CASSAZIONE IVA PRIMA PAGINA

Mancata partecipazione del contribuente, vizio dell’accertamento se si dimostra un pregiudizio concreto

Tributi – IRAP e IRES – IVA – Accertamento – Realizzazione d 5 parchi fotovoltaici – Principio dell’obbligatorietà del contraddittorio endoprocedimentale – Giusto procedimento amministrativo – Mancata partecipazione del contribuente – Vizio – Limiti – Onere della prova – Pregiudizio dimostrabile – Entrata in vigore del nuovo obbligo di contraddittorio preventivo – D.lgs. 219/2023 – Operazioni oggettivamente inesistenti – Ne bis in idem – Art. 6-bis della L. 212/2000

La Corte di Cassazione con la sentenza 7966 del 25 marzo2024 ha esaminato una fattispecie in cui veniva lamentata, tra le altre cose, la mancata instaurazione del contraddittorio preventivo, chiarendo che in ambito tributario il contribuente ha l’onere di addurre elementi difensivi non puramente fittizi o strumentali, ma deve prospettare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere qualora il contraddittorio fosse stato tempestivamente attivato e che l’opposizione di dette ragioni avrebbe potuto determinare un esito diverso del procedimento.

In buona sintesi gli Ermellini, nel ribadire che il diritto del contribuente all’accesso alle informazioni sottostanti l’emissione dell’atto impugnato riguarda quelle che possano essere utili alla sua difesa, ricordano che dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia Ue emerge che il rispetto del contraddittorio nell’ambito del procedimento tributario costituisce, quale esplicazione del diritto alla difesa, principio fondamentale dell’ordinamento europeo, che trova applicazione ogniqualvolta l’Amministrazione si proponga di adottare nei confronti di un soggetto un atto ad esso lesivo; pertanto, il destinatario di provvedimento teso a incidere sensibilmente sui suoi interessi deve, pena l’esclusione di ogni efficacia giuridica del provvedimento medesimo, essere messo preventivamente in condizione di manifestare utilmente il suo punto di vista in ordine agli elementi sui quali l’Amministrazione finanziaria intende fondare la propria decisione.

Tale principio è attualmente codificato nell’art. 41 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea (CGUE 9 novembre 2017, causa C-298/16, Ispas, punto 35).

Sul punto la Suprema Corte ricorda anche che la data di entrata in vigore del D.lgs. 219/2023, di cui alla riforma fiscale, che risulta in vigore a partire dal 18 gennaio2024 e pertanto non rilevante per accertamenti formati prima di tale data, ha rappresentato lo spartiacque per il nuovo istituto secondo cui tutti gli atti recanti una pretesa impositiva devono essere preceduti da un confronto tra ente impositore e contribuente, come disposto dall’art. 6-bis della legge 212/2000 sul “Principio del contraddittorio”.

Storicamente il giusto procedimento amministrativo, che trova il suo fondamento nei principi di legalità  e di buon andamento e imparzialità amministrativa di cui, rispettivamente, agli articoli 23  e 97 della Costituzione, e di cui il diritto al contraddittorio rappresenta un elemento essenziale e imprescindibile, risulterebbe pertanto leso dalla mancata instaurazione di un preventivo contraddittorio tra le parti, non essendo più sufficiente la tutela giurisdizionale assicurata ex post dall’art. 24 Cost. e dall’art. 113 Cost. Secondo la giurisprudenza consolidata della Corte, infatti, la regola secondo cui il destinatario di una decisione lesiva deve essere messo in condizione di far valere le proprie osservazioni prima che la stessa sia adottata, ha lo scopo di mettere l’autorità competente in grado di tenere conto di tutti gli elementi del caso, al fine di permettere alle persone o alle imprese coinvolte di correggere un errore o far valere elementi relativi alla loro situazione personale tali da far sì che la decisione sia adottata o non sia adottata, ovvero abbia un contenuto piuttosto che un altro.

Tuttavia, secondo la giurisprudenza costante della Corte i diritti fondamentali, quali il rispetto dei diritti della difesa di cui il contraddittorio rappresenta un corollario applicativo, non appaiono come prerogative assolute, ma possono soggiacere a limiti a condizione che questi rispondano effettivamente a obiettivi di interesse generale e non costituiscano, rispetto allo scopo perseguito, un intervento sproporzionato e inaccettabile tale da ledere la sostanza stessa dei diritti così garantiti.

Al riguardo si segnala ex multis che la pronunzia. n. 34044/2023 ha di recente ribadito come in tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, il diritto di accesso alle informazioni sottostanti l’emissione dell’atto impugnato può essere esercitato solo se, e nella misura in cui, sia strumentale all’esercizio del diritto di difesa, che può dirsi violato ove il contribuente illustri come e in che termini la tempestiva ostensione degli elementi di fatto a lui favorevoli, e non contenuti negli atti impositivi impugnati, avrebbe potuto influenzare l’esito dell’accertamento nei propri confronti (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 36852/2022)

Una parte della dottrina sostiene però che l’interesse fiscale tutelato dalla Costituzione non è riscuotere il tributo tout court, bensì riscuotere il tributo giusto nel modo giusto, secondo il disposto dell’art. 53. Di fatto, sottolineano gli Ermellini, il diritto al contraddittorio procedimentale era privo di un’applicazione uniforme, sia a causa dell’assenza di una disposizione generalizzata, sia a causa della posizione assunta dalla giurisprudenza nazionale.

In sintesi viene indicato che il nostro ordinamento non prevedeva una norma generalizzata che poteva  garantire al contribuente il diritto al contraddittorio endoprocedimentale: tale obbligo sussisteva, a pena dell’invalidità dell’atto, esclusivamente per i tributi non armonizzati, solo nel caso in cui lo stesso risulti specificamente sancito dalla norma o dalla giurisprudenza, come nel caso degli accertamenti fondati sui parametri e sugli studi di settore, mentre per i tributi armonizzati tale garanzia era garantita se il contribuente assolveva in giudizio l’onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere, qualora il contraddittorio fosse stato tempestivamente attivato e se la presentazione di tali ragioni si rivelava non puramente pretestuosa e tale da configurare, in relazione al principio generale di correttezza e buona fede ed al principio di lealtà processuale, uno sviamento dello strumento difensivo rispetto alla finalità di corretta tutela dell’interesse sostanziale.

In conclusione, l’assetto normativo e giurisprudenziale fin qui presente non consentiva al contribuente di anticipare l’esercizio del suo diritto alla difesa rispetto alla fase contenziosa, così come non permetteva all’Amministrazione finanziaria di acquisire elementi idonei a garantire un esercizio del potere impositivo più fondato e legittimo.

A partire da queste considerazioni, la Commissione interministeriale per la riforma della giustizia tributaria, con il documento del 30 giugno 2021 elaborò alcune proposte che avevano l’obiettivo di introdurre nell’ordinamento il diritto al contraddittorio endoprocedimentale per il contribuente, come espressione del principio di buon andamento e imparzialità dell’azione amministrativa, come previsto dall’art. 97 della Costituzione. In particolare, nell’allegato XII erano contenute due proposte e in quella principale veniva presentato che “… Nella l. 27 luglio 2000, n. 212 dopo l’articolo 6 è inserito il seguente “Art. 6-bis (Diritto del contribuente al contraddittorio) – 1. Il contribuente ha diritto di partecipare al procedimento amministrativo diretto alla emissione di un atto di accertamento o di riscossione dei tributi. 2. L’atto emesso in violazione del comma precedente è nullo.” 2. Il Governo è delegato ad emanare, entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, previo parere delle competenti Commissioni parlamentari, uno o più decreti legislativi recanti le disposizioni integrative e correttive delle leggi tributarie vigenti necessarie ad applicare le disposizioni dell’art. 6-bis l. 27 luglio 2000, n. 212, con salvaguardia delle modalità di partecipazione attualmente previste dalla legge. 3. Si applicano le disposizioni dell’articolo 1, commi 3 e 4 della l. 27 luglio 2000, n. 212, con riferimento alla data di entrata in vigore della presente legge.  Nella proposta subordinata si annotava che: “… L’art. 5-ter, comma 2, decreto legislativo 19 giugno 1997, n. 218 è sostituito dal seguente: “Sono esclusi dall’applicazione dell’invito obbligatorio di cui al comma 1 gli avvisi di accertamento parziale previsti dall’articolo 41-bis del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600 fondati esclusivamente su dati in possesso dell’anagrafe tributaria”.

Emerge quindi che l’interesse fiscale non può naturalmente costituire una restrizione al diritto di difesa del contribuente, posto che il dialogo preventivo tra contribuente e Amministrazione finanziaria è lo strumento finalizzato a dare compiuta attuazione alla norma costituzionale.

In ossequio ai principi di proporzionalità e buona fede l’instaurazione di un confronto preventivo, da un lato consente agli uffici finanziari di acquisire dati fondamentali per la corretta verifica della base imponibile evitando anche diseconomie procedurali e, dall’altro, permette al contribuente di articolare compiutamente le proprie difese nel corso dell’attività istruttoria, consentendogli inoltre di usufruire di benefici e agevolazioni, in particolare la riduzione delle sanzioni in caso di adesione all’atto impositivo.

Sostanzialmente si vogliono menzionare quelle argomentazioni sostenute con le sentenze nn. 19667 e 19668/2014 della Corte di Cassazione, nelle quali era affermato per la prima volta in maniera esplicita l’esistenza di un principio generale al contraddittorio procedimentale, immanente all’ordinamento, a cui dare attuazione anche in assenza di una specifica previsione legislativa.

In particolare, nella sentenza n. 19667/2014 si asseriva che “…essendo priva di qualsiasi ragionevolezza l’escludere dalla “partecipazione” il soggetto d’imposta (e destinatario della pretesa tributaria formatasi in esito al procedimento), si deve ritenere che in realtà la partecipazione e l’accesso agli atti sono compatibili con il procedimento tributario: essi tuttavia operano secondo gli schemi dello Statuto del contribuente e non secondo i modelli della legge n. 241 del 1990,la quale non ha escluso i procedimenti tributari dagli istituti partecipativi, ma ha rinviato in materia a delle norme speciali previste per detti procedimenti”.

Si osserva poi la conferma dalla giurisprudenza di come il rispetto del diritto di difesa non costituisce una prerogativa assoluta, ma può essere assoggettato a restrizioni, soprattutto in ambito tributario (CGUE, Glencore, cit., punti 43, 55; CGUE, I Spa s, 9 novembre 2017, C-298/16, punto 35), ove occorra tutelare ulteriori interessi come la vita privata di terzi o la stessa efficacia dell’azione repressiva, laddove tali ulteriori interessi, meritevoli di tutela, possano essere pregiudicati dall’accesso a talune informazioni e a determinati documenti (CGUE, Glecore, ult. loc. cit.). E’ stato quindi affermato che “… il principio del rispetto dei diritti della difesa, in un procedimento amministrativo (…) non impone quindi all’amministrazione finanziaria un obbligo G.e di fornire un accesso integrale al fascicolo di cui dispone, ma esige che il soggetto passivo abbia la possibilità di ricevere, a sua richiesta, le informazioni e i documenti contenuti nel fascicolo amministrativo e presi in considerazione da tale amministrazione ai fini dell’adozione della sua decisione” (CGUE, Glencore, cit., punto 56).

La suprema Corte al riguardo ha anche annotato che “…  Sotto questo profilo, decisiva appare la considerazione, a mente dello stesso diritto Eurounitario, che la eventuale violazione del diritto di difesa non comporta, per il principio di effettività, che una decisione (in tesi) adottata in spregio dei diritti della difesa venga annullata in ogni caso, ma solo laddove la violazione (sempre in tesi) dei diritti della difesa abbia eziologicamente determinato l’annullamento del provvedimento adottato al termine del procedimento amministrativo. Ciò si verifica ove il contribuente illustri come e in che termini, in mancanza di detta irregolarità e della conseguente compressione del diritto di difesa, il procedimento amministrativo, nel caso in cui il diritto di difesa fosse stato rispettato, sarebbe potuto giungere a un risultato diverso (cd. “prova di resistenza”: CGUE, 3 luglio 2014, Kamino, C-129/13 e C-130/13, punti 78 e 79; CGUE, SC C.F. cit., punto 35). L’esercizio del diritto di accesso alla documentazione non offerta tempestivamente in comunicazione dall’Ufficio, in quanto strumentale all’esercizio del diritto di difesa (ad es., in relazione agli elementi favorevoli al contribuente che non siano stati immediatamente resi noti, come dedotto dal ricorrente), sussiste, pertanto, ove il tempestivo accesso a tali documenti e la loro valorizzazione in sede amministrativa avrebbe comportato un diverso esito nell’atto impositivo. Tale principio è del tutto consolidato nella giurisprudenza Eurounitaria, ove si afferma che – stante il principio di effettività – l’eventuale violazione dei diritti della difesa comporta l’annullamento dell’atto impositivo soltanto se, in mancanza di detta irregolarità, il procedimento sarebbe potuto giungere a un risultato diverso (CGUE, 18 giugno 2020, RQ, C-831/18 P, punto 105; CGUE, 4 giugno 2020, CS C.F., C-430/19, punto 35; CGUE, 4 giugno 2020, SEAE, C-187/19 P, punto 69; CGUE, 20 dicembre 2017, Prequ, C-27616, punto 62)”. (Cass. Sent. n. 368512 /2022).

L’esercizio del diritto di accesso alla documentazione non offerta tempestivamente in comunicazione dall’ufficio, in quanto strumentale all’esercizio del diritto di difesa sussiste pertanto ove il tempestivo accesso a tali documenti e la loro valorizzazione in sede amministrativa avrebbe comportato un diverso esito nell’atto impositivo. Tale principio è del tutto consolidato nella giurisprudenza Eurounitaria, ove si afferma che – stante il principio di effettività – l’eventuale violazione dei diritti della difesa comporta l’annullamento dell’atto impositivo soltanto se, in mancanza di detta irregolarità, il procedimento sarebbe potuto giungere a un risultato diverso (CGUE, 18 giugno 2020, RQ, C-831/18 P, punto 105; CGUE, 4 giugno 2020, CS C.F., C-430/19, punto 35; CGUE, 4 giugno 2020, SEAE, C-187/19 P, punto 69; CGUE, 20 dicembre 2017, Prequ, C-27616, punto 62).

Tornando a oggi ricordiamo che il D.lgs. 219/2023 ha introdotto importanti modifiche allo Statuto dei diritti del contribuente (L. 212/2000), rendendo concreti e operativi i principi e criteri direttivi indicati dalla legge delega fiscale (L. 111/2023). In particolare, l’articolo 1, comma 1, lett. e) del decreto 219/2023 introduce nel corpo normativo delineato dallo Statuto del contribuente l’articolo 6-bis, l’obbligo generalizzato del contraddittorio preventivo tra enti preposti e contribuenti prima dell’emissione definitiva dell’atto di accertamento: in particolare, il nuovo articolo 6-bis prevede che gli atti autonomamente impugnabili dinanzi agli organi della giurisdizione tributaria siano preceduti, a pena di annullabilità, da un contraddittorio informato ed effettivo. Il precetto è sostanzialmente autoapplicativo solo nei casi in cui l’Amministrazione finanziaria possa offrire un’adeguata motivazione in ordine a un ritenuto fondato motivo per la riscossione, mentre per gli atti automatizzati, sostanzialmente automatizzati, di pronta liquidazione e di controllo formale delle dichiarazioni, relativamente ai quali il diritto al contraddittorio è radicalmente escluso, occorrerà attenderne l’elencazione che dovrà adottarsi con un apposito decreto del Ministro dell’economia e delle finanze.

Conclusivamente, e tornando alla questione oggi in esame, essa nasce sulla base di un avviso di accertamento con il quale l’ufficio fiscale aveva proceduto all’azione di recupero di componenti negativi ritenuti non deducibili ai fini IRAP e IRES in quanto derivanti da operazioni oggettivamente non esistenti, oltre ad accantonamenti non deducibili e altri costi. Anche per l’IVA, l’fficio recuperava il tributo indebitamente detratto portato da 17 fatture per operazioni ritenute inesistenti e negava la detrazione dell’IVA relativa all’acquisto di un immobile.

Adito alla giustizia tributaria il ricorrente vedeva accogliere il ricorso unicamente all’applicazione delle sanzioni nella misura del 90%. La CTR rigettava l’impugnazione principale della società contribuente e accoglieva l’impugnazione incidentale dell’Amministrazione finanziaria.

Da qui il ricorso in Cassazione della parte contribuente con atto affidato a venticinque motivi, in cui essenzialmente veniva espresso il rispetto del  principio dell’obbligatorietà del contraddittorio endoprocedimentale, ma anche, nel ventunesimo motivo, la omessa pronuncia su specifica questione quale violazione dell’art. 112, c.p.c. in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c. per non avere la CTR esaminata l’eccezione relativa al difetto di firma dell’avviso di accertamento impugnato. Anche il ventiduesimo motivo, che deduceva anavaago vizio sotto il profilo della censura motivazionale, segnalava che non avendo la CTR dato conto di come sarebbe giunta al rigetto dell’eccezione relativa al ridetto difetto di firma dell’avviso di accertamento, con il ventitreesimo motivo riproponeva la doglianza in argomento sotto il profilo di violazione dell’art. 42, DPR 600/1973. Gli Ermellini hanno riconosciuto la validità delle motivazioni addotte dalla parte contribuente in questi specifici motivi, sentenziando che “… Il diciottesimo e il diciannovesimo motivo sono da esaminarsi congiuntamente in quanto riguardano doglianze relative alla violazione dell’esercizio del diritto di difesa da parte del contribuente in sede procedimentale poiché secondo la società l’Amministrazione avrebbe dovuto invitare la società a fornire le opportune spiegazioni e metterla al corrente delle fonti di “innesco” dell’attività di accertamento – vale a dire delle risultanze dei PVC redatti nei confronti dei fornitori di G. STEEL s.r.l. e dei 47 allegati al PVC redatto nei confronti della ridetta G. STEEL s.r.l. – con la conseguente inidoneità della motivazione dell’atto impositivo impugnato a dar conto dei presupposti di fatto e diritto posti a suo fondamento e la connessa violazione del diritto al contraddittorio, al giusto processo e alla parità delle armi in capo alla società contribuente. In dettaglio, il diciottesimo motivo denuncia la violazione dell’art. 7 L. 212 del 2000, dell’art. 42 , dell’art.42 c. 2 del d.P.R. n. 600 del 1973 e dell’art. 56 c. 5 del d.P.R. n.633 del 1972 ala luce dell’art. 41 e dell’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea in relazione all’art. 360 c. 1 n. 3 c.p.c.; il diciannovesimo motivo denuncia la nullità della sentenza e del processo per violazione del diritto di difesa sotto il profilo della mancanza di effettivo contraddittorio, mancanza di “parità delle armi” e mancato rispetto del diritto del contribuente un processo “equo”, quali violazioni dell’art. 4 7 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea e dell’art. 111 Cost., in relazione all’art. 360 c. 1 n.4 c.p.c. Le censure sono infondate. Dev’essere reiterato l’insegnamento della Corte di Giustizia secondo il quale il diritto del contribuente all’accesso alle informazioni sottostanti l’emissione dell’atto impugnato riguarda quelle che possano essere utili alla sua difesa (CGUE 16 ottobre 2018, causa C – 189/18, Glencore , citata nella memoria ), ed è la stessa giurisprudenza eurounitaria ad affermare – correttamente interpretata – che il rispetto del diritto di difesa non costituisce una prerogativa assoluta, ma può essere assoggettato a restrizioni, in particolare in ambito tributario (in termini CGUE 9 novembre 2017, causa C – 298/16, Ispas, punto 35), ove occorre tutelare ulteriori interessi, come la vita privata di terzi e la stessa efficacia dell’azione repressiva, interessi meritevoli di tutela e che possano essere pregiudicati dall’accesso indiscriminato. In tal senso è anche la giurisprudenza della Sezione, che ha di recente ribadito(Cass. n. 34044 del 2023) come in tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, il diritto di accesso alle informazioni sottostanti l’emissione dell’atto impugnato può essere esercitato solo se, e nella misura in cui , sia strumentale all’esercizio del diritto di difesa, che può dirsi violato ove il contribuente illustri come ed in che termini la tempestiva ostensione degli elementi di fatto a lui favorevoli, e non contenuti negli atti impositivi impugnati, avrebbe potuto influenzare l’esito dell’accertamento nei propri confronti (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 36852 del 15/12/2022). Nel presente caso, l ‘onere non è stato assolto, non avendo neppure in questa sede di Legittimità la parte ricorrente evidenziato e dedotto quale pregiudizio concreto essa ha subito dalla mancata conoscenza de i rilievi contenuti nei PVC redatti nei confronto dei fornitori di G. STEEL s.r.l. e le doglianze in disamina non possono conseguentemente essere accolte perché la statuizione della CTR sulla motivazione dell’atto impositivo è in linea e conforme al quadro legale delineato dalla giurisprudenza della Corte d i cassazione e della Corte di Giustizia di cui si è dato conto. Inoltre,è ancorata in concreto alla fattispecie e al quadro istruttorio raccolto nel processo, attraverso precisi riferimenti individuati in sentenza e non utilmente censurabili in sede di legittimità nei termini proposti nelle due censure in disamina, in cui non è stato nemmeno dedotto il vizio motivazionale della sentenza impugnata , nei limiti in cui può essere fatto valere. In tale contesto, il diritto di accedere a tutti gli atti del procedimento amministrativo di controllo risulta strumentale all’esercizio del diritto di difesa dei soggetti i cui interessi possono essere lesi dall’adozione di una decisione da parte dell’Amministrazione finanziaria ( ancora C GUE , 16 ottobre 2019, causa C – 189/18, Glencore ; C GUE , 4 giugno 2020, causa C – 430/19, C.F.; C GUE , 9 novembre 2017, causa C – 298/16, Ispas), sicché, anche in questa sede, va precisato nel suo contenuto concreto come diritto che non costituisce una prerogativa assoluta e va garantito nei limiti in cui siano presenti non solo finalità di difesa delle ragioni del contribuente ma anche obiettivi di interesse generalizzato. Va ricordato che dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia (cfr. sentenze: 3.7.2014, in causa C-129 e C/130/13, Kamino International Logistics; 22.10.13, in causa C-276/12, Jiri Sabou; 18.12.08, in causa C-349/07, Sopropè ; 12.12.02, causa C – 395/00, Soc. Distillerie Cipriani; 21.9.00, in causa C-462/98 P. Mediocurso c. Commissione; 4.10.96, in causa C-32/95 Lisrestat ) emerge che il rispetto del contraddittorio nell’ambito del procedimento amministrativo, non escluso quello tributario, costituisce, quale esplicazione del diritto alla difesa, principio fondamentale dell’ordinamento Europeo, che trova applicazione ogniqualvolta l’Amministrazione si proponga di adottare nei confronti di un soggetto un atto ad esso lesivo, sicché il destinatario di provvedimento teso ad incidere sensibilmente sui suoi interessi deve, pena la caducazione del provvedimento medesimo, essere messo preventivamente in condizione di manifestare utilmente il suo punto di vista in ordine agli elementi sui quali l’amministrazione intende fondare la propria decisione (cfr., in particolare, la decisione 18.12.08, in causa C-349/07, Sopropè, punti 36 e 37). Tale principio è attualmente codificato nell’art. 41 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea. Nel garantire il diritto ad una buona amministrazione, la disposizione (che avendo assunto il medesimo valore giuridico dei trattati, solo con l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona avvenuta l’1 dicembre 2009, è, di per sé , ratione temporis, applicabile solo ai procedimenti amministrativi conclusisi con provvedimenti successivi alla data suddetta), prevede, al 2, che, nell’ambito del menzionato diritto, va, tra gli altri, ricompreso “il diritto di ogni persona ad essere ascoltata prima che nei suoi confronti venga adottato un provvedimento individuale che le rechi pregiudizio” (cfr. CGUE22 ottobre 13, in causa C-276/12, Jirì Sabou; 3.7.2014, in causa C-129 e C^130/13, Kamino International Logistics). Il principio dell’obbligatorietà del contraddittorio endoprocedimentale non è, tuttavia, assunto dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia in termini assoluti e puramente formali, posto che anche i diritti fondamentali, quali il diritto di difesa, non danno vita a prerogative incondizionate, potendo soggiacere a restrizioni, che rispondano, con criterio di effettività e proporzionalità, ad obiettivi di interesse G.e (cfr. CGUE 3 luglio 2014, in cause C – 129 e C – 130/13, Kamino International Logistics; 26 settembre 2013, in C – 418/11, Texdata Software). Al riguardo, si è puntualizzato, con specifico riferimento a procedimento tributario, che l’obbligo del contraddittorio non investe l’attività d’indagine e di acquisizione di elementi probatori anche testimoniali svolta dall’Amministrazione fiscale, essendosi specificamente affermato che “l’Amministrazione, quando procede alla raccolta d’informazioni, non è tenuta ad informarne il contribuente nè a conoscere il suo punto di vista” (CGUE 22 ottobre 13, in causa C – 276/12, Jiri Sabou: punto 41). E’ stato, inoltre, riconosciuto (CGUE 3 luglio 2014, cause C-129 e C-130/13, Kamino International Logistics, punto 55, nonché 26.9 . 2013, in C – 418/11, Texdata Software , punto 85) – con ciò già ripudiandosi una lettura meramente formalistica del principio dell’obbligatorietà del contraddittorio endoprocedimentale) – che la possibilità di un’audizione successiva, effettuata in esito ad impugnazione di provvedimento sfavorevole, può essere idoneo a garantire il rispetto del diritto ad essere sentiti, seppur alla condizione che la normativa nazionale consenta all’interessato non previamente sentito, di ottenere in via automatica la sospensione dell’esecuzione del provvedimento fino alla sua eventuale riforma. Si è, soprattutto, affermato (in prospettiva che richiama il pragmatico canone giuspubblicistico della strumentalità delle forme) che – avendo il giudice nazionale, in ogni caso, l’obbligo di garantire la piena effettività del diritto dell’Unione -il riscontro di una violazione dei diritti di difesa, in particolare del diritto ad essere sentiti prima dell’adozione di provvedimento lesivo, determina l’annullamento dell’atto adottato al termine del procedimento amministrativo soltanto se, in mancanza di tale irregolarità, detto procedimento “avrebbe potuto comportare un risultato diverso” (CGUE 3 luglio 2014, in causa C – 129 e C – 130/13, Kamino International Logistics, punti 78 – 82 e la precedente giurisprudenza ivi richiamata). In altri e più stringati termini, la tutela della piena informazione del contribuente è strumentale, non soltanto all’esercizio del diritto di difesa, ma anche al buon andamento della Pubblica Amministrazione inteso come corretto funzionamento del procedimento di controllo, anche con riguardo alle modalità di partecipazione allo stesso da parte del contribuente . Si mira ad assicurare una tutela effettiva della persona o dell’impresa coinvolta e questo diritto dev’essere garantito anche in assenza di un’espressa disposizione che lo preveda perché il principio in esame consente all’autorità fiscale di tenere in considerazione tutti gli elementi che, in concreto, emergono dal confronto dialettico col soggetto passivo e, inoltre, permette a quest’ultimo di correggere eventuali errori commessi o, in alternativa, di fornire elementi relativi alla sua situazione, suscettibili di incidere (direttamente o indirettamente) sulla decisione finale dell’autorità che ne occupa. E’ ben vero che    l’art. 41 CEDU , rubricato “diritto ad una buona amministrazione”, dev’essere quindi rispettato dalle istituzioni, dagli organi e organismi dell’Unione ma non anche dagli Stati membri e, conseguentemente, il diritto al contraddittorio non può fondarsi (esclusivamente)su questa disposizione della Carta, atomisticamente applicata. Ciò posto, esso è da considerare “parte integrante del rispetto dei diritti della difesa “ e, dunque, si tratta di un principio G.e del diritto dell’Union e (CGUE, 5 novembre 2014, nella causa C-166/13,Mukarubega, punti da 42 a 45).  La Corte Unionale , peraltro, osserva nella più volte già citata sentenza KaminoInternational (che assume sul punto una evidente e insuperata centralità: CGUE, 3 luglio 2014, Kamino International Logistics BV e DatemaHellmann Worldwide Logistics BV contro Staatssecretaris van Financiën,Cause riunite C – 129/13 e C – 130/13) che qualora l’autorità fiscale violi i diritti della difesa e, segnatamente, il diritto di essere sentiti, questo vizio determina l’annullamento del provvedimento adottato dalla stessa autorità, ma esclusivamente “se, in mancanza di tale irregolarità, tale procedimento avrebbe potuto comportare un risultato diverso”, vale a dire – profilo che qui particolarmente viene in rilievo ed evidenza – l’esito e il risultato finale (cioè il provvedimento o l’atto) avrebbero potuto essere differenti, in tutto o in parte. La violazione dei diritti della difesa non dev’esser formulata in astratto, bensì implica una valutazione “in funzione delle circostanze di ciascun caso di specie” e, in modo particolare, “della natura dell’atto in oggetto, del contesto in cui è stato adottato e delle norme giuridiche che disciplinano la materia in esame” (CGUE, Mukarubega , cit., punto 54). Alla luce di tutto ciò, e in particolare dei principi enunciati dalle pronunce Kamino, Mukarubega e Glencore, deve ritenersi la realizzazione del diritto alla tutela effettiva, invocata dal ricorrente va è valutata in relazione al risultato finale e non alle forme, inteso come situazione di effettiva possibilità per il soggetto sottoposto al potere di accertamento di fare valere le proprie ragioni, opponendo alle pretese dell’Amministrazione finanziaria – e ai fatti che questa propone – fatti disegno contrario ; situazione che trova giustificazione nelle necessità di completezza dell’istruttoria , completezza garantita dalla possibilità per il contribuente di parteciparvi. Tale partecipazione, ove non garantita,potrà ridondare in un vizio dell’atto conclusivo – l’avviso di accertamento – non ex se , ma unicamente ove unitamente a tale pretermissione sia dimostrato un pregiudizio concreto, inteso come diminuzione della facoltà di difendersi nel giudizio, alla propria situazione. Sul punto, parte ricorrente non dice quali diverse difese avrebbe svolto se messa in condizione di conoscere il contenuto degli atti che assume esserle stati celati ingiustamente, con ciò mancando di dimostrare quel concreto pregiudizio che il diritto dell’Unione ritiene dover esser presente per imporre la conoscibilità in capo al contribuente anche degli atti di “innesco” dell’attività di controllo. Né possono trarsi argomentazioni a supporto di un esito diverso della decisione dall’art. 1 del d. Lgs. n. 219 del 2023 , modificativo della L. n. 212 del 2000, disposizione non applicabile al presente giudizio in quanto entrata in vigore il 18 gennaio 2024 e non rilevante per gli atti di accertamento formatisi anteriormente la sua entrata in vigore. Di qui l’infondatezza dei motivi in argomento. Alla luce delle considerazioni sopra svolte, quindi, va evidentemente anche disattesa l’istanza di remissione alla Corte di giustizia dell’Unione ex art. 267 TFUE di cui al ventesimo motivo di ricorso poi reiterata in memoria. Il ventunesimo motivo deduce la omessa pronuncia su specifica questione quale violazione dell’art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.1 n. 4 c.p.c. per non avere la CTR esaminata l’eccezione relativa al difetto di firma dell’avviso di accertamento impugnato. Tale motivo può esaminarsi congiuntamente con il ventiduesimo motivo, che deduce analogo vizio sotto il profilo della censura motivazionale, non avendo la CTR dato conto di come sarebbe giunta al rigetto dell’eccezione relativa al ridetto difetto di firma dell’avviso di accertamento e con il ventitreesimo motivo che ripropone la doglianza in argomento sotto il profilo di violazione dell’art. 42 del d.P.R. n. 600 del 1973. Il motivo è fondato. Invero, la CTR nulla dice in ordine all’eccezione postale – che risulta, dalle trascrizioni in ricorso, esser stata sollevata sia in sede di primo grado, sia in sede di secondo grado di giudizio di merito – la quale pertanto è stata del tutto pretermessa, neppure potendosi ritenere implicitamente decisa con la decisione sul merito. Pertanto, in accoglimento del motivo in parola, la sentenza è sul punto cassata con rinvio al giudice dell’appello che dovrà pronunciarsi sull’eccezione sin qui non scrutinata. Alla luce della decisione del motivo che precede i motivi dal ventiduesimo al venticinquesimo sono assorbiti. Conclusivamente, va accolto il solo ventunesimo motivo; i motivi ventiduesimo, ventitreesimo, ventiquattresimo e venticinquesimo sono assorbili; il ricorso va nel resto rigettato nei termini di cui si è detto in motivazione”.

Corte di Cassazione – Sentenza 25 marzo 2024, n. 7966

Sul ricorso iscritto al n. R.G. 3417 /202 1 proposto da:

S. S.R.L. in persona del suo legale rappresentante pro tempore rappresentata e difesa giusta delega in atti dall’avv. Alessandra Stasi (PEC: alessandrastasi@legalmail.it ) e dall’avv. Federica Caroprese (PEC:federicacaroprese@legalmail.it)

– ricorrente –

Contro AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio in Roma, via dei Portoghesi, n. 12, presso l’Avvocatura G.e dello Stato (PEC: ags.rm@mailcert.avvocaturastato.it )

– controricorrente –

Avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale del Lazio n.3959/09/20 depositata i n data 10 / 12 /20 20 ;

udita la relazione della causa svolta alla pubblica udienza del 19 gennaio2024 dal Consigliere Relatore Roberto Succio;

Udite le conclusioni del Pubblico Ministero nella persona del Sostituto Procuratore G. e Mauro Vitiello che ha chiesto il rigetto del ricorso;

Uditi gli avvocati Rolando Sepe e Cristiano Stasi che hanno chiesto l’accoglimento del ricorso e hanno insistito nelle istanze ivi proposte e l’avvocato dello Stato Davide Giovanni Pintus che ha chiesto il rigetto del ricorso;

FATTI DI CAUSA

La società S. s.r.l., per quanto qui di interessa, ricorreva avverso l’avviso di accertamento notificatole per l’anno 2012 con il quale erano recuperati componenti negativi ritenuti non deducibili ai fini IRAP e IRES in quanto derivanti da operazioni oggettivamente non esistenti, oltre ad accantonamenti non deducibili e altri costi;

quanto all’IVA, l’Ufficio parimenti recuperava il tributo indebitamente detratto portato da n. 17 fatture per operazioni ritenute inesistenti e negava la detrazione quanto all’iva relativa all’acquisto di un immobile in Pescasseroli.

La CTP di Roma accoglieva il ricorso unicamente all’applicazione delle sanzioni nella misura del 90%, rigettandolo nel resto.

Appellava la società;

l’Ufficio proponeva appello incidentale.

Con la pronuncia qui gravata la CTR ha rigettato l’impugnazione principale della S. s.r.l. ed accolto l’impugnazione incidentale dell’Amministrazione Finanziaria.

Ricorreva questa Corte la S. s.r.l. con atto affidato a venticinque motivi, poi illustrato da memoria;

l’Agenzia delle Entrate resiste con controricorso.

La parte ricorrente ha depositato istanza con la quale chiedeva sollecitamente fissarsi la discussione della controversia, avendo ricevutola notifica della presa in carico dell’avviso di accertamento c.d. “impoesattivo”da parte del riscossore ex art. 29 c. 1 lett. b) del d. L. n. 78 del 2010 come convertito in L. n. 122 del 2010.

RAGIONI DELLA DECISIONE

Il primo motivo di ricorso denuncia l’avere la CTR pronunciato ultra petita su fatti pacifici tra le parti in quanto mai contestati dall’Ufficio, con violazione degli artt. 112 e 115 c.p.c. in relazione all’art. 360 c. 1 n. 4 c.p.c. per avere la pronuncia impugnata – a fronte della circostanza pacifica in ordine alla realizzazione dei 5 parchi fotovoltaici sugli 11 originariamente commissionati da parte dei S. s.r.l. – preteso la prova di tale realizzazione da parte della società contribuente, prova non necessaria in quanto l’Agenzia delle Entrate non aveva mai contestato la costruzione di tali parchi eolici.

Il motivo è inammissibile, in quanto avulso dalla ratio decidendi della pronuncia impugnata; invero, oggetto del giudizio era la oggettiva inesistenza o meno delle prestazioni contestate: la realizzazione dei parchi eoli ci, per i quali erano necessari, anche, gli acquisti oggetto delle fatture sottoposte a rilievo, è invero uno degli argomenti – peraltro di merito – spesi dalla società per dimostrare l’esistenza delle operazioni..

Ne deriva che la sola affermazione della materiale esistenza dei parchi, pacifica o no in causa, non costituisce ex se prova dell’esistenza delle operazioni contestate dall’Ufficio, ove non sia data prova anche indiziaria dell’utilizzo dei beni acquistati con tali operazioni proprio per la realizzazione dei suddetti parchi .

Il secondo motivo di ricorso censura la pronuncia gravata per violazione dell’art.2697 c.c. per avere la CTR erroneamente applicati i principi in materia di onere della prova in relazione alla effettività delle forniture documentate dalle fatture emesse dalla G. STEEL s.r.l., svilendo o ignorando in toto le prove e gli argomenti di prova avanzati dalla società contribuente;

Il motivo è infondato.

Invero, la CTR ha correttamente governato i principi in materia di onere della prova, come si evince dalle affermazioni rese a pag. 6 della sentenza gravata, dal terzo capoverso in poi: essa ha infatti ritenuto dedotti e provati dall’Ufficio elementi indiziari sufficienti e idonei a dar dimostrazione della natura di “cartiera” della G. STEEL s.r.l., a fronte dei quali elementi era onere di S. s.r.l. dar prova dell’esistenza delle prestazioni contestate. Tale onere, relativa – come scrive la CTR ancora a pag. 6, primo capoverso – all’”impiego dei materiali oggetto di fatturazione da parte della G. STEEL s.r.l. per la realizzazione delle opere commissionate da ECOWARE s.r.l., cliente della ricorrente; tali non potendo certo essere ritenute le dichiarazioni testimoniali prodotte” non è stato soddisfatto e quindi correttamente il giudice dell’appello ha concluso in ordine alla legittimità dell’azione di accertamento.

Il terzo motivo di ricorso si duole della motivazione apparente della pronuncia impugnata, denunciando la violazione dell’art. 36 c. 2 del d. Lgs. n. 546 del 1992 e dell’art. 132 c. 1 n. 5 c.p.c. in relazione all’art. 360 c. 1 n. 4 c.p.c. per essersi la CTR limitata ad affermare che la documentazione prodotta era inidonea a dar prova dell’esistenza delle operazioni contestate in quanto “insufficiente e possibile risultato di artefazione”; tale doglianza può esaminarsi congiuntamente con il quarto motivo, che propone analoga sovrapponibile censura motivazionale sia pur sotto il profilo della contraddittorietà della stessa.

I ridetti motivi sono infondati.

Invero,la motivazione della CTR, congrua, si è pronunciata sul fatto storico alla base delle riprese e sulla questione dell’onere della prova e,per consolidata interpretazione giurisprudenziale (Cass. Sez. Unite , Sentenza n. 8053 del 07/04/2014), l’omesso esame di elementi istruttori non integra di per sé il vizio di omesso esame di un fatto decisivo,se il fatto storico rilevante in causa sia stato comunque preso in considerazione, benché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie offerte dalle parti.

Non essendo più ammissibili nel ricorso per cassazione le censure di contraddittorietà ed insufficienza della motivazione della sentenza di merito impugnata, il sindacato di legittimità sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica della violazione del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111, comma 6, Cost., individuabile nelle ipotesi – che si convertono in violazione dell’art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c. e danno luogo a nullità della sentenza – di “mancanza della motivazione quale requisito essenziale del provvedimento giurisdizionale”, di “motivazione apparente”, di “manifesta ed irriducibile contraddittorietà” e di “motivazione perplessa od incomprensibile”, purché il vizio emerga dal testo della sentenza impugnata (Cass. n. 23940 del 2018; Cass. sez. un. 8053 del 2014), a prescindere dal confronto con le risultanze processuali (v., ultimamente, anche Cass. n. 7090 del 2022).

Questa Corte ha, altresì, precisato che «la motivazione è solo apparente, e la sentenza è nulla perché affetta da error in procedendo, quando, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture» (Cass., sez. un., n. 22232 del 2016; v. anche Cass. n. 9105 del 2017, secondo cui ricorre il vizio di omessa motivazione della sentenza, nella duplice manifestazione di difetto assoluto o di motivazione apparente, quando il Giudice di merito ometta di indicare, nella sentenza, gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento ovvero indichi tali elementi senza una approfondita disamina logica e giuridica, rendendo in tal modo impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del suo ragionamento). In questo caso, la motivazione esiste, risulta ampia, logica,chiara, priva di contraddizioni e convincente, e raggiunge quindi il c.d. “ minimo costituzionale “ , consentendo il controllo sul percorso logico– giuridico svolto;

Il quinto motivo si incentra – sempre in relazione alla realità della fornitura di materiale ferroso oggetto delle operazioni di fatturazione per cui è processo – sull’omesso esame di plurimi fatti decisivi per il giudizio, per avere la CTR sistematicamente ho messo di esaminare una pluralità di fatti che autonomamente e coralmente considerati portavano alla univoca conclusione secondo la quale le forniture di materiale ferroso da parte della G. STEEL s.r.l. erano state inequivocabilmente effettuate.

Il motivo è inammissibile per due ragioni.

In primo luogo, trattandosi di cd. sentenza “doppia conforme” e di ricorso per cassazione introdotto dopo la data dell’11.9.2012, l’impugnazione di legittimità, a norma dell’art. 348 ter cpc, è ammessa esclusivamente per i motivi di cui all’art. 360, comma 1, n. 1, 2, 3 e 4, c.p.c, qualora l’impugnazione sia proposta verso la sentenza d’appello che confermi (come nel caso in esame) la decisione di primo grado per le stesse questioni, inerenti alle questioni di fatto, poste alla base della decisione appellata (v., per tutte, Cass. sez. un. n. 8053 del 2014 rv 629831 e successive conformi). Secondariamente, fermo restando che dalla pronuncia impugnata risulta con chiarezza come tutte le circostanze che si assumono pretermessa abbiano in realtà formato oggetto di esame da parte dei giudici dell’appello, il motivo della sua concreta formulazione risulta riproporre questioni sostanzialmente di merito relative alla valutazione degli elementi di prova dedotti, operazione che non è consentita a questa Corte di Legittimità.

Il sesto motivo censura la pronuncia impugnata per omessa pronuncia su una specifica eccezione, dolendosi della violazione dell’art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 360 c. 1 n. 4 c.p.c. per non aver la CTR – una volta ritenute le fatture di acquisto emesse dalla G. STEEL s.r.l. del tutto inesistenti – affrontato ed accolto la domanda gradata di riduzione dei ricavi dichiarati dalla società contribuente per un importo almeno pari ai costi ritenuti inesistenti; tale motivo può esaminarsi congiuntamente con il settimo motivo, che deduce la violazione dell’art. 8c. 2 del d.L. n. 16 del 2012 in relazione all’art. 360 c. 1 n. 3 c.p.c., al quale è logicamente e giuridicamente connesso; detti motivi sono entrambi infondati in quanto privi di decisività.

Come questa Corte ha più volte precisato con specifico riferimento all’ art. 8, comma 2, d.l. 2 marzo 2012, n. 16, invocato dalla parte ricorrente,con orientamento, al quale si intende dare continuità, si è recentemente chiarito che con riguardo ad operazioni oggettivamente inesistenti,grava sul contribuente l’onere di provare la natura fittizia dei componenti positivi del reddito che – ai sensi dell’art. 8, comma 2, del d.L. n. 16 del 2012, conv., con modif., dalla L . n. 44 del 2012 – siano direttamente afferenti a spese o ad altri componenti negativi relativi a beni e servizi non effettivamente scambiati o prestati e non devono pertanto concorrere alla formazione del reddito oggetto di rettifica,entro i limiti dell’ammontare non ammesso in deduzione delle predette spese o altri componenti negativi (Cass. 19/12/2019, n. 33915). E’ stato infatti ribadito (Cass. 19/12/2019, n. 33915, cit., in motivazione, al punto 12.2) che “secondo il consolidato indirizzo di questa Corte, anteriormente all’entrata in vigore dell’art. 8 del d .L . n. 16 del 2012, convertito dalla L. n. 44 del 2012, sia in materia di accertamento dell’ IVA sia in materi di accertamento ai fini delle imposte dei redditi, qualora l’Amministrazione, ritenendo fittizia — oggettivamente o soggettivamente — un’operazione di acquisto, ne avesse recuperato a tassazione i relativi costi, non avrebbe dovuto correlativamente ridurre i ricavi, non sussistendo alcun automatismo tra la ritenuta fittizietà dell’operazione e tale riduzione” .

L’Amministrazione non aveva pertanto l’obbligo di escludere, in proporzione, i ricavi esposti dallo stesso contribuente, né era tenuta ad accertare la dichiarazione nella sua interezza, potendo limitarsi ad analizzare l’esistenza dei costi dichiarati (Cass. n. 17729 del 30/7/2009; Cass. n. 3267 del 2/3/2012).

L’art.8, comma 2, del d. L. n. 16 del 2012, come convertito nella legge n.44 del 2012 ha effettivamente stabilito, con riguardo alle operazioni oggettivamente inesistenti, che i componenti positivi direttamente afferenti a spese o altri componenti negativi relativi a beni o servizi non effettivamente scambiati o prestati, non concorrono alla formazione del reddito oggetto di rettifica, entro i limiti dell’ammontare non ammesso in deduzione delle predette spese (Cass. n. 27040 del 19/12/2014; Cass. n. 25967 del 20/11/2013; Cass. n. 7896 del 20/4/2016). In siffatte ipotesi, peraltro, grava sul contribuente l’onere di provare che i componenti positivi, che si duole abbiano nell’accertamento concorso alla formazione del reddito, siano anch’essi fittizi, perché ricavi «correlati», ossia direttamente afferenti a spese o ad altri componenti negativi relativi a beni o servizi non effettivamente scambiati o prestati (Cass. 25967/13 cit.).

Nel caso in esame, però, la ricorrente ha contestato, nel merito, la stessa natura fittizia delle operazioni in questione; pertanto non può comunque ritenersi che abbia offerto prova della inesistenza dei relativi ricavi conseguiti, che si intendono assumere come generati dai costi oggetto di recupero, non risultando sufficiente a tale fine la mera indicazione di alcune fatture (peraltro non identificate, mancandone l’indicazione quantomeno della data di emissione, del numero e dell’importo recato) emesse nei confronti di ECOWARE s.r.l. a costituire né allegazione puntuale di ricavi inesistenti né loro dimostrata correlazione con i costi ritenuti fittizi. Quindi, anche a ritenere effettivamente non presa in esame la questione posta con i motivi, gli stessi non possono trovare accoglimento perché, anche in caso di regolare puntuale scrutini o, la pronuncia gravata non avrebbe potuto produrre diverso esito del giudizio.

L’ottavo motivo di ricorso si duole nuovamente della motivazione irrimediabilmente apparente della sentenza impugnata denunciando la violazione dell’art. 36 c. 2 del d.Lgs. n. 546 del 1992 e dell’art. 132 c. 1n. 5 c.p.c. per non avere il giudice dell’appello indicato quali fossero gli elementi di fatto che lo avevano portato a concludere che quanto osservato dai funzionari dell’agenzia delle entrate di Foggia il giorno 13 Aprile 2017 giorno di inizio della verifica nei confronti della società G. STEEL s.r.l. emittente le fattura oggetto di rilievo fosse valido anche per il precedente hanno 2012, anno nel quale risultano emesse le fatture sospettate di oggettiva inesistenza.

Il motivo è all’evidenza infondato.

La CTR, come si evince dalla lettura della pronuncia impugnata, ha in realtà ben indicato in motivazione in modo del tutto analitico (da pag. 6 secondo capoverso, in avanti) una serie di importanti circostanze indiziarie atte a dar prova dell’inesistenza di tale società, quali:

il fatto che presso la sede legale non c’era nessuna indicazione relativa alla società pur risultando la stessa ancora in attività all’atto della verifica;

il mancato reperimento del deposito il cui contratto di locazione era risolto con decorrenza 18 Febbraio 2012; la mancata attivazione di utenze intestate alla società emittente le fatture, come accettato per mezzo dell’anagrafe tributaria;

la circostanza che nel 2012 – proprio l’anno oggetto del controllo – la G. STEEL s.r.l. aveva soli 45 clienti e un imponibile di oltre 5 milioni di euro a fronte di acquisti per soli circa 11.000 euro;

l’indicazione della dichiarazione iva per il 2012 di un volume di affari di oltre 6 milioni di euro a fronte di acquisti per oltre6 milioni e 500.000 di euro i costi per circa 5 milioni di euro;

la presentazione delle dichiarazioni fiscali solo per gli anni 2011 e 2012 a fronte di nessun versamento di imposte;

la produzione da parte della società in argomento di fatture di acquisto emesse da società alle quali a loro volta sono risultate essere evasori totali;

la sussistenza in capo a G. STEEL s.r.l. di una situazione costantemente a credito nelle liquidazioni periodiche iva e l’applicazione di un ricarico del 13% ben al disotto di quello minimo che risulta dallo studio di settore compilato per l’anno 2012.

Orbene, tutti tali numerosi e significativi elementi indiziari possono collocarsi in tutto o in parte, nella loro venuta a esistenza, proprio nel 2012, anno nel quale sono state emesse le fatture ritenute dall’Ufficio oggettivamente inesistenti e costituiscono elementi presuntivi gravi, precisi e concordanti a favore della pretesa erariale; essi sono ben illustrati e chiaramente valutati in sede di motivazione della sentenza impugnata.

Il nono motivo si incentra nuovamente sulla omessa motivazione o sulla motivazione irrimediabilmente apparente denunciando la violazione dell’art. 36 c. 2 del d.Lgs. n. 546 del 1992 e dell’art. 132 c. 1n. 5 c.p.c. sempre in relazione alla natura di “cartiera” della società G. STEEL s.r.l.; in esso si sostiene che il giudice dell’appello non ha mai visionato i contratti di locazione sia quello relativo al deposito sia quello riferito all’area scoperta poiché gli stessi non sono stati depositati dall’Agenzia delle entrate nel corso dell’intero giudizio quantunque la difesa della società contribuente ne avesse chiesto la produzione.

Il motivo è evidentemente inammissibile; esso, infatti così come è formulato, costituisce denuncia di vizio sostanzialmente revocatorio che denuncia la mancata presenza nel fascicolo processuale che non sarebbe stata rilevata dal giudice dell’appello per difetto di percezione della stessa. L’affermazione contenuta nella sentenza circa l’inesistenza, nei fascicoli processuali (d’ufficio o di parte), di un documento che, invece, risulti esservi incontestabilmente inserito (o viceversa – specularmente sul piano logico – l’affermazione circa l’esistenza in tali fascicoli di un documento che invece risulti non esser stato prodotto) non si concreta in un errore di giudizio, bensì in una mera svista di carattere materiale, costituente errore di fatto e, quindi, motivo di revocazione a norma dell’art. 395 c.p.c., n. 4, e non di ricorso per cassazione. (Cass. n. 9628/1994; Cass. n. 3074/1998; Cass. n. 11196/2007; Cass. n. 19174/2016;Cass. n. 29634/2019; Cass. n. 23094 del 2020).

Il decimo motivo deduce, ancora e sotto altro profilo, la omessa motivazione o quantomeno la motivazione irrimediabilmente apparente della sentenza impugnata denunciando la violazione dell’art. 36c. 2 del d. Lgs. n. 546 del 1992 e dell’art. 132 c. 1 n. 5 c.p.c. per avere il giudice dell’appello con riguardo all’elemento indiziario relativo alla mancata attivazione di utenze intestate alla G. STEEL s.r.l., mancato di motivare sulla circostanza che la sede legale della ridetta società era ubicata presso uno studio professionale e quindi non abbisognava di alcuna utenza ad essa intestata.

Il motivo è palesemente infondato.

Invero, la CTR ha rilevato come “nelle sedi dichiarate non sono mai state attivate utenze intestate alla G. Steel”, con ciò dando atto di aver esaminato non solo la sussistenza o meno di utenze presso la sede legale ubicata presso lo studio professionale ma anche l’esistenza di altre utenze; orbene, se è evidente che il difetto di utenze in capo alla sede posta nello studio professionale nulla dice in sé, è altrettanto evidente che il difetto di utenze tout court è invece elemento indiziario significativo dell’inesistenza della società e come tale è stato oggetto di valutazione da parte della sentenza impugnata, non potendo ammettersi sul piano logico prima che giuridico che una società che fornisce materiale ferroso non utilizzi affatto energia elettrica nel proprio processo produttivo.

L’undicesimo motivo torna a dolersi dell’omessa motivazione o quanto meno della motivazione irrimediabilmente apparente per avere il giudice dell’appello, facendo letteralmente proprie le affermazioni dell’Agenzia delle entrate ridotte nel giudizio, omesso di spiegare quale sia la relazione tra i dati riportati a pag. 6 al punto 4 della sentenza e la conclusione raggiunta in ordine alla inesistenza della G. STEEL s.r.l.

Il motivo è all’evidenza infondato.

Invero, osserva il Collegio che la semplice piana esposizione dei dati numerici sopra riportati introduce nel processo elementi indiziari di adeguato peso e rilevanza idonei a far sospettare di inesistenza la G. STEEL s.r.l.

Nel dettaglio, aver sostenuto acquisti per circa 11.000 euro e venduto merce per un imponibile di quasi sei milioni di euro è circostanza talmente “originale” (per non dire priva di logica spiegazione dal punto di vista dell’equilibrio imprenditoriale) da risultare “ictu oculi” sospetta, specie per una impresa che vende materiale ferroso, per il quale deve escludersi prima sul piano logico poi su quello giuridico che possa sussistere un divario così spropositato tra l’ammontare degli acquisti e quello delle vendite; inoltre, le discordanze rilevate tra quanto indicato come volume di affari e acquisti e quanto indicato ai fini degli studi di settore quanto a ricavi e costi, in difetto di qualsiasi idonea spiegazione alta giustificare tali divaricazioni, costituiscono ulteriore elemento indiziario rafforzativo dell’argomentazione dell’Amministrazione finanziaria , in quanto di per sé significative di una gestione della società fornitrice dei beni del tutto avulsa da parametri di sana ed equilibrata gestione dell’attività d’impresa. In particolare, le differenze tra le informazioni comunicate all’Ufficio in sede di dichiarazione rispetto a quelle note all’Amministrazione per mezzo di differenti banche dati – sempre alimentata da informazioni trasmesse dai contribuenti – fornisce una percezione dell’attività d’impresa i cui dati rilevanti per la determinazione dei tributi sono privi di logica, risultando tra di loro del tutto disomogenei anche ove si riferiscono a grandezze che in situazioni di normalità non possono differire in misura così ampia, come ad esempio il volume d’affari rispetto all’ammontare dei ricavi.

Tali due grandezze, nel presente caso, ben lungi dall’esser prossime se non quasi eguali, differiscono per quasi 600.000 euro, senza che sul punto, come per le altre evidenti discrasie e illogicità, la società contribuente abbia fornito alcuna spiegazione. Ancora,anche l’indicazione di un importo per acquisti di quasi 400.000 euro superiori al volume d’affari, che potrebbe astrattamente giustificarsi con una precisa scelta imprenditoriale di incremento delle rimanenze – che l’Agenzia delle Entrate effettivamente non indica nell’individuare i valori che risultano “sospetti” – non è stato neppure in questa sede di Legittimità oggetto di alcuna spiegazione da parte di S.s.r.l., che non ha affatto fornito alcuna giustificazione in ordine alle ragioni che hanno portato a registrare tale ammontare. Tutti questi elementi, per le ragioni che sopra si sono riportate, risultano significativi – come uno “speaking silence” lo è nel common law – di per sé nella loro portata indiziaria, senza che sia stato quindi necessario per la soffermarvisi nella loro più analitica illustrazione.

Il dodicesimo motivo ulteriormente deduce l’omessa motivazione o quante meno la motivazione irrimediabilmente apparente, denunciandola violazione dell’art. 36 c. 2 del d.Lgs. n. 546 del 1992 e dell’art. 132 c. 1 n. 5 c.p.c. , per avere la CTR omesso in toto l’indicazione all’esame di qualsiasi elemento fattuale atto a giustificare il passaggio motivazionale relativo alla titolarità in capo a G. STEEL s.r.l. di un solo automezzo.

Il motivo è evidentemente infondato.

In realtà, risulta evidente come, a fronte di cessioni di materiale ferroso per il rilevantissimo importo di cui si discute, l’elemento indiziario consistente nella disponibilità di un solo automezzo in capo alla società fornitrice tale materiale è di per sé significativo, sia pure in sede indiziaria,dell’inesistenza della stessa .

A fronte di ciò – diversamente da quanto si deduce nel motivo – era onere della società contribuente fornire prova della circostanza, di segno opposto all’indizio sopra riportato, per cui le consegne erano operate direttamente dai clienti o attraverso autotrasportatori terzi, non potendo certo tale onere gravare sull’Ufficio, né potendo ora la società contribuente dolersi del mancato esame di tale circostanza di segno opposto che non risulta sia stata dedotta nei gradi del merito.

Il motivo contiene poi un secondo profilo di doglianza con il quale si censurala pronuncia impugnata per apparenza nella motivazione non avendo da un lato la CTR esaminato i documenti reperiti presso la G. STEEL s.r.l., né il bilancio annuale né la dichiarazione annuale dei redditi e dell’Iva nell’elenco fornitore della stessa (perché mai prodotti in causa dell’Ufficio), dall’altro affermato che tale società non avrebbe sostenuto costi per l’acquisto di carburanti e spese di manutenzione del veicolo.

Anche tale profilo non può trovare accoglimento.

Dal momento che parte ricorrente sostiene che nei vari fascicoli processuali l’Agenzia delle Entrate non ha depositato i documenti che erano stati reperiti, nel censurare come impossibile la valutazione pure fattane dalla CTR si deduce in sostanza un vizio revocatorio della sentenza, che si fonderebbe su un errore di percezione in ordine alla presenza nel processo di ciò che non vi è mai entrato.

Il tredicesimo motivo censura la pronuncia impugnata ancora per motivazione apparente, denunciando la violazione dell’art. 36 c. 2 del d.Lgs. n. 546 del 1992 e dell’art. 132 c. 1 n. 5 c.p.c. , per non avere la CTR verificato quanto affermato dall’Ufficio riguardo al mancato versamento di imposte da parte di G. STEEL s.r.l. per gli anni 2011e 2012 .

Il motivo è chiaramente inammissibile, in quanto richiede a questa Corte un accertamento in fatto che è riservato ai gradi di merito e che è precluso in sede di Legittimità.

Il quattordicesimo motivo torna a dolersi della motivazione apparente della sentenza impugnata denunciando la violazione dell’art. 36 c. 2 del d. Lgs. n. 546 del 1992 e dell’art. 132 c. 1 n. 5 c.p.c. per avere la CTR fatto proprie le ragioni dell’Ufficio quanto alla produzione da parte di G. STEEL s.r.l. di fatture di acquisto emesse da altre società, evasori totali che non avevano neppure comunicato l’esistenza di tali rapporti commerciali all’Amministrazione Finanziaria senza manifestare quindi la sentenza gravata l’iter logico giuridico seguito quanto all’esistenza dei comportamenti illeciti dei fornitori di G. STEEL s.r.l.

Tale motivo è inammissibile in quanto del tutto disconnesso dalla ratio decidendi della pronuncia impugnata.

Essa invero non si fonda su alcun comportamento illecito dei fornitori di G. STEEL s.r.l., evasori totali, ma valorizza in motivazione la natura di evasori totali di tali fornitori per avvalorare, sul piano indiziario,l’inesistenza delle operazioni di cessione di materiale ferroso contestate,in quanto ben può dubitarsi dell’esistenza di tali cessioni a S. s.r.l. da parte di G. STEEL s.r.l. ove quest’ ultima abbia per prima sostenuto – come in effetti sostiene – di aver acquistato quanto ceduto da soggetti che si sono rivelati inesistenti per l’Amministrazione Finanziaria. Tali soggetti, in quanto sconosciuti all’Erario, restano quindi del tutto inconoscibili – e quindi fittizi – nella loro effettiva realtà economica e le cui cessioni a G. STEEL s.r.l. restano impalpabili quanto la loro stessa esistenza.

Il quindicesimo motivo, ancora, censura la motivazione della pronuncia impugnata che ritiene omessa o quantomeno apparente denunciando la violazione dell’art. 36 c. 2 del d. Lgs. n. 546 del 1992 e dell’art. 132 c. 1 n. 5 c.p.c. per non avere la CTR verificato le affermazioni dell’Amministrazione Finanziaria quanto alla posizione di G. STEEL s.r.l. rispetto agli obblighi in tema di studi di settore e al ricarico applicato.

Il motivo è inammissibile; esso, infatti, nel ritenere la conclusione della CTR sul punto “in contrasto con i fatti concreti in atti”, sollecita la Corte a un riesame del merito non consentito in questa sede di Legittimità.

Il sedicesimo motivo di ricorso deduce l’omesso esame di fatti decisivi per il giudizio ex art. 360 c. 1 n. 5 c.p.c. per avere la CTR mancato di esaminare una serie di indici (quali elementi di fatto, analiticamente indicati alle pag. 50, 51 e 52 del ricorso per cassazione ) percepibili all’esterno dai quali doveva desumersi l’esistenza e l’operatività di G. STEEL s.r.l.

Il motivo è in primo luogo inammissibile in quanto, trattandosi di cd. sentenza”doppia conforme” e di ricorso per cassazione introdotto dopo la data dell’11.9.2012, l’impugnazione di legittimità, a norma dell’art. 348 ter cpc, è ammessa esclusivamente per i motivi di cui all’art. 360, comma1, n. 1, 2, 3 e 4, cpc, qualora l’impugnazione sia proposta verso la sentenza d’appello che confermi (come nel caso in esame) la decisione di primo grado per le stesse questioni, inerenti alle questioni di fatto, poste alla base della decisione appellata (v., per tutte, Cass. sez. un. n. 8053 del 2014 rv 629831 e successive conformi).

In ogni caso, il motivo è comunque privo di fondamento.

Questa Corte anche a Sezioni Unite ha invero ritenuto che, tramite il nuovo art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, il legislatore ha introdotto nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo,vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia (ex plurimis , Cass. Sez. U n ., 07/04/2014, n. 8053,e successive conformi tra le quali, tra le più recenti, anche Cass. sez. 2, 29/10/2018, n. 27415). Per cui l’eventuale omesso esame di prove logiche o anche documentali non può mai integrare il vizio dedotto; nella giurisprudenza di legittimità (cfr. Cass. n. 12609 del 2021) si evidenzia – poi – anche la centralità del riferimento ad un fatto storico (principale o secondario), precisandosi che l’omesso esame di elementi istruttori, in quanto tale, non integra l’omesso esame circa un fatto decisivo previsto dalla norma, quando il fatto storico rappresentato sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché questi non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie astrattamente rilevanti (Cass., Sez. Un., n. 19881 del 2014) .

Il diciassettesimo motivo si incentra sul difetto di giurisdizione delle commissioni tributarie e sulla illegittimità costituzionale dell’art. 2 del d.Lgs. n. 546 del 1992 nella parte in cui consente al giudice tributario – giudice specializzato, non ordinario – di irrogare sanzioni aventi natura penale, in contrasto con l’art. 102 c. 2 Cost. e con la VI disposizione transitoria della Carta fondamentale come integrate dall’art.7 della Convenzione EDU ai sensi dell’art. 117 c. 1 Cost. e della legge di ratifica di detta Convenzione.

Ritiene il ricorrente, in sintesi, che l’irrogazione in capo alla società contribuente della sanzione pari al 100% delle maggiori imposte accertate per 1.824.417,00 euro, (poi ridetta dalla CTP al 90%) costituisca irrogazione di una sanzione sostanzialmente penale la cui applicazione urta da un lato contro i principi di diritto internazionale espressi dalle disposizioni sopradette , dall’altro contro la riserva di giurisdizione di cui all’art. 102 Cost.

Il motivo è evidentemente privo di fondamento nelle sue due articolazioni.

Quanto al denunciato difetto di giurisdizione, va rilevato che allorché il giudice di primo grado abbia pronunciato nel merito affermando, anche implicitamente, la propria giurisdizione e le parti abbiano prestato acquiescenza, non contestando la relativa sentenza sotto tale profilo, non è consentito al giudice della successiva fase impugnatoria rilevare d’ufficio il difetto di giurisdizione, trattandosi di questione ormai coperta dal giudicato implicito (vedi in tal senso tra le altre Cass., Sez. L. n. 6966/2013; Cass., Sez. U., n. 10265/2018; Cass., Sez. L., n. 2605/2018). Nella specie, essendosi il giudice di primo grado pronunciato nel merito e non avendo la questione di giurisdizione formato oggetto di motivo di appello, deve ritenersi formato il giudicato implicito sulla giurisdizione tributaria. Nessun profilo di incostituzionalità si pone con riguardo alla giurisdizione del giudice tributario – giudice specializzato per materia, differente dal punto di vista della collocazione costituzionale e per articolazione ordinamentale dal giudice ordinario, ma nondimeno rispondente alla Carta fondamentale nella titolarità della giurisdizione tributaria ex art. 2 d. Lgs. n. 546 del 1992 – e alla su a piena conformità alla Costituzione quanto all’esercizio del potere sanzionatorio. Tale potere risulta discendere dalla potestà di sancire la legittimità degli atti sottoposti alla giurisdizione del giudice tributario, senza che dalla dosimetria delle sanzioni pecuniarie possa desumersi – secondo i noti Engels criteria – la loro natura sostanzialmente penale: si tratta invero di sanzioni formalmente e sostanzialmente amministrative, consistenti in una determinata somma di denaro da versarsi da parte del contribuente.

Quanto alla violazione del divieto di ne bis in idem, rileva il Collegio che non vi è alcun elemento in atti – né nella sentenza impugnata, né viene neppure dedotto in ricorso – atto a dimostrare l’esistenza dell’elemento fondamentale per l’applicazione del principio internazionale del ne bis in idem, principio internazionale originariamente consuetudinario, che è stato poi espresso dalle norme di cui all’art. 4 Protocollo 7 Convenzione Europea dei Diritto dell’Uomo, nonché sull’art. 50 Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea, vale a dire la sottoposizione della parte ricorrente (o del suo legale rappresentante) ad altro processo sanzionatorio, quale un procedimento penale.

Ciò rende quindi irrilevante (o comunque inconferente) ogni considerazione in ordine all’applicabilità o meno al presente giudizio dell’art.1 della L. n. 212 del 2000, come modificato dal d. Lgs. n. 219 del 2023 , oggetto di considerazioni della difesa della società contribuente in sede di discussione di fronte al Collegio.

Il principio surrichiamato, come è noto, non trova un riconoscimento costituzionale espresso; cionondimeno viene considerato pacificamente un principio immanente nel nostro ordinamento, che trova fondamento in alcuni principi G.i quale quello di ordine pubblico,poiché a seguito di una sentenza definitiva si deve garantire la certezza dei rapporti giuridici, nonché nel diritto civile e politico del cittadino a non essere sottoposto ad un secondo processo avente per oggetto sanzioni sensibilmente afflittive in presenza di una posizione ormai consolidata. In questo quadro ordinamentale il divieto di bis in idem è, altresì, ancorato ad altri principi cardine del nostro sistema penale,quali il giusto processo (art. 111 Cost.), così come il diritto di difesa(art. 24 Cost.), nonché la finalità rieducativa della pena (art. 27, comma3 Cost.) e la ragionevole durata del processo (art. 117 Cost. co. 1 e art. 6 CEDU). Va poi rilevato che il divieto del bis in idem non opera ex se rispetto agli atti impositivi in quanto postula, anche in virtù dei principi enunciati dalla Corte europea dei diritti dell’uomo e dalla Corte costituzionale, che un soggetto sia stato sottoposto a processo o al procedimento penale e che, per conseguire effetti deterrenti, gli sia stata irrogata un’ulteriore misura, finalizzata alla punizione del medesimo fatto, che, al di là della qualificazione giuridica operata dalla legislazione nazionale, sia da ritenere di natura penale per la gravità delle conseguenze da essa derivanti: detti caratteri sono ascrivibili in via automatica alla pretesa impositiva, atteso che con essa l’Amministrazione finanziaria si limita a recuperare l’imposta non versata (Cass., 5 ottobre 2018, n. 24470; 1 aprile 2021, n. 9077).

In ogni caso, quindi, considerando l’irrogazione delle sanzioni tributarie che qui rilevano, la fattispecie esaminata non importa alcuna violazione del principio poiché non vi sono elementi atti a far ritenere che tali sanzioni siano un doppione di altre sanzioni irrogate in altri procedimenti,inclusi quelli penali tradizionalmente intesi. Alla luce delle sopradette considerazioni, poiché deve escludersi – non applicandosi i criteri c.d. “ Engels “ alla presente fattispecie, in cui non è provato né dedotto sia stata parte ricorrente sottoposta ad altro analogo procedimento sanzionatorio (penale o altro) – la natura penale delle sanzioni irrogate nella pur severa misura del 100% , va parimenti disattesa l’eccezione di illegittimità costituzionale anche nei termini in cui è riproposta nella parte finale del motivo.

Il diciottesimo e il diciannovesimo motivo sono da esaminarsi congiuntamente in quanto riguardano doglianze relative alla violazione dell’esercizio del diritto di difesa da parte del contribuente in sede procedimentale poiché secondo la società l’Amministrazione avrebbe dovuto invitare la società a fornire le opportune spiegazioni e metterla al corrente delle fonti di “innesco” dell’attività di accertamento – vale a dire delle risultanze dei PVC redatti nei confronti dei fornitori di G. STEEL s.r.l. e dei 47 allegati al PVC redatto nei confronti della ridetta G. STEEL s.r.l. – con la conseguente inidoneità della motivazione dell’atto impositivo impugnato a dar conto dei presupposti di fatto e diritto posti a suo fondamento e la connessa violazione del diritto al contraddittorio, al giusto processo e alla parità delle armi in capo alla società contribuente.

In dettaglio, il diciottesimo motivo denuncia la violazione dell’art. 7 L. 212 del 2000, dell’art. 42 , dell’art.42 c. 2 del d.P.R. n. 600 del 1973 e dell’art. 56 c. 5 del d.P.R. n.633 del 1972 ala luce dell’art. 41 e dell’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea in relazione all’art. 360 c. 1 n. 3 c.p.c.; il diciannovesimo motivo denuncia la nullità della sentenza e del processo per violazione del diritto di difesa sotto il profilo della mancanza di effettivo contraddittorio, mancanza di “parità delle armi” e mancato rispetto del diritto del contribuente un processo “equo”, quali violazioni dell’art. 4 7 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea e dell’art. 111 Cost., in relazione all’art. 360 c. 1 n.4 c.p.c.

Le censure sono infondate.

Dev’essere reiterato l’insegnamento della Corte di Giustizia secondo il quale il diritto del contribuente all’accesso alle informazioni sottostanti l’emissione dell’atto impugnato riguarda quelle che possano essere utili alla sua difesa (CGUE 16 ottobre 2018, causa C – 189/18, Glencore , citata nella memoria ), ed è la stessa giurisprudenza eurounitaria ad affermare – correttamente interpretata – che il rispetto del diritto di difesa non costituisce una prerogativa assoluta, ma può essere assoggettato a restrizioni, in particolare in ambito tributario (in termini CGUE 9 novembre 2017, causa C – 298/16, Ispas, punto 35), ove occorre tutelare ulteriori interessi, come la vita privata di terzi e la stessa efficacia dell’azione repressiva, interessi meritevoli di tutela e che possano essere pregiudicati dall’accesso indiscriminato.

 In tal senso è anche la giurisprudenza della Sezione, che ha di recente ribadito (Cass. n. 34044 del 2023) come in tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, il diritto di accesso alle informazioni sottostanti l’emissione dell’atto impugnato può essere esercitato solo se, e nella misura in cui , sia strumentale all’esercizio del diritto di difesa, che può dirsi violato ove il contribuente illustri come ed in che termini la tempestiva ostensione degli elementi di fatto a lui favorevoli, e non contenuti negli atti impositivi impugnati, avrebbe potuto influenzare l’esito dell’accertamento nei propri confronti (Cass. Sez.5, Sentenza n. 36852 del 15/12/2022). Nel presente caso, l ‘onere non è stato assolto, non avendo neppure in questa sede di Legittimità la parte ricorrente evidenziato e dedotto quale pregiudizio concreto essa ha subito dalla mancata conoscenza de i rilievi contenuti nei PVC redatti nei confronto dei fornitori di G. STEEL s.r.l. e le doglianze in disamina non possono conseguentemente essere accolte perché la statuizione della CTR sulla motivazione dell’atto impositivo è in linea G. e conforme al quadro legale delineato dalla giurisprudenza della Corte d i cassazione e della Corte di Giustizia di cui si è dato conto. Inoltre,è ancorata in concreto alla fattispecie e al quadro istruttorio raccolto nel processo, attraverso precisi riferimenti individuati in sentenza e non utilmente censurabili in sede di legittimità nei termini proposti nelle due censure in disamina, in cui non è stato nemmeno dedotto il vizio motivazionale della sentenza impugnata , nei limiti in cui può essere fatto valere.

In tale contesto, il diritto di accedere a tutti gli atti del procedimento amministrativo di controllo risulta strumentale all’esercizio del diritto di difesa dei soggetti i cui interessi possono essere lesi dall’adozione di una decisione da parte dell’Amministrazione finanziaria ( ancora C GUE , 16 ottobre 2019, causa C – 189/18, Glencore; C GUE , 4 giugno 2020, causa C – 430/19, C.F.; C GUE , 9 novembre 2017, causa C – 298/16, Ispas), sicché, anche in questa sede, va precisato nel suo contenuto concreto come diritto che non costituisce una prerogativa assoluta e va garantito nei limiti in cui siano presenti non solo finalità di difesa delle ragioni del contribuente ma anche obiettivi di interesse generale.

Va ricordato che dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia (cfr. sentenze: 3.7.2014, in causa C-129 e C/130/13, Kamino International Logistics; 22.10.13, in causa C-276/12, Jiri Sabou; 18.12.08, in causa C-349/07, Sopropè ; 12.12.02, causa C – 395/00, Soc. Distillerie Cipriani; 21.9.00, in causa C-462/98 P. Mediocurso c. Commissione; 4.10.96, in causa C-32/95 Lisrestat ) emerge che il rispetto del contraddittorio nell’ambito del procedimento amministrativo, non escluso quello tributario, costituisce, quale esplicazione del diritto alla difesa, principio fondamentale dell’ordinamento Europeo, che trova applicazione ogniqualvolta l’Amministrazione si proponga di adottare nei confronti di un soggetto un atto ad esso lesivo, sicché il destinatario di provvedimento teso ad incidere sensibilmente sui suoi interessi deve, pena la caducazione del provvedimento medesimo, essere messo preventivamente in condizione di manifestare utilmente il suo punto di vista in ordine agli elementi sui quali l’amministrazione intende fondare la propria decisione (cfr., in particolare, la decisione 18.12.08, in causa C-349/07, Sopropè, punti 36 e 37). Tale principio è attualmente codificato nell’art. 41 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea. Nel garantire il diritto ad una buona amministrazione, la disposizione (che avendo assunto il medesimo valore giuridico dei trattati, solo con l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona avvenuta l’1 dicembre 2009, è, di per sé, ratione temporis, applicabile solo ai procedimenti amministrativi conclusisi con provvedimenti successivi alla data suddetta), prevede, al 2, che, nell’ambito del menzionato diritto, va, tra gli altri, ricompreso “il diritto di ogni persona ad essere ascoltata prima che nei suoi confronti venga adottato un provvedimento individuale che le rechi pregiudizio” (cfr. CGUE22 ottobre 13, in causa C-276/12, Jirì Sabou; 3.7.2014, in causa C-129 e C^130/13, Kamino International Logistics).

Il principio dell’obbligatorietà del contraddittorio endoprocedimentale non è, tuttavia, assunto dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia in termini assoluti e puramente formali, posto che anche i diritti fondamentali, quali il diritto di difesa, non danno vita a prerogative incondizionate, potendo soggiacere a restrizioni, che rispondano, con criterio di effettività e proporzionalità, ad obiettivi di interesse G.e (cfr. CGUE 3 luglio 2014, in cause C – 129 e C – 130/13, Kamino International Logistics; 26 settembre 2013, in C – 418/11, Texdata Software). Al riguardo, si è puntualizzato, con specifico riferimento a procedimento tributario, che l’obbligo del contraddittorio non investe l’attività d’indagine e di acquisizione di elementi probatori anche testimoniali svolta dall’Amministrazione fiscale, essendosi specificamente affermato che “l’Amministrazione, quando procede alla raccolta d’informazioni, non è tenuta ad informarne il contribuente né a conoscere il suo punto di vista” (CGUE 22 ottobre 13, in causa C – 276/12, Jiri Sabou: punto 41). E’ stato, inoltre, riconosciuto (CGUE 3 luglio 2014, cause C-129 e C-130/13, Kamino International Logistics, punto 55, nonché 26.9 . 2013, in C – 418/11, Texdata Software , punto 85) – con ciò già ripudiandosi una lettura meramente formalistica del principio dell’obbligatorietà del contraddittorio endoprocedimentale) – che la possibilità di un’audizione successiva, effettuata in esito ad impugnazione di provvedimento sfavorevole, può essere idoneo a garantire il rispetto del diritto ad essere sentiti, seppur alla condizione che la normativa nazionale consenta all’interessato non previamente sentito, di ottenere in via automatica la sospensione dell’esecuzione del provvedimento fino alla sua eventuale riforma.

Si è, soprattutto, affermato (in prospettiva che richiama il pragmatico canone giuspubblicistico della strumentalità delle forme) che – avendo il giudice nazionale, in ogni caso, l’obbligo di garantire la piena effettività del diritto dell’Unione -il riscontro di una violazione dei diritti di difesa, in particolare del diritto ad essere sentiti prima dell’adozione di provvedimento lesivo, determina l’annullamento dell’atto adottato al termine del procedimento amministrativo soltanto se, in mancanza di tale irregolarità, detto procedimento “avrebbe potuto comportare un risultato diverso” (CGUE 3 luglio 2014, in causa C – 129 e C – 130/13, Kamino International Logistics, punti 78 – 82 e la precedente giurisprudenza ivi richiamata). In altri e più stringati termini, la tutela della piena informazione del contribuente è strumentale, non soltanto all’esercizio del diritto di difesa, ma anche al buon andamento della Pubblica Amministrazione inteso come corretto funzionamento del procedimento di controllo, anche con riguardo alle modalità di partecipazione allo stesso da parte del contribuente . Si mira ad assicurare una tutela effettiva della persona o dell’impresa coinvolta e questo diritto dev’essere garantito anche in assenza di un’espressa disposizione che lo preveda perché il principio in esame consente all’autorità fiscale di tenere in considerazione tutti gli elementi che, in concreto, emergono dal confronto dialettico col soggetto passivo e, inoltre, permette a quest’ultimo di correggere eventuali errori commessi o, in alternativa, di fornire elementi relativi alla sua situazione, suscettibili di incidere (direttamente o indirettamente) sulla decisione finale dell’autorità che ne occupa. E’ ben vero che    l’art. 41 CEDU , rubricato “diritto ad una buona amministrazione”, dev’essere quindi rispettato dalle istituzioni, dagli organi e organismi dell’Unione ma non anche dagli Stati membri e, conseguentemente, il diritto al contraddittorio non può fondarsi (esclusivamente)su questa disposizione della Carta, atomisticamente applicata.

Ciò posto, esso è da considerare “parte integrante del rispetto dei diritti della difesa “ e, dunque, si tratta di un principio generale del diritto dell’Unione (CGUE, 5 novembre 2014, nella causa C-166/13,Mukarubega, punti da 42 a 45).  La Corte Unionale , peraltro, osserva nella più volte già citata sentenza Kamino International (che assume sul punto una evidente e insuperata centralità: CGUE, 3 luglio 2014, Kamino International Logistics BV e Datema Hellmann Worldwide Logistics BV contro Staatssecretaris van Financiën,Cause riunite C – 129/13 e C – 130/13) che qualora l’autorità fiscale violi i diritti della difesa e, segnatamente, il diritto di essere sentiti, questo vizio determina l’annullamento del provvedimento adottato dalla stessa autorità, ma esclusivamente “se, in mancanza di tale irregolarità, tale procedimento avrebbe potuto comportare un risultato diverso”, vale a dire – profilo che qui particolarmente viene in rilievo ed evidenza – l’esito e il risultato finale (cioè il provvedimento o l’atto) avrebbero potuto essere differenti, in tutto o in parte. Più in generale,la violazione dei diritti della difesa non dev’esser formulata in astratto, bensì implica una valutazione “in funzione delle circostanze di ciascun caso di specie” e, in modo particolare, “della natura dell’atto in oggetto, del contesto in cui è stato adottato e delle norme giuridiche che disciplinano la materia in esame” (CGUE, Mukarubega , cit., punto 54).

Alla luce di tutto ciò, e in particolare dei principi enunciati dalle pronunce Kamino, Mukarubega e Glencore, deve ritenersi la realizzazione del diritto alla tutela effettiva, invocata dal ricorrente va è valutata in relazione al risultato finale e non alle forme, inteso come situazione di effettiva possibilità per il soggetto sottoposto al potere di accertamento di fare valere le proprie ragioni, opponendo alle pretese dell’Amministrazione finanziaria – e ai fatti che questa propone – fatti disegno contrario ; situazione che trova giustificazione nelle necessità di completezza dell’istruttoria , completezza garantita dalla possibilità per il contribuente di parteciparvi. Tale partecipazione, ove non garantita,potrà ridondare in un vizio dell’atto conclusivo – l’avviso di accertamento – non ex se , ma unicamente ove unitamente a tale pretermissione sia dimostrato un pregiudizio concreto, inteso come diminuzione della facoltà di difendersi nel giudizio, alla propria situazione. Sul punto, parte ricorrente non dice quali diverse difese avrebbe svolto se messa in condizione di conoscere il contenuto degli atti che assume esserle stati celati ingiustamente, con ciò mancando di dimostrare quel concreto pregiudizio che il diritto dell’Unione ritiene dover esser presente per imporre la conoscibilità in capo al contribuente anche degli atti di “innesco” dell’attività di controllo.

Né possono trarsi argomentazioni a supporto di un esito diverso della decisione dall’art. 1 del d.Lgs. n. 219 del 2023 , modificativo della L. n. 212 del 2000, disposizione non applicabile al presente giudizio in quanto entrata in vigore il 18 gennaio 2024 e non rilevante per gli atti di accertamento formatisi anteriormente la sua entrata in vigore.

Di qui l’infondatezza dei motivi in argomento.

Alla luce delle considerazioni sopra svolte, quindi, va evidentemente anche disattesa l’istanza di remissione alla Corte di giustizia dell’Unione ex art. 267 TFUE di cui al ventesimo motivo di ricorso poi reiterata in memoria.

Il ventunesimo motivo deduce la omessa pronuncia su specifica questione quale violazione dell’art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.1 n. 4 c.p.c. per non avere la CTR esaminata l’eccezione relativa al difetto di firma dell’avviso di accertamento impugnato.

Tale motivo può esaminarsi congiuntamente con il ventiduesimo motivo, che deduce analogo vizio sotto il profilo della censura motivazionale, non avendo la CTR dato conto di come sarebbe giunta al rigetto dell’eccezione relativa al ridetto difetto di firma dell’avviso di accertamento e con il ventitreesimo motivo che ripropone la doglianza in argomento sotto il profilo di violazione dell’art. 42 del d.P.R. n. 600 del 1973.

Il motivo è fondato.

Invero, la CTR nulla dice in ordine all’eccezione postale – che risulta, dalle trascrizioni in ricorso, esser stata sollevata sia in sede di primo grado, sia in sede di secondo grado di giudizio di merito – la quale pertanto è stata del tutto pretermessa, neppure potendosi ritenere implicitamente decisa con la decisione sul merito.

Pertanto, in accoglimento del motivo in parola, la sentenza è sul punto cassata con rinvio al giudice dell’appello che dovrà pronunciarsi sull’eccezione sin qui non scrutinata.

Alla luce della decisione del motivo che precede i motivi dal ventiduesimo al venticinquesimo sono assorbiti.

Conclusivamente, va accolto il solo ventunesimo motivo; i motivi ventiduesimo, ventitreesimo, ventiquattresimo e venticinquesimo sono assorbili;

il ricorso va nel resto rigettato nei termini di cui si è detto in motivazione.

P.Q.M.

accoglie il ventunesimo motivo di ricorso; dichiara assorbiti i motivi ventiduesimo, ventitreesimo, ventiquattresimo e venticinquesimo;

rigetta i restanti motivi nei termini di cui in motivazione; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Lazio, in diversa composizione, che statuirà anche quanto alle spese del presente giudizio di Legittimità.

Così deciso in Roma, il 19 gennaio 2024

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