CASSAZIONE

Per la deducibilità ai compensi agli amministratori serve la delibera

Tributi – Società di capitali – Deducibilità dei compensi corrisposti agli amministratori – Necessaria un’esplicita delibera assembleare – Implicita determinazione nella delibera di approvazione del bilancio, con riconferma degli importi degli anni precedenti – Non valida

Ai fini della legittima corresponsione di compensi agli amministratori nelle società di capitali è sempre necessaria la specifica delibera assembleare, non essendo affatto sufficiente la delibera che approva il bilancio d’esercizio.

Lo ha ribadito la corte di Cassazione in sentenza n.11781 dell’8 giugno 2016.

La questione alla base della presente pronuncia dei Supremi giudici è stata peraltro sovente dibattuta e dispone quindi di una solida giurisprudenza. Pertanto non sarà inutile premettere, ai fini di una più ampia visione d’insieme, che la disciplina fiscale del compenso corrisposto agli amministratori non trova completezza semplicemente seguendo le disposizioni del comma 5 dell’art. 95 del TUIR, il quale stabilisce che i compensi spettanti agli amministratori delle società ed enti di cui all’art. 73, comma 1, sono deducibili nell’esercizio in cui sono corrisposti.

Questa considerazione è necessaria per introdurre come nell’attribuzione del compenso agli amministratori siano contenute delle implicazioni sia civilistiche che fiscali, le quali dettano alcuni limiti in ordine alla deducibilità dello stesso, come appunto dispone la giurisprudenza in alcune pronunce. Ai sensi dell’art. 2389 del codice civile, i compensi spettanti ai membri del Consiglio di amministrazione e del Comitato esecutivo sono stabiliti all’atto della nomina o dall’assemblea. In questo frangente è stato precisato che ai soci di una società di capitali è precluso l’utilizzo dell’approvazione implicita del compenso riconosciuto agli amministratori in sede di approvazione del bilancio, non essendo la relativa delibera idonea a configurare quella di cui all’art. 2389 del codice civile.

Prendendo a modello una precedente pronuncia del 2015, la n. 21953 del 28 ottobre 2015, la Cassazione sancisce un importante principio di diritto: “… La deducibilità ai fini Ires dei compensi erogati agli amministratori è ammessa solo laddove tali emolumenti siano stati deliberati esplicitamente dai soci in assemblea, non essendo sufficiente la semplice approvazione del bilancio nel quale i compensi sono iscritti”.

Inoltre, un’altra sentenza del 2015, la n. 24768, afferma anche che: “…riguardo alla determinazione della misura del compenso degli amministratori di società di capitali, qualora essa non sia stabilita nello statuto, è necessaria una esplicita delibera assembleare, che non può considerarsi implicita in quella di approvazione del bilancio; l’approvazione del bilancio contenente la posta relativa ai compensi degli amministratori non è idonea a configurare la specifica delibera richiesta dall’articolo 2389 del codice civile, salvo che un’assemblea convocata solo per l’approvazione del bilancio, essendo totalitaria, non abbia espressamente discusso e approvato la proposta di determinazione dei compensi degli amministratori; in assenza di preventiva valida delibera per la determinazione dei compensi amministrativi, questi sono indeducibili”.

Anche per la sentenza della Cassazione n. 21953 del 2015 la mancata approvazione dell’ammontare dei compensi in una specifica delibera assembleare genera l’indeducibilità dei compensi dal reddito d’impresa, a causa del disconoscimento dei requisiti di certezza e determinabilità. La giurisprudenza, nel caso che l’iter civilistico si svolga come normativamente stabilito, è anche intervenuta quando il compenso corrisposto all’amministratore possa essere in qualche maniera contestato nel quantum, ovverosia nel suo ammontare, esprimendosi confermando la tesi secondo cui gli Uffici tributari possono disconoscere i costi eccessivi che le società contabilizzano relativamente ad alti compensi spettanti agli amministratori. Anche in presenza di una contabilità regolare e in assenza di violazioni di legge, l’Amministrazione finanziaria ha il potere di valutare la congruità dei costi (così come dei ricavi) indicati nei bilanci e nelle dichiarazioni, sicché, in presenza di un costo sproporzionato rispetto ai ricavi o all’oggetto dell’impresa, ha facoltà di ridurlo, negandone la parziale deducibilità. Per l’ordinanza della Cassazione n. 3243 del 2013, è possibile verificare l’attendibilità economica di quanto esposto dai contribuenti i quali, facendo leva sull’esposizione di costi incongrui, pongono in essere un’elusione, nel senso di contabilizzare sproporzionati corrispettivi con l’unico fine di conseguire un risparmio d’imposta, in assenza di ragioni economiche apprezzabili. Spetta alla società dimostrare che i compensi, sebbene elevati, siano in realtà congrui e non elusivi.

Rientra inoltre, come precisato nell’ordinanza della Cassazione 25572 del 2013, nei poteri dell’Amministrazione finanziaria la valutazione della congruità dei costi e dei ricavi esposti nel bilancio e nelle dichiarazioni, ancorché non risultino irregolarità nella tenuta delle scritture contabili o vizi negli atti giuridici d’impresa, di talché la deducibilità dei compensi degli amministratori delle società dì capitali non implica che gli Uffici finanziari siano vincolati alla misura indicata in deliberazioni sociali o contratti, competendo agli Uffici stessi la verifica dell’attendibilità economica dei predetti dati.

Tornando alla decisione in epigrafe una Srl impugnava l’avviso di accertamento relativo alla ripresa a tassazione di vari tributi per un anno d’imposta e, per quel che qui riguarda, la ritenuta indeducibilità dei costi sostenuti dalla società per compensi agli amministratori, non risultando gli stessi approvati con delibera assembleare. Il giudice di primo grado accoglieva il ricorso ritenendo detti costi comunque approvati in uno con il bilancio d’esercizio.

L’Agenzia delle Entrate impugnava la decisione di primo grado innanzi alla CTR, che confermava la decisione impugnata. Secondo la CTR la circostanza che l’importo dei compensi degli amministratori fosse rimasto invariato per diversi anni rispetto a quelli previsti da precedenti delibere assembleari rendeva legittimo l’operato della società essendo sufficiente, ai fini della prova del costo, la documentazione dell’erogazione, risultando invece la previsione della previa delibera assembleare di origine civilistica e non fiscale.

Ad assecondare la tesi della società, peraltro, si sarebbe avuta una duplicazione d’imposta in relazione alla tassabilità dei compensi in capo ai consiglieri. L’Agenzia delle Entrate proponeva quindi ricorso per cassazione, lamentando la violazione dell’art.109 del TUIR, nonché degli artt. 2364 e 2389 c.c.

La CTR aveva errato non solo nel ritenere deducibili i costi per compensi agli amministratori non deliberati dall’assemblea, ma anche nel considerare che la ripresa a tassazione determinava una duplicazione di imposta. La suprema Corte ha quindi ritenuto che: “Questa Corte è ferma nel ritenere che qualora la determinazione della misura del compenso degli amministratori di società di capitali, ai sensi dell’art. 2389, primo comma cod. civ., non sia stabilita nell’atto costitutivo, è necessaria un’esplicita delibera assembleare, che non può considerarsi implicita in quella di approvazione del bilancio, atteso: a) la natura imperativa e inderogabile della previsione normativa, discendente dall’essere la disciplina del funzionamento delle società dettata, anche, nell’interesse pubblico al regolare svolgimento dell’attività economica, oltre che dalla previsione come delitto della percezione di compensi non previamente deliberati dall’assemblea (art. 2630, secondo comma cod. civ., abrogato dall’art. 1 del d.lgs. 11 aprile 2002, n. 61); b) la distinta previsione della delibera di approvazione del bilancio e di quella di determinazione dei compensi (art. 2364 n. 1 e 3 cod. civ); c) la mancata liberazione degli amministratori dalla responsabilità di gestione, nel caso di approvazione del bilancio (art. 2434 cod. civ ); d)il diretto contrasto delle delibere tacite ed implicite con le regole di formazione della volontà della società (art. 2393, secondo comma, cod. civ.). Conseguentemente, l’approvazione in sé del bilancio, pur se contenente la posta relativa ai compensi degli amministratori, non è idonea ai predetti fini, salvo che un’assemblea convocata solo per l’approvazione del bilancio, essendo totalitaria, non abbia espressamente discusso e approvato la proposta di determinazione dei compensi degli amministratori – cfr. Cass. n. 20265/2013; Cass.n.22761/2014; Cass. n. 17673/2013; Cass. sez. un., 29 agosto 2008, n. 21933; Cass.n.28243/2005”.

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CORTE DI CASSAZIONE Ordinanza 8 giugno 2016, n. 11781

In fatto e in diritto

La società F. C. s.r.l. impugnava l’avviso di accertamento relativo alla ripresa a tassazione di vari tributi per l’anno 2006 e, per quel che qui riguarda, la ritenuta indeducibilità dei costi sostenuti dalla società per compensi agli amministratori, non risultando gli stessi approvati con delibera assembleare.

Il giudice di primo grado accoglieva il ricorso anche in relazione ad altre questioni in questa sede non rilevanti, ritenendo detti costi comunque approvati in uno con il bilancio d’esercizio.

L’Agenzia delle Entrate impugnava la decisione di primo grado innanzi alla CTR della Lombardia che, con sentenza n. 182/2013/07, depositata il 19.11.2013, confermava la decisione impugnata. Secondo la CTR la circostanza che l’importo dei compensi degli amministratori fosse rimasto invariato per diversi anni rispetto a quelli previsti da precedenti delibere assembleari rendeva legittimo l’operato della società essendo sufficiente, ai fini della prova del costo, la documentazione dell’erogazione, risultando invece la previsione della previa delibera assembleare di origine civilistica e non fiscale. Ad opinare nel senso dell’amministrazione, peraltro, si sarebbe avuta una duplicazione d’imposta in relazione alla tassabilità dei compensi in capo ai consiglieri.

L’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per cassazione affidato ad un unico motivo, al quale la parte intimata, all’esito della rinnovazione della notifica ritualmente eseguita dall’Agenzia su impulso di questa Corte, ha fatto seguire il deposito di memoria di costituzione con richiesta di rigetto del ricorso.

Con l’unica censura dedotta si lamenta la violazione dell’art. 109 TUIR, nonché degli arti2364 e 2389 c.c. La CTR aveva errato non solo nel ritenere deducibili i costi per compensi agli amministratori non deliberati dall’assemblea, ma anche nel considerare che la ripresa a tassazione determinava una duplicazione di imposta.

La censura è manifestamente fondata.

Questa Corte è ferma nel ritenere che qualora la determinazione della misura del compenso degli amministratori di società di capitali, ai sensi dell’art. 2389, primo comma cod. civ., non sia stabilita nell’atto costitutivo, è necessaria un’esplicita delibera assembleare, che non può considerarsi implicita in quella di approvazione del bilancio,atteso: a)la natura imperativa e inderogabile della previsione normativa, discendente dall’essere la disciplina del funzionamento delle società dettata, anche, nell’interesse pubblico al regolare svolgimento dell’attività economica, oltre che dalla previsione come delitto della percezione di compensi non previamente deliberati dall’assemblea (art. 2630, secondo comma cod. civ., abrogato dall’art. 1 del d.lgs. 11 aprile 2002, n. 61); b) la distinta previsione della delibera di approvazione del bilancio e di quella di determinazione dei compensi (art. 2364 n. 1 e 3 cod. civ); c)la mancata liberazione degli amministratori dalla responsabilità di gestione, nel caso di approvazione del bilancio (art. 2434 cod. civ ); d)il diretto contrasto delle delibere tacite ed implicite con le regole di formazione della volontà della società (art. 2393, secondo comma, cod. civ.). Conseguentemente, l’approvazione in sé del bilancio, pur se contenente la posta relativa ai compensi degli amministratori, non è idonea ai predetti fini, salvo che un’assemblea convocata solo per l’approvazione del bilancio, essendo totalitaria, non abbia espressamente discusso e approvato la proposta di determinazione dei compensi degli amministratori – cfr.Cass. n. 20265/2013;Cass.n.22761/2014; Cass.n. 17673/2013-,;Cass. sez. un., 29 agosto 2008, n. 21933; Cass.n.28243/2005-.

A tali principi, ribaditi di recente da Cass. n. 5349/2014, che ha pure sottolineato come la necessità della preventiva delibera assembleare è funzionale alla certezza del costo e ancora più di recente da Cass.n.21953/2015, non si è uniformata la CTR, che ha riconosciuto quali costi deducibili della società i compensi corrisposti gli amministratori in assenza di una delibera assembleare. Parimenti errato risulta il riferimento, operato dalla CTR, alla prospettata doppia imposizione. E’ infatti pacifico nella giurisprudenza di questa Corte che il divieto di doppia imposizione postula la reiterata applicazione della medesima imposta in dipendenza dello stesso presupposto (cfr. Cass. 19687/2011). Circostanza non ricorrente con riguardo al caso di specie in relazione alla diversità dei presupposti fra l’IRES ripresa a tassazione nei confronti della società e l’IRPEF dovuta dagli amministratori.

In conclusione, il ricorso va accolto e la sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio ad altra sezione della CTR della Lombardia per nuovo esame e per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

Visti gli artt. 375 e 380 bis c.p.c.

Accoglie il ricorso. Cassa la sentenza impugnata e rinvia ad altra sezione della CTR della Lombardia per nuovo esame e per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

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