CASSAZIONE

La tassatività degli atti tributari impugnabili non impedisce al contribuente d’impugnarne altri

La Corte di Cassazione, Sez. 6 civile, con ordinanza n. 29026 del 5 dicembre 2017 ha ritenuto manifestamente infondato il ricorso presentato dall’Agenzia delle Entrate in cui si deduceva la violazione dell’art. 19, D.lgs. 546/1992, e ha decretato che è legittima l’impugnazione, da parte del contribuente, del diniego di disapplicazione delle norme sulle società di comodo.

I Supremi giudici hanno infatti evidenziato che il giudice di appello adito aveva erroneamente ritenuto l’istanza di interpello ex art. 37-bis, c. 8, DPR 600/1973 proposta dalla società contribuente, non suscettibile di impugnazione innanzi alle Commissioni tributarie.

La produzione di una nutrita giurisprudenza in merito conferma che la S.C. ha da tempo affermato che la sola elencazione degli atti impugnabili contenuta nella citata norma, pur essendo tassativa, deve tener conto e ragione dei principi costituzionali di tutela del Contribuente (artt. 24 e 53, Cost.) e di buon andamento della P.A. (Art. 97, Cost.) e che pertanto ogni atto adottato dall’ente impositore che porti, comunque, a conoscenza del contribuente una specifica pretesa tributaria, con esplicitazione delle concrete ragioni fattuali e giuridiche, è impugnabile davanti al giudice tributario, senza necessità che si manifesti in forma autoritativa.

Peraltro, la S.C. ha più volte affermato che l’elencazione degli atti impugnabili davanti al giudice tributario, di cui all’art. 19 del D.lgs. n. 546/1992, non esclude l’impugnabilità di provvedimenti non compresi in tale novero se contenenti la manifestazione di una compiuta e definita pretesa tributaria.

Inoltre, tornando allo specifico, la Suprema Corte, attraverso un complesso percorso logico giuridico, pur ammettendo la tassatività degli atti tributari impugnabili, ha riconosciuto il diritto del contribuente a impugnarne anche altri, tenendo conto degli effetti che producono nella sua sfera giuridica che ha, come conseguenza, il fatto che questa Corte ha giudicato immediatamente impugnabile dal contribuente anche la comunicazione di irregolarità ex art. 37-bis, 8 comma, del DPR 600/1973.

La S.C. ha ritenuto infatti che “… in tema di contenzioso tributario, l’elencazione degli atti impugnabili contenuta nell’art. 19 del Ric. 2016 n. 14675 sez. MT – ud. 26-10-2017 -2- d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 ha natura tassativa, ma non preclude la facoltà di impugnare anche altri atti, ove con gli stessi l’Amministrazione porti a conoscenza del contribuente una ben individuata pretesa tributaria, esplicitandone le ragioni fattuali e giuridiche, siccome è possibile un’interpretazione estensiva delle disposizioni in materia in ossequio alle norme costituzionali di tutela del contribuente (artt. 24 e 53 Cost.) e di buon andamento dell’amministrazione (art. 97 Cost.), ed in considerazione dell’allargamento della giurisdizione tributaria operato con la legge 28 dicembre 2001, n. 448. Ne consegue che il contribuente ha la facoltà, non l’onere di impugnare il diniego del Direttore Regionale delle Entrate di disapplicazione di norme antielusive ex art. 37 bis, comma 8, del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, atteso che lo stesso non è atto rientrante nelle tipologie elencate dall’art. 19 del d.lgs. n. 546 del 1992, ma provvedimento con cui l’Amministrazione porta a conoscenza del contribuente, pur senza efficacia vincolante per questi, il proprio convincimento in ordine ad un determinato rapporto tributario. (Cfr.Cass.n.17010/2012) Prospettiva ribadita, sia pure incidenter tantum, dalle S.U. di questa stessa Corte con la sentenza 18/04/2016 n. 7665. Si tratta di un indirizzo in linea con la giurisprudenza di questa Corte, secondo la quale ai fini dell’individuazione degli atti soggetti ad impugnativa D.Lgs. n. 546 del 1992, ex art. 19, oltre ai singoli provvedimenti nominativamente indicati nella citata disposizione, per il legislatore già in sé espressivi di una pretesa tributaria, deve aversi riguardo agli effetti giuridici che l’atto concretamente produce nella sfera giuridica del contribuente (Cass. ord. n. 13548 del 2015), che siano quindi astrattamente idonei a fondare l’interesse del contribuente ( Ric. 2016 n. 14675 sez. MT – ud. 26-10-2017 -3)- all’impugnazione ex art. 100 c.p.c., trovando giustificazione l’applicazione dei criteri di interpretazione “estensiva” ed analogica delle categorie di atti contenute nell’elenco di cui al citato D.Lgs. tanto nell’esigenza di certezza dei rapporti tributari (che richiede un’immediata definizione delle potenziali controversie) quanto nei principi costituzionali di buon andamento della PA ex art. 97 Cost. e di effettività del diritto di difesa del cittadino ex art. 24 Cost. (cfr.Cass.n.5723/2016 che, oltre a richiamare Cass. 19755/2013, ha specificamente menzionato Cass.n.17010/2012 resa in tema di interpello; cfr altresì Cass.n.25281/2015 che, nel ritenere impugnabile l’interpello di cui al D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 127 bis ha espressamente richiamato, ancora una volta, i principi espressi da Cass.n.17010/2012;v., ancora Cass. 27 marzo 2015 n. 6200).

Del resto, le superiori conclusioni sono in linea con la giurisprudenza consolidata resa da questa Corte a proposito della portata dell’art.19 d.lgs.n.546/1992.

Più volte, inoltre, si è affermato, – concludono gli Ermellini, – che l’elencazione degli atti impugnabili davanti al giudice tributario, di cui all’art. 19 del D.Lgs. n. 546 del 1992, “non esclude l’impugnabilità di provvedimenti non compresi in tale novero se contenenti la manifestazione di una compiuta e definita pretesa tributaria”. In tale prospettiva si ammette, pertanto, che la tassatività dell’elenco di cui all’art. 19 c. 1 lett. i) deve intendersi riferita non a singoli provvedimenti nominativamente individuati, ma all’individuazione di “categorie” di atti considerate in relazione agli effetti giuridici da essi prodotti, sicché “compete all’interprete qualificare l’atto in concreto impugnato in relazione agli elementi funzionali ed agli effetti prodotti e di ricondurlo ad una delle predette categorie anche atti “atipici” od individuati con “nomen iuris” diversi da quelli indicati nell’elenco”.

 

CORTE DI CASSAZIONE – Sez. 6 civile Ordinanza n. 29026 del 5 dicembre 2017

Ha pronunciato la seguente

ORDINANZA sul ricorso 14675-2016 proposto da: AGENZIA DELLE ENTRATE, C.F. 06363391001, in persona del Direttore pro tempore, domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende ope legis;

– ricorrente –

contro LB LYOPHARM S.R.L. C.F./P.I.02322250214, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE DEI PAR1OLI n.124, presso lo studio dell’avvocato GIOVANNI GIRELLI, che la rappresenta e difende;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

avverso la sentenza n. 133/2/2015 della COMMISSIONE TRIBUTARIA II° GRADO di BOLZ ANO, depositata il 204/12/2015; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 26/10/2017 dal Consigliere Dott. ROBERTO GIOVANNI CONTI.

Fatti e motivi della decisione

Il Direttore provinciale dell’Agenzia delle entrate di Bolzano rigettava le istanze presentate ai sensi dell’art.37 bis c.8 dPR n.600/73 dalla LB Lyopharm s.r.l. per la disapplicazione della disciplina sulle società di comodo di cui all’art.30 I.n.724/1994 in relazione all’anno 2012.

La società contribuente impugnava il provvedimento innanzi alla Commissione tributaria di primo grado di Bolzano che lo accoglieva, con sentenza confermata dalla Commissione tributaria di secondo grado indicata in epigrafe.

L’Agenzia delle entrate ha proposto ricorso per cassazione affidato ad un unico motivo, al quale ha resistito la società intimata con controricorso e ricorso incidentale condizionato.

Il procedimento può essere definito con motivazione semplificata.

L’Agenzia ricorrente deduce la violazione dell’art.19 d.lgs.n.546/1992, rilevando che erroneamente il giudice di appello aveva ritenuto l’impugnabilità del rigetto delle istanza di interpello ex art.37 bis c.8 dPR n.600/73 proposta dalla società contribuente, non rientrando l’atto anzidetto fra quelli suscettibili di impugnazione innanzi alle commissioni tributarie.

Il ricorso principale è manifestamente infondato.

Questa Corte ha ritenuto che in tema di contenzioso tributario, l’elencazione degli atti impugnabili contenuta nell’art. 19 del Ric. 2016 n. 14675 sez. MT – ud. 26-10-2017 -2- d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 ha natura tassativa, ma non preclude la facoltà di impugnare anche altri atti, ove con gli stessi l’Amministrazione porti a conoscenza del contribuente una ben individuata pretesa tributaria, esplicitandone le ragioni fattuali e giuridiche, siccome è possibile un’interpretazione estensiva delle disposizioni in materia in ossequio alle norme costituzionali di tutela del contribuente (artt. 24 e 53 Cost.) e di buon andamento dell’amministrazione (art. 97 Cost.), ed in considerazione dell’allargamento della giurisdizione tributaria operato con la legge 28 dicembre 2001, n. 448.

Ne consegue che il contribuente ha la facoltà, non l’onere di impugnare il diniego del Direttore Regionale delle Entrate di disapplicazione di norme antielusive ex art. 37 bis, comma 8, del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, atteso che lo stesso non è atto rientrante nelle tipologie elencate dall’art. 19 del d.lgs. n. 546 del 1992, ma provvedimento con cui l’Amministrazione porta a conoscenza del contribuente, pur senza efficacia vincolante per questi, il proprio convincimento in ordine ad un determinato rapporto tributario. Cfr.Cass.n.17010/2012– Prospettiva ribadita, sia pure incidenter tantum, dalle S.U. di questa stessa Corte con la sentenza 18/04/2016 n. 7665. Si tratta di un indirizzo in linea con la giurisprudenza di questa Corte, secondo la quale ai fini dell’individuazione degli atti soggetti ad impugnativa D.Lgs. n. 546 del 1992, ex art. 19, oltre ai singoli provvedimenti nominativamente indicati nella citata disposizione, per il legislatore già in sé espressivi di una pretesa tributaria, deve aversi riguardo agli effetti giuridici che l’atto concretamente produce nella sfera giuridica del contribuente (Cass. ord. n. 13548 del 2015), che siano quindi astrattamente idonei a fondare l’interesse del contribuente Ric. 2016 n. 14675 sez. MT – ud. 26-10-2017 -3- all’impugnazione ex art. 100 c.p.c., trovando giustificazione l’applicazione dei criteri di interpretazione “estensiva” ed analogica delle categorie di atti contenute nell’elenco di cui al citato D.Lgs. tanto nell’esigenza di certezza dei rapporti tributari (che richiede un’immediata definizione delle potenziali controversie) quanto nei principi costituzionali di buon andamento della PA ex art. 97 Cost. e di effettività del diritto di difesa del cittadino ex art. 24 Cost. (cfr.Cass.n.5723/2016 che, oltre a richiamare Cass. 19755/2013, ha specificamente menzionato Cass.n.17010/2012 resa in tema di interpello;cfn altresì Cass.n.25281/2015 che, nel ritenere impugnabile l’interpello di cui al D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 127 bis ha espressamente richiamato, ancora una volta, i principi espressi da Cass.n.17010/2012;v., ancora Cass. 27 marzo 2015 n. 6200).

Del resto, le superiori conclusioni sono in linea con la giurisprudenza consolidata resa da questa Corte a proposito della portata dell’art.19 d.lgs.n.546/1992.

Più volte si è affermato che l’elencazione degli atti impugnabili davanti al giudice tributario, di cui all’art. 19 del D.Lgs. n. 546 del 1992, non esclude l’impugnabilità di provvedimenti non compresi in tale novero se contenenti la manifestazione di una compiuta e definita pretesa tributaria (cfr. Cass. 8.10.2007 n. 21045, Cass., 30/12/2016, n. 27494).

In tale prospettiva si ammette, pertanto, che la tassatività dell’elenco di cui all’art.19 c.1 lett.i) cit. deve intendersi riferita non a singoli provvedimenti nominativamente individuati, ma all’individuazione di “categorie” di atti considerate in relazione agli effetti giuridici da essi prodotti (Cass. 6 novembre 2013 n. 24916, Cass. n.15180/2014).

Sicché compete all’interprete qualificare l’atto in concreto impugnato in relazione agli (Ric. 2016 n. 14675 sez. MT – ud. 26-10-2017 -4-) elementi funzionali ed agli effetti prodotti e di ricondurlo ad una delle predette categorie anche atti “atipici” od individuati con “nomen iuris” diversi da quelli indicati nell’elenco- Cass. 6 novembre 2013 n. 24916 ; (Cass.23/03/2016, n. 5723).

Sulla base di tali considerazioni, rispetto alle quali non è conferente, ratione temporis, la recente disciplina normativa introdotta dall’art. 6, comma 1 del D.Lgs. 156/2015, secondo la quale le risposte alle istanze di interpello di cui all’art. 11 della L. 212/2000 non sono impugnabili, salvo le risposte alle istanze di interpello disapplicativo di norme antielusive del secondo comma del medesimo art. 11, avverso le quali può essere proposto ricorso unitamente all’atto impositivo, il ricorso principale va rigettato, essendo il giudice di appello pienamente conformato ai principi sopra richiamati (Cass.n. 23464 e n. 23469 del 6 ottobre 2017), rimanendo assorbito il ricorso incidentale. Ricorrono giusti motivi per compensare le spese del giudizio di legittimità.

PQM

Rigetta il ricorso principale, assorbito quello incidentale.

Compensa le spese.

Così deciso il 26.10.2017 in Roma.

 

 

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