CASSAZIONE

Motivazione apparente? Sentenza nulla!

Tributi – Contenzioso tributario – Procedimento – Sentenza – Motivazione apparente – Nullità della sentenza – Art. 36, comma 2, n. 4, d.lgs. n. 546 del 1992

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 10950 del 18 aprile 2019 si preoccupa di chiarire cosa debba intendersi per “motivazione apparente” di una sentenza e perché tale vizio comporti la nullità della pronuncia., ricordando ancora una volta che per assolvere l’obbligo di motivazione il giudice adito deve indicare gli elementi da cui ha tratto origine il proprio convincimento.

In via generale si può affermare che una sentenza viene colpita da nullità qualora la motivazione sia del tutto assente (più che altro un caso di scuola), ovvero nel caso in cui la stessa sia “perplessa ed obiettivamente incomprensibile”.

Nel nostro ordinamento l’articolo 132, comma 2, n. 4 c.p.c. stabilisce che in materia di processo civile ordinario la sentenza debba avere determinati contenuti, quali l’indicazione del giudice che l’ha pronunciata nonché delle parti e dei rispettivi difensori, le conclusioni delle parti, il dispositivo, la data di deliberazione e la sottoscrizione del giudice, ma soprattutto “la concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione”.

Una motivazione “apparente” non permette di comprendere l’iter logico seguito dal giudice per arrivare al risultato enunciato nel dispositivo: essa, dunque, integra una sostanziale inosservanza dell’obbligo imposto al giudice dal citato art. 132, n. 4, c.p.c. di esporre concisamente i motivi in fatto e diritto della decisione.

A conferma di tale assunto basterebbe elencare la copiosa giurisprudenza esistente (v. Cass. Ord. n. 20414 del primo agosto 2018; Sez. U., n. 16599 e n. 22232 del 2016 e n. 7667 del 2017 ), per  rammentare che il vizio di motivazione meramente apparente della sentenza ricorre quando il giudice, in violazione di un preciso obbligo di legge costituzionalmente imposto (Cost., art. 111, sesto comma) e, in materia di processo tributario, dell’ art. 36, comma 2, n. 4, D.lgs. n. 546 del 1992, omette di esporre sinteticamente i motivi in fatto e diritto della decisione, di specificare o illustrare le ragioni e l’iter logico seguito per pervenire alla decisione assunta, e cioè di chiarire su quali prove ha fondato il proprio convincimento e sulla base di quali argomentazioni è pervenuto alla propria determinazione, in tal modo consentendo anche di verificare se abbia effettivamente giudicato iuxta alligata et probata.

Tale convinta posizione della Suprema Corte ha origine lontane, a partire dalla sentenza delle sezioni unite n. 1093 del 1947, in cui la Corte precisò che “l’omissione di qualsiasi motivazione in fatto e in diritto costituisce una violazione di legge di particolare gravità” e che “le decisioni di carattere giurisdizionale senza motivazione alcuna sono da considerarsi come non esistenti”).

Alla stregua di tali principi consegue che la sanzione di nullità colpisce non solo le sentenze che siano del tutto prive di motivazione dal punto di vista grafico o quelle che presentano un “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e che presentano una “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile” (cfr. Cass. S.U. n. 8053 del 2014; Cass. n. 21257 del 2014), ma anche quelle che contengono una motivazione meramente apparente, del tutto equiparabile alla prima più grave forma di vizio, perché dietro la parvenza di una giustificazione della decisione assunta la motivazione addotta dal giudice è tale da non consentire “di comprendere le ragioni e, quindi, le basi della sua genesi e l’iter logico seguito per pervenire da essi al risultato enunciato” (cfr. Cass. n. 4448 del 2014), venendo quindi meno alla finalità sua propria, che è quella di esternare un “ragionamento che, partendo da determinate premesse pervenga con un certo procedimento enunciativo”, logico e consequenziale, “a spiegare il risultato cui si perviene sulla res decidendi”(Cass. cit.; v. anche Cass., Sez. un., n. 22232 del 2016).

Tornando al caso in esame l’Agenzia Dogane e Monopoli proponeva ricorso avverso una decisione dei giudici tributari regionali che avevano respinto il ricorso contro l’avviso di accertamento per dazi doganali all’importazione, IVA 2011 e provvedimento irrogazione sanzioni 2013 e contro il provvedimento di irrogazione sanzioni.

La Suprema Corte, nell’accogliere il ricorso, ha preliminarmente evidenziato  che deve ribadirsi il principio più volte affermato da questa Corte secondo cui la motivazione è solo apparente e la sentenza è conseguentemente nulla perché affetta da error in procedendo e come riportano i Supremi Giudici di legittimità quando, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione e che:” … la motivazione che conferma nel merito la ripresa è circoscritta alla seguente locuzione: “la mancanza di prove concrete relative alla condizione di controllo del licenziante sul produttore, né sul fatto che il licenziante condizionasse l’attività della società fabbricante impedisce l’accoglimento dell’appello. Il fatto poi che le royalties fossero dovute solo sulle merci vendute e non anche su quelle a magazzeno [rectius magazzino] contrasta con la normativa relativa alla valutazione delle merci stesse”. Manca innanzitutto l’esposizione del fatto, come pure l’esposizione dei motivi di appello e dunque l’individuazione del thema decidendum, cui la CTR doveva dare corrispondente risposta, qualsiasi previsione di legge applicabile e la logica espositiva a tratti non è chiara, e la motivazione si colloca così all’evidenza al di sotto del minimo costituzionale richiesto dalla giurisprudenza della S.C.;

– Pertanto, il ricorso va accolto, e la sentenza impugnata viene cassata, con rinvio al giudice a quo per nuovo esame, e per il regolamento della spese di lite”.

Corte di Cassazione – Ordinanza 18 aprile 2019, n. 10950

Sul ricorso 11869-2018 proposto da:

AGENZIA DELLE DOGANE E DEI MONOPOLI 97210890584, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende ope legis;

 – ricorrente –

contro E. SRL, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA FRATIANA 119, presso lo studio dell’avvocato ELISABETTA VALERI, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato FEDERICO MANFREDI;

– controricorrente –

 avverso la sentenza n. 4099/9/2017 della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE di MILANO, depositata il 13/10/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 07/02/2019 dal Consigliere Relatore Dott. PIERPAOLO GORI.

Rilevato che

– Con sentenza n. 4099/9/17 depositata in data 13 ottobre 2017 la Commissione tributaria regionale della Lombardia (in seguito, la CTR) rigettava l’appello proposto dall’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli nei confronti della società E. Srl (in seguito, la contribuente) avverso la sentenza n. 8688/21/15 della Commissione Tributaria Provinciale di Milano (in seguito, la CTP) che aveva rigettato il ricorso contro l’avviso di accertamento per Dazi doganali all’importazione, IVA 2011 e provvedimento irrogazione sanzioni 2013 e contro il provvedimento di irrogazione sanzioni;

– La CTR confermava la decisione di primo grado, nel merito, ritenuta non raggiunta la prova delle riprese. Avverso tale decisione ha proposto ricorso per cassazione l’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli deducendo due motivi.

Resiste con controricorso la contribuente.

Considerato che

– Con i primo e il secondo motivo – dedotti ex art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ. – l’Agenzia ricorrente lamenta la violazione degli artt. 36 del d.lgs. n. 546/1992 e 132 cod. proc. civ. per motivazione apparente della sentenza;

– Il motivo è fondato.

La Corte reitera l’insegnamento secondo cui «La motivazione è solo apparente, e la sentenza è nulla perché affetta da “error in procedendo”, quando, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture” (Cass. Sez. Un. 3 novembre 2016 n. 22232); rammenta inoltre che “ La riformulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., disposta dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione.

Pertanto, è denunciatile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali.

Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione” (Cass. Sez. Un., 7 aprile 2014 n. 8053);

– Nel caso di specie, la motivazione che conferma nel merito la ripresa è circoscritta alla seguente locuzione: “la mancanza di prove concrete relative alla condizione di controllo del licenziante sul produttore, né sul fatto che il licenziante condizionasse l’attività della società fabbricante impedisce l’accoglimento dell’appello. Il fatto poi che le royalties fossero dovute solo sulle merci vendute e non anche su quelle a magazzeno [rectius magazzino] contrasta con la normativa relativa alla valutazione delle merci stesse”.

Manca innanzitutto l’esposizione del fatto, come pure l’esposizione dei motivi di appello e dunque l’individuazione del thema decidendum, cui la CTR doveva dare corrispondente risposta, qualsiasi previsione di legge applicabile e la logica espositiva a tratti non è chiara, e la motivazione si colloca così all’evidenza al di sotto del minimo costituzionale richiesto dalla giurisprudenza della S.C.;

– Pertanto, il ricorso va accolto, e la sentenza impugnata viene cassata, con rinvio al giudice a quo per nuovo esame, e per il regolamento della spese di lite.

P.Q.M.

Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla CTR della Lombardia, in diversa composizione, per ulteriore esame in relazione al profilo accolto, e per il regolamento delle spese di lite.

Così deciso in Roma in data 7 febbraio 2019.

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