CASSAZIONE

Medici convenzionati e indennità di missione: il lungo braccio di ferro tra Cassazione e Fisco

Diverse e al momento non conciliabili appaiono le interpretazioni della Cassazione e quelle dell’Agenzia delle Entrate sul tema del trattamento fiscale dei rimborsi erogati ai dipendenti per le trasferte e, in particolare, su quelli relativi alla disciplina relativi ai “rimborsi spese di accesso”.

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Originariamente ad Aprile, la Corte di Cassazione con l’Ordinanza n. 6793/15 aveva riconosciuto l’esenzione a tali rimborsi, riscontrandone una funzione risarcitoria e non retributiva, condizione da cui peraltro discende la conseguente non imponibilità ai fini IRPEF.

L’Agenzia delle Entrate ha risposto a fine dicembre, con la Risoluzione 21 dicembre 2015, n. 106/E, ritenendo che non è da considerarsi trasferta lo spostamento dall’abitazione alla sede di servizio, cioè da un luogo scelto dallo stesso dipendente, che avviene al di fuori dell’orario lavorativo, confermando così la piena imponibilità delle somme corrisposte dalle Aziende sanitarie a titolo di rimborso spese ai medici specialisti ambulatoriali convenzionati quando svolgono l’incarico presso ambulatori ubicati in un comune diverso da quello di residenza – cd. “rimborso spese di accesso”. Il parere dell’Agenzia delle Entrate sul trattamento fiscale poggia peraltro anche da solidi precedenti con i quali il Fisco aveva già sancito la piena imponibilità (risoluzione n. 107/2000), ritenendo che non è da considerarsi trasferta lo spostamento del dipendente dalla propria residenza alla sede di lavoro che avviene al di fuori dell’orario lavorativo e, comunque, a partire da un luogo, qual è l’abitazione, scelto dal dipendente.

Cerchiamo di riassumere i contorni della vicenda e le interpretazioni succedute e rimanendo in attesa di probabili ulteriori sviluppi.

La giurisprudenza della Corte di Cassazione

Alla luce della recente pronunzia di aprile 2015, risulta che secondo l’interpretazione data dai Supremi giudici alle somme corrisposte dalle Aziende sanitarie a titolo di rimborso spese ai medici specialisti ambulatoriali convenzionati, esse hanno una funzione risarcitoria e non retributiva e, di conseguenza, devono essere considerate non imponibili ai fini IRPEF.

Nel corso degli anni più volte la Suprema Corte era intervenuta nel merito, insistendo in particolare sul concetto di provvisorietà o di definitività dell’assegnazione del lavoratore ad una determinata sede. Secondo la Cassazione (n. 6213/1979) : “ … questa va valutata con riferimento al momento in cui la volontà di destinazione è stata manifestata, ma tale volontà, effettiva e reale, può essere ben individuata, nel concorso con altre circostanze concrete, pure in base a successive vicende del rapporto di lavoro ed in particolare alla durata, nel periodo di tempo successivo, delle prestazioni nella sede assegnata”.

In assenza di una definizione legale, la giurisprudenza considera trasferta (o missione) lo spostamento del lavoratore in un luogo diverso da quello dove egli esegue normalmente la propria attività. In ogni caso, si tratta di uno spostamento provvisorio e temporaneo, la cui durata dipende dall’esaurimento dello scopo per il quale lo spostamento è stato disposto da parte del datore di lavoro. Normalmente i contratti collettivi disciplinano esaurientemente la trasferta, talvolta prevedendone anche i limiti. In ogni caso, la giurisprudenza attribuisce fondamentale importanza all’elemento della temporaneità, che caratterizza la trasferta. Di conseguenza, secondo una certa linea giurisprudenziale, il provvedimento del datore di lavoro, pur qualificandosi formalmente come “trasferta”, deve essere considerato alla stregua di un trasferimento se non contiene l’indicazione di una precisa data di rientro, o se omette del tutto tale indicazione (v. Cass. n. 475 del 26/1/1989).

Detection-of-CancerIl concetto di “temporaneità” è però molto vasto: può essere un giorno come possono essere mesi o anni. Più è lungo più i contorni diminuiscono d’intensità e diventa difficile distinguere la trasferta dal trasferimento. In linea generale si può sostenere che si è in presenza di trasferta quando il mutamento della sede conserva il carattere della “provvisorietà” ed è dettato da una situazione speciale, cessata la quale è previsto il ritorno nella sede di lavoro. Non possono ad esempio qualificarsi “trasferte” gli spostamenti dei lavoratori che, per la natura stessa dell’attività che svolgono, effettuano le loro prestazioni in località sempre diversa.

Individuare esattamente se si è in trasferta oppure no è importante in quanto a questo istituto sono collegati obblighi di tipo retributivo ed adempimenti di natura fiscale e previdenziale.

Secondo la pronunzia della Sezione Lavoro Cass. (Sentenza 19.11. 2001, n. 14470) la trasferta è caratterizzata da un unico fondamentale elemento: la permanenza d’un legame funzionale del dipendente con il suo “normale” luogo di lavoro, da cui egli proviene, in relazione al “diverso” luogo della sua attuale contingente prestazione (in trasferta). Nella logica della sua collocazione aziendale, questa permanenza conferisce al luogo attuale l’aspetto della provvisorietà e della subordinazione funzionale. Questo legame potrebbe consentire di distinguere la trasferta dal trasferimento, ove, per la definitività della collocazione aziendale, il legame con il luogo di provenienza resta definitivamente travolto. Il limite temporale, che sia posto a questo mutamento di luoghi, non caratterizza la trasferta. L’esistenza di questo limite, pur necessaria a qualificare la trasferta (per la sua “temporaneità”, Cass. 2 settembre 2000 n. 11508, 14 agosto 1998 n. 8004, 16 maggio 1995 n. 5355), non è tuttavia sufficiente a distinguere l’atto stesso dal trasferimento, visto che anche questo è astrattamente ipotizzabile con una sua iniziale limitazione. Simmetricamente, l’inesistenza d’uno specifico limite temporale non è sufficiente ad escludere la trasferta.

Poiché ciò che è necessario alla trasferta è la permanenza del predetto legame, e poiché questo resta ipotizzabile anche ove non sia preventivamente specificata la temporale durata dello spostamento, nell’ambito d’una generica pur necessaria temporaneità la specificazione del tempo resta irrilevante: la trasferta, pur necessariamente temporanea, può essere disposta anche senza formale indicazione della sua durata (Cass. n. 9870 del 5 ottobre 1998). Il fondamento della permanenza del legame con l’originario luogo di lavoro (elemento qualificante della trasferta) è nella valutazione che il datore dà dell’esigenza aziendale di conservare la collocazione topografica del lavoratore. E la permanenza può essere letta non solo nella formale qualificazione dell’atto, ma nella sua concreta funzione, la quale può emergere anche dalla strumentalità delle mansioni assegnate nel luogo della trasferta, in relazione al lavoro svolto o previsto nel luogo di provenienza.

Inoltre secondo quanto affermato dalla Sezione Lavoro della Cassazione (Sentenza n. 1319325 ottobre 2001) la trasferta si caratterizza per il fatto di comportare un mutamento temporaneo del luogo di esecuzione della prestazione, nell’interesse e su disposizione unilaterale del datore di lavoro che la dispone, e per tale profilo si distingue dal trasferimento, che viceversa comporta l’assegnazione definitiva del lavoratore ad altra sede diversa da quella precedente. Di conseguenza esulano dalla nozione di trasferta sia la volontà del lavoratore, nel senso che è irrilevante il suo eventuale consenso o disponibilità, sia l’identità o difformità delle mansioni espletate durante la trasferta rispetto a quelle abituali nella sede di lavoro.

L’Ordinanza n. 6793 del 2 aprile 2015

La Corte di Cassazione ha riaffermato la non imponibilità IRPEF delle somme in esame, in ragione di una loro funzione risarcitoria e non retributiva.

Con l’Ordinanza n. 6793 del 2 aprile 2015, la Corte di Cassazione ha riconosciuto funzione risarcitoria e non retributiva al cd. “rimborso spese di accesso” corrisposto ai medici specialisti ambulatoriali e, conseguentemente, la non imponibilità ai fini IRPEF delle relative somme.

A sostegno di tale orientamento la Corte suprema nell’Ordinanza ha sottolineato che il “rimborso spese di accesso”, previsto dal “ Regolamento di esecuzione dell’accordo collettivo nazionale per la disciplina dei rapporti con i medici specialisti ambulatoriali interni”, è determinato non con criterio forfetario, e per questa ragione sganciato dall’effettivo esborso sostenuto dal prestatore d’opera, ma con specifica parametrazione rispetto al chilometraggio effettivamente percorso ed al costo del carburante di tempo in tempo rilevato, quindi non vi è dubbio che l’indennità corrisposta al medico per l’incarico svolto assolva alla concreta funzione di ripristinare il patrimonio del prestatore d’opera depauperato per causa degli esborsi effettivamente sostenuti nell’interesse dell’amministrazione datrice di lavoro.

Secondo un principio consolidato in giurisprudenza, infatti, assumono funzione risarcitoria, e non retributiva, le somme corrisposte al dipendente in relazione all’attribuzione di incarichi che comportino spese superiori a quelle rientranti nella normalità della prestazione lavorativa, e quindi tali da rendere l’incarico depauperativo rispetto alla posizione dei dipendenti che percepiscano pari retribuzione in relazione ad incombenze diverse, non potendosi ravvisare alcuna ragione ostativa all’applicazione del principio nella modalità del rimborso – di tipo forfetario anziché a piè di lista, quando le prestazioni fuori sede siano state dal dipendente effettivamente rese. Dalla natura risarcitoria discende poi l’esenzione di tali somme. I giudici hanno evidenziato, in particolare, che il “rimborso spese di accesso” è determinato con specifica parametrazione rispetto al chilometraggio effettivamente percorso ed al costo del carburante di tempo in tempo rilevato, sicché non vi è dubbio che l’indennità corrisposta al medico per l’incarico svolto assolva alla concreta funzione di ripristinare il patrimonio del prestatore d’opera depauperato per causa degli esborsi effettivamente sostenuti nell’interesse dell’amministrazione datrice di lavoro.hospital_hallway

L’Agenzia delle Entrate in contrasto con la giurisprudenza della Cassazione

Nonostante la pronuncia dei giudici di legittimità, l’Agenzia delle Entrate, con la citata risoluzione n. 106/E del 2015, è tornata ad occuparsi del trattamento fiscale dei rimborsi erogati ai dipendenti per le trasferte. I chiarimenti, in particolare, riguardano la disciplina relativi ai “rimborsi spese di accesso”, riconosciuti ai medici specialisti ambulatoriali convenzionati quando svolgono l’incarico presso ambulatori ubicati in un comune diverso da quello di residenza.

L’Agenzia, rispondendo ad un interpello ha in definitiva riaffermato che il “rimborso spese di accesso”, riconosciuto ai medici specialisti ambulatoriali convenzionati quando svolgono l’incarico presso ambulatori ubicati in un Comune diverso da quello di residenza, non sono assimilabili a quelli erogati dai datori di lavoro ai dipendenti in trasferta e quindi è imponibile ai fini IRPEF.

La questione, si ricorda, aveva già formato oggetto di trattazione da parte dell’Amministrazione Finanziaria con la risoluzione n. 107/2000, laddove era stato precisato che tali emolumenti “vengono corrisposti in funzione degli spostamenti del lavoratore dal comune di residenza al luogo di lavoro”. Tale fattispecie, aveva chiarito la risoluzione, non rientra nella previsione dell’attuale art. 51, comma 5,  TUIR che prevede delle soglie di non tassabilità per le indennità di trasferta corrisposte al dipendente per svolgere incarichi in un comune diverso da quello della sede di lavoro.

Conseguentemente se dalla documentazione relativa al rapporto di lavoro non è rilevabile che il medico specialista effettui l’accesso in un comune diverso da quello nel quale è situata la propria sede di lavoro, tali erogazioni sono interamente soggette a tassazione.

L’Agenzia delle Entrate ha di conseguenza riaffermato la piena imponibilità del cd. “rimborso spese di accesso” corrisposto ai medici specialisti ambulatoriali in funzione degli spostamenti per incarichi presso ambulatori ubicati in un comune diverso da quello di residenza, ribadendo inoltre che non è da considerarsi come trasferta il semplice spostamento dall’abitazione alla sede di servizio, cioè da un luogo scelto dallo stesso dipendente, che avviene al di fuori dell’orario lavorativo.

I motivi per cui non si possono paragonare le relative somme a quelle riconosciute in caso di trasferte o missioni del lavoratore (non tassabili entro certe soglie ex art. 51, c. 5, T.U.I.R.) sono essenzialmente due: lo spostamento casa-lavoro avviene al di fuori dell’orario di lavoro e comunque a partire da un’abitazione scelta dal dipendente.

Circostanze, dunque, diverse rispetto alle trasferte, ove lo spostamento del lavoratore è dalla propria sede di lavoro (e non residenza) al luogo di missione/trasferta, cui è tenuto a recarsi su incarico e per esclusivo interesse del datore di lavoro.

L’indicazione è contenuta nella Risoluzione n. 106/E del 21 dicembre scorso, con cui l’Agenzia delle Entrate ha risposto ai dubbi sorti ad un’Azienda Sanitaria a seguito dell’intervento dell’ordinanza della Corte di Cassazione del 2 aprile 2015, n. 6793 che ha riconosciuto funzione risarcitoria e non retributiva a tali rimborsi e, conseguentemente, la non imponibilità ai fini IRPEF delle relative somme.

Secondo il Fisco le motivazioni poste a base dell’ordinanza de quo riprendono quelle addotte dalla Corte di Cassazione in relazione alla natura del rimborso spese corrisposto ai dipendenti del Ministero del Lavoro in occasione di ispezioni effettuate presso cooperative dove i giudici di legittimità (sentenze n. 5081 del 1999, n. 9107 del 2002 e n. 21517 del 2006), si sono pronunciati in merito al trattamento fiscale delle somme corrisposte a ristoro delle spese sostenute dal lavoratore per raggiungere, dalla sede di lavoro, il luogo dell’ispezione e, quindi, hanno esaminato una fattispecie diversa da quella in esame.

Una pronuncia che, secondo l’Agenzia, si pone in contrasto a quanto sempre indicato dall’Amministrazione Finanziaria e che, stando a quanto risposto dall’Agenzia, continuerà ad esserlo. Sulla questione, infatti, il Fisco è inamovibile e L’Agenzia delle Entrate, in particolare, non ritiene che tali rimborsi possano essere considerati da risarcimento danni, in quanto, ai sensi dell’articolo 6, comma 2, TUIR sono esenti da imposizione le sole indennità conseguite a titolo di risarcimento di danni derivanti da invalidità permanente o da morte, costituendo le altre indennità “redditi della stessa categoria di quelli sostituiti o perduti.”.

In definitiva, secondo le Entrate, il riconoscimento della non imponibilità del rimborso spese in esame sulla base del carattere risarcitorio dell’emolumento sarebbe in contrasto con le vigenti disposizioni del TUIR e, considerato che l’ordinanza in esame è attualmente isolata, si ritiene di confermare l’imponibilità del rimborso previsto dall’articolo 46 dell’Accordo Collettivo Nazionale per la disciplina dei rapporti con i medici specialisti ambulatoriali.

Da qui la decisione di non allontanarsi dalle posizioni finora prese, considerando, semmai, l’ordinanza della Cassazione “attualmente isolata”.

Agenzia delle Entrate – Risoluzione n. 106/E – Roma, 21/12/2015

OGGETTO: Interpello art. 11, legge 27 luglio 2000, n. 212 – Reddito di lavoro dipendente – Rimborso spese di accesso corrisposto ai medici specialistici ambulatoriali – art. 51, commi 1 e 5, del DPR n. 917 del 1986

ESPOSIZIONE DEL QUESITO

L’Azienda Sanitaria istante chiede quale sia il corretto trattamento fiscale da riservare al “rimborso spese di accesso”, riconosciuto ai medici specialisti ambulatoriali convenzionati quando svolgono l’incarico presso ambulatori ubicati in un comune diverso da quello di residenza. L’istante fa presente che la richiesta di chiarimenti si è resa necessaria a seguito dell’ordinanza della Corte di Cassazione n. 6793 del 2 aprile 2015 che ha riconosciuto funzione risarcitoria e non retributiva, a tale corresponsione e, conseguentemente, la non imponibilità ai fini IRPEF delle relative somme.

PARERE DELL’AGENZIA DELLE ENTRATE

Il trattamento fiscale del “rimborso spese di accesso” è stato oggetto di esame da parte dell’Amministrazione Finanziaria con la risoluzione dell’11 luglio 2000, n. 107, laddove è stato precisato che tali emolumenti “vengono corrisposti in funzione degli spostamenti del lavoratore dal comune di residenza al luogo di lavoro. Tale fattispecie non rientra nella previsione del richiamato art. 48 (ora art. 51), comma 5, che …. prevede delle soglie di non tassabilità per le indennità di trasferta corrisposte al dipendente per svolgere incarichi in un comune diverso da quello della sede di lavoro. Conseguentemente se dalla documentazione relativa al rapporto di lavoro non è rilevabile che il medico specialista effettui l’accesso in un comune diverso da quello nel quale è situata la propria sede di lavoro, tali erogazioni sono interamente soggette a tassazione ai sensi del comma 1 dell’art. 48 (ora 51).”. Considerato che la normativa esaminata con il citato documento di prassi coincide con quella attualmente in vigore, la scrivente ritiene di dover confermare l’orientamento dell’Amministrazione Finanziaria in merito e, conseguentemente, considerare imponibili i rimborsi spese in esame, ai sensi del comma 1 dell’articolo 51 del TUIR. In relazione all’ordinanza n. 6793 del 2 aprile u.s. della Corte di Cassazione, si rileva che con tale pronuncia i giudici di legittimità hanno riconosciuto la non imponibilità del rimborso spese in base alla sua funzione risarcitoria. 3 Le motivazioni poste a base dell’ordinanza de quo riprendono quelle addotte dalla Corte di Cassazione in relazione alla natura del rimborso spese corrisposto ai dipendenti del Ministero del Lavoro in occasione di ispezioni effettuate presso cooperative. In tali pronunce (sentenze n. 5081 del 1999, n. 9107 del 2002 e n. 21517 del 2006), tuttavia, i giudici di legittimità si sono pronunciati in merito al trattamento fiscale delle somme corrisposte a ristoro delle spese sostenute dal lavoratore per raggiungere, dalla sede di lavoro, il luogo dell’ispezione e, quindi, hanno esaminato una fattispecie diversa da quella in esame. Sul piano normativo si rileva che il “rimborso spese di accesso” è corrisposto ai medici specialisti ambulatoriali interni, in ragione dei loro spostamenti dal Comune di residenza al luogo di lavoro, sempreché lo specialista non risieda nello stesso Comune sede del presidio di competenza. Le disposizioni sulla determinazione del reddito di lavoro dipendente prevedono l’imponibilità di tutte le somme e valori, a qualunque titolo percepiti, anche sotto forma di erogazioni liberali, in relazione al rapporto di lavoro (art. 51, co. 1, del TUIR). Con riguardo alle somme corrisposte e ai servizi prestati in relazione agli spostamenti per raggiungere dal luogo di residenza la sede di lavoro, il legislatore ha previsto la non imponibilità delle sole prestazioni di servizi di trasporto collettivo rivolte alla generalità o a categorie di dipendenti (art. 51, co. 2, lett. d, del TUIR). Una lettura a contraris delle disposizioni richiamate porta necessariamente a ritenere che il rimborso delle spese in esame sia imponibile, altrimenti la previsione da ultimo citata sarebbe inutiliter data.

Al riguardo, l’A.F. ha più volte precisato che eventuali indennità sostitutive del servizio di trasporto sono assoggettate interamente a tassazione, così come è interamente assoggettato a tassazione l’eventuale rimborso al 4 lavoratore di biglietti o di tessere di abbonamento per il trasporto (tra l’altro, circ. n. 326 del 1997 e risoluzioni n.191 del 2000 e n. 126 del 2007). In relazione, poi, alle diversità con il regime fiscale previsto dall’articolo 51, comma 5, del TUIR per le trasferte o missioni del lavoratore, si ribadisce che tale disposizione è relativa allo spostamento del lavoratore dalla propria sede di lavoro al luogo di missione/trasferta, cui è tenuto a recarsi su incarico e per esclusivo interesse del datore di lavoro. È tale circostanza a giustificare il particolare regime di favore ivi previsto per i rimborsi spese. Considerato che, diversamente, lo spostamento casa-lavoro avviene al di fuori dell’orario di lavoro e comunque a partire da un’abitazione scelta dal dipendente, la differenza sul trattamento fiscale non appare irragionevole. Peraltro, l’art. 13 del TUIR riconosce ai lavoratori dipendenti un’apposita detrazione anche in funzione delle spese di produzione del reddito. Inoltre, le somme corrisposte dal datore di lavoro ai dipendenti a titolo di rimborso spese, al di fuori dei casi previsti dall’articolo 51 del TUIR, possono considerarsi non imponibili nella sola ipotesi in cui il dipendente abbia sostenuto le spese in nome e per conto del datore di lavoro, per l’acquisto di materiali utilizzati nell’attività lavorativa. Non si ritiene, infine, che tali rimborsi possano essere considerati da risarcimento danni, in quanto, ai sensi dell’articolo 6, comma 2, del TUIR sono esenti da imposizione le sole indennità conseguite a titolo di risarcimento di danni derivanti da invalidità permanente o da morte, costituendo le altre indennità “redditi della stessa categoria di quelli sostituiti o perduti.”. Per quanto in precedenza evidenziato si ritiene che il riconoscimento della non imponibilità del rimborso spese in esame sulla base del carattere risarcitorio dell’emolumento sarebbe in contrasto con le vigenti disposizioni del TUIR e, considerato che l’ordinanza in esame è attualmente isolata, si ritiene di confermare l’imponibilità del rimborso previsto dall’articolo 46 dell’Accordo 5 Collettivo Nazionale per la disciplina dei rapporti con i medici specialisti ambulatoriali. Rimane ferma che il particolare regime delle trasferte potrà essere applicato nella sola ipotesi in cui il lavoratore sia autorizzato a recarsi al luogo di missione, e non al luogo di lavoro, partendo dalla sua residenza.

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Le Direzioni regionali vigileranno affinché i principi enunciati e le istruzioni fornite con la presente risoluzione vengano puntualmente osservati dalle Direzioni provinciali e dagli Uffici dipendenti.

IL DIRETTORE CENTRALE

 Cass. civ. Sez. VI – Ordinanza, 2 aprile 2015, n. 6793

REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SESTA CIVILE SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CICALA Mario – Presidente –
Dott. BOGNANNI Salvatore – Consigliere
Dott. IACOBELLIS Marcello – Consigliere
Dott. CARACCIOLO Giuseppe – rel. Consigliere
Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

Ordinanza sul ricorso 10933-2012 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE (OMISSIS) in persona del Direttore Generale pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende, ope legis;

– ricorrente –

contro G.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA TRIONFALE 21, presso lo studio dell’avvocato CASAGNI FEDERICA, rappresentato e difeso dall’avvocato GIGLIO MARCO, giusta mandato a margine della memoria di costituzione; – resistente –

avverso la sentenza n. 162/30/2011 della Commissione Tributaria Regionale di PALERMO del 22.11.2011, depositata il 12/12/2011; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 04/03/2015 dal Consigliere Relatore Dott. GIUSEPPE CARACCIOLO.

La Corte: Svolgimento del processo che, ai sensi dell’art. 380 bis cod. proc. civ., è stata depositata in cancelleria la seguente relazione: Il relatore cons. Giuseppe Caracciolo, letti gli atti depositati, osserva: L’Agenzia delle Entrate propone ricorso per cassazione avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale di Palermo, con la quale -in controversia concernente impugnazione del silenzio rifiuto su istanza di rimborso per IRPEF per gli anni dal 2001 al 2003 – è stato parzialmente accolto l’appello proposto dall’Agenzia medesima avverso la sentenza della CTP di Agrigento n. 301-07-2008 che aveva accolto il ricorso della parte contribuente G.G. volto ad ottenere il rimborso delle trattenute sulle somme corrispostegli a titolo di indennità per spese di viaggio sostenute per lo svolgimento dell’incarico di medico specialista presso gli ambulatori esterni al comune di residenza sicché, pur avendo il giudicante riconosciuto la debenza del rimborso, limitatamente agli anni 2002 e 2003, ne era stata ordinata la riliquidazione alla luce delle compensazioni effettuate dal contribuente nella dichiarazioni relative alle predette annualità. La sentenza impugnata (per quanto qui ancora rileva, con riferimento alla questione dell’imponibilità delle somme percepite) ha ritenuto che le corresponsioni a fronte delle spese di viaggio effettivamente sostenute, siccome parametrate ai chilometri effettivamente percorsi, debbano considerarsi (anche alla luce dell’insegnamento di Cass. 21.6.2002 n. 9107) alla stregua di “rimborsi spese”, non assimilabili alle retribuzioni e perciò non assoggettabili ad imposta. L’Agenzia ha proposto ricorso affidandolo a unico motivo. La parte contribuente non si è difesa. Il ricorso – ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c. assegnato allo scrivente relatore – può essere definito ai sensi dell’art. 375 c.p.c.. Con il motivo unico (centrato sulla violazione dell’art. 48 e del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 6, comma 2) la parte ricorrente si duole che il giudicante non abbia ritenuto di dover assimilare le erogazioni ricevute dal contribuente alle retribuzioni correnti, disponendone perciò l’assoggettamento a tassazione in conformità con i criteri previsti dal menzionato art. 48, anche in applicazione dei principi insegnati da Cass. n. 2196 del 16.2.2012, secondo la quale sono assoggettate allo stesso trattamento fiscale dei redditi di lavoro le somme a qualunque titolo percepite in relazione al rapporto di lavoro, ivi comprese quelle percepite a titolo di rimborso spese inerenti alla produzione del reddito. Il motivo di ricorso appare infondato e da disattendersi. Occorre muovere dal testo del D.P.R. n. 271 del 2000, art. 35 che contempla il “Regolamento di esecuzione dell’accordo collettivo nazionale per la disciplina dei rapporti con i medici specialisti ambulatoriali interni”, e cioè: “Per incarichi svolti in comune diverso da quello di residenza, purché entrambi siano compresi nello stesso ambito zonale, viene corrisposto, per ogni accesso, un rimborso spese nella misura di L. 533 per chilometro a decorrere dal 1 gennaio 2000. Dalla data di sottoscrizione del presente accordo, la misura di tale rimborso, limitatamente al 50%, viene rideterminata con cadenza semestrale al 1A gennaio e al 1A luglio sulla base del prezzo “ufficiale” della benzina “verde” (AGIP) a tali date per uguale importo in percentuale……”. Alla luce della concreta disciplina del “rimborso spese” di cui trattasi, deve essere senz’altro escluso che possa farsi applicazione dei principi invocati dalla parte ricorrente, assimilandone il trattamento a quello della retribuzione di lavoro dipendente (ai fini dell’imponibilità), tenuto conto dell’indirizzo interpretativo costante di codesta Corte secondo il quale: “In tema di imposte sui redditi, non ogni somma corrisposta in dipendenza del rapporto di lavoro deve considerarsi di natura retributiva, e perciò assoggettabile, ai sensi tanto dell’art.48 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, che dell’art. 48 del vigente Tuir del 1986, a ritenuta IRPEF, salve le eccezioni dagli stessi articoli previste. Assumono infatti funzione risarcitoria, e non retribuiva, le somme corrisposte al dipendente in relazione all’attribuzione di incarichi che comportino spese superiori a quelle rientranti nella normalità della prestazione lavorativa, e quindi tali da rendere l’incarico in questione depauperativo rispetto alla posizione dei dipendenti che percepiscano pari retribuzione in relazione ad incombenze diverse, non potendosi ravvisare alcuna ragione ostativa all’applicazione del principio nella modalità del rimborso – di tipo forfettario anziché a pie di lista -, quando le prestazioni fuori sede siano state dal dipendente effettivamente rese (nella fattispecie, è stata ritenuta corretta la decisione della commissione tributaria che aveva attribuito funzione risarcitoria, escludendone pertanto l’assoggettabilità a ritenuta IRPEF, al rimborso forfettario erogato a favore di dipendente del Ministero del lavoro in relazione all’incarico di ispezione presso cooperative)”, (per tutte, Cass. Sez. 5, Sentenza n. 9107 del 21/06/2002). Anche nella specie di causa appaiono sussistere i presupposti di fatto per l’applicazione dei suddetti principi (presupposti accertati dal giudice del merito con apprezzamento in fatto che è rimasto immune da censure), atteso che il “rimborso spese” di cui trattasi è determinato non con criterio forfetario, e perciò sganciato dall’effettivo esborso sostenuto dal prestatore d’opera, ma con specifica parametrazione rispetto al chilometraggio effettivamente percorso ed al costo del carburante di tempo in tempo rilevato, sicché non vi è dubbio che l’indennità di cui si tratta assolva alla concreta funzione di ripristinare il patrimonio del prestatore d’opera depauperato per causa degli esborsi effettivamente sostenuti nell’interesse dell’amministrazione datrice di lavoro. Ciò consente di differenziare l’emolumento di cui qui si tratta da altri tipi di emolumento (forfettariamente liquidati) rispetto ai quali codesta Suprema Corte è pervenute a conclusioni divergenti da quelle che qui si propongono (si considerino, esemplificativamente, le somme corrisposte in via forfetaria agli ispettori del Ministero del lavoro e della previdenza sociale, in occasione dell’espletamento degli incarichi fuori sede, corresponsioni che Cass. Sez. 5, Sentenza n. 14291 del 19/06/2009 ha ritenuto riconduciteli all’istituto della indennità di trasferta, attesa la natura mista di quest’ultima, destinata in parte a rimborsare il lavoratore delle spese sostenute ed in parte a remunerarlo del maggiore disagio derivante dalla trasferta). La natura restitutoria dell’emolumento qui in esame costituisce, infine, elemento sufficiente ad escludere qualsivoglia contrasto con i principi applicati dall’insegnamento giurisprudenziale invocato dalla parte ricorrente (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 2196 del 16/02/2012) che ha pronunciato in materia di “indennità percepita dal dirigente in virtù di una norma del CCNL, a seguito di licenziamento ingiustificato” la cui natura (propriamente risarcitoria del danno subito per la perdita del posto di lavoro) ne giustifica, invece, l’assoggettamento a tassazione, alla stregua di tutte le corresponsioni che siano dovute in vece di emolumenti connessi con la prestazione lavorativa dal vincolo di corrispettività. Non resta che concludere che la sentenza impugnata non merita cassazione e che il ricorso può essere rigettato. Pertanto, si ritiene che il ricorso possa essere deciso in camera di consiglio per manifesta infondatezza. Roma, 28 febbraio 2014. Motivi della decisione inoltre: che la relazione è stata notificata agli avvocati delle parti; che la parte ricorrente ha depositato memoria illustrativa i cui contenuti non inducono questa Corte a rimeditare le ragioni sulle quali è fondata la proposta del relatore; che il Collegio, a seguito della discussione in camera di consiglio, condivide i motivi in fatto e in diritto esposti nella relazione e, pertanto, il ricorso va rigettato; che le spese di lite non necessitano di regolazione, atteso che la parte vittoriosa non si è costituita.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.
Nulla sulle spese.
Così deciso in Roma, il 4 marzo 2015
Depositato in Cancelleria il 2 aprile 2015

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