CASSAZIONE

Onere della prova: incombe sul contribuente, se ricorre contro la presunzione semplice

Tributi – IRPEG, IRAP e IVA – Reati tributari – Accertamento analitico-induttivo – Contabilità in nero – Documentazione extracontabile – Art. 39, DPR 600/1973- Scostamento – Rettifica del reddito – Art.2729 c. c.

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 19851 del 12 luglio 2023 ha attestato la piena valenza probatoria di una documentazione extracontabile rinvenuta presso un’altra società e riferita a operazioni commerciali intrattenute da questa con l’accertata contabilità in nero, che garantisce al Fisco la prova dell’evasione anche se reperita presso un terzo. In sostanza la Suprema Corte ha riaffermato che in questi casi si può procedere alla rettifica del reddito anche quando l’incompletezza della dichiarazione risulta “dai verbali relativi ad ispezioni eseguite nei confronti di altri contribuenti”.

In tema di accertamento analitico-induttivo, a fronte dell’incompletezza, falsità o inesattezza dei dati contenuti nelle scritture contabili, l’Amministrazione finanziaria può completare le lacune riscontrate utilizzando, ai fini della dimostrazione dell’esistenza di componenti positivi di reddito non dichiarati, anche presunzioni semplici aventi i requisiti di cui all’art. 2729 c.c., con la conseguenza che l’onere della prova si sposta sul contribuente. Inoltre, l’art. 39, primo comma, lett. c), del DPR 600/1973 consente di procedere alla rettifica del reddito anche quando l’incompletezza della dichiarazione risulta dai verbali relativi a ispezioni eseguite nei confronti di altri contribuenti, da cui derivino presunzioni semplici, desumibili anche da documentazione extracontabile e, in particolare, da contabilità in nero costituita da appunti personali e informazioni dell’imprenditore, dovendo ricomprendersi tra le scritture contabili disciplinate dagli artt. 2709 e ss. cod. civ. tutti i documenti che registrino, in termini quantitativi o monetari, i singoli atti d’impresa ovvero rappresentino la situazione patrimoniale dell’imprenditore e il risultato economico dell’attività svolta (v.  Sent. n. 9944/2023 ).

Con riferimento alla vigente interpretazione giurisprudenziale, (ex multis Cass. Sent. n. 20094/2014), è stato più volte spiegato che la contabilità in nero, costituita da appunti personali e informazioni dell’imprenditore, rappresenta un valido elemento indiziario, dotato dei requisiti di gravità, precisione e concordanza prescritti dall’art. 39 del DPR 600/1973. La sua valutazione deve essere basata sull’analisi dell’intrinseco valore delle informazioni contenute nella documentazione, sulla comparazione di tali informazioni con altre prove acquisite e con i dati ufficiali della contabilità del contribuente.

Spetterà poi allo stesso contribuente l’onere di fornire la prova contraria.

Come già ricordato in più occasioni dalla stessa Corte di Cassazione, e in particolare con la decisione n. 30985/2021, a fronte dell’incompletezza, falsità o inesattezza dei dati contenuti nelle scritture contabili rinvenute presso la società oggetto di accertamento, l’Amministrazione finanziaria può completare le lacune riscontrate utilizzando, ai fini della dimostrazione dell’esistenza di componenti positivi di reddito non dichiarati, anche presunzioni semplici, aventi i requisiti di cui all’articolo 2729 del codice civile, ovvero presunzioni gravi, precise e concordanti, basate su indizi chiari e coerenti.

Con l’utilizzo delle presunzioni semplici l’onere della prova si sposta sul contribuente, che dovrà dimostrare pienamente di non aver sottratto alcun cespite economico alla tassazione prevista dalla normativa fiscale nazionale.

Con specifico riguardo, poi, alla cosiddetta contabilità in nero, i Giudici di legittimità, seguendo un filone già percorso (v.  Cass., pronunce nn. 12680 e 27622 del 2018, 14150/2016 e 20094/2014), hanno confermato come, in tema di accertamento delle imposte sui redditi, l’articolo 39, comma 1, lettera c), del DPR 600/1973 consente all’Amministrazione fiscale di procedere alla rettifica del reddito “anche quando l’incompletezza della dichiarazione risulta dai verbali relativi ad ispezioni eseguite nei confronti di altri contribuenti, da cui derivino presunzioni semplici, desumibili anche da documentazione extracontabile ed in particolare da contabilità in nero, costituita da appunti personali ed informazioni dell’imprenditore, dovendo ricomprendersi tra le scritture contabili disciplinate dagli artt. 2709 e ss. c.c. tutti i documenti che registrino, in termini quantitativi o monetari, i singoli atti d’impresa, ovvero rappresentino la situazione patrimoniale dell’imprenditore ed il risultato economico dell’attività svolta”.

Infine, nel caso di reperimento di documenti extracontabili e dimostrativi di attività in nero, può essere correttamente ritenuta la sussistenza di ricavi non contabilizzati sulla base di una presunzione in presenza della quale spetta al contribuente fornire la prova contraria. Qualunque documento o dichiarazione, comprese le annotazioni, i brogliacci e la contabilità informale possono costituire, in sostanza, la base per una presunzione idonea a sorreggere un accertamento, consentendo così l’ingresso nel processo tributario, sotto forma di presunzioni semplici, anche delle prove atipiche.

Tanto premesso e tornando al caso oggi in dibattimento, la vicenda ha inizio quando a una cooperativa agricola giunge un avviso di accertamento di un maggiore imponibile, con conseguente rideterminazione delle imposte dovute, in quanto l’Agenzia delle entrate, sulla scorta di indagini svolte dalla Guardia di Finanza presso la società contribuente stessa e presso altra società, appurava la mancata regolarizzazione di operazioni commerciali consistite in acquisto di olio e prestazione di servizi (molitura di olive). La cooperativa non aveva registrato alcuna vendita, a fronte di quanto, invece, risultava dalla documentazione extracontabile reperita presso l’altra società.

La soc. contribuente impugnava l’avviso di accertamento dinanzi la competente Corte di giustizia di primo grado, dove lo stesso veniva annullato in quanto ritenuto carente sotto il profilo delle prove portate dall’ufficio a sostegno delle maggiori imposte accertate.

L’Amministrazione finanziaria ricorreva in appello dinanzi la Corte di giustizia di secondo grado della Puglia, che continuava, però, a dare ragione alla società contribuente confermando l’annullamento stabilito in primo grado. I magistrati tributari, peraltro, affermavano che l’accertamento posto in essere dal fisco era “… basato unicamente su indizi non confortati da prove concrete, su presunzioni che sicuramente costituivano un valido punto di partenza per indagini ulteriori più approfondite, da condurre possibilmente presso la società accertata”, ritenendo che fosse “necessario quindi un approfondimento con elementi ed indagini specifici condotte direttamente presso la cooperativa medesima”.

L’Agenzia proponeva ricorso per cassazione affidato a due motivi, in cui essenzialmente rappresentava la violazione e falsa applicazione degli artt. 39 e 41-bis del DPR 600/1973, 54 del DPR 633/1972 e degli articoli 2697, 2727 e 2729 cod. civ. censurando la sentenza impugnata che, nel pretendere che l’Agenzia delle entrate fornisca prova certa dell’evasione si pone in palese contrasto con la disciplina dell’onere della prova in materia di accertamenti fiscali, oltre che con la valenza probatoria riconosciuta alla documentazione extracontabile, nella specie rinvenuta presso altra società e facente riferimento a operazioni commerciali (vendite di olio e prestazioni di servizi) intrattenute da quest’ultima con la società contribuente, che non aveva registrato alcuna di quelle operazioni.

Risolvendo quindi la questione in ultima istanza, la Suprema Corte ha accolto le tesi e le richieste avanzate dal Fisco e ha cassato la decisione dei giudici tributari favorevole alla contribuente, specificando che “… Invero, la statuizione d’appello si pone in evidente contrasto con le disposizioni censurate e l’interpretazione che questa Corte ne ha sempre fornito, affermando, da un lato, che «in tema di accertamento analitico – induttivo, a fronte dell’incompletezza, falsità o inesattezza dei dati contenuti nelle scritture contabili, l’amministrazione finanziaria può completare le lacune riscontrate utilizzando, ai fini della dimostrazione dell’esistenza di componenti positivi di reddito non dichiarati, anche presunzioni semplici, aventi i requisiti di cui all’art. 2729 c.c., con la conseguenza che l’onere della prova si sposta sul contribuente […] » (Cass. n. 30985 del 2021) e, dall’altro, con specifico riferimento al caso di specie, di rinvenimento della c.d. “contabilità in nero”, che «In tema di accertamento delle imposte sui redditi, l’art. 39, primo comma, lett. c), del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 consente di procedere alla rettifica del reddito anche quando l’incompletezza della dichiarazione risulta “dai verbali relativi ad ispezioni eseguite nei confronti di altri contribuenti”, da cui derivino presunzioni semplici, desumibili anche dalla documentazione extracontabile ed in particolare da “contabilità in nero”, costituita da appunti personali ed informazioni dell’imprenditore, dovendo ricomprendersi tra le scritture contabili disciplinate dagli artt. 2709 e ss. cod. civ. tutti i documenti che registrino, in termini quantitativi o monetari, i singoli atti d’impresa, ovvero rappresentino la situazione patrimoniale dell’imprenditore ed il risultato economico dell’attività svolta. (In applicazione di tale principio la S.C. ha cassato la sentenza di merito che aveva annullato l’avviso di accertamento fondato sulla documentazione extracontabile di altro contribuente, reperita in sede di verifica nei confronti di quest’ultimo)» (Cass . n. 20094 del 2014; conf. Cass. n. 14150 del 2016; v. anche, ex multis, Cass. n. 12680 del 2018, n. 27622 del 2018).  E’, quindi, evidente l’errore di diritto in cui è incorsa la CTR pugliese che ha negato che nella specie vi fossero elementi sufficienti per giustificare l’accertamento fondato su documentazione extracontabile attestante l’esecuzione di operazioni commerciali (vendita di olio e prestazioni di molitura) intercorse tra le due società non fiscalmente regolarizzate, e quindi in evidente evasione d’imposta, peraltro pretendendo dall’amministrazione finanziaria la «prova certa» dell’evasione e, quindi, la necessità di espletamento da parte della stessa di «indagini ulteriori più approfondite», ovvero «un approfondimento con elementi ed indagini specifici condotte direttamente presso la cooperativa “L’U.”»; ciò facendo, peraltro, con motivazione apparente, che si pone ben al di sotto del minimo costituzionale (Cass. n. 6758 del 2022; Cass. n. 13248 del 2020; v. anche Cass., Sez. U, n. 8053 e n. 8054 del 2014; Cass., Sez. U, n. 22232 del 2016 e la giurisprudenza ivi richiamata), non avendo i giudici di appello neppure spiegato quali approfondimenti ed indagini specifici l’amministrazione finanziaria avrebbe potuto o dovuto compiere.. Conclusivamente, il ricorso va accolto e la sentenza impugnata va cassata con rinvio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado territorialmente competente per nuovo esame, da effettuarsi alla stregua dei principi sopra enunciati, e per la regolamentazione delle spese processuali del presente giudizio di legittimità”.

Corte di Cassazione – Ordinanza 12 luglio 2023, n. 19851

sul ricorso iscritto al n. 29629‒2016R.G. proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, C.F. 063633911001, in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici è domiciliata in Roma, alla via dei Portoghesi n. 12;

-ricorrente –

contro L’U. piccola società cooperativa a r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore;

-intimata –

avverso la sentenza n. 2537/24/2015della Commissione tributaria regionale della PUGLIA , Sezione staccata di BARI , depositata in data 01/12/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 18/01/2023 dal Consigliere Lucio LUCIOTTI;

Rilevato che:

1. In controversia avente ad oggetto un avviso di accertamento di un maggior reddito imponibile ai fini IRPEG, IRAP ed IVA che l’Agenzia delle entrate emetteva nei confronti della piccola società cooperativa a r.l. L’U. con riferimento all’anno di imposta 2002 sulla scorta delle risultanze degli accertamenti effettuati dalla G.d.F. a carico della predetta società contribuente e dell’Oleificio Pugliese, presso la cui sede veniva rinvenuta documentazione extracontabile da cui emergeva che quest’ultima aveva effettuato acquisti di olio dalla prima società e prestazioni di servizi (molitura di olive) a favore della stessa che non aveva registrato alcuna vendita, con la sentenza in epigrafe indicata la CTR della Puglia rigettava l’appello proposto dall’amministrazione finanziaria avverso la sfavorevole sentenza di primo grado, confermando l’annullamento dell’atto impositivo sostenendo che l’accertamento effettuato nei confronti della società contribuente era «basato unicamente su indizi non confortati da prov [e] concrete», ovvero su «presunzioni che sicuramente costituivano un valido punto di partenza per indagini ulteriori più approfondite, da condurre possibilmente presso la società accertata», ritenendo che fosse «necessario quindi un approfondimento con elementi ed indagini specifici condotte direttamente presso la cooperativa “L’U.”».

2. Avverso tale statuizione l’Agenzia delle entrate propone ricorso per cassazione affidato a due motivi , cui non replica l’intimata.

Considerato che:

1. Con il primo motivo di ricorso la difesa erariale deduce, ex art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione degli artt. 39 e 41 bis d.P.R. n. 600 del 1973, 54 d.P.R. n. 633 del 1972, 2697, 2727 e 2729 cod. civ. censurando la sentenza impugnata che, nel pretendere che l’Agenzia delle entrate fornisca prova certa dell’evasione, si pone in palese contrasto con la disciplina dell’onere della prova in materia di accertamenti fiscali e con la valenza probatoria riconosciuta alla documentazione extracontabile, nella specie rinvenuta presso altra società e facente riferimento ad operazioni commerciali (vendite di olio e prestazioni di servizi) intrattenute da quest’ultima con la società contribuente che non aveva registrato alcuna di quelle operazioni.

2. Con il secondo motivo la ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., la nullità della sentenza per motivazione apparente in violazione e falsa applicazione dell’art. 132 cod. proc. civ.

3. I due motivi, che possono essere esaminati congiuntamente, sono fondati e vanno accolti.

4. Invero, la statuizione d’appello si pone in evidente contrasto con le disposizioni censurate e l’interpretazione che questa Corte ne ha sempre fornito, affermando, da un lato, che «in tema di accertamento analitico – induttivo, a fronte dell’incompletezza, falsità o inesattezza dei dati contenuti nelle scritture contabili, l’amministrazione finanziaria può completare le lacune riscontrate utilizzando, ai fini della dimostrazione dell’esistenza di componenti positivi di reddito non dichiarati, anche presunzioni semplici, aventi i requisiti di cui all’art. 2729 c.c., con la conseguenza che l’onere della prova si sposta sul contribuente […] » (Cass. n. 30985 del 2021) e, dall’altro, con specifico riferimento al caso di specie, di rinvenimento della c.d. “contabilità in nero”, che «In tema di accertamento delle imposte sui redditi, l’art. 39, primo comma, lett. c), del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 consente di procedere alla rettifica del reddito anche quando l’incompletezza della dichiarazione risulta “dai verbali relativi ad ispezioni eseguite nei confronti di altri contribuenti”, da cui derivino presunzioni semplici, desumibili anche dalla documentazione extracontabile ed in particolare da “contabilità in nero”, costituita da appunti personali ed informazioni dell’imprenditore, dovendo ricomprendersi tra le scritture contabili disciplinate dagli artt. 2709 e ss. cod. civ. tutti i documenti che registrino, in termini quantitativi o monetari, i singoli atti d’impresa, ovvero rappresentino la situazione patrimoniale dell’imprenditore ed il risultato economico dell’attività svolta. (In applicazione di tale principio la S.C. ha cassato la sentenza di merito che aveva annullato l’avviso di accertamento fondato sulla documentazione extracontabile di altro contribuente, reperita in sede di verifica nei confronti di quest’ultimo)» (Cass . n. 20094 del 2014; conf. Cass. n. 14150 del 2016; v. anche, ex multis, Cass. n. 12680 del 2018, n. 27622 del 2018).

5. E’, quindi, evidente l’errore di diritto in cui è incorsa la CTR pugliese che ha negato che nella specie vi fossero elementi sufficienti per giustificare l’accertamento fondato su documentazione extracontabile attestante l’esecuzione di operazioni commerciali (vendita di olio e prestazioni di molitura) intercorse tra le due società non fiscalmente regolarizzate, e quindi in evidente evasione d’imposta, peraltro pretendendo dall’amministrazione finanziaria la «prova certa» dell’evasione e, quindi, la necessità di espletamento da parte della stessa di «indagini ulteriori più approfondite», ovvero «un approfondimento con elementi ed indagini specifici condotte direttamente presso la cooperativa “L’U.”»; ciò facendo, peraltro, con motivazione apparente, che si pone ben al di sotto del minimo costituzionale (Cass. n. 6758 del 2022; Cass. n. 13248 del 2020; v. anche Cass., Sez. U, n. 8053 e n. 8054 del 2014; Cass., Sez. U, n. 22232 del 2016 e la giurisprudenza ivi richiamata), non avendo i giudici di appello neppure spiegato quali approfondimenti ed indagini specifici l’amministrazione finanziaria avrebbe potuto o dovuto compiere.

6. Conclusivamente, il ricorso va accolto e la sentenza impugnata va cassata con rinvio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado territorialmente competente per nuovo esame, da effettuarsi alla stregua dei principi sopra enunciati, e per la regolamentazione delle spese processuali del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Puglia, Sezione staccata di Bari, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità. Così deciso in Roma in data 18 gennaio 2023

Desidero ricevere in abbonamento gratuito il vostro periodico FiscotoDay