lasciando alla sede lussemburghese i soli compiti esecutivi.

Con il che, però, si ammette che qualcosa in Lussemburgo effettivamente si faceva, sì da giustificare una sede amministrativa collocata in una struttura diversa da quella legale e i costi del personale dapprima distaccato, quindi direttamente assunto, che vi operava».

Ancora recentemente la terza sezione penale di questa Corte (con sentenza 7 novembre 2018, n. 50151) ha ribadito che le società esterovestite non sono, per ciò soltanto, prive della loro autonomia giuridico-patrimoniale e, quindi, automaticamente qualificabili come schermi, ossia come assetti creati esclusivamente per farvi confluire i profitti degli illeciti fiscali.

7.- La complessiva censura proposta dalla contribuente si rivela allora fondata, in quanto il giudice d’appello ha esaurito la propria valutazione nella sbrigativa considerazione, meramente assertiva, che «il top management della Gado operava in Italia», facendo leva su «gli impulsi, gli incontri per assumere le decisioni riguardanti la realizzazione dell’attività sociale», senza valutare l’attività comunque svolta in Lussemburgo, che emerge proprio dalla corrispondenza e-mail valorizzata in senso opposto e trascritta in ricorso.

8.- L’accoglimento del quarto motivo determina l’assorbimento dei restanti, che riguardano la censura di nullità/illegittimità dell’avviso di accertamento perché adottato a seguito d’indagini irritualmente avviate nei confronti di una società di diritto lussemburghese (primo motivo), la nullità/illegittimità dell’avviso di accertamento perché adottato in carenza di potere (secondo motivo), l’illegittimità dell’avviso perché viziato da eccesso di potere sotto l’aspetto della contraddittorietà della motivazione (terzo motivo) e la necessità di considerare i costi nella determinazione del reddito imponibile (quinto motivo).

La sentenza impugnata va in conseguenza cassata, con rinvio, anche per le spese, alla Commissione tributaria regionale della Lombardia in diversa composizione

Per questi motivi

accoglie il quarto motivo di ricorso, assorbiti i restanti, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla Commissione tributaria regionale della Lombardia in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 12 novembre 2018.

 

 

 

 

 

 

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