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Emergenza Covid, saldo IVA e scadenze.  Con la Circolare 25 del 20 agosto 2020 l’Agenzia delle Entrate ha chiarito che chi ha versato la prima rata IVA a marzo pur potendo fruire della sospensione prevista per l’emergenza

sanitaria, poteva comunque accedere alla proroga per le scadenze di aprile e/o maggio. Anche secondo i contenuti del decreto Agosto (n. 104/2020), quindi, potrà optare, in alternativa, fra: 1) pagare il saldo IVA in unica tranche entro il 16/ settembre 2020 (anziché l’originario 31 maggio) o in un massimo 4 rate mensili di pari importo, la prima dalla stessa data; 2) versare il 50% del dovuto in unica soluzione o in 4 rate dal 16 settembre e dilazionare il resto, al massimo in 24 rate mensili, con scadenza 16 gennaio 2021. Chi è stato escluso dalla sospensione di marzo, ma è rientrato in quella di aprile e maggio, dovrà pagare nei termini ordinari le rate residue, rinviando al 16 settembre soltanto le rate sospese di aprile e maggio, oppure versare in base alle agevolazioni previste dall’articolo 97 del DL 104/2020.

Dichiarazione infedele in caso di credito non spettante. La Corte di Cassazione, nell’ordinanza 20463/2019, ha stabilito che se nella dichiarazione dei redditi viene indicato un credito non spettante, la violazione è sostanziale e non formale, perché l’informazione non veritiera ostacola le attività di controllo degli uffici. Il caso oggetto della pronuncia ha visto un contribuente indicare in dichiarazione un credito IVA non spettante che generava un rimborso mai richiesto, né utilizzato in compensazione, il che ha indotto la Commissione tributaria regionale a escludere l’applicazione delle sanzioni. Secondo gli Ermellini, invece, se la dichiarazione riporta un credito non spettante deve essere applicata la sanzione prevista dall’articolo 5 del D.lgs. 471/1997, anche se il credito non è stato utilizzato né chiesto a rimborso: in questo modo si va a colpire la falsa indicazione in dichiarazione, a prescindere dall’avvenuto utilizzo del credito, che ostacolando le attività di controllo del Fisco, configura, per l’appunto, una violazione sostanziale e non meramente formale. Una violazione formale, invece, non sarebbe invece stata sanzionabile, secondo quanto previsto dall’articolo 6, comma 5-bis, del D.lgs. 472/1997, che considera non punibili le violazioni che non arrecano pregiudizio all’esercizio delle azioni di controllo e non incidono sulla determinazione della base imponibile, dell’imposta e sul versamento del tributo.

Il codice tributo per la compensazione dei pagamenti digitali. Con la risoluzione 48 del 31 agosto è stato istituito il codice tributo 6919 da utilizzare in compensazione nel modello F24, per accedere al credito d’imposta per le commissioni sui pagamenti digitali, effettuate tramite carte di credito, di debito o prepagate o altri strumenti elettronici tracciabili. Il bonus è operativo dal 1° luglio 2020, vale per la vendita di beni e l’erogazione di servizi nei confronti di consumatori finali (persone fisiche) da parte di titolari di attività di impresa, arte o professioni, se i ricavi e compensi dell’anno d’imposta precedente non sono superiori a 400.000 euro. Introdotto dal DL 124/2019, Collegato alla Legge di bilancio 2020, il credito ammonta al 30% delle commissioni bancarie a carico di chi accetta pagamenti elettronici. L’utilizzo in compensazione avviene attraverso i servizi telematici dell’Agenzia delle Entrate a partire dal mese successivo a quello della spesa. I prestatori di servizi di pagamento devono trasmettere ogni mese telematicamente agli esercenti l’elenco dei pagamenti effettuati con strumenti di pagamento elettronici e le informazioni relative alle commissioni addebitate. Il credito d’imposta deve essere esposto nella dichiarazione dei redditi, senza però concorrere alla formazione della base imponibile né del valore della produzione ai fini IRAP.

INPS, si ripresentano tentativi di phishing. Una nuova comunicazione dell’INPS avverte gli utenti che si sono riproposti altri tentativi di frode tramite phishing attraverso l’invio di mail sospette con link cliccabili. L’Istituto ripete l’esortazione a monitorare attentamente la propria casella di posta elettronica e di non tener conto di tutte le comunicazioni che invitano a cliccare su un link per ricevere pagamenti e rimborsi. Lo stesso dicasi per le mail che avvertono il destinatario che sono state rilevate delle differenze nei versamenti dei contributi previdenziali, anche in questo caso invitando a cliccare su un link dedicato. L’INPS ribadisce che proprio ai fini della sicurezza degli utenti non invia mai comunicazioni che contengono link cliccabili e che soltanto il sito istituzionale permette l’accesso alle informazioni sulle proprie prestazioni, invitando a diffidare sempre delle comunicazioni con il logo dell’Istituto, anche verificando con grande attenzione l’indirizzo del mittente.

Avvisi bonari prorogati: la scadenza delle rate.  26/8/2020  Quando versare le rate degli avvisi bonari: ecco i chiarimenti nella circolare dell’Agenzia. I pagamenti degli avvisi bonari, derivanti da liquidazione automatica, controllo formale o da tassazione separata, (scaduti nel periodo compreso tra l’8 marzo 2020 e il 31 maggio 2020), sono stati prorogati al 16 settembre 2020. L’ agevolazione prevista dal decreto Rilancio consente infatti di effettuare i versamenti successivamente rispetto alla scadenza, senza che ciò comporti l’applicazione di sanzioni e interessi (cfr. art. 144 commi 1 e 2 del DL 34/2020). La norma del decreto ha inoltre previsto che i versamenti sospesi, possano essere effettuati anche in 4 rate mensili di pari importo a decorrere dal mese di settembre 2020 e con scadenza al 16 di ciascun mese. A fronte di questa importante agevolazione, l’Agenzia delle Entrate ha fornito alcuni chiarimenti in merito alla scadenza delle rate dei pagamenti, nella Circolare n.25/E del 20 agosto 2020. In particolare, l’Agenzia ha chiarito che: a) nel caso in cui il termine di versamento della prima rata ricada nel periodo di sospensione, la proroga produce un effetto traslativo anche sulle scadenze delle rate successive. Ciò significa che, in base alla scadenza della prima rata verrà conseguentemente costruito il piano di rateazione (es. prima rata con scadenza ad aprile 2020 quindi prorogata al 16 settembre 2020, conseguente pagamento della seconda rata entro il 31 dicembre anziché 31 luglio 2020); b) diversamente, se a scadere nel periodo di sospensione e quindi a slittare al 16 settembre è la seconda rata e non la prima, le successive rate non verranno ridistribuite successivamente a quella prorogata ma, al contrario, manterranno la loro originaria scadenza (es. seconda rata con scadenza ad aprile quindi prorogata al 16 settembre 2020, pagamento della terza e quarta rata nelle date originariamente fissate). Il chiarimento dell’Agenzia (cfr. risposta 3.5.2.), appare rilevante se si considera che, come regola generale sulla rateazione, le rate trimestrali scadono l’ultimo giorno di ciascun trimestre successivo alla scadenza della prima rata e che pertanto i piani di rateazione sono influenzati dalla scadenza della prima rata. Un ulteriore aspetto segnalato nella Circolare, riguarda il termine per l’esibizione dei documenti da parte del contribuente (chiarimenti e richieste di rideterminazione degli esiti) in caso di liquidazione automatica o controllo formale. Generalmente questo termine scade nei 30 giorni successivi alla comunicazione bonaria. A fronte di ciò l’Agenzia ha chiarito che la proroga prevista per i versamenti si può estendere anche al termine per fornire chiarimenti che viene quindi ugualmente rinviato alla data del 16 settembre 2020. (cfr. risposta 3.5.1) Pur non riscontrando nell’ art. 144 del Decreto, alcun riferimento esplicito al termine entro cui il contribuente può fornire chiarimenti, l’Agenzia ha interpretato in maniera estensiva la proroga al 16 settembre prevista per i versamenti, ritenendola applicabile anche al termine per i chiarimenti. Ciò anche sulla base della stretta correlazione che intercorre tra i due.

DURC online: validità prolungata.   31/7/2020    Estesa per 90 giorni successivi alla fine dello stato di emergenza Covid la validità dei DURC online in scadenza dal 31 gennaio o richiesti dal 19 luglio. A decorrere dal 19 luglio 2020, i Durc On Line con scadenza tra il 31 gennaio e il 31 luglio 2020 conservano la loro validità per i novanta giorni successivi alla dichiarazione di cessazione dello stato di emergenza. Lo prevede la legge di conversione del Decreto Rilancio, che ne ha soppresso il comma 1 all’articolo 81. Tale scadenza, originariamente prevista per il 31 luglio, faceva ricadere la validità dei DURC in questione fino al prossimo 29 ottobre. Ma considerato che il CdM ha esteso al 15 ottobre lo stato di emergenza Covid, la validità si estenderà ulteriormente. Conseguentemente tutti i contribuenti per i quali è stato già prodotto o che hanno richiesto un Durc On Line con data fine validità compresa tra il 31 gennaio e il 31 luglio 2020, al momento possono sicuramente ritenere valido lo stesso Documento fino al 29 ottobre 2020, con la consapevolezza che tale validità sarà ulteriormente estesa. In ogni caso, resta l’obbligo in capo alle stazioni appaltanti/amministrazioni di effettuare la richiesta di verifica della regolarità contributiva secondo le ordinarie modalità. In sintesi, per le richieste di verifica della regolarità pervenute dal 19 luglio 2020 o ancora in corso l’istruttoria a quella data, inclusi i casi per i quali sia stato già notificato l’invito a regolarizzare la propria posizione, si procederà con l’emissione di un DURC online regolare.

Allarme CGIA Mestre: 240 mila pmi italiane a rischio usura.  20/7/2020  Sono poco meno di 240 mila le imprese italiane che, secondo la definizione della normativa europea, presentano delle esposizioni bancarie deteriorate. In altre parole stiamo parlando delle aziende e delle partite Iva che risultano essere “schedate” presso la Centrale dei Rischi della Banca d’Italia come insolventi. Una classificazione che, di fatto, pregiudica, per legge, a questi soggetti economici di accedere ad alcun prestito erogato dalle banche e dalle società finanziarie. Una condizione che, ovviamente, non consente di avvalersi nemmeno delle misure agevolate messe in campo recentemente dal Governo con il cosiddetto “decreto Liquidità”. “Non potendo ricorrere a nessun intermediario finanziario – dichiara il coordinatore dell’Ufficio studi della CGIA Paolo Zabeo – queste Pmi, strutturalmente a corto di liquidità e in grosse difficoltà finanziarie, in questo periodo di carenza di credito rischiano molto più delle altre di scivolare tra le braccia degli strozzini. Riteniamo che per evitare tutto questo sia necessario incentivare il ricorso al “Fondo per la prevenzione” dell’usura. Uno strumento, quest’ultimo, presente da decenni, ma poco utilizzato, anche perché sconosciuto ai più e, conseguentemente, con scarse risorse economiche a disposizione”.

Sorpasso storico: in Italia numero pensioni supera quello degli occupati13/7/2020  Complice la crisi economica causata dalla pandemia da Covid, il numero delle pensioni erogate in Italia ha superato quello degli occupati. A dirlo è l’Ufficio studi della CGIA, che numeri alla mano spiega: “Se nello scorso mese di maggio coloro che avevano un impiego lavorativo sono scesi a 22,77 milioni di unità, gli assegni pensionistici erogati sono superiori. Al 1° gennaio 2019, infatti, la totalità delle pensioni erogate in Italia ammontava a 22,78 milioni. Se teniamo conto del normale flusso in uscita dal mercato del lavoro da parte di chi ha raggiunto il limite di età e dell’impulso dato dall’introduzione di “quota 100”, successivamente all’ 1 gennaio dell’anno scorso il numero complessivo delle pensioni è aumentato almeno di 220 mila unità. Pertanto, possiamo affermare con una elevata dose di sicurezza che gli assegni stanziati alle persone in quiescenza sono attualmente superiori al numero di occupati presenti nel Paese” si legge in un’analisi. Sottolinea il coordinatore dell’Ufficio studi Paolo Zabeo: “Il sorpasso è avvenuto in questi ultimi mesi. Dopo l’esplosione del Covid, infatti, è seguito un calo dei lavoratori attivi. Con più pensioni che impiegati, operai e autonomi, in futuro non sarà facile garantire la sostenibilità della spesa previdenziale che attualmente supera i 293 miliardi di euro all’anno, pari al 16,6 per cento del Pil. Con culle vuote e un’età media della popolazione sempre più elevata, nei prossimi decenni avremo una società meno innovativa, meno dinamica e con un livello e una qualità dei consumi interni in costante diminuzione”. Sebbene gli effetti della crisi dovuta al Covid avranno un impatto molto negativo dal punto di vista occupazionale, è evidente che il progressivo invecchiamento della popolazione italiana sarà un altro grosso problema con il quale fare i conti. Afferma il segretario della CGIA Renato Mason: “Negli ultimi anni gli imprenditori stanno cercando personale altamente qualificato o figure caratterizzate da bassi livelli di competenze. Se per i primi le difficoltà di reperimento sono strutturali a causa dello scollamento che in alcune aree del Paese si è creato tra la scuola e il mondo del lavoro, i secondi, invece, sono posti di lavoro che spesso i nostri giovani, peraltro sempre meno numerosi, rifiutano di occupare e solo in parte vengono coperti dagli stranieri. Una situazione che con la depressione economica alle porte potrebbe assumere dimensioni più contenute, sebbene in prospettiva futura la difficoltà di incrociare la domanda e l’offerta di lavoro rimarrà una questione non facile da risolvere”. Al Sud tutte le regioni presentano un saldo negativo. Sebbene gli ultimi dati disponibili a livello territoriale non siano recentissimi 4, tutte le otto regioni del Sud presentano un numero di pensioni superiore a quello degli occupati. Tra le province meridionali solo tre registrano un saldo positivo, ovvero più lavoratori attivi che pensioni erogate, ovvero Teramo, Ragusa e Cagliari. Al Nord, invece, l’unica regione in “difficoltà” è la Liguria, che ha tutte le 4 province con il saldo negativo e il Friuli Venezia Giulia che ha un saldo pari a zero. Al Centro, invece, male anche l’Umbria e le Marche. Ovviamente, le situazioni più problematiche si registrano nelle aree dove l’età media è più avanzata. A livello regionale quella più elevata si trova in Liguria (48,46 anni medi). Subito dopo scorgiamo il Friuli Venezia Giulia (47), il Piemonte (46,54), la Toscana (46,52) e l’Umbria (46,49). A livello provinciale, invece, la realtà più “vecchia” d’Italia è Savona (48,85 anni medi), seguono Biella (48,70), Ferrara (48,55), Genova (48,53) e Trieste (48,39). Le più giovani, invece, sono Bolzano (42,30), Crotone (42,18), Caserta (41,35) e Napoli (41,31).

PA: più pensionati che dipendenti.  8/7/2020  Entro il 2021 la Pubblica Amministrazione italiana avrà più pensionati che lavoratori in attività: l’indagine presentata al Forum PA 2020. È stata presentata durante la prima giornata di Forum PA 2020 la ricerca FPA sul lavoro pubblico, indagine che restituisce la fotografia di una Pubblica Amministrazione anziana, in cui l’età media del personale è di 50,7 anni, con il 16,9% di dipendenti over 60 e solo il 2,9% under 30. Stando ai dati, inoltre, entro il 2021 ci saranno più pensionati che dipendenti attivi nelle PA italiane: attualmente questi ultimi sono 3,2 milioni, mentre i primi sono 3 milioni. L’equilibrio tra ingressi e uscite, infatti, è ancora lontano nonostante lo sblocco del turnover e il numero dei pensionati è destinato a crescere: 540mila dipendenti hanno già compiuto 62 anni di età (il 16,9% del totale), mentre 198mila hanno maturato 38 anni di anzianità. Grazie a Quota 100, inoltre, nel 2019 sono uscite anticipatamente dalla PA 90 mila persone e dal 2018 a oggi sono andati in pensione 300mila dipendenti pubblici, a fronte di circa 112mila nuove assunzioni e 1700 stabilizzazioni di precari. Dal punto di vista formativo, 4 dipendenti pubblici su 10 hanno la laurea, tuttavia gli investimenti in formazione si sono quasi dimezzati in dieci anni, passando dai 262 milioni di euro del 2008 ai 154 milioni del 2018: in pratica 48 euro per dipendente. L’indagine mette anche in evidenza le conseguenze del ricorso (forzato) allo Smart Working durante l’emergenza Covid-19 per la gran parte dei dipendenti pubblici, un’esperienza positiva che per 7 lavoratori su 10 ha assicurato la totale continuità al lavoro, mentre per il 41,3% ha perfino migliorato la produttività. Un altro lato positivo riguarda la notevole riduzione di sprechi, quantificabili in 135 milioni di ore di spostamenti in meno nei tre mesi di lockdown. Il risparmio potrebbe arrivare fino a 128 milioni di ore di spostamenti, 121mila tonnellate di CO2 nell’atmosfera, 384 milioni di euro di carburante e oltre 1 miliardo di km l’anno nel caso in cui si riuscisse a raggiungere l’obiettivo di almeno il 40% di dipendenti in smart working per 2-3 giorni alla settimana, come ambito dalla Ministra Fabiana Dadone.

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