CASSAZIONE

Occultamento di documenti e bancarotta fraudolenta, niente ne bis in idem

La Corte di Cassazione, con la sentenza del 18 ottobre 2017 n. 48102, ha stabilito che se alla condanna per occultamento e distruzione di documenti contabili fa seguito quella per bancarotta fraudolenta documentale, non sussiste la violazione del principio del “ne bis in idem” in quanto si tratta di due fattispecie diverse. Con la sentenza in commento la S.C. si occupa pertanto di definire l’applicabilità di tale principio nel rapporto tra il reato di occultamento e distrazione di elementi contabili, di cui all’art. 10, D.Lgs. 74/2000, e l’art. 216, comma 2, L. Fall. che sanziona la c.d. “bancarotta documentale”, la quale si sostanzia in una condotta di sottrazione, distruzione o falsificazione di libri o scritture contabili durante la procedura fallimentare.

La pronuncia prende le mosse dai molti precedenti di legittimità (vedi, fra le altre, la recente sentenza Cass. 20 aprile 2017, n. 18927), per cui non è possibile applicarsi il divieto di un secondo giudizio in situazioni assimilabili a quella oggetto di giudizio, atteso che la fattispecie tributaria richiede “l’impossibilità di ricostruire l’ammontare dei redditi o il volume degli affari, intesa come impossibilità di accertare il risultato economico di quelle sole operazioni connesse alla documentazione occultata o distrutta[…]”, mentre quella fallimentare “ si concreta in un evento da cui discende la lesione degli interessi creditori, rapportato all’intero corredo documentale, risultando irrilevante l’obbligo normativo della relativa tenuta, ben potendosi apprezzare la lesione anche dalla sottrazione di scritture meramente facoltative […]”.

La Corte, prima di provvedere alla disamina del ricorso proposto, prosegue considerando le diverse posizioni e responsabilità dei due imputati, entrambi amministratori di fatto e di diritto di una società, come peraltro evidenziato dai giudici di prime cure, ma in periodi differenti.

I giudici del Palazzaccio hanno inizialmente affermato che: “… Non sussiste specialità, ex art. 15 cod. pen., tra la bancarotta fraudolenta documentale, art. 216, comma 1, n. 2, L. Fall. E l’occultamento o distruzione di documenti contabili, D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 10, stante la diversità delle suddette fattispecie incriminatrici, richiedendo quella tributaria la impossibilità di ricostruire l’ammontare dei redditi o il volume degli affari, intesa come impossibilità di accertare il risultato economico di quelle sole operazioni connesse alla documentazione occultata o distrutta; diversamente, l’azione fraudolenta sottesa dall’art. 216, n. 2, L. Fall. si concreta in un evento da cui discende la lesione degli interessi creditori, rapportato all’intero corredo documentale, risultando irrilevante l’obbligo normativo della relativa tenuta, ben potendosi apprezzare la lesione anche dalla sottrazione di scritture meramente facoltative. Inoltre, nell’ipotesi fallimentare la volontà del soggetto agente si concreta nella specifica volontà di procurare a sé o ad altro ingiusto profitto o, alternativamente di recare pregiudizio ai creditori, finalità non presente nella fattispecie fiscale”.

“È stato ritenuto – si legge nella sentenza – che il concorso tra il delitto di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte e quello di bancarotta fraudolenta per distrazione, sia configurabile, atteso che le relative norme incriminatrici non regolano la “stessa materia” ex art. 15 c.p., data la diversità del bene giuridico tutelato […], della natura delle fattispecie astratte […] e dell’elemento soggettivo”.

Infine, il ricorso di un amministratore è stato respinto, ed è stato condannato al pagamento delle spese processuali, ma al contempo sono stati evidenziati fattori importanti, anche al fine di ritenere il concorso tra le due fattispecie delittuose, le diversità delle incriminazioni dei due diversi soggetti ancora sotto il profilo dei differenti eventi e dell’elemento psicologico, che rendono particolarmente interessante la lettura della pronunzia in commento.

Spiegano al riguardo i supremi giudici: “… Tuttavia deve osservarsi che, alla luce della prevalente e più recente giurisprudenza di questa Corte la doglianza risulta infondata. E’ stato, infatti, ritenuto – con affermazione che qui occorre ribadire – che il concorso tra il delitto di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte e quello di bancarotta fraudolenta per distrazione, sia configurabile, atteso che le relative norme incriminatrici non regolano la “stessa materia” ex art. 15 cod. pen., data la diversità del bene giuridico tutelato (interesse fiscale al buon esito della riscossione coattiva, da un lato, ed interesse della massa dei creditori al soddisfacimento dei propri diritti, dall’altro), della natura delle fattispecie astratte (di pericolo quella fiscale, di danno quella fallimentare) e dell’elemento soggettivo (dolo specifico quanto alla prima, generico quanto alla seconda). Così, Sez. 3, Sentenza n. 3539 del 20/11/2015 Cc. (dep. 27/01/2016); Rv. 266133. Una precedente pronuncia di analogo contenuto ha posto in luce, al fine di ritenere il concorso tra le due fattispecie delittuose, le diversità delle incriminazioni sotto il profilo dei differenti eventi e dell’elemento psicologico, che nel delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale consiste nella specifica volontà di procurare a sé o ad altro ingiusto profitto o, alternativamente di recare pregiudizio ai creditori, mentre tale finalità non è presente nella fattispecie fiscale. Così, Sez. 5, Sentenza n. 16360 del 01/03/2011 Ud. (dep. 26/04/2011) Rv. 250175, secondo la quale, non sussiste la violazione del principio del “ne bis in idem” (art. 649 cod. proc. pen.), qualora alla condanna per illecito tributario (nella specie per occultamento e distruzione di documenti contabili, previsto dall’art. 10 del D. Lgs. n. 74 del 2000) faccia seguito la condanna per bancarotta fraudolenta documentale, stante la diversità delle suddette fattispecie incriminatrici, richiedendo quella penal-tributaria la impossibilità di ricostruire l’ammontare dei redditi o il volume degli affari, intesa come impossibilità di accertare il risultato economico di quelle sole operazioni connesse alla documentazione occultata o distrutta; diversamente, l’azione fraudolenta sottesa dall’art. 216, n. 2, L. fall., si concreta in un evento da cui discende la lesione degli interessi creditori, rapportato all’intero corredo documentale, risultando irrilevante l’obbligo normativo della relativa tenuta, ben potendosi apprezzare la lesione anche dalla sottrazione di scritture meramente facoltative. Inoltre, nell’ipotesi fallimentare la volontà del soggetto agente si concreta nella specifica volontà di procurare a sé o ad altro ingiusto profitto o, alternativamente di recare pregiudizio ai creditori, finalità non presente nella fattispecie fiscale. In senso conforme: Sez. 3, Sentenza n. 18927 del 24/02/2017 Ud. (dep. 20/04/2017) Rv. 269910.

Alla luce delle considerazioni che precedono il ricorso deve essere rigettato ed il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali.

  1. Il primo motivo del ricorso è fondato.

Risulta, infatti, dall’intestazione della sentenza impugnata e dal ricorso che il giudicabile era elettivamente domiciliato presso il difensore di fiducia, avvocato G., e che la stessa era deceduta fin dal Novembre 2014, essendo stato notificato, peraltro, il decreto di citazione in grado di appello presso il domiciliatario in epoca successiva al decesso. Dagli atti in possesso di questo Giudice di legittimità non emerge che l’imputato fosse a conoscenza della morte del suo difensore di fiducia, non incombendogli, pertanto, alcun obbligo di comunicazione dell’evento che, oltre a renderlo privo dell’assistenza tecnica per il processo, rendeva impossibili le notificazioni al domicilio in precedenza eletto. La fattispecie, infatti, è stata considerata dalla giurisprudenza di questa Corte inquadrabile nelle ipotesi di caso fortuito o forza maggiore, che impediscono all’imputato di comunicare il mutamento di domicilio ed in presenza delle quali le notifiche devono essere effettuate ai sensi degli artt. 157 e 159 cpp, in quanto richiamate dall’ultimo comma dell’art. 161 cpp, seconda parte. Così, Sez. 6, Sentenza n. 13417 del 08/03/2016 Ud. (dep. 04/04/2016) Rv. 266739, secondo la quale il decesso del difensore di fiducia domiciliatario determina un’ipotesi di impossibilità di notificazione sopravvenuta derivante da una situazione impeditiva non ricollegabile al comportamento del destinatario della notifica; pertanto, qualora non risulti dagli atti, né sia altrimenti desumibile, che l’imputato fosse a conoscenza del decesso, non sono applicabili le disposizioni di cui alla prima parte dell’art. 161, comma quarto, cod. proc. pen., bensì quelle di cui agli artt. 157 e 159 cod. proc. pen., che sono richiamate nell’ultimo periodo del predetto quarto co comma dell’art. 161, non potendosi ritenere che l’imputato sia stato nella effettiva condizione di comunicare il mutamento del luogo dichiarato o eletto come domicilio. In altri termini si è determinata nella fattispecie concreta l’ipotesi di inconsapevolezza incolpevole dell’imputato della celebrazione del processo di appello nei suoi confronti, con violazione degli artt. 24, 111 della Costituzione e dell’art. 6 Cedu”.

 

CORTE DI CASSAZIONE Sentenza n. 48102 del 18 ottobre 2017

Ritenuto in fatto

Con la sentenza impugnata la Corte d’Appello di Firenze ha confermato la condanna in primo grado alla pena di giustizia nei confronti degli imputati P. e B., entrambi amministratori di fatto e di diritto della srl I., per i delitti di bancarotta fraudolenta patrimoniale per distrazione e documentale, aggravata dal danno di rilevante entità e dall’aver compiuto più fatti di bancarotta, nonché per il delitto ex art. 110 cp e 10 D.lvo 74/2000, per aver distrutto, al fine di evadere le imposte sui redditi e sul valore aggiunto, i documenti contabili. Epoca del fallimento, Maggio 2008.

  1. Ha presentato ricorso la difesa di P., che col primo motivo, dopo aver richiamato la sentenza di questa Sezione nr 47502 del 2012, cosiddetta C., ha lamentato l’errata applicazione delle norme incriminatrici di riferimento, poiché la decisione non aveva svolto alcuna indagine sull’accertamento del nesso di causalità tra la condotta distrattiva posta in essere dall’imputato e lo stato di insolvenza della società, né sulla sua volontà o quantomeno sulla rappresentazione circa il fallimento della stessa. Per altro aspetto è stato evidenziato che la documentazione contabile reperita sarebbe stata sufficiente a ricostruire l’intero volume di affari, non ravvisandosi, quindi, un comportamento realmente offensivo del bene tutelato, né l’elemento psicologico del dolo specifico.

La sentenza sarebbe, ancora, errata per non aver ritenuto l’assorbimento del reato tributario in quello di bancarotta fraudolenta documentale.

1.1 Col secondo motivo ci si è doluti della carenza di motivazione sui tre delitti, poiché la Corte non avrebbe valutato le giustificazioni addotte dal fallito circa il mancato rinvenimento dei beni societari, limitandosi ad elencare più condotte ritenute intrinsecamente pericolose ed in quanto tali idonee a fondare la condotta distrattiva in capo a P. Né erano stati considerati gli elementi forniti dalla difesa a sostegno della tesi che la documentazione contabile ritrovata dagli organi fallimentari era stata sufficiente a ricostruire i movimenti del patrimonio dell’impresa. Quanto al reato tributario il ricorrente ha segnalato un macroscopico errore motivazionale compiuto dai Giudici territoriali, che avevano scritto che sulla sussistenza del reato la difesa non aveva svolto obiezioni mentre risultava proposto lo specifico motivo d’appello inerente il mancato assorbimento del reato in quello di bancarotta documentale, del resto segnalato dalla stessa sentenza.

  1. Ha proposto ricorso la difesa di B. che, col primo motivo ha eccepito che il decreto di citazione in appello era stato notificato presso il difensore domiciliatario, che però era deceduto da molto tempo e, quindi, l’imputato non aveva avuto conoscenza del processo a suo carico.

2.1 Col secondo motivo è stata dedotta la violazione della norma ex art. 178 lett c) cpp, in quanto l’imputato nel processo di appello non era stato difeso da difensore di fiducia o d’ufficio, risultando assistito all’udienza della decisione dal difensore di fiducia del coimputato.

2.2 Tramite il terzo motivo ci si è doluti della inosservanza delle norme incriminanti e della illogicità di motivazione riguardo alla ritenuta distrazione dei beni aziendali, poiché la Corte avrebbe ignorato la deposizione del curatore, che aveva chiarito che i beni erano stati pignorati e portati via su autorizzazione del commissario liquidatore, essendo di proprietà della fallita Isocoop 2001.

2.3 Nel quarto motivo è stata dedotta l’errata applicazione delle norme incriminatrici per la ritenuta bancarotta per distrazione in quanto la sentenza non avrebbe tenuto conto che i prelievi effettuati dall’imputato erano avvenuti tra il 2006 ed il 2007, quando era già amministratore e non prima ed in tale periodo sembrava occuparsi solo della parte commerciale.

2.4 Tramite il quinto motivo si è censurata la violazione di legge, poiché i Giudici di Appello avevano ritenuto integrata la bancarotta fraudolenta documentale mentre B. era succeduto al coimputato P. come amministratore nel periodo in cui era cessata l’operatività della società e si era limitato ad ereditare una situazione contabile già deficitaria, conseguendone l’assenza di elemento soggettivo del reato.

2.5 Nel sesto motivo è stata dedotta la violazione dell’art. 10 D.lgs. 74/2000, poiché la sentenza aveva ritenuto che la fallita aveva omesso la contabilità tributaria e tale fatto era inquadrabile al più nell’illecito amministrativo di cui all’art. 9 dello stesso D.lgs.

2.6 Col settimo motivo è stata dedotta la violazione della medesima norma ex art. 10 D.Ivo. 74/2000 in quanto la Corte non aveva ravvisato l’assorbimento del reato in quello di bancarotta fraudolenta documentale.

2.7.Con l’ultimo motivo è stato criticato il mancato riconoscimento delle attenuanti generiche.

All’odierna udienza il Pg, dr D.L., ha concluso come in epigrafe; l’avvocato T. per P. e l’avvocato R. per B. hanno concluso come in epigrafe.

Considerato in diritto

Il ricorso P. è infondato.

  1. Il primo motivo di ricorso trova fondamento, quanto alla dedotta critica sulla mancata indagine circa il nesso causale tra la condotta distrattiva dell’imputato e lo stato di insolvenza della società ed in punto di elemento psicologico del delitto – come chiaramente in esso argomentato – nella sentenza C. di questa stessa sezione, secondo la quale nel reato di bancarotta fraudolenta per distrazione lo stato di insolvenza che dà luogo al fallimento costituisce elemento essenziale del reato, in qualità di evento dello stesso e, pertanto, deve porsi in rapporto causale con la condotta dell’agente e deve essere, altresì, sorretto dall’elemento soggettivo del dolo.

1.1 Come noto, peraltro, tale pronuncia è rimasta isolata, poiché la giurisprudenza sul delitto di bancarotta fraudolenta assolutamente prevalente ha affermato i diversi e consolidati principi per cui la natura giuridica del delitto in parola è quella di reato di pericolo e per la sua integrazione è sufficiente il dolo generico. Ex multis: Il delitto di bancarotta fraudolenta per distrazione è reato di pericolo a dolo generico, per la cui sussistenza, pertanto, non è necessario che l’agente abbia consapevolezza dello stato di insolvenza dell’impresa, né che abbia agito allo scopo di recare pregiudizio ai creditori. Sez. 5, Sentenza n. 3229 del 14/12/2012 Ud. (dep. 22/01/2013) Rv. 253932; Sez. 5, Sentenza n. 21846 del 13/02/2014 Ud. (dep. 28/05/2014) Rv. 260407.

1.2 La critica circa la mancata dimostrazione dell’elemento psicologico del reato e del nesso di causalità, che ispira questo aspetto del primo motivo di ricorso, pertanto, non può essere condivisa, essendo incoerente con l’interpretazione assolutamente prevalente data da questa Corte alla norma incriminatrice.

  1. Tutte le altre doglianze possono essere trattate congiuntamente, poiché in definitiva quelle proposte col secondo motivo sono rivolte agli stessi punti della motivazione oggetto delle censure espresse nel primo motivo, solo rappresentate dall’angolo visuale del vizio di motivazione.

2.1 In proposito deve annotarsi, quanto all’ipotesi di bancarotta patrimoniale, che – diversamente da quanto rappresentato dal ricorso – la sentenza ha chiaramente dato conto del fatto che il curatore trovò un passivo superiore ad un milione di euro, consistito prevalentemente in debiti verso Inps ed Agenzia delle entrate a fronte di un attivo inesistente. L’accumulo di debiti verso tali enti pubblici per l’omesso versamento dei contributi previdenziali e delle tasse è stato legittimamente interpretato – alla stregua della giurisprudenza di questa Corte, ex multis, Cass Sez. 5 sent 29856 del 15.5.2014 dep. 7.7.2014, Rv 260492 – come operazioni dolose idonee a cagionare il fallimento della società, ex art. 223/2 nr 2 LF, in quanto in sé pregiudizievoli per la salute economica e finanziaria dell’impresa, essendo, pertanto, tali condotte necessarie e sufficienti ad integrare la bancarotta patrimoniale. Per altro aspetto – in un contesto complessivo in cui erano emersi versamenti e prelievi di denaro senza corrispondenza nella contabilità d’impresa – e con riguardo alla posizione specifica dell’imputato è stato sottolineato che sul conto bancario personale di P. erano risultati versamenti di denaro in contanti per importi corrispondenti a quelli delle fatture emesse dalla fallita nelle stesse date, chiaro segno, nel quadro innanzi richiamato, di appropriazione dei soldi da parte sua.

2.2 Il percorso logico-dimostrativo dei Giudici di appello è stato completato dall’osservazione secondo la quale i macchinari strumentali all’esercizio dell’impresa non erano stati portati via dai proprietari dell’immobile al momento dello sfratto, poiché dal verbale relativo alla sua esecuzione si era ricavato che nell’occasione già non c’erano più. Il loro mancato ritrovamento è stato qualificato come valida presunzione della loro dolosa distrazione in assenza di congrue giustificazioni da parte degli amministratori/imputati circa la destinazione dei beni in parola. Così, Sez. 5, Sentenza n. 22894 del 17/04/2013 Ud (dep. 27/05/2013) Rv. 255385; Sez. 5, Sentenza n. 11095 del 13/02/2014 Ud. (dep. 07/03/2014) Rv. 262740; Sez. 5, Sentenza n. 8260 del 22/09/2015 Ud. (dep. 29/02/2016) Rv. 267710.

2.3 Per quanto riguarda l’argomento secondo il quale la documentazione contabile reperita sarebbe stata sufficiente a ricostruire l’intero volume di affari, e delle conseguenze illustrate in ricorso sub1 in punto di inoffensività della condotta e di elemento psicologico, esso non si è confrontato con l’intellegibile spiegazione data dai Giudici del merito. Infatti, oltre alle gravi anomalie già in precedenza richiamate circa la contabilità aziendale ed i movimenti bancari, la motivazione ha spiegato che erano emersi gravi problemi nella ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari, come era stato accertato tramite la prova testimoniale, che aveva, altresì, puntualizzato che l’incompleta documentazione reperita dagli organi del fallimento si era fermata al 2004 mentre la sentenza dichiarativa dello stesso era del 2008, dovendosi, pertanto, riscontrare l’assenza di ogni documentazione contabile per un periodo di quattro anni.

  1. Per quanto attiene al motivo inerente la mancata risposta della Corte territoriale alla censura circa il mancato assorbimento del reato tributario ex art. 12 D.Lvo. 74/2000 in quello di bancarotta documentale, deve constatarsi che esso coglie nel segno, nel senso che in realtà la sentenza ha omesso di confrontarsi con l’argomento.

3.1 Tuttavia deve osservarsi che, alla luce della prevalente e più recente giurisprudenza di questa Corte la doglianza risulta infondata. E’ stato, infatti, ritenuto – con affermazione che qui occorre ribadire – che il concorso tra il delitto di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte e quello di bancarotta fraudolenta per distrazione, sia configurabile, atteso che le relative norme incriminatrici non regolano la “stessa materia” ex art. 15 cod. pen., data la diversità del bene giuridico tutelato (interesse fiscale al buon esito della riscossione coattiva, da un lato, ed interesse della massa dei creditori al soddisfacimento dei propri diritti, dall’altro), della natura delle fattispecie astratte (di pericolo quella fiscale, di danno quella fallimentare) e dell’elemento soggettivo (dolo specifico quanto alla prima, generico quanto alla seconda). Così, Sez. 3, Sentenza n. 3539 del 20/11/2015 Cc. (dep. 27/01/2016); Rv. 266133. Una precedente pronuncia di analogo contenuto ha posto in luce, al fine di ritenere il concorso tra le due fattispecie delittuose, le diversità delle incriminazioni sotto il profilo dei differenti eventi e dell’elemento psicologico, che nel delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale consiste nella specifica volontà di procurare a sé o ad altro ingiusto profitto o, alternativamente di recare pregiudizio ai creditori, mentre tale finalità non è presente nella fattispecie fiscale. Così,Sez. 5, Sentenza n. 16360 del 01/03/2011 Ud. (dep. 26/04/2011) Rv. 250175, secondo la quale, non sussiste la violazione del principio del “ne bis in indem”; (art. 649 cod. proc. pen.), qualora alla condanna per illecito tributario (nella specie per occultamento e distruzione di documenti contabili, previsto dall’art. 10 del D.Lgs. n. 74 del 2000) faccia seguito la condanna per bancarotta fraudolenta documentale, stante la diversità delle suddette fattispecie incriminatrici, richiedendo quella penal-tributaria la impossibilità di ricostruire l’ammontare dei redditi o il volume degli affari, intesa come impossibilità di accertare il risultato economico di quelle sole operazioni connesse alla documentazione occultata o distrutta; diversamente, l’azione fraudolenta sottesa dall’art. 216, n. 2 I. fall., si concreta in un evento da cui discende la lesione degli interessi creditori, rapportato all’intero corredo documentale, risultando irrilevante l’obbligo normativo della relativa tenuta, ben potendosi apprezzare la lesione anche dalla sottrazione di scritture meramente facoltative. Inoltre, nell’ipotesi fallimentare la volontà del soggetto agente si concreta nella specifica volontà di procurare a sé o ad altro ingiusto profitto o, alternativamente di recare pregiudizio ai creditori, finalità non presente nella fattispecie fiscale. In senso conforme: Sez. 3, Sentenza n. 18927 del 24/02/2017 Ud. (dep. 20/04/2017) Rv. 269910. Alla luce delle considerazioni che precedono il ricorso deve essere rigettato ed il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali.

  1. Il primo motivo del ricorso B. è fondato. Risulta, infatti, dall’intestazione della sentenza impugnata e dal ricorso che il giudicabile era elettivamente domiciliato presso il difensore di fiducia, avvocato G., e che la stessa era deceduta fin dal Novembre 2014, essendo stato notificato, peraltro, il decreto di citazione in grado di appello presso il domiciliatario in epoca successiva al decesso. Dagli atti in possesso di questo Giudice di legittimità non emerge che l’imputato fosse a conoscenza della morte del suo difensore di fiducia, non incombendogli, pertanto, alcun obbligo di comunicazione dell’evento che, oltre a renderlo privo dell’assistenza tecnica per il processo, rendeva impossibili le notificazioni al domicilio in precedenza eletto.

4.1 La fattispecie, infatti, è stata considerata dalla giurisprudenza di questa Corte inquadrabile nelle ipotesi di caso fortuito o forza maggiore, che impediscono all’imputato di comunicare il mutamento di domicilio ed in presenza delle quali le notifiche devono essere effettuate ai sensi degli artt. 157 e 159 cpp, in quanto richiamate dall’ultimo comma dell’art. 161 cpp, seconda parte. Così, Sez. 6, Sentenza n. 13417 del 08/03/2016 Ud. (dep. 04/04/2016) Rv. 266739, secondo la quale il decesso del difensore di fiducia domiciliatario determina un’ipotesi di impossibilità di notificazione sopravvenuta derivante da una situazione impeditiva non ricollegabile al comportamento del destinatario della notifica; pertanto, qualora non risulti dagli atti, né sia altrimenti desumibile, che l’imputato fosse a conoscenza del decesso, non sono applicabili le disposizioni di cui alla prima parte dell’art. 161, comma quarto, cod. proc. pen., bensì quelle di cui agli artt. 157 e 159 cod. proc. pen., che sono richiamate nell’ultimo periodo del predetto quarto comma dell’art. 161, non potendosi ritenere che l’imputato sia stato nella effettiva condizione di comunicare il mutamento del luogo dichiarato o eletto come domicilio. In altri termini si è determinata nella fattispecie concreta l’ipotesi di inconsapevolezza incolpevole dell’imputato della celebrazione del processo di appello nei suoi confronti, con violazione degli artt. 24, 111 della Costituzione e dell’art. 6 Cedu.

La sentenza impugnata deve essere annullata con rinvio ad altra Sezione della Corte d’Appello di Firenze, che dovrà celebrare il giudizio. Gli altri motivi del ricorso B. restano assorbiti.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata limitatamente alla posizione di B.M., con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di Firenze per il giudizio. Rigetta il ricorso di P. e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

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