CASSAZIONE

No alla restituzione dell’IVA sulle bollette

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza del 6 settembre 2016, ha stabilito che le spese di spedizione della fattura telefonica fanno parte della base imponibile soggetta a IVA ex art. 13 DPR 633/1972, dal momento che riguardano l’esecuzione della prestazione dedotta in contratto. Pertanto, la pretesa di rimborso della Telecom verso l’utente riguardo a quanto corrisposto per la spesa di spedizione alle Poste Italiane fa parte della base imponibile sulla quale va calcolata l’IVA: di conseguenza l’utente non può vantare alcun diritto al restituzione dell’IVA applicata dalla Telecom.

Argomento, questo dell’IVA sulle bollette, che ha riguardato molte pronunce della Suprema Corte con medesimo orientamento, peraltro tutte richiamate dalla società ricorrente, quali le ordinanze della Cass. 17526/2013; 17613/2013; 17797/2013; 17800/2013; 17517/2013, e anche le sentenze: Cass. 5495/2014; Cass. 5461/2014. Di contro, e la pronuncia trae origine dal fatto che molte restano le perplessità dell’utenza verso questa interpretazione giurisprudenziale, il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, sezione distaccata di Aversa, rigettava l’appello proposto dalla ricorrente e confermava la sentenza n. 1829 del 21 novembre 2012 del Giudice di Pace di Trentola Ducenta, con cui si condannava Telecom Italia S.p.a. alla restituzione, in favore dell’intimato, dell’importo pari all’IVA applicata sulle spese postali di spedizione delle fatture, relative al rapporto di utenza inter partes, assumendo tale importo come non dovuto e l’IVA come erroneamente applicata.

Impugnata tale sentenza dalla Telecom, anche il Tribunale, in funzione di giudice di appello, conferma la condanna della società. La compagnia ricorre in Cassazione e, con l’ordinanza dello scorso 6 settembre, ribalta l’esito dei due precedenti gradi di giudizio.

In realtà le compagnie telefoniche fanno sottoscrivere, all’atto dell’abbonamento, un contratto con il quale accettiamo di pagare, insieme ai consumi, anche i costi per la spedizione della bolletta: spesa, quindi, che ci viene addebitata sulla fattura. L’aliquota IVA sulla fattura viene così calcolata sia sull’importo per i consumi che sulle spese per la spedizione della bolletta. Alla fine, nella realtà di tutti i giorni, gli utenti pagano al fornitore un’imposta che invece il fornitore non paga: si tratta quindi, per quest’ultimo, di un guadagno netto. Tuttavia, per la compagnia telefonica le spese di spedizione sono IVA esenti e infatti, come nel caso di specie, con un unico motivo la Telecom ricorre in Cassazione deducendo la violazione e falsa applicazione dell’art. 10, n. 16 e 13 del DR. n. 633/1972, in relazione all’art. 360, n. 3 c.p.c., in quanto il Tribunale, nell’asserire che “l’operazione in oggetto, ovvero di spedizione postale, va esente da IVA, per cui non si comprende come possa essere, poi, addebitata al cliente, dal momento che Telecom stessa non paga l’IVA sull’importo a titolo di spese di spedizione”, avrebbe ignorato il contrario principio di diritto più volte espresso dalla giurisprudenza della Suprema Corte.

L’ordinanza delle Sesta Sezione civile della Cassazione, n. 17655 del 6/9/2016, ha accolto il ricorso della Telecom ritenendone fondata la prospettazione. Gli Ermellini, a tal riguardo, arrivano a tale conclusione seguendo il prevalente orientamento secondo il quale: “In tema di rapporto di utenza telefonica fra utente e Telecom, per le spese di spedizione della fattura a mezzo del servizio postale, previste dalle condizioni generali di contratto come costo da addebitare a carico dell’utente, non è, in mancanza di previsione delle condizioni contrattuali, un’anticipazione eseguita in nome e per conto dell’utente, ma solo un’anticipazione per conto (e nell’interesse) dello stesso, e, dunque, non da luogo alla fattispecie del Dpr 633 del 1972 art. 15, n. 3, deve ritenersi che la pretesa di rimborso della Telecom verso l’utente riguardo a quanto corrisposto per la spesa di spedizione alle Poste italiane fa parte della base imponibile ai sensi dell’art. 13 del DPR appena citato, trattandosi di spesa per l’esecuzione della prestazione, con la conseguenza che legittimamente la Telecom ricarica detta spesa dell’Iva e ciò ancorché la Telecom sopporti la spesa di spedizione verso le Poste italiane in regime di esenzione ai sensi dell’art. 10, n. 16, dello stesso DPR (così, in particolare, Cass. ord. 17526/2013).

Presupposto per l’affermazione del principio di diritto è stata la seguente precisazione: “Ai fini del rapporto con l’utente, poiché il costo sopportato per l’anticipazione della spesa sostenuta nei confronti delle Poste Italiane non è anticipazione in nome e per conto dell’utente e, dunque, non da luogo alla fattispecie del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 15, n. 3, e poiché l’esenzione di cui all’art. 10 n. 16 concerne solo chi ha diretto rapporto con chi gestisce il servizio postale universale, la pretesa di rimborso della Telecom verso l’utente fa parte della base imponibile ai sensi dell’art. 13, detto D.P.R. quale spesa per l’esecuzione della prestazione e, quindi, può essere ricaricata di i.v.a., in quanto nessuna norma prevede una sorta di trascinamento dell’esenzione che ha avuto la Telecom al rapporto con l’utente, per conto del quale Essa ha fatto ricorso al sevizio postale. Il Tribunale ha ignorato gli arresti che hanno espresso tali principi. Ne segue che il ricorso appare fondato e la sentenza impugnata dovrebbe essere cassata”.

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Corte di Cassazione – sez. VI Civile Ordinanza n. 17655 del 6 settembre 2016

Fatto e diritto

Ritenuto quanto segue:

Telecom Italia S.p.a. ha proposto ricorso per Cassazione, contro C.F. , avverso la sentenza n. 1146/2014 con cui il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, Sezione Distaccata di Aversa, in data 5 aprile 2014, rigettava l’appello proposto dall’odierna ricorrente e confermava la sentenza n. 1829/2012 del 21 novembre 2012 del Giudice di Pace di Trentola Ducenta, con cui si condannava Telecom Italia s.p.a. alla restituzione, in favore dell’intimato, dell’importo pari all’IVA applicata sulle spese postali di spedizione delle fatture, relative al rapporto di utenza inter partes, assumendo tale importo come non dovuto e l’IVA come erroneamente applicata.

La parte intimata non ha svolto attività difensiva.

Prestandosi il ricorso ad essere deciso con il procedimento di cui all’art. 380-bis c.p.c. è stata redatta relazione ai sensi di tale norma e ne è stata fatta notificazione all’avvocato della ricorrente unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza della Corte.

Considerato quanto segue:

Nella relazione ai sensi dell’art. 380-bis si sono svolte le seguenti considerazioni:

“(…) p.3. Il ricorso può essere deciso in camera di consiglio ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., in quanto appare manifestamente fondato.

Queste le ragioni.

Con l’unico motivo di ricorso, il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 10 n. 16 e 13 del D.P.R. n. 633/1972 (c.d. legge IVA), in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c., in quanto il Tribunale nell’asserire che l’operazione in oggetto, ovvero di spedizione postale, va esente da IVA, per cui non si comprende come possa essere, poi, addebitata al cliente, dal momento che Telecom stessa non paga l’IVA sull’importo a titolo di spese di spedizione – avrebbe ignorato il contrario principio di diritto più volte espresso dalla giurisprudenza della Suprema Corte.

In particolare, si adduce che il Tribunale, dopo avere fatto corretta applicazione dei principi affermati da questa Corte in controversie di analogo contenuto sull’esegesi dell’art. 15 n. 3 della l. n. 633 del 1972, ha poi ritenuto che la pretesa di restituzione di indebito dell’utente qui intimato fosse fondata sulla base dell’art. 10 n. 16 della stessa legge, in tal modo ignorando numerosi precedenti in senso contrario di questa Corte.

Al riguardo la ricorrente ha evocato le ordinanze nn. 17526/2013, 17613/2013, 17614/2013, 17797/2013,   17798/2013,   17800/2013,   17517/2013,   17531/2103,   7843/2014, 7844/2014,

7845/2014, 8226/2014, 17531/2013 e da ultimo le pronunce 5495/2014 e 5461/2014.

La prospettazione della Telecom è fondata.

La giurisprudenza da essa evocata ha, infatti, affermato il principio di diritto secondo cui: in tema di rapporto di utenza telefonica fra utente e Telecom, poiché il costo sopportato per l’anticipazione delle spesa sostenuta nei confronti delle Poste Italiane dalla Telecom, per la spedizione della fattura a mezzo del servizio postale, prevista dalle condizioni generali di contratto come costo da addebitare a carico dell’utente, non è, in mancanza di previsione nelle condizioni contrattuali, un’anticipazione eseguita in nome e per conto dell’utente, ma solo un’anticipazione per conto (e nell’interesse) dello stesso, e, dunque, non da luogo alla fattispecie del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 15, n. 3, deve ritenersi che la pretesa di rimborso della Telecom verso l’utente riguardo a quanto corrisposto per la spesa di spedizione alle Poste Italiane fa parte della base imponibile ai sensi dell’art. 13 del detto D.P.R., trattandosi di spesa per l’esecuzione della prestazione, con la conseguenza che legittimamente la Telecom ricarica detta spesa dell’i.v.a. e ciò ancorché la Telecom sopporti la spesa di spedizione verso le Poste Italiane in regime di esenzione ai sensi dell’art. 10, n. 16, dello stesso D.P.R. (così, in particolare, Cass. (ord.) n. 17526 del 2013). Presupposto per l’affermazione del principio di diritto è stata la seguente precisazione:

Ai fini del rapporto con l’utente, poiché il costo sopportato per l’anticipazione delle spesa sostenuta nei confronti delle Poste Italiane non è anticipazione in nome e per conto dell’utente e, dunque, non da luogo alla fattispecie del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 15, n. 3, e poiché l’esenzione di cui all’art. 10 n. 16 concerne solo chi ha diretto rapporto con chi gestisce il servizio postale universale, la pretesa di rimborso della Telecom verso l’utente fa parte della base imponibile ai sensi dell’art. 13, detto D.P.R. quale spesa per l’esecuzione della prestazione e, quindi, può essere ricaricata di i.v.a., in quanto nessuna norma prevede una sorta di trascinamento dell’esenzione che ha avuto la Telecom al rapporto con l’utente, per cono del quale Essa ha fatto ricorso al sevizio postale.

Il Tribunale ha ignorato gli arresti che hanno espresso tali principi.

Ne segue che il ricorso appare fondato e la sentenza impugnata dovrebbe essere cassata.

Non occorrendo accertamenti di fatto per decidere sulla domanda proposta dalla parte qui intimata nel senso del suo rigetto, sembrano sussistere le condizioni per decidere nel merito con l’accoglimento dell’appello della Telecom e il rigetto della domanda della parte attrice”.

Il Collegio condivide le argomentazioni e le conclusioni della relazione che sono conformi a consolidata giurisprudenza di questa Corte.

Il ricorso dev’essere, dunque, accolto e la sentenza cassata.

Poiché non occorrono accertamenti di fatto ai fini della decisione sul merito alla cassazione può non conseguire il rinvio bensì la decisione nel merito sull’appello della Telecom e, quindi, l’accoglimento di quest’ultimo e la riforma della sentenza di primo grado con il rigetto della domanda dell’utente per infondatezza in iure. Ciò sulla base delle ragioni indicate dalla relazione e del principio di diritto da essa richiamato.

Dovendosi pronunciare sulle spese dell’intero giudizio, si ritiene di dispone la compensazione delle spese dell’intero giudizio, tenuto conto che l’orientamento decisivo per la soluzione della lite si è consolidato dopo l’inizio del giudizio anche in appello. Circostanza che – tenuto conto che la parte intimata no ha resistito in questo giudizio – implica gravi ed eccezionali ragioni giustificative per la compensazione, secondo il regime del secondo comma dell’art. 92 c.p.c. applicabile al giudizio.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso e cassa la sentenza impugnata. Pronunciando sul merito dell’appello proposto dalla s.p.a. Telecom Italia contro la sentenza del Giudice di Pace di Trentola Ducenta, lo accoglie e, in riforma di detta sentenza, rigetta la domanda di C.F.

Compensa le spese dell’intero giudizio.

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