CASSAZIONE

L’incostituzionalità dell’imposizione non tutela il rimborso

Tributi – Plusvalenza da alienazione di terreni ricevuti in eredità – Avviso di accertamento divenuto definitivo per mancata impugnazione – Intervenuta declaratoria di incostituzionalità dell’art. 82, co. 2, ultimo periodo del TUIR applicabile “ratione temporis” – Rimborso delle somme versate – Esclusione

Con la sentenza n. 969 del 20 gennaio 2016, la Suprema Corte interviene sui rapporti costituitisi in base ad una norma dichiarata successivamente incostituzionale, circoscrivendo in maniera puntuale e condivisibile il relativo ambito di applicazione.

E’ da premettere che la pronuncia di illegittimità costituzionale di una norma di legge comporta non già l’abrogazione, o la declaratoria di inesistenza o di nullità, o l’annullamento della norma dichiarata contraria alla costituzione, bensì la disapplicazione della stessa, dando luogo ad un fenomeno che si colloca, sul piano effettuale, in una posizione intermedia tra l’abrogazione, avente di regola efficacia ex nunc, e l’annullamento che, normalmente, produce effetti ex tunc. Al riguardo anche la Consulta ha più volte ribadito, peraltro, che “l’efficacia retroattiva delle pronunce di illegittimità costituzionale è principio generale valevole nei giudizi davanti a questa Corte” .

Da ciò deriva che gli effetti della sentenza non riguardano solo i rapporti che sorgeranno in futuro ma anche quelli che sono sorti in passato, purché non si tratti di rapporti esauriti e perciò consolidati. La dottrina maggioritaria è concorde nel ritenere che il giudicato costituisce un limite invalicabile per tali sentenze, con l’unica esplicita eccezione costituita dall’esecuzione delle sentenze penali di condanna, sempre per l’art. 30, comma 4, l. n. 87/1953.

Di conseguenza, la norma dichiarata costituzionalmente illegittima deve essere disapplicata con effetti ex nunc o con efficacia ex tunc, a seconda che tale diversa efficacia nel tempo della dichiarazione di incostituzionalità discenda dalla natura o dal contenuto della norma illegittima, oppure dalla portata del precetto costituzionale violato o dal diverso grado di contrasto tra quest’ultimo e la norma di legge, ovvero, infine dalla natura del rapporto sorto nel vigore della norma successivamente dichiarata incostituzionale.

Posta sempre l’invalicabilità del giudicato possono considerarsi esauriti anche i rapporti definiti per effetto sia di atti amministrativi non più impugnabili, sia di atti negoziali rilevanti sul piano sostanziale o processuale, nonostante l’inefficacia della norma dichiarata incostituzionale. Pertinente in tal senso è la posizione da tempo espressa dalla Corte di Cassazione (Sentenza n. del 18-12-1984, 6626) che ha chiarito che “… se la dichiarazione di illegittimità costituzionale ha effetto retroattivo, nel senso che la dichiarazione illegittima non può essere applicata né come norma per la disciplina dei rapporti ancora in corso o da costituire, né come regola di giudizio dei rapporti esauriti, tuttavia, la circostanza che quella disposizione abbia di fatto operato nell’ordinamento giuridico comporta che essa ha prodotto effetti irreversibili, perché essi hanno inciso su rapporti esauriti a causa della mancanza o della inutilizzabilità di strumenti idonei a rimetterli in discussione ovvero a causa della impossibilità giuridica o logica di valutare diversamente, a posteriori, comportamenti che devono essere esaminati alla stregua della situazione normativa esistente al momento in cui si verificano”.

La categoria dei rapporti esauriti è stata usata anche di recente in maniera decisamente elastica dalla Corte costituzionale, al fine di aprirsi spazi di intervento nella modulazione nel tempo dell’efficacia delle proprie sentenze. È il caso della sentenza n. 1/2014 con la quale la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di alcune disposizioni contenute nella legge n. 270/2005, affermando però che tale declaratoria di incostituzionalità non travolgeva “gli atti posti in essere in conseguenza di quanto stabilito durante il vigore delle norme annullate, compresi gli esiti delle elezioni svoltesi e gli atti adottati dal Parlamento eletto”, in quanto “le elezioni che si sono svolte in applicazione anche delle norme elettorali dichiarate costituzionalmente illegittime costituiscono, in definitiva, e con ogni evidenza, un fatto concluso, posto che il processo di composizione delle Camere si compie con la proclamazione degli eletti”.

Nella vicenda presentata, i supremi Giudici hanno quindi ritenuto che la declaratoria di incostituzionalità di una norma non produce i suoi effetti retroattivi con riferimento ai rapporti esauriti.

Devono pertanto considerarsi tali quelli in cui il pagamento dell’imposta sia stato eseguito in base a iscrizione a ruolo, divenuta definitiva per mancata impugnazione nel termine di sessanta giorni dalla notifica della cartella esattoriale, nonché quelli in cui, in caso di versamento diretto, non sia stata presentata tempestiva domanda di rimborso nel termine di diciotto mesi dal pagamento. Entro questi termini il rapporto con il Fisco deve essere considerato esaurito.

Ne consegue che, al diritto di rimborso, regolato da norme speciali e soggetto a preclusioni e decadenze, non si applica la disciplina della “conditio indebiti” e, il medesimo, non può essere esercitato liberamente nel termine decennale di prescrizione.

La vertenza giudiziaria in commento scaturisce dall’impugnazione del diniego opposto dall’Amministrazione finanziaria a una istanza di rimborso delle somme versate dal contribuente, in ottemperanza a un avviso di accertamento (concernente la plusvalenza realizzata nell’anno 1996, con l’alienazione di terreni ricevuti in eredità), non impugnato nel termine di sessanta giorni dalla notifica e, dunque, resosi definitivo.

I giudici di merito, sia di primo sia di secondo grado, accolgono il ricorso, dichiarando dovuto il rimborso, in forza dell’intervenuta declaratoria di incostituzionalità dell’articolo 82, comma 2, ultimo periodo del TUIR, a opera della sentenza della Corte costituzionale n. 328/2002. In particolare, secondo i giudici di appello, per effetto della pronuncia di incostituzionalità della suddetta norma, era sorta una nuova obbligazione tributaria con il Fisco, avente a oggetto il diritto alla ripetizione dell’imposta indebitamente versata, assoggettato al termine decennale di prescrizione.

L’Agenzia delle Entrate ricorre in Cassazione ritenendo che, una volta esauritosi il rapporto tributario perché divenuto non più contestabile, lo stesso non è più esposto alle modifiche delle norme che lo regolano, incluse quelle conseguenti a pronunce di incostituzionalità.
Nell’accogliere il ricorso del Fisco, i giudici supremi hanno ribadito il consolidato orientamento di legittimità, ritenendo che: “… Questa Corte ha già affermato (Cass. 5206/1999; Cass. 6254/2004; Cass. 10340/2007; Cass. 2822/2012) che “li processo tributario, pur comportando un giudizio su rapporti, può essere instaurato soltanto mediante impugnazione di specifici atti o rifiuto degli stessi, con la conseguenza del formarsi di preclusioni a seguito del mancato esercizio, nei termini decadenziali, del diritto d’impugnazione; in base a tale principio devono considerarsi rapporti esauriti, sui quali non spiega effetti la dichiarazione di incostituzionalità dell’assoggettamento ad ILOR dei redditi di lavoro autonomo non assimilabili ad impresa, quelli in cui il pagamento dell’imposta sia stato eseguito in base a iscrizione a ruolo, divenuta definitiva per mancata impugnazione nel termine di sessanta giorni dalla notifica della cartella esattoriale, nonché quelli in cui, in caso di versamento diretto, non sia stata presentata domanda di rimborso all’intendenza di finanza nel termine di diciotto mesi dal pagamento; ne consegue che al diritto al rimborso, regolato da norme speciali e soggetto a preclusioni e decadenze, non si applica la disciplina della “conditio indebiti” e il medesimo non può essere esercitato liberamente nel termine decennale di prescrizione”. Ora, per rapporti esauriti devono intendersi quelli in relazione ai quali sia intervenuta una preclusione che li abbia resi irretrattabili e quindi insensibili anche ad eventuali pronunce di illegittimità costituzionale. La dichiarazione di incostituzionalità, infatti, non può incidere su un rapporto d’imposta ormai esaurito, atteso che il contribuente, raggiunto dall’avviso, per non rendere incontestabile il rapporto tributario per intervenuta definizione dell’imponibile, avrebbe dovuto impugnare tempestivamente l’accertamento notificatogli.Nella specie, al momento della pronuncia di incostituzionalità, l’avviso di accertamento era già divenuto definitivo per mancata impugnazione nel termine di gg. 60 dalla sua notifica, ex art.21 d.lgs. 546/1992”.

 

Corte di Cassazione Sentenza 20 gennaio 2016, n. 969

Ritenuto in fatto

L’Agenzia delle Entrate propone ricorso per cassazione, affidato ad un motivo, nei confronti di B.L. (che non resiste), avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Liguria n. 39/02/2007, depositata in data 3/07/2007, con la quale – in controversia concernente l’impugnazione del diniego opposto dall’Amministrazione Finanziaria ad un’istanza, presentata “in data 26/07/2002”, di rimborso delle somme versate dalla contribuente, in ottemperanza ad un avviso di accertamento (concernente la plusvalenza realizzata, nell’anno 1996, con l’alienazione di terreni ricevuti in eredità), notificato alla medesima, il 2 maggio 2002, e non impugnato – è stata confermata la decisione di primo grado, che aveva accolto il ricorso della B., dichiarando dovuto il rimborso in forza dell’intervenuta declaratoria di incostituzionalità (con sentenza della Corte Costituzionale n. 328 del 9/07/2002) dell’art. 82, comma 2, ultimo periodo del TUIR e per effetto della conseguente rivalutazione del valore assunto quale prezzo di acquisto ai fini della determinazione della plusvalenza. In particolare, i giudici d’appello hanno sostenuto che, per effetto della pronuncia dì incostituzionalità della suddetta norma, era sorta una nuova obbligazione tributaria con il Fisco, avente ad oggetto il diritto alla ripetizione dell’imposta indebitamente versata ed assoggettato al termine decennale di prescrizione.

Considerato in diritto

  1. L’Agenzia delle Entrate ricorrente lamenta, con unico motivo, la violazione e falsa applicazione, ex art.360 n. 3 c.p.c., degli artt. 136 Cost., 19 e 21 d.lgs. 546/1992, 2033 e 2935 c.c., atteso che, contrariamente a quanto ritenuto dai giudici della C.T.R., una volta esauritosi il rapporto tributario, perché divenuto non più contestabile, stante la definitività dell’atto impositivo, lo stesso non è più esposto alle modifiche delle norme che lo regolano, incluse quelle conseguenti a pronunce di incostituzionalità.
  2. La censura è fondata. Questa Corte ha già affermato (Cass. 5206/1999; Cass. 6254/2004; Cass. 10340/2007; Cass. 2822/2012) che “li processo tributario, pur comportando un giudizio su rapporti, può essere instaurato soltanto mediante impugnazione di specifici atti o rifiuto degli stessi, con la conseguenza del formarsi di preclusioni a seguito del mancato esercizio, nei termini decadenziali, del diritto d’impugnazione; in base a tale principio devono considerarsi rapporti esauriti, sui quali non spiega effetti la dichiarazione di incostituzionalità dell’assoggettamento ad ILOR dei redditi di lavoro autonomo non assimilabili ad impresa, quelli in cui il pagamento dell’imposta sia stato eseguito in base a iscrizione a ruolo, divenuta definitiva per mancata impugnazione nel termine di sessanta giorni dalla notifica della cartella esattoriale, nonché quelli in cui, in caso di versamento diretto, non sia stata presentata domanda di rimborso all’intendenza di finanza nel termine di diciotto mesi dal pagamento; ne consegue che al diritto al rimborso, regolato da norme speciali e soggetto a preclusioni e decadenze, non si applica la disciplina della “conditio indebiti” e il medesimo non può essere esercitato liberamente nel termine decennale di prescrizione”. Ora, per rapporti esauriti devono intendersi quelli in relazione ai quali sia intervenuta una preclusione che li abbia resi irretrattabili e quindi insensibili anche ad eventuali pronunce di illegittimità costituzionale.

La dichiarazione di incostituzionalità, infatti, non può incidere su un rapporto d’imposta ormai esaurito, atteso che il contribuente, raggiunto dall’avviso, per non rendere incontestabile il rapporto tributario per intervenuta definizione dell’imponibile, avrebbe dovuto impugnare tempestivamente l’accertamento notificatogli. Nella specie, al momento della pronuncia di incostituzionalità, l’avviso di accertamento era già divenuto definitivo per mancata impugnazione nel termine di gg. 60 dalla sua notifica, ex art.21 d.lgs. 546/1992.

  1. Per tutto quanto sopra esposto, il ricorso deve essere accolto e la sentenza impugnata deve essere cassata e, decidendo nel merito, non essendovi necessità di ulteriori accertamenti in fatto, va respinto il ricorso introduttivo del contribuente. Le spese processuali del giudizio di merito vanno integralmente compensate tra le parti, tenuto conto del cristallizzarsi della giurisprudenza di legittimità sulla questione di diritto, in epoca successiva alla proposizione del ricorso introduttivo del giudizio. Le spese processuali del presente giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso introduttivo della contribuente; dichiara integralmente compensate tra le parti le spese del giudizio di merito; condanna l’intimata al rimborso delle spese del presente giudizio di legittimità, liquidate in complessivi € 2.000,00, a titolo di compensi, oltre eventuali spese prenotate a debito.

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