FISCALITA FOCUS

Pensioni d’oro: via libera della Consulta al prelievo

Roma, 6 luglio 2016

Con un comunicato del 5 luglio 2016 della Corte Costituzionale è stata anticipata la notizia della prossima pubblicazione della sentenza riguardante la legittimità del decreto varato dal Governo che sanciva un prelievo sulle pensioni superiori ai 91.250 euro lordi annui.

Quel decreto, in vigore per tre anni fino al 2017, secondo l’orientamento dei giudici remittenti presentava profili di non manifesta infondatezza di illegittimità costituzionale in quanto sospettato di riproporre un analogo provvedimento, già censurato dalla Consulta con la famosa sentenza 116 del 2013.

E’ stato ora reso noto che il prelievo, qualificato come contributo di solidarietà interno al circuito previdenziale, trova giustificazione del tutto eccezionale nella crisi contingente e grave del sistema.

Sono state perciò respinte le varie questioni di costituzionalità relative al contributo provenienti dalle sezioni della Corte dei Conti di Veneto, Calabria, Umbria, Campania a seguito di ricorsi presentati da professori universitari, ufficiali delle forze armate, dirigenti dello Stato, dirigenti di enti pubblici o privati, avvocati dello Stato e numerosi magistrati.

Le motivazioni della sentenza, dalle anticipazioni pubblicate, sono da ricercare in primo luogo sulla esclusione della natura tributaria del contributo sulle pensioni di importo più elevato.

In secondo luogo, la Corte ha ritenuto che tale contributo rispetti il principio di progressività e, riconosciuto l’innegabile sacrificio a carico dei pensionati colpiti, sia comunque sostenibile in quanto applicato solo sulle pensioni più elevate, da 14 a oltre 30 volte superiori alle pensioni minime.

E’ utile rammentare che il prelievo è così articolato: 6% sulla quota di assegno oltre un importo lordo pari a 14 volte il trattamento minimo Inps, 12% oltre le 20 volte i minimo, 18% oltre le 30 (la pensione minima Inps è pari per il 2016 a 501,89 euro al mese).

Sarà interessante leggere le argomentazioni a sostegno delle decisioni assunte dalla Consulta, soprattutto alla luce della già citata sentenza 5 giugno 2013 n. 116.

Con quella decisione i giudici della Corte Costituzionale dichiararono invece l’illegittimità della norma nella parte che stabiliva che dal primo agosto 2011 fino al 31 dicembre 2014, i trattamenti pensionistici corrisposti da enti gestori di forme di previdenza obbligatorie, i cui importi superassero 90mila euro lordi annui, fossero assoggettati a un contributo di perequazione del 5% della parte eccedente l’importo fino a 150mila euro; pari al 10% per la parte eccedente 150mila euro; e al 15% per la parte eccedente 200mila euro

I giudici della Corte precisarono all’epoca che “…nel caso di specie, peraltro, il giudizio di irragionevolezza dell’intervento settoriale appare ancor più palese, laddove si consideri che la giurisprudenza della Corte ha ritenuto che il trattamento pensionistico ordinario ha natura di retribuzione differita (fra le altre sentenza n. 30 del 2004, ordinanza n. 166 del 2006); sicché il maggior prelievo tributario rispetto ad altre categorie risulta con più evidenza discriminatorio, venendo esso a gravare su redditi ormai consolidati nel loro ammontare, collegati a prestazioni lavorative già rese da cittadini che hanno esaurito la loro vita lavorativa, rispetto ai quali non risulta più possibile neppure ridisegnare sul piano sinallagmatico il rapporto di lavoro.
Fu, quindi, pronunciata l’illegittimità costituzionale dell’articolo 18, comma 22-bis, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98 (Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria), convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, come modificato dall’articolo 24, comma 31-bis, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 (Disposizioni urgenti per la crescita, l’equità e il consolidamento dei conti pubblici), convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214.

Il problema prospettato aveva profili simili: il prelievo, affermò la Corte costituzionale in quella sede, ha natura tributaria (in conformità alla sentenza 241/2012), perché determina “una decurtazione patrimoniale definitiva del trattamento pensionistico, con acquisizione al bilancio statale del relativo ammontare”.

Quel contributo di solidarietà previsto per le pensioni, era l’estensione di un meccanismo identico introdotto nel 2010 per gli stipendi dei manager pubblici, e cancellato dalla stessa Corte costituzionale con la sentenza 223/2012

E’ bene pure rammentare che altro “taglio solidale” sui redditi è quello introdotto dalla manovra-bis del 2011, che chiede il 3% alla quota di reddito superiore ai 300mila euro proveniente da qualsiasi fonte.

Il “’balzello’” previsto per il 2011, il 2012 e il 2013 dalla «manovra di ferragosto» (Dl 138/2011), con la legge di stabilita 2014, legge 147/13 (coma. 590), è stato prorogato, estendendolo fino al periodo di imposta 2016.

La nuova legge prevede l’applicazione del contributo di solidarietà anche ai trattamenti pensionistici a partire dal periodo 2014-2016 (per il periodo precedente 2011-2013, non era

prevista la sua applicazione sulle pensioni con reddito lordo complessivo superiore ai 300.000,00 euro). Il contributo è pagato in unica soluzione entro la scadenza per il pagamento del saldo Irpef, seguendone le stesse modalità (compresa la possibilità di rateizzazione) e nel caso dei lavoratori dipendenti e assimilati, è trattenuto in unica soluzione in sede di conguaglio dal sostituto di imposta).

Nell’ipotesi di cessazione del rapporto di lavoro durante l’anno in corso, il datore di lavoro non trattiene alcun importo a titolo di contributo di solidarietà, ma indicherà nel CUD che il sostituito dovrà presentare la dichiarazione dei redditi.

Il contributo di solidarietà è deducibile dal reddito complessivo, secondo il criterio di competenza e sono esclusi dal contributo di solidarietà taluni redditi (quelli soggetti a tassazione separata; esenti; soggetti a ritenuta a titolo di imposta ed i redditi assoggettati a imposte sostitutive).

Per arricchire il quadro dei prelievi “aggiuntivi e indiretti” non possiamo non citare l’ulteriore intervento della Corte Costituzionale che con sentenza nr 70 il 10 marzo 2015 ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 24, comma 25, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 (Disposizioni urgenti per la crescita, l’equità e il consolidamento dei conti pubblici), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 22 dicembre 2011, n. 214, nella parte in cui prevede che «In considerazione della contingente situazione finanziaria, la rivalutazione automatica dei trattamenti pensionistici, secondo il meccanismo stabilito dall’art. 34, comma 1, della legge 23 dicembre 1998, n. 448, è riconosciuta, per gli anni 2012 e 2013, esclusivamente ai trattamenti pensionistici di importo complessivo fino a tre volte il trattamento minimo INPS, nella misura del 100 per cento.

L’Inps con circolare n. 125 del 25 giugno 2015 ha diramato le istruzioni operative per l’applicazione dell’articolo 1 del decreto-legge n. 65 del 2015 con il quale sono state stabilite le modalità di applicazione della sentenza della Corte Costituzionale n. 70 citata.

In particolare, visto che la norma dichiarata incostituzionale sanciva che la rivalutazione automatica nella misura del 100 per cento era riconosciuta esclusivamente ai trattamenti pensionistici di importo complessivo fino a tre volte il trattamento minimo INPS, sono state impartite istruzioni connesse alle indicazioni fissate con il nuovo dl 65/2015 legge che, deve essere ricordato, riconosceva un parziale rimborso agli aventi diritto.

Ed in effetti, la Corte costituzionale dovrà pronunciarsi di nuovo, stavolta proprio sul decreto varato dal governo per “sanare le conseguenze” della sentenza del 2015. Il Tribunale di Palermo ha dato ragione a un pensionato che aveva presentato ricorso contro il cosiddetto “bonus Poletti e ha disposto la trasmissione degli atti alla Corte Costituzionale.

Il bonus spetta solo a chi percepisce non più di sei volte il minimo e non risarcisce il pensionato dell’intero ammontare che avrebbe dovuto ricevere se l’adeguamento all’inflazione fosse stato completo.

Sono ormai significativi in termini numerici i pensionati che hanno presentato lo stesso ricorso e altrettanto rilevanti Ordinanze di eccezione incostituzionalità del citato dl 65/2015:

Tribunale di Palermo 22 gennaio 2016; Tribunale di Brescia 8 febbraio 2016; Corte dei Conti dell’ Emilia Romagna 23 febbraio 2016; Corte dei Conti delle Marche 26 aprile 2016.

In particolare, nell’Ordinanza del Tribunale di Milano del 30 aprile 2016, il giudice ha dichiarato la non manifesta infondatezza, per violazione degli art. 136, 3, 36 comma, 1 e 38 comma 2 della Costituzione, della questione di legittimità costituzionale dell’art. 24 comma 25 decreto legge n. 201 del 2011, convertito in legge n. 214 del 2011, come modificato dal Decreto Legge n. 65/2015 (decreto Renzi) convertito in Legge n. 109/2015.

Il tema dei prelievi sui redditi è da tempo oggetto di dibattiti, anche accesi, che hanno condotto all’emanazione di provvedimenti di legge, non sempre immuni da censure costituzionali.

Abbiamo cercato di fornire un quadro riepilogativo dello “stato dell’arte” sull’argomento muovendo dal recentissimo orientamento della Consulta e ricordando le determinazioni assunte dal legislatore con intenti perequativi e solidaristici, in un quadro di finanza pubblica da anni in sofferenza.

Non resta che attendere la pubblicazione delle motivazioni della sentenza indicata all’esordio che sembra andare nella direzione di riconoscere valenza preminente al recente vincolo costituzionale introdotto del “pareggio di bilancio” e della connessa sostenibilità della spesa pubblica, specie pensionistica e sanitaria, seriamente lievitata anche per effetto di “norma agevolative” ormai non più tollerabili.

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