CASSAZIONE LAVORO

Le mance ricevute dal lavoratore dipendente sono soggette a tassazione

Tributi – Irpef – Formazione del reddito da lavoro – Accertamento – Imponibilità – Contenzioso – Art. 51 Tuir – Sussiste

La Suprema Corte, con l’ordinanza n. 26512 del 30 settembre 2021, intervenendo in merito  alla nozione onnicomprensiva di reddito fissata dall’art. 51 del TUIR (Testo unico delle imposte sui redditi), ha cambiato il proprio orientamento e ha considerato le “mance” come somme oggetto d’imposta, formulando il seguente principio di diritto: “In tema di reddito da lavoro dipendente, le erogazioni liberali percepite dal lavoratore dipendente, in relazione alla propria attività lavorativa, tra cui le cosiddette mance, rientrano nell’ambito della nozione onnicomprensiva di reddito fissata dall’art. 51, primo comma, del d.P.R. n. 917/1986, e sono pertanto soggette a tassazione”.

Sul punto specifico la Cassazione ha di conseguenza considerato pienamente tassabili anche le mance, anche se relative al rapporto di lavoro: di conseguenza, le ricompense facoltative non “condivise” con il fisco rientrano nel quadro normativo che detta una sola linea per il reddito da lavoro dipendente, sia ai fini fiscali sia contributivi.

Per la Cassazione, dunque, tali somme non devono essere più considerate estranee al rapporto di lavoro ma comprese nel concetto di reddito da lavoro, come evidenziato dall’art. 51 del TUIR e, quindi, devono essere poste a base dell’imposta. In altre parole, l’onnicomprensività del concetto di reddito di lavoro dipendente giustifica la totale imponibilità di tutto ciò che il dipendente riceve non solo direttamente dal datore di lavoro, ma anche da altri in ragione del rapporto di lavoro, come nel caso odierno che era riferito alle mance lasciate dagli avventori di un albergo.

I Supremi Giudici di legittimità avvertono dunque che “in tema di reddito da lavoro dipendente, le erogazioni liberali percepite dal lavoratore dipendente, in relazione alla propria attività lavorativa, tra cui le cosiddette mance, rientrano nell’ambito della nozione onnicomprensiva di reddito fissata dall’articolo 51, primo comma, del Dpr 917/1986, e sono pertanto soggette a tassazione”.

Ricordiamo che l’attuale art. 51, primo comma, del TUIR, nel testo postriforma del 2004 e applicabile, ratione temporis, alla odierna controversia, ha il medesimo tenore letterale dell’art. 48 dello stesso Testo unico, così come già a suo tempo modificato dal D.lgs. 2 settembre 1997, n. 314, e chiaramente prevede che “… il reddito di lavoro dipendente è costituito da tutte le somme e i valori in genere a qualunque titolo percepiti nel periodo d’imposta, anche sotto forma di erogazioni liberali, in relazione al rapporto di lavoro”.

A sua volta l’art. 49, comma 1, del TUIR, nella formulazione applicabile ratione temporis, reca la medesima definizione di redditi da lavoro dipendente di cui al previgente art. 46 nel testo ante riforma del 2004, quale a sua volta sostituito, con decorrenza dal primo gennaio 1998, dall’art. 1, comma 1, del citato D.lgs. 314/1997, secondo cui “sono redditi di lavoro dipendente quelli che derivano da rapporti aventi per oggetto la prestazione di lavoro, con qualsiasi qualifica, alle dipendenze e sotto la direzione di altri, compreso il lavoro a domicilio quando è considerato dipendente secondo le norme della legislazione sul lavoro”.

Più in generale la questione non è certo priva di un peculiare interesse mediatico e fattuale, con ricadute facilmente intuibili in molti settori produttivi, soprattutto in quello alberghiero, turistico e della ristorazione.

E’ comunque da premettere che storicamente la mancia rappresenta un istituto di difficile inquadramento, poiché spesso privo di normativa giuridica di riferimento e trattato in molto maniera differente dalle singole legislazioni dei Paesi europei ed extraeuropei.

A prescindere dal contesto territoriale specifico di indagine è prassi comune ritenere che le ricompense facoltative vengono solitamente rilasciate nel rispetto di una sorta di norma sociale e nel timore di offendere, nonché per il piacere di ricompensare il buon servizio ricevuto. Fin dalle prime fasi del suo sviluppo la prassi sembra infatti nata per la volontà di mostrare gratitudine per i servizi extra offerti o di aiutare il personale quando versa in difficoltà economiche. È stato inoltre rilevato che in alcune Paesi le mance contribuiscono in maniera importante a integrare le retribuzioni più basse, come ad esempio accade negli Stati Uniti, motivo che induce a ritenerlo un tema di indubbia considerazione.

Nel contesto ordinamentale italiano la mancia è considerata una liberalità d’uso offerta dal cliente per il servizio ricevuto, che non ha carattere obbligatorio e la cui entità è unilateralmente decisa dal cliente stesso La particolarità del sistema italiano determina che la prassi di rilasciare mance, pur essendo pienamente entrata a far parte del costume italiano, sia variabile da Regione a Regione. Al riguardo la legislazione non ne definisce l’ammontare, né prevede disposizioni di legge che chiedano ai clienti di offrire mance al personale, ma la contrattazione collettiva indica precise norme sanzionatorie nel caso in cui i dipendenti richiedano mance ai clienti. Le mance non fanno parte del fatturato aziendale ai fini del calcolo delle imposte, non contano ai fini del calcolo della retribuzione dei lavoratori e neppure ai fini dei contributi fiscali e previdenziali.

D’altra parte la disciplina lavoristica concorda nel ritenere che la mancia non possa assumere alcuna forma di retribuzione. Tale orientamento è stato confermato anche dalla giurisprudenza (v. ordinanza n. 13425/2010), che ha riconosciuto il divieto di concedere mance durante le ore lavorative in esercizi pubblici commerciali, dove la Corte è giunta a questa conclusione, tramite l’interpretazione degli articoli 2104 cc. e 1176 cc., i quali impongono “… al lavoratore di eseguire la prestazione, anche in assenza di specifiche direttive del datore di lavoro, secondo la particolare qualità dell’attività dovuta, risultante dalle mansioni e dai profili professionali che la definiscono, e di osservare inoltre tutti quei comportamenti accessori e quelle cautele che si rendono necessari ad assicurare una gestione professionalizzante corretta”.

Inoltre, i Supremi Giudici hanno vieppiù precisato che a differenza delle mance, che per la loro natura aleatoria possono non essere ricomprese nella base imponibile contributiva previdenziale, le percentuali di servizio del personale “tavoleggiante” (previsto dal CCNL del Turismo) si basano su diversi presupposti e, pertanto, costituiscono forme sostitutive della retribuzione collegate al rapporto di lavoro: codeste percentuali sono quindi soggette a tassazione.

Dal punto di vista tributario ricordiamo che a seguito delle recenti modifiche normative sembra conservata la precedente impostazione in base alla quale si affermava la onnicomprensività del concetto di reddito da lavoro dipendente e, quindi, della totale imponibilità di tutto ciò che il dipendente riceve, pur sostenuta da parte della dottrina. In tema di mance è prevista però una particolare disposizione per quelle percepite dagli impiegati tecnici delle case da gioco (croupiers), direttamente o per effetto del riparto a cura di appositi organismi costituiti all’interno dell’impresa, che non concorrono a formare reddito nella misura del 25% dell’ammontare percepito nel periodo d’imposta (art. 51, comma 2, lett. i, TUIR).

La questione in materia tributaria, in verità, non è del tutto pacifica e basterebbe pensare sostanzialmente alla formulazione dell’art. 48 del DPR 597/197, che definiva il reddito da lavoro dipendente come “… costituito da tutti i componenti in denaro o in natura percepiti nel periodo di imposta anche sotto forma di partecipazione agli utili in dipendenza del rapporto di lavoro”.

Inoltre, l’attuale art. 51 del TUIR, nel testo riformato del 2004 prevede, infatti, una nozione onnicomprensiva di reddito da lavoro dipendente, non più limitata al salario percepito dal datore di lavoro. Nella definizione rientrano tutte le somme e i valori in genere, a qualunque titolo percepiti nel periodo d’imposta, anche sotto forma di erogazioni liberali, collegate al rapporto di lavoro: incluse le mance, che hanno origine dal rapporto di lavoro subordinato e costituiscono nei fatti un’entrata.

Un dettato che lascia poco spazio all’immaginazione, in quanto confermerebbe nello specifico quanto asserito dall’A.F. secondo cui “l’onnicomprensività del concetto di reddito di lavoro dipendente giustifica la totale imponibilità di tutto ciò che il dipendente riceve, anche, quindi, come nel caso in esame, non direttamente dal datore di lavoro, ma sulla cui percezione il dipendente può fare, per sua comune esperienza, ragionevole, se non certo affidamento”.

Nel caso di specie, la Commissione Tributaria Regionale della Sardegna aveva accolto l’appello proposto dal contribuente avverso la sentenza della Commissione Tributaria Provinciale con la quale era stato rigettato il ricorso avverso l’avviso di accertamento con il quale venivano recuperati a tassazione, per l’anno 2005, redditi da lavoro dipendente non dichiarati per 77.321 euro corrispondenti a mance percepite nello svolgimento delle proprie mansioni di capo ricevimento alle dipendenze di un resort.

L’Agenzia delleentrate aveva infatti catalogato come reddito da lavoro dipendente non dichiarato la cospicua somma che il dipendente dell’albergo aveva ricevuto dai clienti. Contro l’accusa di evasione il contribuente si era rivolto ai giudici, sottolineando che l’Amministrazione non poteva contare su nessuna norma a sostegno della sua tesi, ottenendo dalla C.T.R. parere favorevole, che riteneva le regalie non tassabili in quanto non comprese nella previsione di reddito da lavoro dipendente di cui all’art. 51 del TUIR nel testo in vigore dal primo gennaio 2004 al 2008, stante la loro natura aleatoria e in quanto percepite direttamente dai clienti senza alcuna relazione con il datore di lavoro.

L’Agenzia ha quindi  proposto ricorso per cassazione avverso tale sentenza, affidato a un unico motivo nel quale si evidenzia che le somme oggetto della tassazione in questione sono state comunque percepite dal contribuente in relazione al rapporto di lavoro, per cui rientrano pienamente nella nozione di lavoro dipendente introdotta con la riforma del D.lgs. 314/1997, in sostituzione del precedente art. 48 del TUIR, che sottolinea la natura onnicomprensiva del reddito da lavoro dipendente non più limitato al salario percepito dal datore di lavoro. I giudici di piazza Cavour hanno dunque, in accoglimento del ricorso delle Entrate, annullato con rinvio la decisione della Commissione tributaria, sostenendo che “… Per quanto è ancora di rilievo in questa sede, l’attuale art. 51, secondo comma, lett. i) del TUIR, così come l’analoga disposizione del previgente art. 48, secondo comma, lett. i), stabilisce che non concorrono a formare il reddito le mance percepite dagli impiegati tecnici delle case da gioco (croupiers) direttamente o per effetto del riparto a cura di appositi organismi costituiti all’interno dell’impresa nella misura del 25 per cento dell’ammontare percepito nel periodo d’imposta. L’art. 12 della I. 30 aprile 1969, n. 153, nel testo sostituito dall’art. 6, comma 1, del d.lgs. n. 314/1997, rinvia; infine, per la determinazione dei redditi da lavoro dipendente ai fini contributivi, all’art. 46 comma 1 TUIR, di modo che costituiscono a tal fine i redditi di cui al citato art. 46 (ora, dunque, 49), comma 1, TUIR, maturati nel periodo di riferimento. Così ricostruito il quadro normativo, che, a seguito dell’emanazione del citato d.lgs. n. 314/1997, ha evidenziato un’unica nozione di reddito da lavoro dipendente tanto ai fini fiscali che contributivi, va rilevato come debba essere condiviso l’assunto dell’Amministrazione finanziaria ricorrente, consonante con il proprio documento di prassi seguito all’emanazione del citato decreto legislativo (cfr. Circolare ministeriale n. 326 del 23 dicembre 1997, par. 2.1.), secondo cui l’onnicomprensività del concetto di reddito di lavoro dipendente giustifica la totale imponibilità di tutto ciò che il dipendente riceve, anche, quindi, come nel caso in esame, non direttamente dal datore di lavoro, ma sulla cui percezione il dipendente può fare, per sua comune esperienza, ragionevole, se non certo affidamento. Il nesso di derivazione delle somme che comunque promanino dal rapporto di lavoro ne giustifica, nel citato contesto normativo di riferimento, la totale imponibilità, salvo le esclusioni (e/o deroghe) espressamente previste. Può, pertanto, sotto il profilo propriamente tributario, ed in termini generali, prestarsi condivisionea quanto già a suo tempo affermato dalla sezione lavoro di questa Corte (cfr. Cass. sez. lav., 21 marzo 2006, n. 6238), resa in fattispecie riguardante mance dei croupiers, dove, peraltro, l’inclusione, parziale, delle mance, secondo la specifica disciplina sopra ricordata, nella base del reddito rilevante sembra piuttosto affermata in considerazione della disposizione contrattuale che attribuisce ad apposito organismo della casa da gioco il compito di ripartire le mance stesse. Si ebbe, allora, ad osservare che “mentre la retribuzione è strettamente connessa, in virtù del vincolo sinallagmatico che qualifica il rapporto di lavoro subordinato, con la prestazione lavorativa, il concetto di derivazione dal rapporto di lavoro, contenuto nella norma in esame” (ora art. 49 TUIR) «prescinde dal suddetto sinallagma ed individua pertanto non solo tutto quanto può essere concettualmente inquadrato nella nozione di retribuzione, ma anche tutti quegli altri introiti del lavoratore subordinato, in denaro o natura, che si legano casualmente con il rapporto di lavoro (e cioè derivano da esso), nel senso che l’esistenza del rapporto di lavoro costituisce il necessario presupposto per la loro percezione da parte del lavoratore subordinato. Costituisce logica conseguenza di quanto fin qui detto che l’ampiezza del concetto di derivazione adottato dal legislatore impone di inserire nella nozione di redditi di lavoro anche gli introiti corrisposti al lavoratore subordinato da soggetti terzi rispetto al rapporto di lavoro sempre che ricorrano i suddetti requisiti». Dalla tecnica seguita dal legislatore di definire in termini generali la nozione di reddito di lavoro dipendente e di prevedere poi specifiche ipotesi di esclusione deve logicamente desumersi che i redditi indicati come esclusi rientrino nella nozione generale, atteso che, diversamente opinando, non vi sarebbe alcuna necessità di prevedere l’esclusione.Non giova, pertanto, a sostegno della tesi esposta dal contribuente nel doppio grado di merito, contestare la natura retributiva delle mance per sostenere che le stesse non sono ricomprese nella nozione di reddito di lavoro dipendente di cui all’art. 51 del d.P.R. n. 917/1986, atteso che, per le ragioni fin qui esposte, tale nozione è diversa e più ampia di quella di retribuzione (cfr., riguardo al profilo fiscale, sul rilievo del nesso di derivazione di somme percepite in relazione a rapporto di lavoro, piuttosto che del concetto di corrispettività, Cass. sez. 5, 4 giugno 2014, n. 12485 in tema di trattamento fiscale di cd. incentivo all’esodo). Il fatto poi che per le mance spettanti ai croupiers sia stata prevista una deduzione forfettaria del 25%, ciò integrando una disciplina agevolativa per una specifica categoria di lavoratori, comporta che detta disciplina non possa essere oggetto di interpretazione analogica o estensiva, avendo più volte questa Corte affermato la natura di stretta interpretazione delle norme in materia di agevolazione tributaria (cfr., ex multis, tra le altre, Cass. sez. 5, 28 ottobre 2020, n. 23686; Cass. sez. 5, 6 dicembre 2016, n. 24894; Cass. SU 2 maggio 2014, n. 9560).Va infine osservato come, al riguardo, proprio in ragione della sostanziale convergenza, alla luce delle sopra richiamate disposizioni normative, tra disciplina fiscale e previdenziale, con l’accoglimento di una nozione di reddito di lavoro utilizzabile sia ai fini contributivi che a quelli tributari, le considerazioni già esposte, in ambito previdenziale, da Corte cost. 7 novembre 2001, n. 354, inducano a non ipotizzare dubbi di legittimità costituzionale riguardo all’art. 51 TUIR nella sua interpretazione in questa sede accolta. 2. Il ricorso dell’Agenzia delle entrate merita pertanto accoglimento, con conseguente cassazione della sentenza impugnata e rinvio della causa per nuovo esame alla Commissione tributaria della S. – sezione staccata di Sassari – in diversa composizione, che si uniformerà al principio di diritto di seguito formulato: “In tema di reddito da lavoro dipendente, le erogazioni liberali percepite dal lavoratore dipendente, in relazione alla propria attività lavorativa, tra cui le cosiddette mance, rientrano nell’ambito della nozione onnicomprensiva di reddito fissata dall’art. 51, primo comma, del d.P.R. n. 917/1986, e sono pertanto soggette a tassazione”.  

Corte di Cassazione – Ordinanza 30 settembre 2021, n. 26512

sul ricorso 23027-2014 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro S. T.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 67/2014 della COMM. TRIB. REG. S. SEZ. DIST. di SASSARI, depositata il 20/02/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio dell’ 11/02/2021 dal Consigliere Dott. GIULIO MAISANO;

Rilevato che

Con sentenza n. 67/8/14 pubblicata il 20 febbraio 2014, non notificata, la Commissione tributaria regionale della S. – sezione staccata di Sassari – ha accolto l’appello proposto dal sig. T. S. avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Sassari n. 159/1/12 con la quale era stato rigettato il ricorso del S. avverso l’avviso di accertamento n. TW901DF00117/2010 emesso nei suoi confronti dall’Agenzia delle Entrate e con il quale venivano recuperati a tassazione per l’anno 2007 redditi da lavoro dipendente non dichiarati per euro 83.650,00, corrispondenti a mance percepite nello svolgimento delle proprie mansioni di capo ricevimento alle dipendenze della S. R. s.r.l. presso l’hotel R..

La Commissione tributaria regionale ha considerato non tassabili le somme percepite a titolo di mance, ritenendo non comprese nella previsione di reddito da lavoro dipendente di cui all’art. 51 del TUIR nel testo in vigore dal primo gennaio 2004 al 2008, stante la loro natura aleatoria ed in quanto percepite direttamente dai clienti senza alcuna relazione con il datore di lavoro.

L’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per cassazione avverso tale sentenza, affidato ad un unico motivo.

Il contribuente è rimasto intimato.

Considerato che

1. Con l’unico motivo di ricorso si lamenta violazione e falsa applicazione dell’art. 51, primo e secondo comma, del d.P.R. n. 917 del 1986, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ.; in particolare si deduce che le somme oggetto della tassazione in questione sono state comunque percepite dal contribuente in relazione al rapporto di lavoro, per cui rientrano pienamente nella nozione di lavoro dipendente introdotta con la riforma del d.lgs. n. 314 del 1997, in sostituzione del precedente art. 48 del TUIR, che sottolinea la natura onnicomprensiva del reddito da lavoro dipendente non più limitato al salario percepito dal datore di lavoro.

1.1. Il motivo di ricorso è fondato.

L’attuale art. 51, primo comma, del TUIR, nel testo post – riforma del 2004, applicabile, ratíone temporis, nella presente controversia, del medesimo tenore letterale dell’art. 48 dello stesso testo unico delle imposte sui redditi, così come già a suo tempo modificato dal d.lgs. 2 settembre 1997 n. 314, espressamente prevede che «il reddito di lavoro dipendente è costituito da tutte le somme e i valori in genere» (intendendo con tale espressione la quantificazione dei beni e dei servizi) «a qualunque titolo percepiti nel periodo d’imposta, anche sotto forma di erogazioni liberali, in relazione al rapporto di lavoro».

A sua volta l’art. 49, comma 1, del TUIR nella formulazione applicabile ratione temporis, reca la medesima definizione di redditi da lavoro dipendente, di cui al previgente art. 46 nel testo ante riforma del 2004, quale a sua volta sostituito, con decorrenza dal primo gennaio 1998, dall’art. 1, comma 1, del citato d.lgs. n. 314/1997, secondo cui «sono redditi di lavoro dipendente quelli che derivano da rapporti aventi per oggetto la prestazione di lavoro, con qualsiasi qualifica, alle dipendenze e sotto la direzione di altri, compreso il lavoro a domicilio quando è considerato dipendente secondo le norme della legislazione sul lavoro».

Risulta, pertanto, marcata, la differenza rispetto all’originaria previsione di cui all’art. 48 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, che definiva il reddito da lavoro dipendente come «costituito da tutti i componenti in denaro o in natura percepiti nel periodo di imposta anche sotto forma di partecipazione agli utili in dipendenza del rapporto di lavoro» poi sostanzialmente trasfuso nell’art. 48 TUIR nel suo testo originario, secondo cui «il reddito da lavoro dipendente è «costituito da tutti i compensi in denaro o in natura percepiti nel periodo di imposta anche sotto forma di partecipazione agli utili in dipendenza del rapporto di lavoro, comprese le somme percepite a titolo di rimborso di spese inerenti alla produzione del reddito e le erogazioni liberali».

Per quanto è ancora di rilievo in questa sede, l’attuale art. 51, secondo comma, lett. i) del TUIR, così come l’analoga disposizione del previgente art. 48, secondo comma, lett. i), stabilisce che non concorrono a formare il reddito le mance percepite dagli impiegati tecnici delle case da gioco (croupiers) direttamente o per effetto del riparto a cura di appositi organismi costituiti all’interno dell’impresa nella misura del 25 per cento dell’ammontare percepito nel periodo d’imposta. L’art. 12 della I. 30 aprile 1969, n. 153, nel testo sostituito dall’art. 6, comma 1, del d.lgs. n. 314/1997, rinvia; infine, per la determinazione dei redditi da lavoro dipendente ai fini contributivi, all’art. 46 comma 1 TUIR, di modo che costituiscono a tal fine i redditi di cui al citato art. 46 (ora, dunque, 49), comma 1, TUIR, maturati nel periodo di riferimento.

Così ricostruito il quadro normativo, che, a seguito dell’emanazione del citato d.lgs. n. 314/1997, ha evidenziato un’unica nozione di reddito da lavoro dipendente tanto ai fini fiscali che contributivi, va rilevato come debba essere condiviso l’assunto dell’Amministrazione finanziaria ricorrente, consonante con il proprio documento di prassi seguito all’emanazione del citato decreto legislativo (cfr. Circolare ministeriale n. 326 del 23 dicembre 1997, par. 2.1.), secondo cui l’onnicomprensività del concetto di reddito di lavoro dipendente giustifica la totale imponibilità di tutto ciò che il dipendente riceve, anche, quindi, come nel caso in esame, non direttamente dal datore di lavoro, ma sulla cui percezione il dipendente può fare, per sua comune esperienza, ragionevole, se non certo affidamento.

Il nesso di derivazione delle somme che comunque promanino dal rapporto di lavoro ne giustifica, nel citato contesto normativo di riferimento, la totale imponibilità, salvo le esclusioni (e/o deroghe) espressamente previste.

1.2. Può, pertanto, sotto il profilo propriamente tributario, ed in termini generali, prestarsi condivisione a quanto già a suo tempo affermato dalla sezione lavoro di questa Corte (cfr. Cass. sez. lav., 21 marzo 2006, n. 6238), resa in fattispecie riguardante mance dei croupiers, dove, peraltro, l’inclusione, parziale, delle mance, secondo la specifica disciplina sopra ricordata, nella base del reddito rilevante sembra piuttosto affermata in considerazione della disposizione contrattuale che attribuisce ad apposito organismo della casa da gioco il compito di ripartire le mance stesse.

1.2.1. Si ebbe, allora, ad osservare che «mentre la retribuzione è strettamente connessa, in virtù del vincolo sinallagmatico che qualifica il rapporto di lavoro subordinato, con la prestazione lavorativa, il concetto di derivazione dal rapporto di lavoro, contenuto nella norma in esame» (ora art. 49 TUIR) «prescinde dal suddetto sinallagma ed individua pertanto non solo tutto quanto può essere concettualmente inquadrato nella nozione di retribuzione, ma anche tutti quegli altri introiti del lavoratore subordinato, in denaro o natura, che si legano casualmente con il rapporto di lavoro (e cioè derivano da esso), nel senso che l’esistenza del rapporto di lavoro costituisce il necessario presupposto per la loro percezione da parte del lavoratore subordinato. Costituisce logica conseguenza di quanto fin qui detto che l’ampiezza del concetto di derivazione adottato dal legislatore impone di inserire nella nozione di redditi di lavoro anche gli introiti corrisposti al lavoratore subordinato da soggetti terzi rispetto al rapporto di lavoro sempre che ricorrano i suddetti requisiti».

Dalla tecnica seguita dal legislatore di definire in termini generali la nozione di reddito di lavoro dipendente e di prevedere poi specifiche ipotesi di esclusione deve logicamente desumersi che i redditi indicati come esclusi rientrino nella nozione generale, atteso che, diversamente opinando, non vi sarebbe alcuna necessità di prevedere l’esclusione.

1.2.2. Non giova, pertanto, a sostegno della tesi esposta dal contribuente nel doppio grado di merito, contestare la natura retributiva delle mance per sostenere che le stesse non sono ricomprese nella nozione di reddito di lavoro dipendente di cui all’art. 51 del d.P.R. n. 917/1986, atteso che, per le ragioni fin qui esposte, tale nozione è diversa e più ampia di quella di retribuzione (cfr., riguardo al profilo fiscale, sul rilievo del nesso di derivazione di somme percepite in relazione a rapporto di lavoro, piuttosto che del concetto di corrispettività, Cass. sez. 5, 4 giugno 2014, n. 12485 in tema di trattamento fiscale di cd. incentivo all’esodo).

1.3. Il fatto poi che per le mance spettanti ai croupiers sia stata prevista una deduzione forfettaria del 25%, ciò integrando una disciplina agevolativa per una specifica categoria di lavoratori, comporta che detta disciplina non possa essere oggetto di interpretazione analogica o estensiva, avendo più volte questa Corte affermato la natura di stretta interpretazione delle norme in materia di agevolazione tributaria (cfr., ex multis, tra le altre, Cass. sez. 5, 28 ottobre 2020, n. 23686; Cass. sez. 5, 6 dicembre 2016, n. 24894; Cass. SU 2 maggio 2014, n. 9560).

1.4. Va infine osservato come, al riguardo, proprio in ragione della sostanziale convergenza, alla luce delle sopra richiamate disposizioni normative, tra disciplina fiscale e previdenziale, con l’accoglimento di una nozione di reddito di lavoro utilizzabile sia ai fini contributivi che a quelli tributari, le considerazioni già esposte, in ambito previdenziale, da Corte cost. 7 novembre 2001, n. 354, inducano a non ipotizzare dubbi di legittimità costituzionale riguardo all’art. 51 TUIR nella sua interpretazione in questa sede accolta. 2. Il ricorso dell’Agenzia delle entrate merita pertanto accoglimento, con conseguente cassazione della sentenza impugnata e rinvio della causa per nuovo esame alla Commissione tributaria della S. – sezione staccata di Sassari – in diversa composizione, che si uniformerà al principio di diritto di seguito formulato: «In tema di reddito da lavoro dipendente, le erogazioni liberali percepite dal lavoratore dipendente, in relazione alla propria attività lavorativa, tra cui le cosiddette mance, rientrano nell’ambito della nozione onnicomprensiva di reddito fissata dall’art. 51, primo comma, del d.P.R. n. 917/1986, e sono pertanto soggette a tassazione». Il giudice di rinvio provvederà inoltre al regolamento delle spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione tributaria regionale della S. – sezione staccata di Sassari – in diversa composizione, cui demanda anche di provvedere sulle spese del giudizio di legittimità. Così deciso in Roma nella camera di consiglio dell’Il febbraio 2021.

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