CASSAZIONE

Non può essere eseguita in Italia una condanna per evasione fiscale ricevuta all’estero

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 19636 del 26 aprile 2017, rammenta che non può essere eseguita in Italia una condanna ricevuta all’estero per evasione fiscale senza che siano accuratamente verificate le condizioni di legittimità dell’ordine di carcerazione. In particolar modo, insistono i Supremi giudici, quando accade che la stessa Autorità giudiziaria ha trascurato di procedere a una verifica sulle condizioni per il riconoscimento della pronuncia: in questo caso, infatti, la disciplina sul mandato d’arresto europeo deve essere integrata con quella sul riconoscimento delle pronunce estere.

Gli istituti dell’esecuzione in Italia di sentenze penali straniere (artt. 730-741 c.p.p.) e dell’esecuzione all’estero di sentenze penali rese da giudici italiani (artt. 742-746 c.p.p.) rinvengono la ragion d’essere nella prospettiva di un miglioramento dei rapporti giurisdizionali con le autorità d’oltre confine, al fine di creare uno “spazio giudiziario internazionale comune”. L’obiettivo si coniuga anche con la finalità rieducativa della pena (art. 27 Cost.), dal momento che il condannato ha maggiori possibilità di reinserimento se può espiare la pena nel Paese in cui ha saldi legami sociali e familiari. Con l’emanazione del decreto legislativo 7 settembre 2010, n. 161, il Governo ha attuato la delega conferitagli dal Parlamento con la Legge comunitaria 2008 (legge 88/2009) per conformare il diritto interno alla Decisione quadro 2008/909/GAI relativa all’applicazione del principio del reciproco riconoscimento alle sentenze penali che irrogano pene detentive o misure privative della libertà personale, ai fini della loro esecuzione in Italia.

La Decisione quadro si fonda sul principio del reciproco riconoscimento delle decisioni penali e sulla fiducia reciproca degli Stati membri nei rispettivi ordinamenti giuridici. Secondo l’articolo 3, la finalità della Decisione quadro è stabilire le norme in base alle quali uno Stato membro, al fine di favorire il reinserimento sociale della persona condannata, debba riconoscere una sentenza emessa in un altro Stato membro ed eseguire la pena. Peraltro, la Decisione quadro si applica solo al riconoscimento delle sentenze e all’esecuzione delle pene detentive. Il riconoscimento e l’esecuzione di sanzioni pecuniarie o di decisioni di confisca in un altro Stato membro, eventualmente irrogate oltre alla pena, sono disciplinati da altri specifici strumenti applicabili tra gli Stati membri e, in particolare, dalla Decisione quadro 2005/214/GAI del Consiglio del 24 febbraio 2005, relativa all’applicazione del principio del reciproco riconoscimento alle sanzioni pecuniarie, e dalla Decisione quadro 2006/783/GAI del Consiglio del 6 ottobre 2006, relativa all’applicazione del principio del reciproco riconoscimento alle decisioni di confisca.

In definitiva, perché possa esserci riconoscimento della sentenza straniera, la decisione deve essere scaturita da un “giusto processo”, ossia che abbia avuto le caratteristiche riconosciute dal Patto internazionale sui diritti civili e politici (art. 14) e dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (art. 6).

In particolare, come nel caso di specie, la trasmissione dall’estero di una sentenza di condanna (procedura passiva) è sancito dal Capo III (articoli da 9 a 19) che riguarda la trasmissione dall’estero (cd. procedura passiva), ovvero la richiesta al nostro Paese dell’esecuzione in Italia di una sentenza di condanna emessa all’estero. Più specificatamente, l’art. 9 – in adesione alle previsioni della procedura passiva di consegna nella legge sul mandato d’arresto europeo (art. 5, legge 69/2005) – individua la Corte d’appello del distretto di residenza del condannato al momento della trasmissione come autorità giurisdizionale competente alla decisione sul riconoscimento ed esecuzione in Italia del provvedimento definitivo emesso in altro Stato membro.

La disposizione detta ulteriori criteri di individuazione del giudice competente in presenza di condanna che riguardi più persone e prevede la competenza residuale della Corte d’appello di Roma. L’art. 10 individua le condizioni necessarie al riconoscimento della sentenza di condanna da parte dell’Autorità giurisdizionale italiana in conformità alle previsioni della Decisione quadro 2008/909/GAI. Tali condizioni, che salvo deroghe devono sussistere congiuntamente (comma 1), sono la cittadinanza italiana del condannato; la sua residenza (dimora o domicilio) nel nostro Paese (oppure il fatto che quest’ultimo sia stato espulso in Italia con la sentenza o altro provvedimento successivo); la presenza del condannato in Italia o nello Stato di emissione; che il reato sia previsto come tale anche in Italia (fatte salve le deroghe alle ipotesi di doppia incriminazione previste dall’art. 11); che la durata e natura delle sanzioni applicate nello Stato emittente siano compatibili con la legislazione italiana. Quando la durata della pena sia incompatibile con la normativa italiana, l’art. 10, comma 5, contempla una procedura di rideterminazione della pena da parte della Corte d’appello (cd. adattamento della pena), con alcuni limiti tra cui l’impossibilità di convertire in pena pecuniaria una pena detentiva o una misura di sicurezza; che vi sia il consenso della persona condannata alla trasmissione della sentenza, escluso i casi indicati al comma 4. Tale ultima disposizione esclude la necessità del consenso: a) se il condannato è cittadino italiano e risiede in Italia (o deve essere espulso verso l’Italia); b) se la persona è fuggita in Italia o vi ha fatto ritorno a motivo del processo penale a suo carico all’estero o a seguito della sentenza e il Ministro della giustizia ha autorizzato l’esecuzione in Italia.

L’art. 12 disciplina il procedimento di trasmissione dall’estero, nel quale si possono identificare sostanzialmente le seguenti fasi: ricezione della sentenza di condanna estera (corredata del certificato) da parte del Ministro della giustizia o trasmissione al Presidente della Corte d’appello competente; in attesa del riconoscimento, se è richiesto l’arresto del condannato, il Ministero della giustizia ne dà notizia al Ministero dell’interno (servizio cooperazione internazionale) trasmettendo copia della documentazione; la decisione della Corte d’appello (entro 60 gg. dalla ricezione della sentenza, con possibilità di proroga di trenta giorni) con sentenza camerale – cui può partecipare anche un rappresentante dello Stato richiedente ex art. 702 c.p.p. – che pronuncia sentenza di riconoscimento (anche parziale); se la decisione è contraria, sono revocate le eventuali misure cautelari applicate. La sentenza è appellabile per cassazione e il ricorso sospende l’esecuzione; la trasmissione della sentenza favorevole al Procuratore generale della Corte d’appello per l’esecuzione; al passaggio in giudicato della sentenza favorevole della Corte d’appello, comunicazione, anche via fax, al Ministro della giustizia che informa le autorità dello Stato membro e il citato servizio di cooperazione internazionale del ministero dell’interno; se la Corte d’appello ritiene, invece, che l’esecuzione debba avvenire in altro Stato membro, la sentenza di condanna è trasmessa a quest’ultimo.

Inoltre, appare utile ricordare che la Decisione quadro dell’Unione europea si prefigge l’armonizzazione delle legislazioni nazionali in merito al riconoscimento delle sentenze penali adottate da uno Stato membro e relative all’esecuzione di pene detentive. Il decreto legislativo 161/2010 delinea dunque una procedura speciale da applicarsi solo nei rapporti con Stati membri dell’Unione europea. In tutti gli altri casi di necessario riconoscimento di una sentenza straniera si applicherà la disciplina generale contenuta nel codice di procedura penale, disciplina che delinea i meccanismi interni a carattere giurisdizionale attraverso cui la sentenza penale emessa all’estero può essere eseguita in Italia e predispone, altresì, i meccanismi attraverso i quali una sentenza penale italiana può trovare esecuzione all’estero.

L’art. 730, c.p.p. prevede il riconoscimento delle sentenze penali straniere per gli effetti previsti dal codice penale stabilendo che il Ministro della giustizia, quando riceve una sentenza penale di condanna o di proscioglimento pronunciata all’estero nei confronti di cittadini italiani o di stranieri o di apolidi residenti nello Stato ovvero di persone sottoposte a procedimento penale nello Stato, trasmette senza ritardo al Procuratore generale presso la Corte di appello, nel distretto della quale ha sede l’ufficio del casellario locale del luogo di nascita della persona cui è riferito il provvedimento giudiziario straniero, o presso la Corte di appello di Roma, copia della sentenza, unitamente alla traduzione in lingua italiana, con gli atti che vi siano allegati, e con le informazioni e la documentazione del caso.

Tanto doverosamente premesso, e tornando al caso esaminato, i Supremi giudici osservano che è lo stesso decreto legislativo n. 161/2010 a prevedere l’estensione del meccanismo di riconoscimento delle condanne anche ai casi di esecuzione della pena o della misura di sicurezza previste dalla disciplina che ha recepito nel nostro ordinamento il mandato d’arresto Ue (legge 69/2005). La nuova disciplina si propone infatti di integrare il sistema di consegna sulla base dell’arresto Ue con una procedura di verifica valida per quei Paesi Ue che si sono conformati alla Decisione quadro 2008/909/Gai. Però, osservano gli Ermellini che hanno accolto il ricorso avanzato dalla difesa per un uomo sanzionato in Romania per i reati di evasione fiscale e associazione a delinquere, non era stata pienamente osservata.

Infatti, osservano i Giudici del Palazzaccio che “Preliminarmente occorre dare atto che in data 25.10.2016 questa Corte ha annullato senza rinvio l’ordinanza della Corte di appello di Ancona del 15.10.2015, ordinando l’immediata liberazione del CXXX se non detenuto per titoli diversi dalla sentenza 29.04.2010 della Corte di appello di Ancona e dalla sentenza del tribunale di Bacau (Romania) del 25.11.2014. In tal modo è venuto senz’altro meno uno dei presupposti invocati nel provvedimento impugnato a sostegno (sia pure postumo)della legittimità dell’ordine di carcerazione del 16.07.2015. A sostegno di tale legittimità non possono poi certamente addursi la sentenza della Corte di Appello di Ancona del 30.6.2015, divenuta definitiva per mancata impugnazione, o il fatto che il cittadino italiano gravato dal M.A.E. ed arrestato aveva espressamente richiesto di eseguire la pena in Italia. Com’è stato, infatti, ormai chiarito dalla giurisprudenza di legittimità (Sez. 6, n. 53 del 30/12/2014 – dep. 05/01/2015, Petrescu, Rv. 26180301; conformi, fra le altre, sentt. N. 4413 del 2014 Rv. 258259, N. 20527 del 2014 Rv. 259785), in ordine al rapporto fra il D. Lgs. 161 del 2010 e la procedura di consegna basata sul mandato di arresto europeo, occorre considerare il disposto di cui all’art. 24 del detto D.Lgs., che estende l’applicazione del nuovo meccanismo procedurale ivi regolato alle ipotesi di esecuzione della pena o della misura di sicurezza previste dalla L. 22 aprile 2005, n. 69, art. 18, comma 1, lett. r) e art. 19, comma 1, lett. c).La nuova disciplina normativa, si propone di integrare il sistema di consegna del mandato d’arresto europeo, con specifico riferimento alle evenienze della consegna in executivis (che è quella che viene in rilievo, giustappunto, nel caso in esame), limitatamente ai rapporti con quegli Stati membri (come la Romania) che hanno recepito nei loro ordinamenti la Decisione quadro 2008/909/GAI. Le fattispecie previste dalla L. 22 aprile 2005, n. 69, art. 18, comma 1, lett. r) e art. 19, comma 1, lett. c), attengono, come è noto, all’ipotesi in cui la procedura del mandato d’arresto europeo riguarda un cittadino italiano, ovvero un residente o dimorante nel territorio italiano (cfr. Corte Costituzionale n. 227/2010), che dovrebbe essere consegnato ad un altro Stato membro per l’esecuzione di una pena o di una misura di sicurezza, e della corrispondente ipotesi del mandato d’arresto europeo emesso a soli fini processuali, ossia per l’esercizio dell’azione penale nei confronti di un nostro cittadino o di un residente nel territorio del nostro Stato. Nelle evenienze dovranno, dunque, per regola, applicarsi le forme e i meccanismi procedimentali previsti dal D.Lgs. n. 161 del 2010, colmandosi in tal modo una lacuna normativa foriera di rilevanti problematiche interpretative, atteso che né la legge sul mandato d’arresto europeo, né la correlativa decisione quadro, regolavano esplicitamente la procedura di riconoscimento e adattamento della sentenza straniera nel nostro ordinamento giuridico. Vengono in rilievo, in particolare, non solo gli apprezzamenti in merito alla sussistenza delle condizioni generali per il riconoscimento della sentenza, ma anche le verifiche inerenti ai criteri di compatibilità della pena ed ai motivi di rifiuto specificamente indicati nelle disposizioni, in quanto ritenute compatibili, di cui al D.Lgs. n. 161 del 2010, artt. 10, 11 e 13, oltre al vaglio delle modalità di esecuzione successive al riconoscimento (artt. 16-17) ed alle implicazioni riconnesse all’eventuale applicazione del principio di specialità (art. 18). Valutazioni, queste, che la Corte anconitana non ha, nella sentenza del 30.06.2015, per nulla espresso nel caso in esame, e che il mutato quadro normativo impone di allargare all’ampio orizzonte delle condizioni, dei presupposti e dei motivi ostativi contemplati nelle su citate disposizioni del D.Lgs. n. 161 del 2010, attraverso, evidentemente, una complessiva operazione di “rilettura”, comportante fra l’altro la precisazione dei reati per cui il riconoscimento viene effettuato, con le connesse conseguenze, anche in tema di applicabilità dei benefici penitenziari di cui all’art. 4 bis Ord. Pen.”.

 

CORTE DI CASSAZIONE Penale Sent. Sez. 1 Sentenza Num. 19636 del 26 aprile 2017

sul ricorso proposto da:

CXXX MARIANO N. IL 25/11/1964

avverso l’ordinanza n. 471/2015 CORTE APPELLO di ANCONA, del 21/12/2015

sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. FRANCESCO MARIA SILVIO BONITO;

lette/sentite le conclusioni del PG Dott.

Uditi difensor Avv.;

Presidente: CORTESE ARTURO

Relatore: BONITO FRANCESCO MARIA SILVIO

Data Udienza: 01/12/2016

Corte di Cassazione – copia non ufficiale

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza emessa il 30.6.2015, nell’ambito della procedura di cui alla L. n. 69/2005, la Corte di Appello di Ancona dichiarava, ai sensi dell’art. 18 co. 1 lett. r) L. n.69/2005, l’insussistenza delle condizioni per la consegna del cittadino italiano CXXX Mariano all’Autorità Giudiziaria della Repubblica Romena in relazione al mandato di arresto europeo n. 18/2015 emesso il 18.5.2015, per l’esecuzione della condanna, inflitta con sentenza penale del 25.11.2014 Sezione Penale Tribunale di Bacau, definitiva il 21.4.2015, a seguito della decisione della Corte di Appello di Bacau, alla pena di anni tre di reclusione e pena accessoria di anni uno per i reati di evasione fiscale ed associazione a delinquere previsti dagli artt.9 co. 1 lett. c) L. n. 241/2005, art. 41 co. 2 c.p., 8 L. n. 39/2003, 323 c.p. romeno, con revoca della sospensione condizionale della pena di mesi sei di reclusione inflitta con sentenza n. 583/3.12.2010 Pretura di Moinesti, definitiva a seguito di decisione n. A92/24.3.2011 Corte di Appello di Bacau, disponendo l’esecuzione in Italia della pena di cui alla citata sentenza, detratto il presofferto, secondo il diritto interno.

In data 16.7.2015 la Procura Generale presso la Corte di Appello di Ancona emetteva ordine di esecuzione per la carcerazione, con contestuale provvedimento di sospensione, in relazione alla sentenza della Corte di Appello di Ancona in data30.6.2015 – definitiva il 12.7.2015 — avente ad oggetto la sentenza del Tribunale di Bacau in data 25.11.2014, definitiva 11 21.4,2015, a carico di CXXX Mariano, per i reati di cui all’art.2 D.L.vo n.74/2000 e all’art.416 c.p., in ordine ai quali risultava condannato alla pena di anni tre di reclusione (pena principale) e alla pena accessoria di anni uno di interdizione dai pubblici uffici.

Con ordinanza in data 15.10.2015, la Corte di Appello di Ancona, ai sensi e per gli effetti del D.L.vo n. 161/2010, procedeva al riconoscimento della sentenza emessa nei confronti di CXXX Mariano dal Tribunale di Bacau in data 25.11.2014 (irrevocabile il 21.4.2015) e conseguentemente revocava il beneficio della sospensione condizionale della pena concesso con la sentenza pronunciata nei confronti del CXXX dalla Corte di Appello di Ancona in data 29.4.2010 (irrevocabile il 25.6.2010). Il Procuratore Generale, con istanza del 29.10.2015, chiedeva che la Corte di Appello adita, in funzione di Giudice dell’Esecuzione, volesse suddividere la pena in espiazione tra i reati oggetto di condanna, non sembrando tale suddivisione evincibile dalla sentenza dell’Autorità Giudiziaria della Romania.

Con istanza depositata il 20.10.2015, il difensore del CXXX chiedeva, ai sensi dell’art. 666 co. 7 c.p.p., la sospensione dell’efficacia dell’ordinanza della Corte di Corte di Cassazione – copia non ufficiale Appello del 15.10.2015, avverso la quale aveva proposto ricorso per Cassazione, e tale istanza veniva rigettata dalla Corte di Appello con ordinanza del 3.11.2015. Il difensore del CXXX, premesso che avverso l’ordinanza del 15.10.2015 della Corte di Appello di Ancona era stato depositato ricorso per Cassazione, proponeva preliminarmente istanza ex art. 666 c.p.p. affinché fosse dichiarata l’illegittimità dell’ordine di carcerazione emesso il 16.7.2015, poiché messo in esecuzione di sentenze straniere non riconosciute in Italia ex D. Lgs. n. 161/2010, e, per l’effetto, fosse disposto l’annullamento del predetto ordine di carcerazione, evidenziava l’opportunità di sospensione del procedimento sino alla definitiva pronuncia della Corte di Cassazione; chiedeva, quindi, in via principale, dichiarare l’illegittimità dell’ordine di carcerazione emesso il 16.7.2015 e, per l’effetto, disporne l’annullamento; in via subordinata, dichiarare l’illegittimità del predetto ordine di carcerazione nella parte in cui dava esecuzione alla sentenza emessa dalla Pretura di Moinesti, non riconosciuta in Italia e, di conseguenza, rideterminare la pena da espiare in anni due mesi sei di reclusione (anziché anni tre); quanto alla richiesta del P.G., chiedeva, in via principale, la sospensione del giudizio in attesa della definitiva pronuncia della Cassazione relativamente all’impugnazione dell’ordinanza della Corte di Appello del 15.10.2015; in subordine, dato atto dell’impossibilità di ricostruire il percorso motivazionale di calcolo della pena come inflitta dai Tribunale Romeno, procedere a verificare i criteri di computo della pena e di compatibilità delle pene ex D. L.vo n, 161/2010, rideterminando la pena da espiare alla luce della corrispondente normativa italiana, partendo dai relativi minimi edittali e, di conseguenza, concedere al CXXX il beneficio dell’indulto in relazione alla sentenza della Corte di Appello di Ancona del 29.4.2010. A fronte di tanto la Corte di appello di Ancona, con ordinanza del 21.12.2015, premesso in primo luogo che, allo stato, non risultava l’applicazione della invocata sentenza della Corte Costituzionale rumena n. 363/2015 in relazione alla decisione di condanna nei confronti del CXXX, reputava non meritevoli di accoglimento e, pertanto, rigettava le richieste della difesa del CXXX di dichiarare l’illegittimità dell’ordine di carcerazione del 16.7.2015 e conseguentemente disporne l’annullamento, nonché di sospendere il procedimento in attesa della pronuncia definitiva della Corte di Cassazione in ordine all’impugnazione avverso l’ordinanza della Corte di Appello di Ancona del 15. 10.2015, e ciò in quanto:

— l’ordine di esecuzione del 16.7.2015 non era affetto da nullità, essendo stato emesso dalla Procura Generale a seguito della sentenza della Corte di Appello di Ancona del 30.6.2015, divenuta definitiva per mancata impugnazione, che aveva disposto l’esecuzione in Italia, secondo il diritto interno, della pena di anni tre di reclusione (pena principale) e alla pena accessoria di anni uno, di cui alla sentenza del Tribunale di Bacau in data 25.11.2014, definitiva ii 21.4.2015, a carico di CXXX Mariano, per i reati di evasione fiscale e associazione per delinquere, con revoca della sospensione condizionale della pena di mesi sei di reclusione inflitta con sentenza penale n. 585/3.12.2010 Pretura di Moinesti, definitiva con la decisione A92/24.3.2011 Corte di Appello di Bacau;

— in ogni caso, nella fattispecie doveva necessariamente tenersi conto del fatto che il cittadino italiano gravato dal M.A.E. ed arrestato aveva dedotto e dimostrato di trovarsi nelle condizioni previste dall’art. 18 co. 1 lett. r) L. n. 69/2005 ostative alla consegna ed aveva espressamente richiesto di eseguire la pena in Italia: condotta implicante il sequenziale riconoscimento della sentenza straniera e la perdita diinteresse a dedurre le cause di rifiuto opponibili nella procedura direttamente regolata dal D.Lgs. n. 161/2010;

— peraltro, la Corte di Appello, con ordinanza del 15.10.2015, allo stato pienamente efficace, in sede di revoca della sospensione condizionale della pena di cui alla sentenza della Corte di Appello di Ancona del 29.4.2010, aveva anche provveduto al formale riconoscimento della sentenza rumena che comportava la revoca del predetto beneficio.

  1. Propone ricorso il CXXX, deducendo:

– violazione e falsa applicazione degli artt. 9, 10, 13, L6, 17, 18 e 24 D. Lvo 161/2010 in relazione ai principi enunciati dalla decisione-quadro 2008/909/GAI – omessa verifica della sussistenza delle condizioni generali per il riconoscimento della sentenza straniera, posto che:

— la sentenza emessa dalla Corte di Appello di Ancona in sede di MAE si era limitata a statuire il rifiuto di consegna del condannato ex art. 18 lett. r) L. 69/2005 e, di conseguenza, a disporre l’esecuzione in Italia delle sentenze straniere portate da suddetto MAE secondo le norme dell’ordinamento interno;

— detta sentenza, pur divenuta definitiva, non costituiva, da sola, titolo idoneo a fondare un legittimo ordine di carcerazione, ai fini della esecuzione delle sentenze straniere fra Stati che abbiano recepito la decisione-quadro 2008/909/GAI, mancando dei necessari requisiti, richiesti dalla normativa attualmente vigente (D. Lgs.161/2010), richiedente, come da ormai uniforme giurisprudenza di legittimità, “una complessiva operazione di `rilettura’, anche, se del caso, attraverso il ricorso alla procedura di consultazione con l’autorità competente dello Stato di emissione, sì come espressamente introdotta e regolata dall’art. 73 comma 2 del su menzionato D. Lgs” (ex plurimis Cass. Pen, Sez. VI, n.20527/t4): operazione non certo meramente formale, dovendosi “sempre precisare i reati per i quali il riconoscimento viene effettuato. tenuto conto, in particolare, della eventualità di un riconoscimento parziale (ex art. 70 co. 3) ovvero delle possibili conseguenze legate, ad es., alle preclusioni a benefici penitenziari di cui all’art, 4 bis Ord. Pen.”;

— nel caso in esame, tale operazione ermeneutica era stata totalmente omessa nella sentenza emessa dalla Corte territoriale in sede di MAE, tanto che la Procura Generale aveva ritenuto di poter compensare tale carenza indicando essa stessa e per la prima volta in sede di ordine per la carcerazione, i presunti reati violati dal condannato in base alla normativa italiana (art.416 c.p.e art.2 D.Lgs. 74/2000 con riferimento alla sola sentenza del Tribunale di Bacau), con ciò di fatto arrogandosi una prerogativa che la normativa riserva all’organo giudicante;

— un valido riconoscimento nei sensi di cui sopra della sentenza straniera non aveva neppure fatto la Corte di Appello con la successiva ordinanza del 15.10.2015, impugnata con autonomo ricorso per cassazione, essendosi la stessa ivi limitata a formulare un apodittico e non motivato riconoscimento, relativo peraltro alla sola sentenza del Tribunale di Bacau, omettendo la suddetta articolata operazione di `rilettura’;

— l’assenza del detto riconoscimento non poteva considerarsi sanato dal fatto che il CXXXX avesse chiesto di scontare la pena in Italia, l’efficacia di una tale richiesta essendo comunque subordinata alla doverosa effettuazione del riconoscimento nei sensi sopra precisati (come da sentenza Cass. Pen. n. 53 del 5.1.2015), specificamente finalizzato a consentire la corretta esecuzione della pena in applicazione della normativa interna (indipendentemente dalla correttezza e/o equità del procedimento presupposto, posto in essere dall’autorità straniera).

MOTIVI DELLA DECISIONE

Il ricorso è fondato.

Preliminarmente occorre dare atto che in data 25.10.2016 questa Corte ha annullato senza rinvio l’ordinanza della Corte di appello di Ancona del 15.10.2015, ordinando l’immediata liberazione del CXXX se non detenuto per titoli diversi dalla sentenza 29.04.2010 della Corte di appello di Ancona e dalla sentenza del tribunale di Bacau (Romania) del 25.11.2014. In tal modo è venuto senz’altro meno uno dei presupposti invocati nel provvedimento impugnato a sostegno (sia pure postumo)della legittimità dell’ordine di carcerazione del 16.07.2015.

A sostegno di tale legittimità non possono poi certamente addursi la sentenza della Corte di Appello di Ancona del 30.6.2015, divenuta definitiva per mancata impugnazione, o il fatto che il cittadino italiano gravato dal M.A.E. ed arrestato aveva espressamente richiesto di eseguire la pena in Italia. Com’è stato, infatti, ormai chiarito dalla giurisprudenza di legittimità (Sez. 6, n. 53 del 30/12/2014 – dep. 05/01/2015, Petrescu, Rv. 26180301; conformi, fra le altre, sentt. N. 4413 del 2014 Rv. 258259, N. 20527 del 2014 Rv. 259785), in ordine al rapporto fra il D. Lgs. 161 del 2010 e la procedura di consegna basata sul mandato di arresto europeo, occorre considerare il disposto di cui all’art. 24 del detto D.Lgs., che estende l’applicazione del nuovo meccanismo procedurale ivi regolato alle ipotesi di esecuzione della pena o della misura di sicurezza previste dalla L. 22 aprile 2005, n. 69, art. 18, comma 1, lett. r) e art. 19, comma 1, lett. c).La nuova disciplina normativa, si propone di integrare il sistema di consegna del mandato d’arresto europeo, con specifico riferimento alle evenienze della consegna in executivis (che è quella che viene in rilievo, giustappunto, nel caso in esame), limitatamente ai rapporti con quegli Stati membri (come la Romania) che hanno recepito nei loro ordinamenti la Decisione quadro 2008/909/GAI.

Le fattispecie previste dalla L. 22 aprile 2005, n. 69, art. 18, comma 1, lett. r) e art. 19, comma 1, lett. c), attengono, come è noto, all’ipotesi in cui la procedura del mandato d’arresto europeo riguarda un cittadino italiano, ovvero un residente o dimorante nel territorio italiano (cfr. Corte Costituzionale n. 227/2010), che dovrebbe essere consegnato ad un altro Stato membro per l’esecuzione di una pena o di una misura di sicurezza, e della corrispondente ipotesi del mandato d’arresto europeo emesso a soli fini processuali, ossia per l’esercizio dell’azione penale nei confronti di un nostro cittadino o di un residente nel territorio del nostro Stato. Nelle evenienze dovranno, dunque, per regola, applicarsi le forme e i meccanismi procedimentali previsti dal D.Lgs. n. 161 del 2010, colmandosi in tal modo una lacuna normativa foriera di rilevanti problematiche interpretative, atteso che né la legge sul mandato d’arresto europeo, né la correlativa decisione quadro, regolavano esplicitamente la procedura di riconoscimento e adattamento della sentenza straniera nel nostro ordinamento giuridico.

Vengono in rilievo, in particolare, non solo gli apprezzamenti in merito alla sussistenza delle condizioni generali per il riconoscimento della sentenza, ma anche le verifiche inerenti ai criteri di compatibilità della pena ed ai motivi di rifiuto specificamente indicati nelle disposizioni, in quanto ritenute compatibili, di cui al D.Lgs. n. 161 del 2010, artt. 10, 11 e 13, oltre al vaglio delle modalità di esecuzione successive al riconoscimento (artt. 16-17) ed alle implicazioni riconnesse all’eventuale applicazione del principio di specialità (art. 18). Valutazioni, queste, che la Corte anconitana non ha, nella sentenza del 30.06.2015, per nulla espresso nel caso in esame, e che il mutato quadro normativo impone di allargare all’ampio orizzonte delle condizioni, dei presupposti e dei motivi ostativi contemplati nelle su citate disposizioni del D.Lgs. n. 161 del 2010, attraverso, evidentemente, una complessiva operazione di “rilettura”, comportante fra l’altro la precisazione dei reati per cui il riconoscimento viene effettuato, con le connesse conseguenze, anche in tema di applicabilità dei benefici penitenziari di cui all’art. 4 bis Ord. Pen..

Sulla sorte della ordinanza del 15.10.2015 si è già detto. Le esposte ragioni alla base del necessario rispetto della procedura di cui al D.Lgs. 161 del 2010 non possono all’evidenza essere neutralizzate dal fatto che il soggetto investito dalla richiesta di M.A.E. esecutivo abbia richiesto di scontare la pena in Italia. Se, invero, tale richiesta può valere, in generale, come implicita rinuncia a far valere in un momento successivo eccezioni relative alla regolarità dellosvolgimento del processo nel Paese richiedente (ipotesi a cui in effetti si riferisce la sentenza richiamata nel provvedimento impugnato Sez. 6, n. 46304 del 05/11/2014 – dep. 10/11/2014, Danila, Rv. 26082601), essa non può in alcun modo tenere luogo e, quindi, comportare l’esclusione, delle complesse verifiche demandate al giudice del riconoscimento, che si pongono logicamente e istituzionalmente a valle della detta richiesta e non rientrano certamente nella competenza e nella disponibilità del soggetto privato attinti dal M.A.E..

Alla stregua di quanto sopra l’ordinanza impugnata è l’ordine di carcerazione del P.G. di Ancona del 16 luglio 2015 devono essere annullati senza rinvio.

  1. Q. M.

Annulla senza rinvio l’ordinanza impugnata ‘é l’ordine di carcerazione del P.G. di Ancona del 16 luglio 2015.

Roma, 1 dicembre 2016

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