CASSAZIONE

Nel processo tributario il giudice del rinvio mantiene integri i poteri di accertamento e valutazione delle prove

Tributi – Imposte indirette – IVA – Rimborso del credito – Fatture di acquisto per migliorie su beni di terzi – Contenzioso tributario

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 3600 depositata il 13 febbraio 2020 ha ricordato che il giudice del rinvio, dopo la cassazione di una sentenza, conserva i propri poteri di indagine e valutazione delle prove insieme alla facoltà di compiere ulteriori accertamenti per rimuovere le carenze riscontrate nella precedente sentenza di appello.

La decisione di merito sull’assolvimento o meno dell’onere probatorio si basa, dunque, sul libero convincimento del giudice ed è insindacabile in sede di legittimità. In buona sostanza la S.C. stabilisce che è da ritenersi sufficiente la motivazione del giudice, maturata con libero convincimento, che ritiene soddisfatto l’onere della prova attraverso la disamina della documentazione necessaria del contribuente.

Sui poteri istruttori del giudice tributario, e in particolare sui suoi limiti, la Corte di Cassazione nel corso degli anni ha fissato importanti principi, in particolare con le seguenti sentenze, quali la n. 955/2016 che ricorda: “… Anzitutto, la Corte ha avuto modo di chiarire, il Decreto Legislativo 31 dicembre 1992, n. 546, articolo 7, laddove attribuisce al giudice il potere di disporre l’acquisizione d’ufficio di mezzi di prova, e dunque anche nell’ora abrogato comma 3 (che attribuiva “alle commissioni tributarie facoltà di ordinare alle parti il deposito di documenti ritenuti necessari per la decisione della controversia”), dev’essere interpretato alla luce del principio di terzietà sancito dall’articolo 111 Cost., il quale non consente al giudice di sopperire alle carenze istruttorie delle parti, sovvertendo i rispettivi oneri probatori, ma gli attribuisce solamente un potere istruttorio in funzione integrativa, e non integralmente sostitutiva, degli elementi di giudizio (Cass. Civ., Sez. 5, n. 673 del 15/01/2007). Tale potere, pertanto, può essere esercitato soltanto ove sussista un’obiettiva situazione di incertezza, al fine di integrare gli elementi di prova già forniti dalle parti e non anche nel caso in cui il materiale probatorio acquisito agli atti imponga una determinata soluzione della controversia (cfr. Cass. Civ., Sez. 5, n. 24464 del 17/11/2006, Rv. 594275; n. 14960 del 22/06/2010, Rv. 613988) e sempre che la parte su cui ricade l’onere della prova non abbia essa stessa la possibilità di integrare la prova già fornita ma questa risulti piuttosto ostacolata dall’essere i documenti in possesso dell’altra parte o di terzi (v. Cass. Civ., Sez. 5, n. 7078 del 24/03/2010; Sez. 5, n. 10970 del 14/05/2007). In secondo luogo i poteri in questione non sono arbitrari ma discrezionali ed il loro esercizio, così come il loro mancato esercizio, deve essere adeguatamente motivato (v. Cass. Civ., Sez. 5, n. 673 del 2007, cit.) e la n. 12308/2016, nella quale si riporta che: “… L’art. 7 del d.lgs. 31 dicembre 1992 n. 546 attribuisce al giudice tributario il potere di disporre l’acquisizione d’ufficio di mezzi di prova non per sopperire alle carenze istruttorie delle parti, sovvertendo i rispettivi oneri probatori, ma soltanto in funzione integrativa degli elementi di giudizio, il cui esercizio è consentito ove sussista una situazione obiettiva di incertezza e laddove la parte non possa provvedere per essere i documenti nella disponibilità della controparte o di terzi (Cass. n. 955 del 2016). Il potere di disporre l’acquisizione d’ufficio di mezzi di prova dev’essere interpretato alla luce del principio di terzietà sancito dall’art. 111 Cost., il quale non consente al giudice di sopperire alle carenze istruttorie delle parti, sovvertendo i rispettivi oneri probatori, ma gli attribuisce solamente un potere istruttorio in funzione integrativa, e non integralmente sostitutiva, degli elementi di giudizio (Cass. Civ., Sez. 5, n. 673 del 15/01/2007”).

Sempre in tema di contenzioso tributario, comunque, il giudice tributario non è obbligato a esercitare “ex officio” i poteri istruttori di cui all’art. 7 del D.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, salvo che non sussista il presupposto dell’impossibilità di acquisire la prova altrimenti, come nel caso in cui una delle parti non possa conseguire documenti in possesso dell’altra (Cass. n. 14244 del 2015).

Peraltro la Corte di Cassazione ha avuto anche modo di chiarire che tale potere può essere esercitato soltanto ove sussista un’obiettiva situazione di incertezza, al fine di integrare gli elementi di prova già forniti dalle parti e non anche nel caso in cui il materiale probatorio acquisito agli atti imponga una determinata soluzione della controversia (cfr. Cass. Civ., Sez. 5, n. 24464 del 17/11/2006; n. 14960 del 22/06/2010) e sempre che la parte su cui ricade l’onere della prova non abbia la possibilità di integrare la prova già fornita. In secondo luogo i poteri in questione non sono arbitrari ma discrezionali e il loro esercizio, così come il loro mancato esercizio, deve essere adeguatamente motivato (v. Cass. Civ., Sez. 5, n. 673 del 2007).

Tanto premesso e tornando al caso di specie, una società contribuente presentava istanza di rimborso che veniva solo parzialmente accolta dall’ufficio, che non accoglieva alcune fatture per l’acquisto di migliorie su beni di terzi. La contribuente proponeva ricorso lamentando che tali fatture non fossero ricomprese nell’importo complessivamente chiesto a rimborso. La successiva decisione della CTR era però riformata dalla Cassazione, che accoglieva il ricorso dell’Agenzia sull’onere della prova non assolto dal contribuente in relazione a quanto richiesto a rimborso.

Nel giudizio di rinvio il giudice di appello riteneva che la Srl avesse prodotto tutta la documentazione necessaria, assolvendo così all’onere probatorio, e indicando che spettava all’ufficio specificare quali erano le fatture che non rendevano ammissibile il diritto al rimborso. L’Agenzia impugnava ancora tale decisione, lamentando che il giudizio non avesse rispettato quanto asserito nella sentenza, la n. 8627/2012, di rinvio della Cassazione.

Le osservazioni del Fisco non hanno convinto i giudici di piazza Cavour, che hanno invece sostenuto che : “ … giova richiamare i principi di diritto affermati dalla sentenza della S.C. n. 8627/2012:

– grava sul contribuente «l’onere di allegazione e prova dei fatti ai quali la legge ricollega l’agevolazione o l’esenzione rivendicate nella domanda e [..] le argomentazioni con le quali l’Ufficio nega la sussistenza di detti fatti, o la qualificazione ad essi attribuita dal contribuente, costituiscono mere difese»;

– i giudici d’appello non hanno motivato in relazione all’avvenuta dimostrazione «dell’esistenza di acquisti di beni ammortizzabili, nell’anno 1997, sui quali era stata assolta IVA per importi superiori a quello riconosciuto»;

che il giudice del rinvio ha accertato che «dagli atti risulta che la società ha correttamente soddisfatto tale onere producendo tutta la documentazione necessaria sia in sede di domanda di rimborso sia in sede di ricorso alla Commissione tributaria provinciale»; tale affermazione non si pone in contrasto con il principio di diritto affermato, avendo il giudice del rinvio fatto applicazione dei principi dell’onere della prova, facendo uso del principio del libero convincimento di cui agli artt. 115 e 116 cod. proc. civ. situato sul piano dell’apprezzamento di merito, insindacabile in sede di legittimità (Cass., Sez. III, 12 ottobre 2017, n. 23940), nella parte in cui ha ritenuto provati i fatti costitutivi della domanda di rimborso; non sussiste, pertanto, la denunciata violazione di legge, sotto il profilo della violazione del principio di diritto a termini dell’art. 384 cod. proc. civ.; che, quanto, poi, all’applicazione del principio di diritto conseguente all’accoglimento del secondo motivo di ricorso per vizio di motivazione, va ribadito il principio per cui il giudice del rinvio conserva tutti i poteri di indagine e di valutazione della prova, potendo compiere anche ulteriori accertamenti giustificati dalla sentenza di annullamento e dall’esigenza di colmare le carenze da questa riscontrate (Cass., Sez. I, 10 dicembre 2018, n. 31901), poteri di cui il giudice del rinvio ha fatto uso ponendo a fondamento della decisione la documentazione prodotta dal contribuente; che il secondo motivo è inammissibile, posto che sotto l’apparente contestazione della violazione di legge si denunciano carenze della delibazione del materiale probatorio, sollecitando il ricorrente una rivalutazione delle emergenze processuali diversa da quella fornita dal giudice di merito, al quale soltanto spetta individuare le fonti del proprio convincimento (Cass., Sez. Lav., 7 giugno 2013, n. 14463); che, in particolare, la censura della violazione dell’art. 2697 cod. civ. è inammissibile sotto il profilo di cui all’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., posto che la violazione del precetto di cui all’art. 2697 cod. proc. civ. è censurabile sotto tale specifico motivo soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova a una parte diversa da quella oneratavi e non invece laddove oggetto di censura sia la valutazione che il giudice abbia svolto in ordine alle prove proposte dalle parti, valutazione sindacabile in sede di legittimità, entro i ristretti limiti dell’attuale art. 360 n. 5 cod. proc. civ. (Cass., Sez. III, 29 maggio 2018, n. 13395; Cass., Sez. VI, 23 ottobre 2018, n. 26769); che, inoltre, l’inammissibilità del motivo rinviene ulteriormente, sotto il profilo della mancanza di specificità, dal fatto che non sono stati espressamente indicati i documenti il cui esame sarebbe stato omesso dal giudice del rinvio; che il terzo motivo è infondato, posto che la motivazione, per quanto succinta, non è inesistente («dagli atti risulta che la società ha correttamente soddisfatto tale onere producendo tutta la documentazione necessaria sia in sede di domanda di rimborso sia in sede di ricorso alla Commissione tributaria provinciale […] dagli atti risulta che la società contribuente non si è mai sottratta all’onere di produrre la documentazione necessaria a richiedere il rimborso dell’IVA [..], onere soddisfatto dalla copiosa documentazione prodotta»), avendo il giudice del rinvio dato atto sia dell’esame della documentazione prodotta in sede di giudizio a fondamento del diritto al rimborso di cui all’art. 30, comma 3, lett. c) d.P.R. n. 633/1972, dalla quale desumere la fondatezza della domanda, sia del momento in cui la produzione è avvenuta, ossia sia in sede amministrativa, sia in sede giurisdizionale; che non ricorre, pertanto, l’assenza di motivazione o la motivazione apparente o perplessa, la quale va riferita ai casi in cui il giudice non dia conto degli elementi su cui ha basato la propria decisione (Cass., Sez. Lav., 20 giugno 2019, n. 16595), laddove viene fatto espresso riferimento al vaglio della documentazione versata in atti; che il ricorso va, pertanto, rigettato, con spese del giudizio soggette a compensazione per la peculiarità della fattispecie”.

Corte di Cassazione – Ordinanza 13 febbraio 2020, n. 3600

Sul ricorso iscritto al n. 24777/2015 R.G. proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE (C.F. 06363391001), in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso la quale è domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12

– ricorrente –

contro P. M. I. SRL (C.F. 11239840158), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avv. LUCIA MONTECAMOZZO, elettivamente domiciliata presso lo studio Fantozzi & Associati in Roma, Via Sicilia, 66

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale 4 -7- della Lombardia n. 4630/2014, depositata il 17.09.2014.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 10 settembre 2019 dal Consigliere Filippo D’Aquino;

Rilevato che

La contribuente ha impugnato un diniego parziale di rimborso di un credito IVA relativo all’annualità 1997 a termini dell’art. 30, comma 3, lett. c) d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 (acquisto di beni ammortizzabili), diniego motivato dall’inserimento, tra le fatture oggetto di rimborso, di fatture di acquisto per migliorie su beni di terzi ritenute non rimborsabili, deducendo che le fatture relative a migliorie su beni di terzi non erano ricomprese nell’importo richiesto a rimborso;

che la CTP di Milano ebbe ad accogliere la domanda della società contribuente, confermata con sentenza della CTR della Lombardia del 10 luglio 2009, e che la Corte di Cassazione, con sentenza del 12 aprile 2012, n. 8627, ha cassato con rinvio la sentenza in accoglimento dei due motivi di ricorso, ritenendo che il contribuente non ha assolto all’onere della prova di acquisti di beni ammortizzabili sui quali fosse stata assolta IVA per importi ulteriori («superiori») rispetto a quanto riconosciuto;

che, a seguito di riassunzione da parte della contribuente, la CTR della Lombardia, con sentenza in data 14 luglio 2014 depositata il 17/9/2014, ha confermato la sentenza di appello, osservando che:

– la contribuente ha prodotto la documentazione a fondamento della domanda di rimborso e che, pertanto, spettava all’Ufficio l’indicazione delle specifiche fatture per le quali non sarebbe spettato il rimborso;

– l’Ufficio, avendo dichiarato che «sono state prodotte fatture relative a spese su beni altrui che, afferendo a beni che non hanno una propria individualità [..] non rendono ammissibil[e] [i]l diritto al rimborso», avrebbe implicitamente riconosciuto il diritto della contribuente;

– parte contribuente non è stata messa in condizione di identificare la documentazione non idonea, laddove non può essere onerata la parte contribuente della «probatio diabolica» di identificare la documentazione idonea tra quella già acquisita agli atti dall’Ufficio;

che propone ricorso per cassazione l’Ufficio affidato a tre motivi, cui resiste con controricorso la società contribuente, ulteriormente illustrato da memoria;

Considerato che

Con il primo motivo il ricorrente deduce nullità della sentenza per inosservanza del principio di diritto a termini dell’art. 384 cod. proc. civ., nella parte in cui la sentenza impugnata ha ritenuto che parte contribuente avesse assolto all’onere della prova per effetto della mera produzione delle fatture, spettando all’Ufficio l’onere della contestazione delle fatture inidonee a chiedere il rimborso;

rileva il ricorrente come tale statuizione viola il principio di diritto contenuto nella sentenza della S.C. n. 8627/2012, cit., nella parte in cui ha statuito che sia onere del contribuente portare la prova dei fatti costitutivi del rimborso e nella parte in cui ha ritenuto che il ricorrente non avesse dimostrato l’esistenza di acquisti di beni ammortizzabili per un importo superiore a quello riconosciuto;

che con il secondo motivo si deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 cod. civ., 30 d.P.R. n. 633/1972, 117 e 185 cod. proc. civ., nella parte in cui la sentenza ha ritenuto assolto l’onere probatorio per effetto della mera produzione delle fatture, dovendo il giudice di appello accertare in sede di rinvio gli acquisti di beni ammortizzabili effettuati dalla contribuente sui quali era stata assolta l’IVA;

che con il terzo motivo si deduce nullità della sentenza per violazione e falsa applicazione dell’art. 36 d. Igs. 31 dicembre 1992, n. 546, nella parte in cui la sentenza impugnata ha ritenuto assolto l’onere probatorio per effetto della produzione della documentazione necessaria, in quanto motivazione meramente apparente;

che giova richiamare i principi di diritto affermati dalla sentenza della S.C. n. 8627/2012:

– grava sul contribuente «l’onere di allegazione e prova dei fatti ai quali la legge ricollega l’agevolazione o l’esenzione rivendicate nella domanda e [..] le argomentazioni con le quali l’Ufficio nega la sussistenza di detti fatti, o la qualificazione ad essi attribuita dal contribuente, costituiscono mere difese»;

– i giudici d’appello non hanno motivato in relazione all’avvenuta dimostrazione «dell’esistenza di acquisti di beni ammortizzabili, nell’anno 1997, sui quali era stata assolta IVA per importi superiori a quello riconosciuto»;

che il giudice del rinvio ha accertato che «dagli atti risulta che la società ha correttamente soddisfatto tale onere producendo tutta la documentazione necessaria sia in sede di domanda di rimborso sia in sede di ricorso alla Commissione tributaria provinciale»; tale affermazione non si pone in contrasto con il principio di diritto affermato, avendo il giudice del rinvio fatto applicazione dei principi dell’onere della prova, facendo uso del principio del libero convincimento di cui agli artt. 115 e 116 cod. proc. civ. situato sul piano dell’apprezzamento di merito, insindacabile in sede di legittimità (Cass., Sez. III, 12 ottobre 2017, n. 23940), nella parte in cui ha ritenuto provati i fatti costitutivi della domanda di rimborso; non sussiste, pertanto, la denunciata violazione di legge, sotto il profilo della violazione del principio di diritto a termini dell’art. 384 cod. proc. civ.;

che, quanto, poi, all’applicazione del principio di diritto conseguente all’accoglimento del secondo motivo di ricorso per vizio di motivazione, va ribadito il principio per cui il giudice del rinvio conserva tutti i poteri di indagine e di valutazione della prova, potendo compiere anche ulteriori accertamenti giustificati dalla sentenza di annullamento e dall’esigenza di colmare le carenze da questa riscontrate (Cass., Sez. I, 10 dicembre 2018, n. 31901), poteri di cui il giudice del rinvio ha fatto uso ponendo a fondamento della decisione la documentazione prodotta dal contribuente;

che il secondo motivo è inammissibile, posto che sotto l’apparente contestazione della violazione di legge si denunciano carenze della delibazione del materiale probatorio, sollecitando il ricorrente una rivalutazione delle emergenze processuali diversa da quella fornita dal giudice di merito, al quale soltanto spetta individuare le fonti del proprio convincimento (Cass., Sez. Lav., 7 giugno 2013, n. 14463);

che, in particolare, la censura della violazione dell’art. 2697 cod. civ. è inammissibile sotto il profilo di cui all’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., posto che la violazione del precetto di cui all’art. 2697 cod. proc. civ. è censurabile sotto tale specifico motivo soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova a una parte diversa da quella oneratavi e non invece laddove oggetto di censura sia la valutazione che il giudice abbia svolto in ordine alle prove proposte dalle parti, valutazione sindacabile in sede di legittimità, entro i ristretti limiti dell’attuale art. 360 n. 5 cod. proc. civ. (Cass., Sez. III, 29 maggio 2018, n. 13395; Cass., Sez. VI, 23 ottobre 2018, n. 26769);

che, inoltre, l’inammissibilità del motivo rinviene ulteriormente, sotto il profilo della mancanza di specificità, dal fatto che non sono stati espressamente indicati i documenti il cui esame sarebbe stato omesso dal giudice del rinvio;

che il terzo motivo è infondato, posto che la motivazione, per quanto succinta, non è inesistente («dagli atti risulta che la società ha correttamente soddisfatto tale onere producendo tutta la documentazione necessaria sia in sede di domanda di rimborso sia in sede di ricorso alla Commissione tributaria provinciale […] dagli atti risulta che la società contribuente non si è mai sottratta all’onere di produrre la documentazione necessaria a richiedere il rimborso dell’IVA [..], onere soddisfatto dalla copiosa documentazione prodotta»), avendo il giudice del rinvio dato atto sia dell’esame della documentazione prodotta in sede di giudizio a fondamento del diritto al rimborso di cui all’art. 30, comma 3, lett. c) d.P.R. n. 633/1972, dalla quale desumere la fondatezza della domanda, sia del momento in cui la produzione è avvenuta, ossia sia in sede amministrativa, sia in sede giurisdizionale;

che non ricorre, pertanto, l’assenza di motivazione o la motivazione apparente o perplessa, la quale va riferita ai casi in cui il giudice non dia conto degli elementi su cui ha basato la propria decisione (Cass., Sez. Lav., 20 giugno 2019, n. 16595), laddove viene fatto espresso riferimento al vaglio della documentazione versata in atti;

che il ricorso va, pertanto, rigettato, con spese del giudizio soggette a compensazione per la peculiarità della fattispecie;

P.Q.M.

rigetta il ricorso; dichiara integralmente compensate le spese del giudizio di legittimità. Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale del 10 settembre 2019.

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