CASSAZIONE

La violazione del termine di permanenza non annulla la verifica

Tributi – Verifica fiscale – Permanenza degli ispettori presso la sede del contribuente oltre il termine di cui all’art. 12, co. 5, della Legge n. 212/2000 – Nullità dell’avviso di accertamento – Non sussiste

La Corte di Cassazione, intervenendo nuovamente in tema delle violazioni dei termini indicati dallo Statuto del Contribuente per la presenza degli ispettori presso la sede del contribuente, ha dichiarato con la sentenza n. 966 del 20 gennaio 2016, che la scadenza non determina la sopraggiunta carenza del potere di accertamento ispettivo, né l’invalidità degli atti compiuti e nemmeno l’inutilizzabilità delle prove raccolte, atteso che nessuna di tali sanzioni è stata prevista dal legislatore. I giudici di legittimità, a fronte della specifica censura mossa dal contribuente nel ricorso, citando la copiosa giurisprudenza in merito hanno sottolineato inoltre che il termine ha natura meramente ordinatoria (v. Cassazione, 19338/2011; 7606, 16323 e 24690 del 2014), in assenza di una norma espressa che lo qualifichi come obbligatorio, ovvero che renda invalidi gli atti compiuti o, infine, che disponga l’invalidità derivata dell’atto impositivo (v. Cassazione, 17002/2012 e 14020/2011). Dopo aver osservato che vi è un’analogia di formulazione tra il comma 5, “… la permanenza … non può superare i trenta giorni”, e il comma 7, “… l’avviso … non può essere emanato prima della scadenza”, i giudici hanno chiarito la differenza tra le due disposizioni. In particolare, oltre l’oggetto disciplinato (comportamento materiale dei funzionari pubblici nel caso del comma 5, provvedimento tributario nel caso del comma 7), hanno evidenziato che è diversa anche la rilevanza degli interessi sostanziali considerati (interesse negativo del contribuente alla presenza di soggetti estranei nei locali in cui si svolge l’attività economica nel primo caso, corretta formazione del rapporto tributario e garanzia del contraddittorio procedimentale, nel secondo). Di conseguenza, la Corte ha ritenuto che : “ … A riprova dell’assunto che qui si intende affermare va qui ribadito il convincimento già espresso da questa Corte secondo cui “in tema di verifiche tributarie, la violazione del termine di permanenza degli operatori dell’Amministrazione finanziaria presso la sede del contribuente, previsto dall’art. 12 comma 5 della legge 27 luglio 2000, n. 212 non determina la sopravvenuta carenza del potere di accertamento ispettivo, né l’invalidità degli atti compiuti o l’inutilizzabilità delle prove raccolte, atteso che nessuna di tali sanzioni è stata prevista dal legislatore”. E ciò perché, come è stato chiarito nell’occasione, con giudizio a cui il collegio intende dare continuità, raffrontando la disposizione in esame con quella recata dal successivo comma 7 – la cui violazione, com’è noto, comporta la invalidità dell’atto impositivo emanato ante tempus, essendo il termine ivi previsto posto a garanzia del contraddittorio procedimentale (SS.UU. 18184/13) – non può, infatti, istituirsi una diretta corrispondenza tra le fattispecie contemplate dalle dette disposizioni, oltre che in considerazione del diverso oggetto disciplinato (comportamento materiale dei funzionali pubblici nel caso del comma 5; provvedimento tributario nel caso del comma 7) – onde è improprio riguardo al primo invocare le categorie della invalidità degli atti e dei negozi giuridici – in ragione della diversa rilevanza degli interessi sostanziali considerati (interesse negativo del soggetto alla presenza di soggetti estranei nei locali in cui si svolge l’attività economica nel primo caso; corretta formazione del rapporto tributario nel secondo), circostanza alla luce della quale si giustifica razionalmente la scelta del legislatore di non ricollegare alla violazione del termine della permanenza nei locali la sanzione di invalidità dell’atto impositivo, non incidendo la violazione della durata della verifica su diritti costituzionalmente tutelati riferibili al contribuente.

A cura di Redazione

MERCE SEQUESTRATA DALLA GUARDIA DI FINANZA

Corte di Cassazione

Sentenza n. 966 del 20 gennaio 2016

 

Svolgimento del processo

  1. L’Agenzia delle Entrate ricorre per cassazione avverso la sentenza della CTR Piemonte 26/15/09 del 7.5.2009 che, rigettando l’appello dell’ufficio, ha confermato la sentenza di primo grado con cui era stato annullato l’avviso di accertamento notificato alla (…) s.r.l. in quanto la verifica, che vi aveva dato adito, si era protratta dal 19.10.2004 al 30.11.2004 violando il termine stabilito dall’art. 12, comma 5, l. 212/00.

Il giudice territoriale, affermato previamente che “la verifica che ha generato l’avviso di accertamento non si è svolta nel rispetto delle norme di cui all’art. 12, comma 5 della legge 212/2000 e che mancano gli elementi necessari per stabilire quali sono i rilievi da disconoscere”, ha ritenuto di poter motivare il proprio pronunciamento con la considerazione che, ogni volta che sorgano dubbi sulla portata applicativa delle regole fiscali, “l’interprete deve far riferimento ai principi generali dell’ordinamento tributario contenuti nella legge 212 del 2000”, sicché nella specie le argomentazioni difensive richiamate a sostegno della illegittimità dell’atto impugnato per violazione del termine di cui all’art. 12, comma 5, l. 212/00 “sono degne di accoglimento e trovano conferma nell’attuale procedimento del sistema tributario italiano”, anche perché nel caso in esame non si ravvisa la sussistenza di richieste documentate in grado di giustificare la protrazione delle operazioni di verifica oltre il predetto termine.

Il mezzo erariale si vale di tre motivi di ricorso.

Non ha svolto attività difensiva la parte.

Motivi della decisione

  1. Con il primo motivo di ricorso, l’Agenzia ricorrente lamenta ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 3, c.p.c., errore di diritto nell’applicazione dell’art. 12, comma 5, l. 212/00, posto che, contrariamente a quanto affermato dal giudice d’appello, che avrebbe ritratto da ciò la ragione per statuire la nullità dell’atto impugnato, anche volendo ammettere nella specie la presunta violazione del termine ivi stabilito, la norma in indirizzo “non prevede espressamente la sanzione della nullità o dell’annullabilità dell’avviso di accertamento nell’ipotesi di mancato rispetto del termine in esame, né quella dell’inutilizzabilità degli elementi di prova acquisiti nel periodo successivo alla scadenza del termine”, potendo al più derivarne una mera irregolarità fonte semmai di responsabilità disciplinare per il suo autore.

Il secondo motivo del ricorso erariale allega a mente dell’art. 360, comma primo, n. 4, c.p.c. un vizio di omessa pronuncia ex art. 112 c.p.c. in quanto il giudice d’appello si era pronunciato nei riferiti termini sebbene “nell’atto di appello dell’amministrazione si fosse censurata la sentenza di primo grado … pregiudizialmente sull’applicazione dell’art. 12, comma 5, l. 212/00 e sulla violazione del termine di trenta giorni ivi prescritto”, deducendo che il termine deve essere calcolato tenendo conto dei soli giorni lavorativi e che nella specie la permanenza dei verificatori si era protratta per 23 giorni e svolgendo all’uopo uno specifico motivo di gravame sul quale il predetto giudice aveva omesso di esprimersi, limitandosi a richiamare la portata garantistica della l. 212/00.

Violazione e falsa applicazione dell’art. 12, comma 5, l. 212/00 in relazione all’art. 360, comma primo, n. 3, c.p.c. si deduce con il terzo motivo di ricorso avendo la CTR respinto la tesi dell’appellante, secondo cui il termine stabilito dalla norma in indirizzo andava riferito ai giorni in cui i verificatori si erano materialmente trattenuti nei locali dell’azienda, “sulla base di argomentazioni che non paiono pertinenti e convincenti”, posto che nella specie era documentalmente provato, e non era peraltro contestato dalla parte, che i verificatori si fossero trattenuti presso la sede della società solo 23 giorni lavorativi e che il termine anzidetto andava interpretato nel senso di considerare i soli giorni di effettiva presenza presso l’azienda e non anche quelli in cui la verifica era stata interrotta.

3.1. E prioritario l’esame del secondo motivo del ricorso, poiché, ove esso fosse fondato – ove cioè il giudice d’appello avesse effettivamente ignorato lo specifico motivo di gravame con cui l’appellante intendeva sostenere che, contrariamente a quanto affermato dal primo giudice, il termine dell’art. 12, comma 5, l. 212/00 andava calcolato tenendo conto dei soli giorni lavorativi e che nella specie non sussisteva perciò la lamentata violazione, atteso che i verificatori si erano trattenuti presso la sede dell’impresa per 23 giorni – ciò caducherebbe alla radice la legittimità dell’impugnata sentenza per violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato e renderebbe dunque superfluo chiedersi, come postulato rispettivamente dal primo e dal terzo motivo di ricorso, se sia corretto, come assunto dai giudici di merito, ritenere che la violazione del termine comporti la nullità del susseguente atto impositivo e che il termine debba calcolarsi con riguardo ai giorni di calendario.

3.2. Il motivo, pur preliminarmente delibato in ragione della sua assorbenza, è tuttavia privo di fondamento, in considerazione della constatazione che il giudice d’appello, pronunciandosi nel merito – ovvero confermando il deliberato di prima istanza che aveva reputato illegittimo l’atto impositivo notificato in dipendenza di una verifica protrattasi per 34 giorni di calendario – ha inteso con ciò implicitamente rigettarlo.

E’ d’altronde ben nota la giurisprudenza di questa Corte secondo cui non basta ad integrare gli estremi del vizio di omessa pronuncia la mancanza di un’espressa statuizione del giudice, ma è necessario che sia stato completamente omesso il provvedimento che si palesa indispensabile alla soluzione del caso concreto, sicché “non ricorre il vizio di omessa pronuncia nonostante la mancata decisione su un punto specifico, quando la decisione adottata comporti una statuizione di rigetto sul medesimo” (21798/15; 7867/15; 5351/07). Come altrove chiarito dalla Corte ciò si verifica “quando la decisione adottata comporti la reiezione della pretesa fatta valere dalla parte, anche se manchi in proposito una specifica argomentazione, dovendo ravvisarsi una statuizione implicita di rigetto quando la pretesa avanzata risulti incompatibile con l’impostazione logico-giuridica della pronuncia” (24512/15; 22287/15; 20311/11). Che è esattamente ciò che è accaduto nel caso di specie, perché, pronunciandosi nei riferiti termini ovvero decretando l’illegittimità dell’avviso per inosservanza del termine di verifica calcolato tenendo conto dei giorni di calendario, la CTR ha assunto una determinazione che è logicamente e giuridicamente incompatibile col fatto dedotto in gravame dall’appellante che il termine debba essere conteggiato guardando ai soli giorni lavorativi e quindi non è incorsa nella violazione denunciata in quanto lo specifico motivo di appello formulato dall’Agenzia in quella direzione deve ritenersi implicitamente rigettato.

4.1. Tornando perciò al primo motivo di ricorso – in guisa del quale, come si è detto, si fa valere la contrarietà dell’impugnata decisione per aver confermato la nullità dell’atto impositivo, malgrado alcuna sanzione sia prevista in questi termini dalla norma – reputa il collegio che esso sia fondato e che il suo accoglimento comporti pure l’assorbimento del terzo motivo di ricorso, risultando invero superfluo ai fini di causa, una volta che si sia chiarito che l’inosservanza del termine di verifica è improduttivo di effetti sulla legittimità del susseguente atto impositivo, appurare se il termine contempli i giorni lavorativi o quelli di calendario.

4.2. A riprova dell’assunto che qui si intende affermare va qui ribadito il convincimento già espresso da questa Corte secondo cui “in tema di verifiche tributarie, la violazione del termine di permanenza degli operatori dell’Amministrazione finanziaria presso la sede del contribuente, previsto dall’art. 12 comma 5 della legge 27 luglio 2000, n. 212 non determina la sopravvenuta carenza del potere di accertamento ispettivo, né l’invalidità degli atti compiuti o l’inutilizzabilità delle prove raccolte, atteso che nessuna di tali sanzioni è stata prevista dal legislatore”.

E ciò perché, come è stato chiarito nell’occasione, con giudizio a cui il collegio intende dare continuità, raffrontando la disposizione in esame con quella recata dal successivo comma 7 – la cui violazione, com’è noto, comporta la invalidità dell’atto impositivo emanato ante tempus, essendo il termine ivi previsto posto a garanzia del contraddittorio procedimentale (SS.UU. 18184/13) – non può, infatti, istituirsi una diretta corrispondenza tra le fattispecie contemplate dalle dette disposizioni, oltre che in considerazione del diverso oggetto disciplinato (comportamento materiale dei funzionali pubblici nel caso del comma 5; provvedimento tributario nel caso del comma 7) – onde è improprio riguardo al primo invocare le categorie della invalidità degli atti e dei negozi giuridici – in ragione della diversa rilevanza degli interessi sostanziali considerati (interesse negativo del soggetto alla presenza di soggetti estranei nei locali in cui si svolge l’attività economica nel primo caso; corretta formazione del rapporto tributario nel secondo), circostanza alla luce della quale si giustifica razionalmente la scelta del legislatore di non ricollegare alla violazione del termine della permanenza nei locali la sanzione di invalidità dell’atto impositivo, non incidendo la violazione della durata della verifica su diritti costituzionalmente tutelati riferibili al contribuente.

4.3. Dunque errato è il contrario deliberato adottato dal giudice d’appello, la cui lettura normativa, laddove si risolve nel far discendere la illegittimità dell’atto dall’inosservanza di una norma comportamentale, si rivela incoerente sul piano della sistematica giuridica e non aderente al sottostante quadro degli interessi tutelati.

  1. Accogliendosi dunque il ricorso nei limiti anzidetti, la sentenza impugnata va necessariamente cassata e la causa va rinviata ex art. 383, comma primo, c.p.c. al giudice territoriale per la decisione in ordine agli altri motivi di appello.

P.Q.M.

Respinge il primo motivo di ricorso, accoglie il secondo e dichiara assorbito il terzo; cassa nei limiti del motivo accolto la sentenza impugnata e rinvia avanti alla CTR Piemonte che in altra composizione provvederà anche alla liquidazione delle spese del presente giudizio.

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