CASSAZIONE

La TARI si versa anche con l’albergo chiuso nel periodo invernale

Tributi – TARI – Esercizi alberghieri – Attività stagionale – Pagamento durante il periodo di chiusura – Legittimità – Presupposto – Possesso o detenzione di locali suscettibili di produrre rifiuti – Regolamento comunale

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 10156 dell’11 aprile 2019, intervenendo in materia di TARI – la tassa per lo smaltimenti dei rifiuti, ex TARSU – ha ricordato che la tassa è dovuta dall’albergo anche nel periodo invernale,  nonostante l’attività sia oggettivamente ferma e l’albergo sia chiuso. 

In materia esiste una vasta e non sempre univoca interpretazione giurisprudenziale, e sulla questione de qua la Cassazione si era recentemente pronunciata (sentenza n. 22756/2016) sostenendo che gli alberghi pagano la tassa rifiuti anche nel periodo in cui sono chiusi e l’attività viene sospesa perché è finita la stagione turistica.

Nel periodo di sospensione dell’attività non è previsto alcun esonero dal pagamento della tassa.

Con questa pronuncia la Corte di Cassazione ha smentito le prese di posizione di alcuni giudici di merito sull’esenzione dalla tassa delle strutture ricettive durante il periodo di chiusura stagionale.  Sempre secondo i Supremi Giudici, “la mancata utilizzazione della struttura alberghiera in questione per alcuni mesi dell’anno di per sé non può corrispondere alla previsione di esenzione dal tributo”.

Le cause di esclusione dal pagamento della tassa di un immobile adibito ad albergo “non possono essere individuate nella mancata utilizzazione dello stesso legata alla volontà o alle esigenze del tutto soggettive dell’utente”, così come non possono dipendere dal “mancato utilizzo di fatto del locale o dell’area”. E, di conseguenza, “non è sufficiente la sola denuncia di chiusura invernale senza allegazione e prova della concreta inutilizzabilità della struttura”.

Allo stesso modo si era espressa la Commissione Tributaria Regionale di Firenze, sezione X, con la sentenza 375/2017, affermando che non era possibile riconoscere un’agevolazione per la tassa rifiuti se l’amministrazione comunale non l’aveva prevista nel regolamento, e che il giudice poteva censurare il suo comportamento solo se rileva una violazione di legge.

Il regolamento della tassa rifiuti deliberato dal Comune è stato ritenuto in linea con le previsioni di legge dalla Commissione Regionale “in considerazione del fatto che la normativa consente ai comuni una certa discrezionalità in ordine alla possibilità di prevedere sconti, agevolazioni, riduzioni ed esenzioni. Nell’ambito di tale potere discrezionale, il suo esercizio parrebbe quindi essere censurabile solo in presenza di macroscopiche violazioni di legge che nel caso in esame non è dato ravvisare”.

Posizione diversa, invece, hanno assunto alcuni giudici di merito, che hanno concesso una riduzione tariffaria per il mancato esercizio dell’attività alberghiera durante alcuni mesi dell’anno.

Per esempio, la Commissione Tributaria Provinciale di Livorno, con la sentenza 518/2015 aveva ridotto la tariffa del 30% per attività stagionale della struttura alberghiera, poiché la tassa va rapportata all’effettiva produzione di rifiuti.

In effetti, la tassa può essere ridotta per le attività stagionali, ricordando che per la TARSU i Comuni avevano la facoltà di prevedere agevolazioni fiscali, sempre che avessero anche le risorse per finanziarle e non incidessero sui contribuenti soggetti al prelievo.

Con l’istituzione della TARI, invece, il Consiglio comunale può decidere di far ricadere il peso sull’intera platea dei contribuenti oppure di finanziare le agevolazioni con l’iscrizione in bilancio della relative somme come autorizzazioni di spesa.

Va rilevato che le spese non coperte rimangono a carico della collettività e vanno finanziate attraverso la fiscalità generale: con regolamento possono essere deliberate esenzioni e riduzioni tariffarie tipiche per particolari situazioni individuate comunque dalla legge.

Rammentiamo, infine, che è facoltà del giudice tributario disapplicare il regolamento comunale e ritenere illegittima la scelta dell’Amministrazione comunale di non concedere la riduzione tariffaria per le attività alberghiere stagionali, anche se il riconoscimento di questa agevolazione è rimesso dalla legge alla volontà dell’ente.

A molti, nella discussa materia, questa decisione dell’Amministrazione potrebbe porsi in un evidente contrasto con il principio comunitario “chi inquina paga”, considerato che il contribuente non produce rifiuti per diversi mesi nel corso dell’anno.

Il caso in esame vedeva un Comune ischitano presentare ricorso in Cassazione avverso una decisione dei giudici tributari che respingeva l’avviso di pagamento della tassa relativa al servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti di un immobile adibito a uso alberghiero, con la motivazione che per il periodo di chiusura stagionale della struttura l’imposta non era dovuta per carenza del presupposto impositivo, circostanza, ribadita  dai giudici tributari, “che non può essere ignorata se indicata in apposita denuncia/variazione”.

I Supremi giudici, richiamando quanto già stabilito per la TARSU, hanno riconosciuto valide le ragioni del ricorso presentato dal Comune, evidenziando che “… La Tassa rifiuti (TARI) ha sostituito, a decorrere dal 1° gennaio 2014, i preesistenti tributi dovuti ai comuni dai cittadini, enti ed imprese quale pagamento del servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti (noti in precedenza con gli acronimi di TARSU e, successivamente, di TIA e TARES), conservandone, peraltro, la medesima natura tributaria, taluni presupposti e modalità di determinazione, ed è dovuta, ai sensi della legge n. 147 del 2013, per il fatto di occupare o detenere locali ed aree scoperte a qualsiasi uso adibiti, mentre le deroghe indicate e le riduzioni delle tariffe non operano in via automatica in base alla mera sussistenza della previste situazioni di fatto, dovendo il contribuente dedurre e provare i relativi presupposti (Cass. n. 22130/2017). Infatti, l’art. 1, comma 641, I. n. 147 del 2013, individua il presupposto della Tari nel “possesso o detenzione a qualsiasi titolo di locali o di aree scoperte, a qualsiasi uso adibiti, suscettibili di produrre rifiuti urbani”, per cui, ai fini che qui rilevano, sono tassabili tutti i locali, posseduti o detenuti, oggettivamente idonei all’uso anche se di fatto non utilizzati ovvero, detto in altri termini, devono ritenersi esclusi dalla tassazione locali ed aree oggettivamente inutilizzabili e non soltanto soggettivamente inutilizzati, permanendo la possibilità di usufruire del servizio di raccolta, trasporto e smaltimento dei rifiuti urbani.

Potendosi estendere alla TARI l’interpretazione offerta dalla giurisprudenza di legittimità in tema di TARSU, con riguardo all’art. 62, comma 2, d.lgs. n. 507 del 1993, giova ricordare che detta norma indica come causa di esclusione dell’obbligo del tributo le condizioni di “obiettiva” impossibilità di utilizzo dell’immobile, che non possono essere individuate nella mancata utilizzazione dello stesso legata alla volontà o alle esigenze del tutto soggettive dell’utente (Cass. n. 18316/2004; n. 17524/2009), e neppure al mancato utilizzo di fatto del locale o dell’area, non coincidendo tanto le prime che il secondo con l’obiettiva non utilizzabilità dell’immobile, ai sensi del d.lgs. n. 507 del 1993, art. 62, comma 2, citato (Cass. n. 9633/2012; Cass. n. 22770/2009).

Questa Corte, sempre in tema di TARSU, ha avuto modo di affermare il principio secondo cui, “nel caso di esercizi alberghieri dotati di licenza annuale, essendo il presupposto del tributo costituito dalla occupazione o conduzione di locali a qualsiasi uso adibiti, ai fini della esenzione dalla tassa non è sufficiente la sola denuncia di chiusura invernale ma occorre allegare e provare la concreta inutilizzabilità della struttura” (Cass. 22756/2016), così ribadendo che la tassa è dovuta ove sussista la obiettiva possibilità di usufruire del servizio, a prescindere dalla sua fruizione, essendo il presupposto del tributo costituito dalla occupazione o conduzione di locali a qualsiasi uso adibiti (Cass. n. 33426/2018; n. 9633/2012).

Né diversa conclusione è consentita dal Regolamento per la Disciplina dell’Imposta Unica Comunale (IUC), approvato con delibera del Consiglio Comunale di Forio n. 40 dell’8/5/2014, che pure individua il presupposto del tributo nel “possesso o (…) detenzione a qualsiasi titolo di locali o aree scoperte, a qualsiasi uso adibiti, suscettibili di produrre rifiuti urbani”, dove l’espressione “suscettibili” sta a significare che è sufficiente la potenzialità di locali ed aree a produrre rifiuti, e neppure contempla, come ipotesi esonerativa, la chiusura stagionale dell’attività alberghiera, sicché appare di tutta evidenza la erroneità dell’affermazione, che si legge nella impugnata sentenza, secondo cui solo nel periodo di apertura alla clientela l’albergo sarebbe suscettibile di produrre rifiuti urbani. Va, conseguentemente accolto l’esaminato motivo di ricorso, con assorbimento del secondo, cassata l’impugnata sentenza e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di merito, ex art. 384 c.p.c., rigettato l’originario ricorso introduttivo”.

Corte di Cassazione- Sentenza n. 10156 11 aprile 2019

Sul ricorso 11661-2017 proposto da:

COMUNE DI FORIO, domiciliato in ROMA P.ZZA CAVOUR presso la cancelleria della CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’Avvocato RICCARDO COTTONE;

 – ricorrente –

contro VILLA F. DI R. R. E C. SNC, domiciliato in ROMA P.ZZA CAVOUR presso la cancelleria della CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’Avvocato CARMINE BERNARDO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 11463/2016 della COMM. TRIB. REG. di NAPOLI, depositata il 16/12/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 21/03/2019 dal Consigliere Dott. ORONZO DE MASI.

Ritenuto che

Con sentenza n. 11463/32/16, depositata il 16/12/2016, la Commissione Tributaria Regionale della Campania in parziale accoglimento dell’appello proposto da Villa Franca di R.R. e C. s.n.c., nei confronti del Comune di Forio, riformava la decisione di primo grado, che aveva respinto il ricorso della predetta società avverso l’avviso di pagamento della tassa relativa al servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti (TARI), relativamente all’anno 2014, e dichiarava che per il periodo di chiusura stagionale dell’albergo della contribuente l’imposta non era dovuta per carenza del presupposto impositivo, circostanza, ad avviso dei giudici tributari, “che non può essere ignorata se indicata in apposita denuncia/variazione”.

Avverso la sentenza il Comune propone ricorso per cassazione, affidato a due motivi, cui la intimata resiste con controricorso.

Considerato che

Con il primo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1, commi 641 e seguenti, I. 147 del 2013, 113 e 115 c.p.c., nonché del Regolamento per la Disciplina dell’Imposta Unica Comunale (IUC), approvato con delibera del Consiglio Comunale di Forio n. 40 dell’8/5/2014, giacché la CTR non ha considerato che il presupposto del tributo “è il possesso o la detenzione a qualsiasi titolo di locali o di aree scoperte, a qualsiasi uso adibiti, suscettibili di produrre rifiuti urbani”, e che la chiusura stagionale dell’attività ivi esercitata non determina il venir meno di detto presupposto, in assenza di una previsione in tal senso della legge e del regolamento. Con il secondo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 92 c.p.c., giacché la CTR ha compensato le spese di entrambi i gradi del giudizio che andavano invece poste a carico della contribuente secondo soccombenza.

Preliminarmente, il ricorso per cassazione appare ammissibile in quanto contiene, in ossequio al principio dell’autosufficienza, riferimenti sufficienti per individuare le argomentazioni censurate della sentenza impugnata, vertendo la ratio decidendi essenzialmente attorno alla questione concernente la debenza della TARI alla struttura alberghiera durante il periodo di chiusura stagionale, alla luce della disciplina primaria e secondaria ratione temporis applicabile.

La prima censura è fondata e, per le ragioni di seguito esposte, merita accoglimento, con consequenziale assorbimento della seconda censura.

La Tassa rifiuti (TARI) ha sostituito, a decorrere dal 1° gennaio 2014, i preesistenti tributi dovuti ai comuni dai cittadini, enti ed imprese quale pagamento del servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti (noti in precedenza con gli acronimi di TARSU e, successivamente, di TIA e TARES), conservandone, peraltro, la medesima natura tributaria, taluni presupposti e modalità di determinazione, ed è dovuta, ai sensi della legge n. 147 del 2013, per il fatto di occupare o detenere locali ed aree scoperte a qualsiasi uso adibiti, mentre le deroghe indicate e le riduzioni delle tariffe non operano in via automatica in base alla mera sussistenza della previste situazioni di fatto, dovendo il contribuente dedurre e provare i relativi presupposti (Cass. n. 22130/2017).

Infatti, l’art. 1, comma 641, I. n. 147 del 2013, individua il presupposto della Tari nel “possesso o detenzione a qualsiasi titolo di locali o di aree scoperte, a qualsiasi uso adibiti, suscettibili di produrre rifiuti urbani”, per cui, ai fini che qui rilevano, sono tassabili tutti i locali, posseduti o detenuti, oggettivamente idonei all’uso anche se di fatto non utilizzati ovvero, detto in altri termini, devono ritenersi esclusi dalla tassazione locali ed aree oggettivamente inutilizzabili e non soltanto soggettivamente inutilizzati, permanendo la possibilità di usufruire del servizio di raccolta, trasporto e smaltimento dei rifiuti urbani.

Potendosi estendere alla TARI l’interpretazione offerta dalla giurisprudenza di legittimità in tema di TARSU, con riguardo all’art. 62, comma 2, d.lgs. n. 507 del 1993, giova ricordare che detta norma indica come causa di esclusione dell’obbligo del tributo le condizioni di “obiettiva” impossibilità di utilizzo dell’immobile, che non possono essere individuate nella mancata utilizzazione dello stesso legata alla volontà o alle esigenze del tutto soggettive dell’utente (Cass. n. 18316/2004; n. 17524/2009), e neppure al mancato utilizzo di fatto del locale o dell’area, non coincidendo tanto le prime che il secondo con l’obiettiva non utilizzabilità dell’immobile, ai sensi del d.lgs. n. 507 del 1993, art. 62, comma 2, citato (Cass. n. 9633/2012; Cass. n. 22770/2009).

Questa Corte, sempre in tema di TARSU, ha avuto modo di affermare il principio secondo cui, “nel caso di esercizi alberghieri dotati di licenza annuale, essendo il presupposto del tributo costituito dalla occupazione o conduzione di locali a qualsiasi uso adibiti, ai fini della esenzione dalla tassa non è sufficiente la sola denuncia di chiusura invernale ma occorre allegare e provare la concreta inutilizzabilità della struttura” (Cass. 22756/2016), così ribadendo che la tassa è dovuta ove sussista la obiettiva possibilità di usufruire del servizio, a prescindere dalla sua fruizione, essendo il presupposto del tributo costituito dalla occupazione o conduzione di locali a qualsiasi uso adibiti (Cass. n. 33426/2018; n. 9633/2012).

Né diversa conclusione è consentita dal Regolamento per la Disciplina dell’Imposta Unica Comunale (IUC), approvato con delibera del Consiglio Comunale di Forio n. 40 dell’8/5/2014, che pure individua il presupposto del tributo nel “possesso o (…) detenzione a qualsiasi titolo di locali o aree scoperte, a qualsiasi uso adibiti, suscettibili di produrre rifiuti urbani”, dove l’espressione “suscettibili” sta a significare che è sufficiente la potenzialità di locali ed aree a produrre rifiuti, e neppure contempla, come ipotesi esonerativa, la chiusura stagionale dell’attività alberghiera, sicché appare di tutta evidenza la erroneità dell’affermazione, che si legge nella impugnata sentenza, secondo cui solo nel periodo di apertura alla clientela l’albergo sarebbe suscettibile di produrre rifiuti urbani.

Va, conseguentemente accolto l’esaminato motivo di ricorso, con assorbimento del secondo, cassata l’impugnata sentenza e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di merito, ex art. 384 c.p.c., rigettato l’originario ricorso introduttivo.

La particolarità della questione, che investe la TARI, ed il progressivo consolidarsi della giurisprudenza richiamata giustificano la compensazione delle spese dei gradi di merito, mentre quelle del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

Accoglie il primo motivo di ricorso, dichiara assorbito il secondo, cassa l’impugnata sentenza e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso Introduttivo della contribuente, che condanna al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate In euro 1.800,00, oltre rimborso spese forfettarie ed accessori di legge. Dichiara compensate le spese dei gradi di merito.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il giorno 21 marzo 2019.

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