SENTENZE

Le donazioni della famiglia devono essere dimostrate

La Corte di Cassazione con una sentenza del 2014, in una controversia scaturita da un accertamento sintetico nei confronti di una contribuente nel quale risultavano indicatori certi di un tenore di vita ben superiore a quello risultante dalla dichiarazione dei redditi, ha stabilito che ai fini del redditometro il riferimento a donazioni della famiglia per giustificare il tenore di vita più elevato rispetto a quanto dichiarato è irrilevante, se le elargizioni in questione non sono provate da documentazione idonea a dimostrare la valenza giuridica in relazione alle spese e al sostentamento parentale. Non costituisce “fatto notorio” la semplice consuetudine familiare di liberalità da parte dei genitori in favore dei figli: una pratica familiare – come quella di sostenere economicamente un figlio – non può infatti innalzarsi al rango di fatto “notorio” in grado di consentire al giudice di ritenere l’esistenza dell’atto di liberalità e di annullare l’accertamento.

 

I fatti

Un ufficio dell’Agenzia delle Entrate accertava a carico di una contribuente una maggiore capacità contributiva per l’anno 1999, alla luce dell’acquisto di un fabbricato per un valore di 390 milioni di “vecchie” lire oltre alle relative spese di mantenimento e di un’abitazione secondaria. In seguito all’esame delle risposte al questionario venivano quindi accertati in capo alla contribuente redditi netti superiori di almeno un quarto a quelli dichiarati.

Visto l’esito negativo per la contribuente con cui si era concluso l’accertamento con adesione, la stessa proponeva ricorso avverso l’avviso di accertamento sostenendo che il prezzo dell’acquisto era stato pagato, per 150 milioni di lire, tramite compensazione della propria quota di credito vantata come socia della società venditrice e, per la parte restante, tramite compensazione della quota di credito dell’altro socio, il padre della contribuente, e oggetto di donazione in suo favore.

 

L’iter contenzioso

La competente Commissione Tributaria Provinciale rigettava i ricorsi osservando che la ricorrente aveva giustificato solo in parte la maggiore capacità contributiva, in quanto se aveva dimostrato la compartecipazione alla società e la diminuzione del debito rappresentato dal finanziamento dei soci, non aveva invece prodotto alcuna prova della cessione a titolo gratuito delle quote da parte del padre. La decisione veniva appellata dalla contribuente, le cui giustificazioni convincevano i giudici della Commissione Tributaria Regionale, che riformavano integralmente la decisione della CTP.

controllo-fiscale-asd-1024x777In particolare, il giudice di appello rilevava che il ragionamento del primo Collegio, secondo cui la documentazione allegata dalla contribuente non integrava “sufficienti elementi idonei a dimostrare la necessaria valenza giuridica relativamente alle spese ed al sostentamento parentale”, non era convincente in quanto “sarebbe stato agevole pervenire alla contraria conclusione sulla base del rapporto di parentela intercorrente tra i titolari del rapporto in esame non potendosi escludere lo spirito liberale come una inveterata consuetudine familiare da assumere tra quelle nozioni di fatto che rientrano nella comune esperienza, ai sensi del 2° comma dell’art.115 c.p.c.”.

Tale decisione veniva impugnata dall’Agenzia delle Entrate.

 

La decisione degli Ermellini

La Suprema Corte accoglieva l’opposizione dell’Amministrazione finanziaria ritendo fondato il primo motivo, con il quale la stessa argomenta l’errore commesso dalla CTR nell’avere qualificato la donazione del padre in favore della figlia come fatto notorio pur a fronte della contraria interpretazione, fornita dalla stessa Cassazione, dell’art. 115 del Codice di procedura civile.

Nella pronuncia si legge che “Il ricorso alle nozioni di comune esperienza (fatto notorio), comportando una deroga al principio dispositivo ed al contraddittorio, in quanto introduce nel processo civile prove non fornite dalle parti e relative a fatti dalle stesse non vagliati né controllati, va inteso in senso rigoroso, e cioè come fatto acquisito alle conoscenze della collettività con tale grado di certezza da apparire indubitabile e incontestabile; di conseguenza, non si possono reputare rientranti nella nozione di fatti di comune esperienza, intesa quale esperienza di un individuo medio in un dato tempo e in un dato luogo, quegli elementi valutativi che implicano cognizioni particolari o anche solo la pratica di determinate situazioni, né quelle nozioni che rientrano nella scienza privata del giudice, poiché questa, in quanto non universale, non rientra nella categoria del notorio”. Pertanto, deve essere escluso da tale nozione un evento o una situazione soltanto probabile come, nel caso in esame, la semplice “prassi familiare” di liberalità da parte dei genitori in favore dei figli.

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