FOCUS LEGGE

LE NOVITA’ SULLE INDAGINI FINANZIARIE

Da tempo il tema degli strumenti a disposizione dell’Amministrazione Finanziaria per ricostruire il reddito effettivo del contribuente è di grande rilievo e, per tale ragione, oggetto di interventi sul versante giurisprudenziale e legislativo.

Da ultimo, con la L. 1° dicembre 2016, n. 225 (di conversione del D.L. 22 ottobre 2016, n. 193) sono state introdotte significative limitazioni alle presunzioni legali associate allo strumento istruttorio delle indagini finanziarie (cioè indagini relative ai rapporti intrattenuti dal contribuente con banche, poste italiane spa, società di gestione del risparmio, fiduciarie, imprese di investimento e ogni altro operatore finanziario) allo scopo non solo di semplificare l’azione amministrativa ma anche di contenere entro confini di proporzionalità e ragionevolezza l’onere probatorio posto a carico degli imprenditori.

Giova rammentare che in primo luogo la disciplina delle indagini finanziarie in materia di imposte dirette è contenuta nell’art. 32, co. 1, n. 2), secondo periodo, D.P.R. 600/1973, che reca due proposizioni, relative a distinte presunzioni legali. La prima sancisce che le informazioni e i dati relativi ai rapporti con gli intermediari finanziari «possono essere posti a base delle rettifiche e degli accertamenti previsti dagli articoli 38, 39, 40 e 41 del d.P.R, n. 600/1973, se il contribuente non dimostra che ne ha tenuto conto per la determinazione del reddito o che non hanno avuto rilevanza allo stesso fine». La seconda presunzione invece, innovata dalla riforma, assimilava le operazioni di segno negativo descritte dalla locuzione «prelevamenti e importi riscossi» a «ricavi o compensi» non dichiarati in mancanza dell’indicazione del beneficiario e non risultanti dalle scritture contabili tenute dal contribuente.

L’impianto normativo veniva giustificato dalla deduzione, di debolissima capacità persuasiva e censurata dalla prevalente dottrina, per cui un prelevamento ingiustificato dell’imprenditore o del professionista dovrebbe essere associato ad un acquisto «in nero» di fattori della produzione (prima fase) e tale acquisto verrebbe a sua volta assunto come fattore di causazione di una cessione o di una prestazione in evasione d’imposta (seconda fase).

In secondo luogo è utile ricordare che la Corte Costituzionale, con la sentenza 24 settembre 2014, n. 228, stigmatizzando la scelta legislativa operata (art. 1, co. 402, lett.a), n. 1), L. 30 dicembre 2004, n. 311 – legge Finanziaria 2005) ha dichiarato la parziale illegittimità costituzionale dell’art. 32, co. 1, n. 2), secondo periodo, D.P.R. 600/1973.

In particolare, la Corte Costituzionale, ha giudicato « la presunzione (…) lesiva del principio di ragionevolezza nonché della capacità contributiva, essendo arbitrario ipotizzare che i prelievi ingiustificati da conti correnti bancari effettuati da un lavoratore autonomo siano destinati ad un investimento nell’ambito della propria attività professionale e che questo a sua volta sia produttivo di un reddito».

Nello specifico, la Corte, con riferimento alla presunzione “prelevamenti = compensi”, ha affermato che nel reddito di lavoro autonomo non valgono le correlazioni logico-presuntive tra costi e ricavi, tipiche del reddito d’impresa. Secondo i giudici, l’attività svolta dai lavoratori autonomi, al contrario, si caratterizza per la preminenza dell’apporto del lavoro proprio e la marginalità dell’apparato organizzativo. Tale marginalità assume poi differenti gradazioni a seconda della tipologia di lavoratori autonomi, sino a divenire quasi assenza nei casi in cui è più accentuata la natura intellettuale dell’attività svolta come per le professioni liberali.

Con le sentenze n. 12779 e 12781 del 21 giugno 2016 la Cassazione, introducendo una dimensione pro-contribuente della disciplina dell’accertamento bancario, sottolinea che non è più possibile per il Fisco attivare l’automatismo accertativo in relazione ai versamenti. Quindi, tanto i prelevamenti che i versamenti non giustificati vengono considerati alla stessa maniera: possono essere contestati solo nei confronti di imprenditori, non anche nei confronti dei professionisti.

Infine, l’Agenzia delle Entrate aveva impartito istruzioni (Circ 18/E e 32/E del 4 agosto e 19 ottobre 2006) per mitigare la rigidità dell’automatismo presuntivo fino a precisare che «i contribuenti interessati possono ritenersi sollevati dall’onere di fornire la predetta dimostrazione in relazione a prelievi che, avuto riguardo all’entità del relativo importo ed alle normali esigenze personali o familiari, possono essere ragionevolmente ricondotte nella gestione extra-professionale»

 

E’ possibile, in conclusione, sintetizzare l’assetto delle presunzioni bancarie alla luce delle novità introdotte dal D.L. 193/2016.

In particolare:

  • nei confronti della generalità dei contribuenti continua a operare la presunzione legale relativa che assume una relazione qualificata tra redditi non dichiarati e versamenti non giustificati;
  • d’altro canto, la presunzione riferita ai prelevamenti continua a operare soltanto nei confronti degli imprenditori, ma la nuova formulazione della norma prevede che la presunzione relativa di maggiori ricavi si applichi soltanto in corrispondenza di prelevamenti o importi riscossi (sempre nel senso di operazioni di prelevamento) «nell’ambito dei predetti rapporti od operazioni per importi superiori a 000 euro giornalieri e, comunque, a 5.000 euro mensili»;
  • considerata la natura procedimentale della disciplina delle indagini finanziarie e delle relative presunzioni, deve ritenersi che le diverse ipotesi introdotte dal D.L. 193/2016 siano applicabili a tutti i periodi d’imposta ancora accertabili;
  • le novità introdotte dal decreto fiscale non sono state estese alla disciplina delle indagini finanziarie previste dall’art 51 del DPR 633/1972 in tema di imposta sul valore aggiunto, con una asimmetria normativa che non sembra, almeno per ora, trovare giustificazioni plausibili.

 

Una considerazione a margine.

Non di rado, nel recente passato e a titolo di esempio, sono stati ritenuti non giustificati versamenti anche se collegati a fatture emesse nei conforti di clienti sol perché sono state – regolarmente – pagate per contanti o l’importo versato era inferiore a quello fatturato o ancora sono state pretese prove impossibili sul fatto che le somme versate dal professionista fossero “proprio quelle” consegnate legittimamente per contanti dal cliente.

Le recenti norme offrono all’Amministrazione finanziaria una ulteriore opportunità per definitivamente consolidare un nuovo rapporto tra Fisco e contribuente, nuovo rapporto testimoniato con costanza dagli atteggiamenti concreti posti in essere dai pubblici funzionari verificatori/accertatori.

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