CASSAZIONE SENTENZE

Non basta il pagamento di due rate per escludere l’omesso versamento IVA

Tributi – Reati tributari – Omesso versamento di IVA – Art. 10-ter, D.lgs. n. 74/2000 – Art. 11, D.lgs. n. 158/2015 – Contenzioso tributario – Procedimento

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 40217 del 10 settembre 2018 ha stabilito, seguendo l’attuale linea interpretativa (vedi ex multis la recente sentenza n. 38594, depositata il 13/8/2018), che per escludere il reato di omesso versamento IVA, oltre le soglie statuite occorre la dimostrazione di trovarsi nella assoluta impossibilità di provvedere ai pagamenti omessi. La pronuncia, più in generale, si pone nell’alveo di una sedimentata giurisprudenza di legittimità chiamata a interpretare anche l’elemento soggettivo del reato in relazione al rapporto tra mercato, crisi di impresa e punibilità penale.

Già nel 2015, con la sentenza del 2 maggio 2018, nella causa C-574/15, la Corte di Giustizia UE aveva chiarito che non vi era contrasto col diritto comunitario: “una normativa nazionale che prevede che l’omesso versamento, entro i termini prescritti dalla legge, dell’imposta sul valore aggiunto (IVA) risultante dalla dichiarazione annuale per un determinato esercizio integri un reato punito con una pena privativa della libertà unicamente qualora l’importo IVA non versato superi una soglia di rilevanza penale pari a EUR 250.000, mentre è invece prevista una soglia di rilevanza penale pari a EUR 150.000 per il reato di omesso versamento delle ritenute alla fonte relative all’imposta sui redditi”.

I giudici della Cassazione hanno quindi prestato la massima attenzione all’argomento, che resta di grande interesse e attualità, nel quale i confini del diritto tributario si sono incontrati con quelli del diritto penale fondendosi in un’unica previsione legislativa, pur mantenendo ogni singolo aspetto una propria anima e una propria logica di funzionamento.

Da tali premesse è evidente che il dibattito attorno a questa previsione legislativa è sempre stato molto vivace, e negli ultimi tempi si sono succedute una serie di sentenze che hanno comportato un notevole impatto sulla definizione dell’elemento soggettivo della fattispecie: il delitto in questione richiede, infatti, la presenza di dolo per essere commesso e in questa fattispecie non deve essere specifico ma generico.

Tutti gli altri reati disciplinati nel D.lgs. 74/2000 richiedono che il soggetto intenda evadere e quindi deve esserci un dolo specifico (“al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto”, recitano i diversi articoli della legge), mentre con riferimento all’art. 10-ter è necessario e sufficiente che il soggetto, pur avendo avuto la coscienza e volontà di presentare una dichiarazione IVA, abbia poi omesso di versare gli importi indicati nel termine previsto dalla legge.

La crisi di liquidità determinata dall’attuale congiuntura economica ha però creato, rispetto a tali conclusioni, delle evidenti incrinature nella solidità di tale assunto, ponendo le premesse per l’intervento di numerose pronunzie della Suprema Corte, a cominciare dalla sentenza delle Sezioni Unite n. 37424 del 2013, la n. 49666 del 17 dicembre 2015, la n. 40394 del 30 settembre 2014, con le quali si è cercato di definire la spinosa vicenda legata alla cosiddetta evasione di sopravvivenza che ha contrapposto, come dimostrano i molti casi esaminati in questi ultimi anni dai giudici di legittimità, la dimensione etica della sopravvivenza a quello della pura evasione fiscale. Ciò ha anche reso possibile il formarsi di un’ulteriore giurisprudenza in tema di elemento soggettivo nel reato di omissione del versamento IVA, che dall’analisi dei fatti concreti ha raggiunto soluzioni spesso difformi a seconda del caso analizzato.

Ricordiamo anche che per la dimostrazione della assoluta impossibilità di provvedere ai pagamenti, ai sensi dell’art. 13 del D.lgs. 74/2000, come modificato dall’art. 11 del D.lgs. 158/2015, il reato di omesso versamento IVA non è punibile se prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado i debiti tributari, comprese sanzioni amministrative e interessi, sono stati estinti mediante integrale pagamento degli importi dovuti, anche a seguito delle speciali procedure conciliative e di adesione all’accertamento previste dalle norme tributarie, nonché del ravvedimento operoso.

Occorre dunque la prova che non sia stato altrimenti possibile, per il contribuente, reperire le risorse economiche e finanziarie necessarie a consentirgli il corretto e puntuale adempimento delle obbligazioni tributarie, pur avendo posto in essere tutte le possibili azioni, anche quelle sfavorevoli per il suo patrimonio personale, dirette a consentirgli di recuperare, in presenza di un’improvvisa crisi di liquidità, quelle somme necessarie ad assolvere il debito erariale senza esservi riuscito per cause indipendenti dalla sua volontà e ad egli non imputabili.

Solo in questo caso si potrà invocare la forza maggiore.

Tornando ora al caso esaminato, è risultata evidente una mancanza di tali criteri relativi ai vari ratei, nei quali l’obbligazione di pagamento, contemplata in una transazione fiscale riguardante più imposte, è stata suddivisa, risultando poi non sufficiente il pagamento di due sole rate per far scattare la causa di non punibilità, di cui al citato art. 13, decreto 74/2000.

E’ stato così respinto dai giudici di Cassazione il ricorso sollevato dal legale rappresentante di una Spa che era stato condannato, nel merito, per omesso versamento IVA per un ammontare di oltre 500.000 euro.

La decisione di secondo grado era stata impugnata lamentando, tra gli altri motivi, un vizio di motivazione connesso alla esclusione della configurabilità della causa di non punibilità di cui all’art. 13, D.lgs. 74/2000, perché era stata versata, a seguito di una transazione conclusa con l’Agenzia delle Entrate, una somma di oltre un milione di euro corrispondente alle prime due delle quattro rate nelle quali era stata suddivisa la somma concordata come dovuta.

Le motivazioni addotte non hanno convinto i Supremi giudici, che hanno peraltro sottolineato come l’esclusione della configurabilità della causa di non punibilità fosse stata, nella specie, correttamente affermata.

La Corte di legittimità giudica il ricorso infondato e pertanto lo rigetta con la seguente motivazione: “ … Nel caso in esame sono pacifiche la consumazione del reato, stante l’omesso pagamento alla scadenza dell’imposta dovuta, e anche la piena consapevolezza dell’obbligato di omettere la condotta positiva dovuta (cioè il pagamento dell’imposta), mentre non risulta, né dalla sentenza impugnata né da quanto esposto nel ricorso, che vi fosse uno stato di impossibilità assoluta di provvedere a tale pagamento a causa del dissesto dell’impresa amministrata dall’imputato, tenendo anche conto dell’obbligo di accantonamento delle somme incassate, onde poter adempiere alla scadenza alla obbligazione di versare la corrispondente imposta sul valore aggiunto (cfr. Sez. 3, n. 3639 del 11/12/2013, dep. 27/1/2014, Petrilli, non massimata).La richiesta presentata dall’obbligato, successivamente alla scadenza del termine, e dunque alla consumazione del reato, di ammissione dell’impresa al concordato preventivo, non consente di ritenere che alla scadenza del termine per il pagamento l’impresa fosse in stato di insolvenza e si trovasse nella impossibilità assoluta di provvedere al pagamento dell’imposta dovuta (che, peraltro, avrebbe dovuto essere stata precedentemente accantonata), sia perché la richiesta di ammissione è successiva alla scadenza del termine di pagamento, essendo stata iscritta il 4 luglio 2011; sia perché il decreto di ammissione è stato emesso dal Tribunale il 16 dicembre 2011 e omologato il 15 ottobre 2012, cioè oltre un anno e mezzo dopo detta scadenza.Ciò esclude anche, alla stregua dell’orientamento interpretativo ricordato, l’insussistenza dell’elemento soggettivo, in quanto l’intendimento, per uno stato di crisi solo successivamente accertato, di richiedere l’ammissione a una procedura concorsuale, non esclude la piena consapevolezza e la volontarietà della omissione della condotta positiva dovuta, giacché al momento della scadenza del termine di pagamento dell’imposta non vi era alcun elemento che consentisse non solo di escludere l’esistenza dell’obbligo, ma anche la consapevolezza in capo all’obbligato della sua persistenza, anche solamente sulla base di nozioni di comune esperienza, essendo evidente come una condotta futura non possa incidere sulla esistenza di una obbligazione scaduta. Deve, in conclusione, escludersi la fondatezza del primo motivo, posto che la presentazione della domanda di ammissione al concordato preventivo, che tra l’altro non determina lo spossessamento dell’imprenditore e non lo libera dalle obbligazioni verso i creditori, ma determina solo gli effetti di cui all’art. 168 l.f. (e cioè, sostanzialmente, il divieto di azioni esecutive individuali fino alla definitività del decreto di omologazione), tra l’altro decorrenti dalla pubblicazione del ricorso nel registro delle imprese, è avvenuto successivamente alla consumazione del reato e non è, comunque, di per sé, idonea a escludere la sussistenza dell’elemento soggettivo del reato anteriormente perfezionatosi”.

 

 

CORTE DI CASSAZIONE Sentenza 10 settembre 2018, n. 40217

 

Sul ricorso proposto da P.A.A.G., nato a Milano il 16/2/1932 avverso la sentenza del 27/10/2017 della Corte d’appello d Milano

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere Giovanni Liberati;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Paola Filippi, che ha concluso chiedendo dichiararsi inammissibile il ricorso;

udito per il ricorrente l’avv. Giovanni Briola, che ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso.

Ritenuto in fatto

  1. Con sentenza del 27 ottobre 2017 la Corte d’appello di Milano ha confermato, respingendo l’impugnazione dell’imputato, la sentenza del Tribunale di Milano del 19 aprile 2017, con cui P.A.A.G. era stato condannato alla pena di mesi sei di reclusione, in relazione al reato di cui all’art. 10 ter d.lgs. 74/2000 (ascrittogli per avere, quale legale rappresentante della C.M. S.p.a., omesso di versare, entro il termine previsto per il pagamento dell’acconto Iva per il periodo d’imposta successivo, l’imposta sul valore aggiunto dovuta in base alla dichiarazione annuale per il periodo d’imposta 2009, per l’ammontare di euro 512.355,00).
  2. Avverso tale sentenza l’imputato ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi.

2.1. Con un primo motivo ha denunciato l’insufficienza e la manifesta illogicità della motivazione, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., in relazione all’elemento soggettivo del reato ascrittogli, di cui era stata affermata la sussistenza dai giudici di merito omettendo di considerare la grave crisi di liquidità che aveva colpito la società amministrata dall’imputato, di entità tale da rendere inesigibile la condotta doverosa omessa, cioè il versamento dell’imposta sul valore aggiunto dovuta per l’anno 2009.

Ha lamentato, in particolare, l’inadeguata considerazione da parte dei giudici di merito della decisione dell’imputato di richiedere l’ammissione alla procedura di concordato preventivo, ritenuta irrilevante sulla base del rilievo che la richiesta era stata avanzata successivamente alla scadenza del debito tributario, benché la decisione di fare ricorso a tale proceduta concorsuale fosse stata adottata proprio allo scopo di evitare l’aggravamento dello stato di crisi finanziaria della società amministrata dall’imputato, non essendo stati eseguiti pagamenti a favore di altri creditori. Il ricorrente aveva, dunque, deciso di avvalersi di detta procedura concorsuale una volta verificatasi la scadenza di tutti i debiti, allo scopo di assicurare a tutti i creditori il medesimo trattamento.

Una volta scaduto il termine per il pagamento dell’imposta, il 27 dicembre 2010, data stabilita per il pagamento dell’acconto dell’imposta sul valore aggiunto relativo al periodo successivo, nel gennaio 2011 l’imputato aveva presentato istanza di ammissione al concordato preventivo, accolta dal Tribunale di Milano nell’ottobre 2011, ma tale richiesta era stata preceduta dalla predisposizione della documentazione necessaria da allegare a corredo della stessa, proprio allo scopo di garantire il soddisfacimento di tutti i creditori sociali in egual misura, circostanza questa che avrebbe dovuto indurre ad escludere la sussistenza dell’elemento soggettivo del reato.

Ha aggiunto di aver concluso nell’aprile 2012 una transazione con l’Agenzia delle Entrate, volta a soddisfare i creditori sociali, di cui aveva iniziato l’adempimento, a ulteriore riprova della insussistenza del dolo di evasione e dell’elemento soggettivo del reato ascrittogli.

2.2. Con un secondo motivo ha prospettato la violazione dell’art. 13 d.lgs. 74/2000 e un ulteriore vizio della motivazione, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) et e), cod. proc. pen., con riferimento alla esclusione della configurabilità della causa di non punibilità contemplata da detta disposizione, avendo provveduto a pagare la somma di euro 1.018.538,36 a seguito della transazione conclusa con l’Agenzia dell’Entrate, corrispondente alle prime due delle quattro rate nelle quali era stata suddivisa la somma concordata come dovuta, superiore all’imposta sul valore aggiunto di cui gli era stato addebitato l’omesso versamento, pari a euro 512.355,00, che tuttavia non era stata ritenuta idonea a considerare estinto tale debito per la mancanza di criteri di imputazione nella transazione fiscale. Tale considerazione risultava, però, ad avviso del ricorrente, erronea, essendo stata corrisposta una somma superiore a quella oggetto della contestazione, con la conseguente configurabilità della causa di non punibilità invocata, di cui era impropriamente stata esclusa l’applicabilità.

Considerato in diritto

  1. Il ricorso non è fondato.
  2. L’art. 10 ter d.lgs. 74/2000 (omesso versamento dell’imposta sul valore aggiunto) prevede come reato il fatto di chi non versa l’imposta sul valore aggiunto, dovuta in base alla dichiarazione annuale, entro il termine per il versamento dell’acconto relativo al periodo di imposta successivo. Il reato si consuma dunque nel momento in cui scade il termine previsto dalla legge per il versamento dell’acconto relativo al periodo di imposta successivo; ciò che rileva è, quindi, l’indicazione nella dichiarazione di un debito d’imposta e l’inadempimento alla conseguente e corrispondente obbligazione di pagamento, rimanendo prive di rilievo, ai fini della configurabilità del reato, sia l’effettiva riscossione delle somme-corrispettivo relative alle prestazioni effettuate (tranne i casi di applicabilità del regime di “Iva per cassa”, cfr. Sez. 3, n. 6220 del 23/01/2018, Ventura, Rv. 272069; Sez. 3, n. 19099 del 06/03/2013, Di Vora, Rv. 255327), sia la condotta successiva dell’obbligato, stante la natura del reato, che è omissivo proprio a consumazione istantanea.

Per la configurabilità dell’elemento soggettivo del reato, è quindi sufficiente, stante l’evidenziata struttura della fattispecie, la consapevolezza di omettere il versamento dell’imposta dovuta sulla base della dichiarazione annuale presentata dall’obbligato, come avvenuto nel caso in esame, a prescindere dagli intendimenti e dalle condotte successive del debitore, posto che ciò che determina la configurabilità del reato è quanto emergente dalla dichiarazione annuale e l’inadempimento alla scadenza della obbligazione tributaria dalla stessa risultante.

Quanto alla incidenza dello stato di difficoltà o crisi finanziaria dell’impresa obbligata al pagamento dell’imposta, va ricordato il consolidato orientamento interpretativo di questa Corte in proposito, secondo cui, al fine della dimostrazione della assoluta impossibilità di provvedere ai pagamenti omessi, occorrono l’allegazione e la prova della non addebitabilità all’imputato della crisi economica che ha investito l’impresa e della impossibilità di fronteggiare la crisi di liquidità che ne sia conseguita tramite il ricorso a misure idonee, da valutarsi in concreto (cfr. Sez. 3, n. 20266 del 08/04/2014, Zanchi, Rv. 259190; Sez. 3, n. 8352 del 24/06/2014, Schirosi, Rv. 263128; Sez. 3, n. 43599 del 09/09/2015, Mondini, Rv. 265262).

Per escludere la volontarietà della condotta è, dunque, necessaria la dimostrazione della riconducibilità dell’inadempimento alla obbligazione verso l’Erario a fatti non imputabili all’imprenditore, che non abbia potuto tempestivamente porvi rimedio per cause indipendenti dalla sua volontà e che sfuggono al suo dominio finalistico (Sez. 3, n. 8352 del 24/06/2014, Schirosi, Rv. 263128; conf. Sez. 3, n. 15416 del 08/01/2014, Tonti Sauro; Sez. 3, n. 5467 del 05/12/2013, Mercutello, Rv. 258055; Sez. 3, 9 ottobre 2013, n. 5905/2014).

Nel caso in esame sono pacifiche la consumazione del reato, stante l’omesso pagamento alla scadenza dell’imposta dovuta, e anche la piena consapevolezza dell’obbligato di omettere la condotta positiva dovuta (cioè il pagamento dell’imposta), mentre non risulta, né dalla sentenza impugnata né da quanto esposto nel ricorso, che vi fosse uno stato di impossibilità assoluta di provvedere a tale pagamento a causa del dissesto dell’impresa amministrata dall’imputato, tenendo anche conto dell’obbligo di accantonamento delle somme incassate, onde poter adempiere alla scadenza alla obbligazione di versare la corrispondente imposta sul valore aggiunto (cfr. Sez. 3, n. 3639 del 11/12/2013, dep. 27/1/2014, Petrilli, non massimata).

La richiesta presentata dall’obbligato, successivamente alla scadenza del termine, e dunque alla consumazione del reato, di ammissione dell’impresa al concordato preventivo, non consente di ritenere che alla scadenza del termine per il pagamento l’impresa fosse in stato di insolvenza e si trovasse nella impossibilità assoluta di provvedere al pagamento dell’imposta dovuta (che, peraltro, avrebbe dovuto essere stata precedentemente accantonata), sia perché la richiesta di ammissione è successiva alla scadenza del termine di pagamento, essendo stata iscritta il 4 luglio 2011; sia perché il decreto di ammissione è stato emesso dal Tribunale il 16 dicembre 2011 e omologato il 15 ottobre 2012, cioè oltre un anno e mezzo dopo detta scadenza.

Ciò esclude anche, alla stregua dell’orientamento interpretativo ricordato, l’insussistenza dell’elemento soggettivo, in quanto l’intendimento, per uno stato di crisi solo successivamente accertato, di richiedere l’ammissione a una procedura concorsuale, non esclude la piena consapevolezza e la volontarietà della omissione della condotta positiva dovuta, giacché al momento della scadenza del termine di pagamento dell’imposta non vi era alcun elemento che consentisse non solo di escludere l’esistenza dell’obbligo, ma anche la consapevolezza in capo all’obbligato della sua persistenza, anche solamente sulla base di nozioni di comune esperienza, essendo evidente come una condotta futura non possa incidere sulla esistenza di una obbligazione scaduta.

Deve, in conclusione, escludersi la fondatezza del primo motivo, posto che la presentazione della domanda di ammissione al concordato preventivo, che tra l’altro non determina lo spossessamento dell’imprenditore e non lo libera dalle obbligazioni verso i creditori, ma determina solo gli effetti di cui all’art. 168 l.f. (e cioè, sostanzialmente, il divieto di azioni esecutive individuali fino alla definitività del decreto di omologazione), tra l’altro decorrenti dalla pubblicazione del ricorso nel registro delle imprese, è avvenuto successivamente alla consumazione del reato e non è, comunque, di per sé, idonea a escludere la sussistenza dell’elemento soggettivo del reato anteriormente perfezionatosi.

  1. Anche il secondo motivo di ricorso è infondato.

L’art. 13 d.lgs. 74/2000, come modificato dall’art. 11 d.lgs. 24 settembre 2015 n. 158, esclude la punibilità dei reati di cui agli artt. 10 bis, 10 ter e 10 quater d.lgs. 74/2000 qualora i debiti tributari, comprese le sanzioni amministrative e gli interessi, siano stati estinti mediante integrale pagamento degli importi dovuti, anche se a seguito delle speciali procedure conciliative e di adesione all’accertamento previsti dalle norme tributarie.

Tale disposizione trova applicazione anche con riferimento ai fatti commessi precedentemente alla sua entrata in vigore e ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore del d.lgs. n. 158 del 2015, anche qualora, alla data predetta, era già stato aperto il dibattimento di primo grado (Sez. 3, n. 30139 del 12/04/2017, Fregolent, Rv. 270464), purché i debiti tributari siano estinti mediante integrale pagamento degli importi dovuti, anche a seguito delle speciali procedure conciliative e di adesione all’accertamento previste dalle norme tributarie, nonché del ravvedimento operoso: occorre, dunque, pur sempre l’integrale pagamento di quanto originariamente dovuto o delle diverse somme concordate con l’amministrazione finanziaria.

Nel caso in esame il ricorrente ha prospettato l’erroneità della esclusione da parte della Corte d’appello di Milano della applicabilità di detta causa di non punibilità, avendo corrisposto, a seguito della conclusione di una transazione fiscale, somme di ammontare superiore all’imposta di cui gli era stato contestato l’omesso pagamento e in relazione al quale è stata affermata la sua responsabilità.

L’esclusione della configurabilità di tale causa di non punibilità è stata, però, correttamente affermata a causa del mancato pagamento di tutte le somme previste da tale transazione fiscale e della assenza nella stessa di criteri di imputazione delle somme già corrisposte, che, quindi, non hanno potuto essere imputate alla imposta sul valore aggiunto relativa all’anno 2009 non versata e oggetto della contestazione: difettava, dunque, il presupposto dell’integrale pagamento delle somme originariamente dovute o di quelle diverse concordate con l’amministrazione finanziaria, posto che dal solo pagamento delle prime due rate nelle quali era stato suddiviso il più elevato debito originario, frazionato in quattro rate, non poteva trarsi la prova del pagamento dell’imposta sul valore aggiunto dovuta per l’anno 2009 e non versata.

Per ritenere dimostrato il pagamento dell’imposta dovuta in relazione a una determinata annualità e non versata, in presenza di una transazione fiscale contemplante una obbligazione di pagamento derivante dall’omesso pagamento di più imposte e in mancanza di criteri di imputazione dei vari ratei nei quali è stata suddivisa tale obbligazione, non è sufficiente il versamento di alcuni ratei, che non vi sono elementi o criteri per imputare proprio all’imposta oggetto della contestazione del reato addebitato al ricorrente, cosicché correttamente la Corte d’appello ha escluso la configurabilità di detta causa di non punibilità.

  1. Il ricorso deve, in conclusione, essere rigettato, essendo infondate entrambe le censure cui è stato affidato.

Consegue la condanna al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

 

 

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