ECONOMIA

Lotta all’evasione fiscale: dalla Corte dei Conti una dura reprimenda per le Entrate

Eccoci di nuovo a parlare – ma pare non si faccia altro – di quel grave fenomeno, fisiologico per tutte le economie moderne ma patologico per quella italiana, che è l’evasione fiscale.

I dati esposti nell’ultima stima allegata alla Nota di aggiornamento del Documento di Economia e finanza dicono che l’evasione fiscale sottrae ogni anno alle casse erariali 87 miliardi di euro, di cui 12,7 “ascrivibili alla componente

dovuta a omessi versamenti ed errori nel compilare le dichiarazioni. Pertanto, il gap derivante dal completo occultamento della base imponibile e/o dell’imposta ammonta a circa 74,3 miliardi di euro”. L’imposta più evasa risulta essere l’IVA, che con gli oltre 35 miliardi di euro mancanti in media negli ultimi anni è paragonabile a una legge di bilancio, risultato dovuto principalmente a due elementi: “L’imposta è quella con la più alta base imponibile e la specificità del tributo fa sì che l’evasione possa assumere un’entità maggiore delle altre alla luce della possibilità di accedere al regime dei rimborsi o delle compensazioni”. In seconda posizione c’è l’IRPEF con quasi 31 miliardi, poi l’IRES con 10 miliardi di euro.

Il vicepresidente di Unimpresa, Claudio Pucci, riguardo i dati contenuti nella Nota di aggiornamento al Def, dichiara che “Quando si osservano i dati sull’evasione fiscale non si possono ignorare alcuni aspetti. Come il fatto che una parte dei soggetti che decide di non versare imposte e tributi nelle casse dello Stato lo fa per necessità, talora per la mancanza assoluta di disponibilità, talora per far fronte ad altri pagamenti. Ciò vale per le famiglie e vale soprattutto per le imprese. L’imprenditore che non paga, spesso dirotta il denaro al pagamento degli stipendi o di altri fornitori magari artigiani, piccole aziende o professionisti”.

Appare evidente a tutti, però, che la necessità e la mancanza di disponibilità non possono, da sole, spiegare la assoluta gravità del fenomeno.

 

La bocciatura della Corte dei Conti

E tra le molteplici spiegazioni che si sono sentite nel corso degli ultimi decenni, che spaziano dalla sociologia alla cultura dello Stato, dalle carenze legislative alla volontà politica, la più recente risulta essere senza alcun dubbio la più sorprendente, perché chiama direttamente (e duramente) in causa l’ente istituzionalmente preposto al contrasto e alla lotta contro l’evasione, l’Agenzia delle Entrate, che è stata oggetto di un’indagine da parte della Corte dei Conti sull’utilizzo, ai fini dell’azione di controllo fiscale, dell’Anagrafe dei rapporti finanziari, “uno strumento di notevole potenziale informativo”.

Con la costituzione dell’Anagrafe dei rapporti finanziari è stata definita l’area dei soggetti che possono accedervi e le relative finalità di accesso, che possono essere fiscali, di riscossione mediante ruolo, penali, di prevenzione del riciclaggio, antimafia, valutarie e di indagini Consob. I dati contenuti nell’Anagrafe possono essere utilizzati negli accertamenti finalizzati a ricerca e acquisizione di elementi di prova nei procedimenti penali, nelle indagini di carattere patrimoniale, per applicare le misure di prevenzione patrimoniale penale e nell’attività di contrasto al riciclaggio di denaro di provenienza illecita da parte di soggetti quali l’Autorità giudiziaria, i Questori, il direttore della Dia, il Nucleo speciale di polizia valutaria della Guardia di Finanza, gli ufficiali di polizia giudiziaria delegati dal P.m., ecc.

L’esigenza di un’indagine – si legge nel Rapporto – è sorta dalla necessità di verificare “l’effettivo e concreto impiego, da parte degli organi accertatori nel settore tributario, di uno strumento il cui potenziale informativo appariva non trovare correlazione con un pieno utilizzo nella lotta all’evasione. L’indagine è stata, quindi, orientata alla verifica dell’utilizzabilità e dell’effettivo impiego dell’Anagrafe dei rapporti finanziari, specie in riferimento alle elaborazioni delle specifiche liste selettive di contribuenti a maggior rischio di evasione previste dall’art. 11, c. 4, del d.l. 6 dicembre 2011, n. 2017 e alle analisi del rischio di evasione previste dall’art. 1, c. 314 della l. 23 dicembre 2014, n. 190 – legge di stabilità 2015”.

Nella Deliberazione 26 luglio 2017, n. 11/2017/G, presentata lo scorso 18 settembre – “L’utilizzo dell’Anagrafe dei rapporti finanziari ai fini dell’attività di controllo fiscale” – la magistratura contabile ha denunciato “gravi ritardi nella realizzazione dell’Anagrafe dei rapporti finanziari”, l’apposita sezione dell’Anagrafe tributaria istituita proprio per rendere più efficiente l’attività di controllo in ambito fiscale ai fini delle imposte sui redditi e dell’IVA, consentendo lo svolgimento di indagini finanziarie in modo mirato nei confronti dei soli operatori con i quali il soggetto controllato ha instaurato rapporti di natura finanziaria. Ciò che risulta particolarmente grave è che “Nonostante fosse prevista fin dal 1991, previa adozione di un decreto ministeriale da emanarsi entro 60 giorni, l’Anagrafe dei rapporti di conto e di deposito, sia pure riguardante la raccolta dei soli dati anagrafici, il decreto è stato adottato dopo 10 anni e, peraltro, non ha mai trovato concreta attuazione. L’Anagrafe dei rapporti finanziari, in concreto, è divenuta effettivamente operativa e accessibile da tutti i soggetti legittimati solo nel 2009”.

E si arriva a un’altra solenne bocciatura da parte della Corte dei Conti, visto che nella Relazione si legge che “ben più grave è la situazione riscontrata relativa al suo concreto ed effettivo utilizzo per la lotta all’evasione, per il quale deve rilevarsi una grave inadempienza dell’Agenzia, che non ha mai elaborato le previste liste selettive né, successivamente, le analisi del rischio evasione e, di conseguenza, non ha potuto riferire alle Camere sui risultati della lotta all’evasione derivanti dall’utilizzo dell’Anagrafe dei rapporti finanziari. E’ stato quindi, ad oggi, del tutto pretermesso di dare attuazione a un chiaro disposto normativo”.

 

Le liste selettive

Era inoltre previsto dalla normativa che il Direttore dell’Agenzia individuasse criteri per elaborare, con procedure centralizzate, specifiche liste selettive di contribuenti a maggior rischio di evasione, ma, rileva la Corte, “tali criteri non sono mai stati emanati. I timidi tentativi dell’Agenzia di elaborare le liste erano peraltro destinati comunque a realizzare uno strumento scarsamente efficace, essendo impostati sull’utilizzo dei soli dati di identificazione del soggetto e sulla natura, tipologia, apertura, modifica e chiusura del rapporto, con esclusione quindi dei dati, certamente più pregnanti ai fini della lotta all’evasione, sulle movimentazioni e sui saldi dei rapporti finanziari. In ogni caso, nessuna lista selettiva è mai stata elaborata”.

Vengono quindi chiaramente rimarcate le inadempienze dell’Agenzia in materia di Anagrafe Tributaria per la lotta all’evasione, con liste selettive dei contribuenti e analisi del rischio che non sono mai partite.

Nel Rapporto si legge, inoltre, che “Peraltro, l’approccio dell’Agenzia all’elaborazione di tali liste è apparso, comunque, in palese contraddizione con la ratio della norma che, nel prevederle, aveva contestualmente esteso le comunicazioni obbligatorie degli operatori finanziari ai dati relativi alle movimentazioni e agli importi delle operazioni, addirittura prevedendo la facoltà in capo al direttore dell’Agenzia di estendere l’obbligo di comunicazione anche ad ulteriori informazioni, relative ai rapporti, strettamente necessarie ai fini dei controlli fiscali. Impostare, pertanto, le elaborazioni, come è emerso dai primi timidi tentativi dell’Agenzia di realizzare il disposto normativo, sulla base dei soli dati di identificazione del soggetto e sulla natura, tipologia, apertura, modifica e chiusura del rapporto, con esclusione quindi dei dati, certamente più pregnanti ai fini della lotta all’evasione, sulle movimentazioni e sui saldi dei rapporti finanziari, significava sostanzialmente svuotare di contenuto la previsione normativa e realizzare un prodotto di scarsa efficacia ai fini del contrasto all’evasione fiscale”.

In sostituzione dell’obbligo di predisporre delle liste selettive, la Legge di stabilità per il 2015 ha previsto l’utilizzo dei dati, anche finanziari, per effettuare analisi del rischio di evasione: ma dopo oltre due anni da tali modifiche, e dopo più di cinque anni dall’obbligo di elaborare le liste selettive di contribuenti a maggior rischio evasione (previsto dall’art. 11, comma 4, del decreto legge 201/2011, convertito dalla legge 214/2011), i magistrati contabili hanno appurato l’inesistenza di contribuenti a grande rischio di evasione selezionati attraverso l’Archivio dei rapporti finanziari.

Inevitabile conseguenza della mancata elaborazione delle liste selettive: le Entrate non hanno mai predisposto la Relazione, prevista con cadenza annuale dall’art. 11, comma 4-bis del citato Dl 201 – “né, come detto, poteva esserlo, stante l’inadempienza dell’Agenzia sull’elaborazione delle liste selettive e sullo svolgimento delle analisi sul rischio di evasione” – con la quale dovevano essere comunicati alle Camere i risultati relativi all’emersione dell’evasione in seguito all’applicazione delle disposizioni in questione.

In tale contesto viene peraltro evidenziata l’assenza di un intervento da parte del Ministro dell’Economia e delle Finanze, titolare dei poteri di indirizzo e vigilanza sull’Agenzia.

 

In calo le indagini finanziarie

Un altro aspetto critico emerso dall’indagine è la significativa diminuzione, nel biennio 2015-2016, degli accessi dei funzionari finalizzati alle indagini finanziarie, e anche su questo punta il dito con durezza la Corte dei Conti: “Quel che appare palese è, però, il chiaro sottoutilizzo dello strumento per finalità tributarie e di lotta all’evasione da parte dell’Agenzia delle entrate, come dimostrato, peraltro, dal brusco calo di accessi del personale dell’Agenzia stessa per indagini finanziarie nel 2015 e, ancor più, nel 2016. In definitiva, non è mai stato realizzato, né pare sia imminente, un utilizzo massivo dell’ingente mole di dati presenti nell’Anagrafe relativa alle disponibilità finanziarie. Sarebbe auspicabile avviare al più presto procedure automatizzate comparative tra i dati contabili e/o reddituali disponibili in Anagrafe tributaria e le informazioni sulle disponibilità finanziarie emergenti dall’Archivio dei rapporti finanziari, considerando l’eventualità di rappresentare al contribuente le incoerenze che dovessero emergere e comunque orientando l’azione di accertamento alla verifica delle posizioni più anomale”.

 

La richiesta alle Entrate di riferire e le risposte

La Relazione prosegue con una sorta di riepilogo. Dunque, il Dl 201/2011 aveva espressamente previsto l’utilizzo delle informazioni per elaborare specifiche liste selettive di contribuenti a maggior rischio di evasione (“A monte, spettava al direttore dell’Agenzia delle Entrate predeterminare i criteri di selezione”) e l’Agenzia avrebbe dovuto predisporre annualmente una relazione alle Camere con la quale “comunicare i risultati relativi all’emersione dell’evasione a seguito dell’applicazione di tali disposizioni”. Alla richiesta di riferire in proposito, anche perché “dalle ricerche nelle banche dati disponibili non risultava adottato alcun decreto del direttore dell’Agenzia per la predeterminazione dei criteri, né elaborate liste selettive o relazioni al Parlamento in osservanza del citato obbligo normativo, l’Agenzia ne ha confermato l’omessa adozione”.

Alla richiesta degli elementi relativi alle analisi in corso la risposta dell’Agenzia è la seguente. “Nel primo semestre del 2015 è stato costituito un gruppo di lavoro per creare e sperimentare indicatori di rischio ricavati dalle informazioni contenute nell’Archivio dei rapporti finanziari e da altri elementi presenti in Anagrafe tributaria e ritenuti utili. E’ stata quindi attuata un’analisi esplorativa dei dati disponibili per escludere eventuali incongruenze e poi è stata definita una platea di riferimento sulla quale effettuare prime valutazioni. Dagli ultimi mesi del 2015 e nel primo semestre del 2016 l’attività è stata incentrata sull’individuazione delle informazioni presenti in Anagrafe tributaria da ‘incrociare’ con i dati dell’Archivio dei rapporti, per poi procedere a una sperimentazione sul campo. E’ stato quindi quantificato un risparmio ‘potenziale’ annuo da confrontare con quello desumibile dall’Archivio dei rapporti finanziari; i dati dell’Archivio sono stati messi a confronto anche con i flussi finanziari prodotti nell’esercizio dell’attività economica, ricostruiti attraverso i dati delle dichiarazioni presentate ai fini IVA, più attinenti alla logica dei flussi di entrata e uscita di somme, rispetto ai redditi. Riguardo alla determinazione del reddito complessivo, per tutti i contribuenti sono stati apportati correttivi finalizzati a evitare interferenze derivanti da componenti negativi di carattere meramente fiscale, che non hanno comportato effettive uscite finanziarie, o da elementi negativi già considerati nell’analisi dei flussi effettuata per i titolari di partita IVA. I criteri così riformulati, applicati ad alcuni casi di test sono apparsi efficaci per selezionare soggetti con elementi di elevata rischiosità fiscale, nonché a individuare contribuenti che sfuggirebbero ad altri criteri di selezione (es. redditometro), in quanto per essi potrebbe essere ora possibile verificare che, pur in presenza di spese compatibili con il reddito, il contestuale incremento di disponibilità finanziarie presso gli istituti di credito non risulta giustificabile in base ai redditi dichiarati”.

L’Agenzia – prosegue il Rapporto – riferisce inoltre che l’attività era stata essenzialmente finalizzata a individuare “un metodo di analisi efficace, e che l’obiettivo del 2016 era di passare dalla fase sperimentale a quella operativa, dando priorità alle situazioni di più rilevante ed evidente rischio, con l’intento di attuare un adeguato contrasto dell’evasione e al tempo stesso affinare la conoscenza dei dati ed il metodo di analisi”.

Conclusosi l’anno 2016, la Corte dei Conti ha chiesto aggiornamenti sull’effettivo passaggio alla fase operativa e nella risposta l’Agenzia ha comunicato il completamento del modello di analisi volto a individuare i contribuenti con elementi di rischiosità fiscale e ha riferito “di un’interlocuzione con l’Autorità garante per la protezione dei dati personali per l’avvio di una ‘sperimentazione’ sull’anno d’imposta 2013, con l’obiettivo di verificare la concreta efficacia del modello predisposto, e di un incontro con i referenti delle direzioni regionali in cui sono state esposte le finalità della sperimentazione”.

In proposito, da parte dei magistrati contabili, “non si può però non considerare che, a distanza di oltre due anni dalle modifiche introdotte con la legge di stabilità per il 2015, e di oltre cinque anni dall’obbligo di elaborare liste selettive, nessun contribuente è stato selezionato attraverso lo strumento dell’Archivio dei rapporti finanziari quale soggetto a maggior rischio di evasione, né è stata ancora avviata la fase sperimentale, sicché non v’è dubbio che la norma sia stata totalmente disattesa dall’Agenzia”.

 

I risultati positivi: semplificazione e compliance

Dopo tanti rilievi negativi, notizie migliori giungono dai risultati in materia di semplificazioni e compliance fiscale: “Sembra, inoltre, ben avviato anche il percorso di semplificazione, attraverso le informazioni disponibili nell’Archivio dei rapporti finanziari, degli adempimenti dei cittadini in merito alla compilazione della dichiarazione sostitutiva unica (Dsu) per la valutazione della situazione economica dei soggetti richiedenti prestazioni sociali agevolate, così come le relative procedure di controllo”.

 

Resta un auspicio…

La Corte dei Conti conclude l’indagine esprimendo l’auspicio che, “previa un’azione di intensificazione dei controlli volti a migliorare la qualità e completezza dei dati, l’Agenzia provveda a utilizzare adeguatamente l’immensa mole di informazioni disponibili, e ad effettuare efficaci analisi del rischio di evasione, come richiesto da anni dal legislatore, così realizzando la finalità principale per la quale è stata istituita l’Anagrafe dei rapporti finanziari”, non senza raccomandare al Mef un “pronto ed efficace intervento”, visto che “pur titolare dei poteri di indirizzo e vigilanza non è mai intervenuto affinché l’Agenzia provvedesse prima, ad elaborare le liste selettive e, poi, a effettuare analisi del rischio evasione, nonché a riferire al Parlamento, come dovuto per espressa previsione normativa”.

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