CASSAZIONE

La plusvalenza dalla rivendita dell’immobile nei primi cinque anni va tassata

Tributi – IRPEF – Rivendita dell’immobile entro il quinquennio – Realizzazione di plusvalenza imponibile – Assenza di intento speculativo – Irrilevanza

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 14270 del 13 luglio 2016, ha affermato che in caso di rivendita dell’immobile acquistato o costruito da meno di cinque anni la plusvalenza realizzata al di fuori dell’esercizio di impresa costituisce reddito imponibile ai fini IRPEF, a prescindere dalla sussistenza o meno di un intento speculativo del contribuente. Ricordano gli Ermellini che gli elementi che determinano l’esclusione della fattispecie di plusvalenza tassabile sono, da un lato, il non superamento di un certo intervallo temporale fra acquisto e vendita e, dall’altro, la destinazione all’uso personale dell’acquirente e dei suoi familiari, secondo criteri oggettivi.

Da un punto di vista strettamente fiscale, la cosiddetta “plusvalenza” raffigura il guadagno che il proprietario (soggetto privato) ottiene al momento della vendita di un immobile con riferimento all’aumento di valore avvenuto tra l’acquisto e la rivendita dell’immobile medesimo. Per il soggetto che la realizza, la plusvalenza da cessione di immobili è soggetta a tassazione, secondo quanto previsto dagli articoli 67 e 68 del Tuir (DPR n. 917/86). In caso di cessione a titolo oneroso di immobili ricevuti per donazione, il predetto periodo di cinque anni decorre dalla data di acquisto da parte del donante.

In pratica, la plusvalenza da cessione di immobili è tassata solo se derivante da un mero fine speculativo. Per stabilire il fine speculativo il legislatore ha individuato alcuni parametri. Infatti, la plusvalenza è tassata solo se il fabbricato venduto è stato acquistato (o costruito) da meno di cinque anni; se non è pervenuto a seguito di successione o se non è l’abitazione in cui il proprietario ha avuto la propria residenza (o quella di un suo familiare) per la maggior parte del tempo che è passato tra l’acquisto (o la costruzione) e la rivendita.

L’articolo 68 del Tuir specifica, inoltre, che la plusvalenza da cessione di immobili è costituita dalla differenza tra i corrispettivi percepiti nel periodo di imposta e il prezzo di acquisto o il costo di costruzione del bene ceduto, aumentato di ogni altro costo inerente al bene medesimo. In merito a tale ultimo aspetto, in considerazione del fatto che la norma parla di costo inerente all’immobile oggetto di cessione, andrà valutata caso per caso l’inerenza del costo al bene immobile. Non vi sono dubbi sul fatto che comunque possono essere detratte le spese di acquisto (spese notarili, imposte pagate per l’acquisto, spese di mediazione), nonché le spese di costruzione, di ristrutturazione e di manutenzione straordinaria effettuate sull’immobile stesso.

La Suprema Corte – va certamente ricordato – in diverse occasioni, nonostante l’asimmetria tra il concetto di prezzo convenuto tra le parti, rilevante ai fini della determinazione della plusvalenza IRPEF, e quello di valore venale in comune commercio, considerato nell’ambito dell’imposta di registro (art. 43, comma 1, lett. a, TUIR), ha stabilito che la presunzione di corrispondenza tra valore venale e prezzo di cessione è legittimamente utilizzabile dal Fisco, fatta salva la possibilità da parte del contribuente di fornire la prova contraria, superando la presunzione stessa. Secondo l’orientamento costante della Suprema Corte, l’Amministrazione finanziaria è legittimata a procedere in via induttiva all’accertamento del reddito da plusvalenza patrimoniale relativa al valore di avviamento, realizzata a seguito di cessione di azienda ovvero del terreno, sulla base dell’accertamento di valore effettuato in sede di applicazione del registro. Resta a carico del contribuente l’onere della prova contraria. Il contribuente, in tal senso, potrà superare bene (anche con ricorso ad elementi indiziari) la presunzione di corrispondenza del prezzo incassato col valore di mercato accertato in via definitiva ai fini del registro, dimostrando di avere in concreto venduto a un prezzo inferiore. Tuttavia, più di recente la Cassazione, con la sentenza n. 24054/2014, ha indicato che l’Amministrazione finanziaria non può contestare una maggiore plusvalenza a una società che ha ceduto un immobile con valore di mercato superiore a quello di vendita. In particolare, in presenza di una contabilità corretta sono necessari altri indizi sintomatici di evasione, non potendosi applicare automaticamente il valore rilevante ai fini del registro alle imposte sui redditi, in quanto le due imposizioni seguono regole differenti. In tale pronuncia è stato evidenziato che nell’accertamento delle imposte sui redditi di impresa, la plusvalenza realizzata con la vendita di un immobile deve aver riguardo alla differenza tra il prezzo di acquisto e quello di cessione e non al valore di mercato (come per il registro). Ciò in quanto i principi di determinazione del valore di un bene trasferito sono diversi a seconda del tributo da applicare. Nelle imposte sui redditi i giudici ritengono “inequivoco” il significato del termine “corrispettivo” utilizzato dal legislatore che fa chiaramente comprendere la differenza rispetto al valore venale. Pertanto, in presenza di contabilità formalmente corretta, per una rettifica analitico induttiva l’ufficio non può limitarsi alle valutazioni dell’UTE solo perché superiori rispetto ai valori dichiarati dall’impresa: tali valutazioni, da sole, non sono però sufficienti a giustificare l’accertamento. Quest’ultima pronuncia appare particolarmente importante perché abitualmente l’Amministrazione determina la plusvalenza applicando il valore di mercato del bene ceduto, rilevante ai fini del registro. Ciò soprattutto se l’acquirente ha prestato adesione o acquiescenza all’accertamento ai fini dell’imposta di registro.

Con questa sentenza, seppur relativa al reddito d’impresa, i giudici di legittimità hanno voluto spiegare che la determinazione del valore del bene segue criteri e regole differenti a seconda del tributo da applicare: nell’imposta di registro si fa riferimento al valore venale, nelle imposte sui redditi, ai “corrispettivi”. Nella sentenza in rassegna la Corte Suprema ha riconosciuto alla norma soprarichiamata la finalità di contrasto di comportamenti speculativi, in particolare quando prevede l’assoggettamento a tassazione delle plusvalenze realizzate in caso di cessione dell’immobile entro i cinque anni dall’acquisto o dalla costruzione.

Gli Ermellini hanno così affermato che, ai fini della ricorrenza del presupposto impositivo, è assolutamente irrilevante l’elemento soggettivo della presenza o meno di volontà speculativa del contribuente, ricordando che: “… Ai sensi dell’art. 81, comma 1 lett. b) del D.P.R. n. 917 del 1986 (vecchia numerazione, oggi art. 67): ‘Sono redditi diversi… le plusvalenze realizzate mediante cessione a titolo oneroso di beni immobili acquistati o costruiti da non più di cinque anni, esclusi quelli acquisiti per successione o donazione e le unità immobiliari urbane che per la maggior parte del periodo intercorso tra l’acquisto o la costruzione e la cessione sono state adibite ad abitazione principale del cedente o dei suoi familiari (.. omissis)’. Pertanto gli elementi che determinano l’esclusione della fattispecie normativa sono, da un lato, il non superamento di un certo intervallo temporale fra acquisto e vendita – requisito da intendersi nel senso che l’immobile de quo deve essere stato adibito ad abitazione principale del cedente ‘per la maggior parte del periodo intercorrente tra l’acquisto e la cessione’ (Cass. n. 18846 del 2003) – dall’altro, la destinazione all’uso personale dell’acquirente e dei suoi familiari, secondo criteri oggettivi. Alla stregua delle considerazioni che precedono il motivo va accolto, con assorbimento del secondo motivo del ricorso, col quale si deduce vizio di motivazione (ex art. 360 n. 5 c.p.c.), per essersi la CTR limitata ad apodittiche e generiche affermazioni senza motivare sulla effettiva utilizzazione dell’immobile ad abitazione principale per la maggior parte del periodo intercorso fra l’acquisto e la cessione.

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CORTE DI CASSAZIONE Sentenza 13 luglio 2016, n. 14270

Ritenuto in fatto

L’Agenzia delle Entrate ricorre per la cassazione della sentenza della CTR dell’Emilia Romagna (n. 79/23/2008 dep. 8 luglio 2008). Questa, riformando la sentenza di primo grado, ha accolto l’appello di N.C. in relazione ad avviso di accertamento per plusvalenza tassabile ai fini Irpef anno d’imposta 2001 (ex art. 81 comma 2 lett. b) TUIR) derivante dalla rivendita di immobile sito in Parma nel quinquennio dal suo acquisto. Nel suo nucleo essenziale la decisione è così argomentata: «Secondo questa Commissione d’appello è preliminare l’accertamento della volontà della contribuente che, perché possa dirsi realizzata la fattispecie di cui all’art. 81, 2° comma lett. B) del d.P.R. n. 917/86, deve essere direttamente rivolta ad un intento speculativo, vale a dire della volontà di trarre beneficio economico dalla variazione del prezzo di mercato di un immobile nel periodo medio/breve, tanto da determinarla alla sua rivendita entro il quinquennio previsto dalla norma. In tal modo la contribuente potrebbe avere realizzato una plusvalenza in linea con la sua volontà e, per questo, la plusvalenza stessa sarebbe stata giustamente e legittimamente tassata come reddito.

Nel caso di specie questa Commissione invece non crede che si sia raggiunta la prova di tale volontà speculativa in capo alla signora C. …».

N.C. resiste con controricorso e produce successiva memoria (ex art. 378 c.p.c.).

Considerato in diritto

  1. Col primo motivo l’Agenzia delle entrate deduce violazione di legge (art. 81, comma 1 lett. b) TUIR, ora art. 67), per avere la CTR preso in esame – al fine della plusvalenza tassabile – la volontà della contribuente e l’assenza, sul piano soggettivo, dell’intento speculativo, mentre la norma citata non attribuisce rilevanza all’intento speculativo e richiede che il contribuente abbia adibito l’immobile ad abitazione principale per la maggior parte del periodo intercorrente tra l’acquisto e la successiva vendita.
  2. Il motivo è fondato e va accolto.

Nella fattispecie in esame l’avviso di accertamento impugnato è stato notificato nel 2004 in relazione ad immobile acquistato il 31 ottobre 2000, ove la C. ha trasferito la propria residenza il 10 marzo 2001 per poi rivenderlo. A fronte di tale elemento oggettivo (vendita prima del decorso dei cinque anni), e dell’accertato modesto consumo delle utenze domestiche, la CTR ha fondato la propria decisione sulla base di una errata interpretazione della norma citata, laddove ha basato il proprio convincimento sull’elemento soggettivo, consistente nell’assenza di un intento speculativo della contribuente.

  1. Ciò non è aderente alla corretta interpretazione della norma, non avendo alcuna influenza, ai fini della ricorrenza del presupposto impositivo, l’elemento soggettivo dell’assenza della volontà speculativa.

Ai sensi dell’art. 81, comma 1 lett. b) del D.P.R. n. 917 del 1986 (vecchia numerazione, oggi art. 67): “Sono redditi diversi… le plusvalenze realizzate mediante cessione a titolo oneroso di beni immobili acquistati o costruiti da non più di cinque anni, esclusi quelli acquisiti per successione o donazione e le unità immobiliari urbane che per la maggior parte del periodo intercorso tra l’acquisto o la costruzione e la cessione sono state adibite ad abitazione principale del cedente o dei suoi familiari (.. omissis)”. Pertanto gli elementi che determinano l’esclusione della fattispecie normativa sono, da un lato, il non superamento di un certo intervallo temporale fra acquisto e vendita – requisito da intendersi nel senso che l’immobile de quo deve essere stato adibito ad abitazione principale de! cedente “per la maggior parte del periodo intercorrente tra l’acquisto e la cessione” (Cass. n. 18846 del 2003)- dall’altro, la destinazione all’uso personale dell’acquirente e dei suoi familiari, secondo criteri oggettivi.

  1. Alla stregua delle considerazioni che precedono il motivo va accolto, con assorbimento del secondo motivo del ricorso, col quale si deduce vizio di motivazione (ex art. 360 n. 5 c.p.c.), per essersi la CTR limitata ad apodittiche e generiche affermazioni senza motivare sulla effettiva utilizzazione dell’immobile ad abitazione principale per la maggior parte del periodo intercorso fra l’acquisto e la cessione.
  2. La sentenza impugnata va dunque cassata con riferimento al motivo accolto, con rinvio alla CTR dell’Emilia Romagna, in diversa composizione, anche per le spese.

P.Q.M.

Accoglie il primo motivo del ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla CTR dell’Emilia Romagna, in diversa composizione.

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