CASSAZIONE

La depenalizzazione è retroattiva

Sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente – Il giudice che emette il provvedimento ablativo è tenuto soltanto ad indicare l’importo complessivo da sequestrare – L’individuazione specifica dei beni da apprendere e la verifica della corrispondenza del loro valore al “quantum” indicato nel sequestro è riservata alla fase esecutiva demandata al P.M.

La Corte di cassazione, con la sentenza n. 3876 del 29 gennaio 2016 ha escluso il reato di dichiarazione infedele se deriva da contestazioni in tema di elusione previste dall’oramai abrogato art. 37 bis del Dpr 600/1973. Quindi nessuna condanna penale, ma solo una sanzione amministrativa, per chi ha commesso un atto di elusione fiscale. La Cassazione è tornata sul tema della retroattività della legge che ha elevato le soglie di punibilità di numerosi illeciti penali e ha riscritto completamente l’abuso di diritto, la pratica cioè di utilizzare strumenti formalmente leciti allo scopo di conseguire un vantaggio fiscale non dovuto. Il cosiddetto principio del “favor rei” impone infatti, nel caso di successione nel tempo di due leggi penali, l’applicazione di quella più favorevole al colpevole. Così le nuove regole si applicano anche agli illeciti commessi prima dell’entrata in vigore della riforma ed a quelli il cui procedimento è stato avviato o si è concluso con sentenza non ancora definitiva. Dal primo ottobre 2015 è appunto previsto che le fattispecie abusive non rilevano ai fini penali e ciò con riferimento anche alle condotte realizzate prima dell’entrata in vigore dell’art. 10 bis della I. 27/07/2000, n. 212 come introdotto dall’art.1, comma 1, del d.lgs. 05/08/2015 n.128, ed in vigore dal 01/10/2015, ha previsto che “le operazioni abusive non danno luogo a fatti punibili ai sensi delle leggi penali tributarie”, ma anche dall’art. 1 comma 2 di detto d.lgs. n. 128 del 2015, che ha abrogato l’art. 37 bis cit. e, dall’altro ancora, in virtù dell’art. 4 del D.Lgs. 24/09/2015, n. 158, in vigore dal 22 /10/2015, la fattispecie della “dichiarazione infedele” di cui all’art. 4 del D.Lgs. n. 74 del 2000, è stata significativamente modificata, attraverso l’introduzione di nuove previsioni rispetto al precedente assetto.

Martello-della-GiustiziaGli Ermellini riaffermano il principio in favore del contribuente specificando che sui beni da confiscare il presunto evasore non può esprimere alcuna preferenza. Quindi l’elusione fiscale non è più reato se non c’è frode e i Supremi Giudici, in linea con la sentenza Cass. n. 40272/15 del 7.10.2015, aveva già affermato che, una volta accertato che la condotta contestata come illecita si esaurisca effettivamente in una mera operazione abusiva, non si applica più il codice penale; lo stesso deve applicarsi anche alle operazioni poste in essere prima dell’entrata in vigore della riforma. Si legge in sentenza che:”… In definitiva, dunque, il provvedimento impugnato deve essere annullato con rinvio al Tribunale di Belluno per l’esame del merito della richiesta di riesame presentata a suo tempo dagli indagati; nell’ambito di tale esame, ed in particolare del fumus della condotta illecita loro attribuita, formalmente ricondotta al reato di dichiarazione infedele di cui all’art. 4 del d.lgs. n. 74 del 2000, e materialmente consistita però, come già accennato in principio e stando all’addebito riportato in ricorso, in una “condotta fraudolenta in violazione della disciplina antielusiva dell’interposizione prevista dall’art. 37 bis del d. P.R. 29.9.1973, n. 600”, il Tribunale dovrà anche considerare se, e quali effetti siano stati nel frattempo apportati su tale fatto dalle modifiche alla disciplina in oggetto intervenute nelle more; infatti, da un lato l’art. 10 bis, u. co. della I. 27/07/2000, n. 212 come introdotto dall’art. 1, comma 1, del d.lgs. 05/08/2015 n. 128, ed in vigore dal 01/10/2015, ha previsto che “le operazioni abusive non danno luogo a fatti punibili ai sensi delle leggi penali tributarie”, dall’altro, l’art. 1 comma 2 di detto d.lgs. n. 128 del 2015 ha abrogato l’art. 37 bis cit. e, dall’altro ancora, in virtù dell’art. 4 del D. Lgs. 24/09/2015, n. 158, in vigore dal 22/10/2015, la fattispecie della “dichiarazione infedele” di cui all’art. 4 del D. Lgs. n. 74 del 2000 è stata significativamente modificata, attraverso l’introduzione di nuove previsioni rispetto al precedente assetto. Va in proposito solo aggiunto che, quanto al primo di tali interventi normativi, questa Corte, con sentenza n. 40272 del 01/10/2015, Mocali, non ancora massimata, ha già affermato (vedi in particolare i § 18-19) che, una volta accertato che la condotta contestata come illecita si esaurisca effettivamente in una mera operazione abusiva, lo stesso deve applicarsi anche alle operazioni poste in essere prima dell’entrata in vigore del citato D.Lgs. n. 128 del 2015”.

A cura di Redazione

 

Corte di Cassazione

Sentenza n. 3876 del 29 gennaio 2016

 

Ritenuto in fatto

  1. Il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Belluno ha presentato ricorso avverso l’ordinanza del Tribunale del riesame di Belluno che ha annullato il provvedimento di sequestro preventivo del 09/04/2015 del G.i.p. di detto Tribunale nei confronti di C.M., quale legale rappresentante della E. s.r.l. e socio della H.P.; B.M., quale rappresentante legale della B.C. srl, società socia della H.P., e Z.L. quale legale rappresentante della Z.I., società socia della H.P. in relazione al reato di cui all’art. 4 del D.Lgs. n. 74 del 2000 per avere posto in essere una complessiva condotta fraudolenta in violazione della disciplina antielusiva dell’interposizione prevista dall’art. 37 bis del D.P.R. n. 600 del 1973.

1.2. Nella sostanza, si è addebitato agli imputati di avere, al solo fine di fruire di un trattamento fiscale più favorevole, in luogo di procedere a perfezionare la cessione dei diritti di concessione, ancora da ottenere, per la costruzione di una centrale idroelettrica, da H.P. a P., creato una società intermedia, ovvero la G., priva di sostanziale oggetto sociale, attività economica e dipendenti, e formata dagli stessi soci della H.P. e dai loro familiari, cui sono stati ceduti il progetto relativo e gli oneri accessori per la costruzione dalla centrale, venendo poi successivamente alienato nel giro di poche settimane l’intero pacchetto societario alla P., vera destinataria, sin dall’origine, della cessione dell’autorizzazione unica; con tale operazione, anche considerando che, poco prima della cessione, grazie all’operazione di affrancamento delle azioni alla data del 1/7/2011, si era venuta a creare una minusvalenza e che la suddivisione delle azioni della G. tra sette soci e non più tra i soli tre originari della H.P., aveva portato la quota di ognuno al di sotto del 25% del complessivo valore del capitale sociale, si era fruito di una minusvalenza con imposta sostituiva del solo 2% a norma del c.d. “Decreto sviluppo” del 2011 (art. 7, comma 2 lett. d del del d.l. n. 70 del 2011).

  1. Con un unico motivo il P.M. ricorrente deduce che il Tribunale ha accolto il riesame ritenendo motivo di nullità del provvedimento impugnato la mancata formale notifica del verbale di esecuzione delle operazioni di sequestro in quanto necessaria onde consentire a ciascuno dei coindagati una perfetta valutazione della congruità di quanto congelato nei singoli rispettivi patrimoni. Rileva che tale decisione si pone in contrasto con la mancanza di una previsione normativa in tal senso, non costituendo neppure motivo di nullità la mancata notifica dello stesso decreto di sequestro preventivo, al più dovendosi fare decorrere da un diverso giorno il termine per l’impugnazione. Né si comprenderebbe come possa considerarsi parte integrante del decreto di sequestro il verbale di operazioni compiute dalla polizia giudiziaria a tal punto da provocarne, in caso di mancata notifica, l’annullamento, in ogni caso ben potendo la difesa degli indagati avere conoscenza dei beni appresi, visionando in atti II riepilogo delle operazioni svolte dalla polizia giudiziaria di ablazione presso terzi.
  2. Ha presentato memoria la Difesa degli indagati C. e Z. premettendo che, successivamente alla ordinanza impugnata e ancor prima di presentare ricorso per cassazione, il P.M. aveva richiesto e ottenuto un nuovo ed identico decreto di sequestro fondato sulla medesima ipotesi di reato e nei confronti dei medesimi indagati ed aggiungendo che la richiesta di riesame nei confronti di tale provvedimento, fondata sulla asserita nullità per violazione del principio della preclusione procedimentale, era stata rigettata dal Tribunale del riesame. Ciò posto, fa rilevare che la giurisprudenza citata dal P.M. ricorrente, nonché l’art. 104 disp, att. c.p.p. non riguardano il caso di specie, afferente, invece, all’ipotesi in cui il decreto di sequestro preventivo non indichi i beni da sottoporre a sequestro ma solo il valore sino alla concorrenza del quale la misura possa essere eseguita allorquando, neppure successivamente, l’interessato non sia posto nelle condizioni di sapere quali dei suoi beni siano stati oggetto di materiale e concreta apprensione. In altri termini, secondo la prospettazione difensiva, nella specie è accaduto che, non essendo stato notificato il verbale di sequestro, gli interessati hanno appreso del blocco dei loro depositi bancari solo nel momento di accingersi ad effettuare operazioni sui rispettivi conti correnti senza, per di più, avere alcuna conoscenza del sequestro di beni immobili dislocati in varie parti d’Italia. Solo in data 21/04/2015 veniva loro notificato il decreto di sequestro nel quale, tuttavia, veniva solo genericamente indicata la somma da porre sotto sequestro, senza che venisse indicato, ancora una volta, su quali beni e in che termini dovesse essere eseguito il sequestro. Al contrario, sostiene la difesa degli indagati che sussisterebbe a carico del Gip un obbligo, sanzionato a pena di nullità, di individuare i beni da sottoporre alla misura cautelare reale ove lo stesso disponga degli strumenti già in atti per individuare gli stessi, diversamente gravando tale compito sul P.M. in fase esecutiva, Sicché, ove sia quest’ultimo a procedere all’individuazione dei beni, il verbale con cui viene data concreta esecuzione al sequestro diventa parte integrante del decreto del Gip dovendo essere portato a conoscenza dell’interessato; né, con riferimento alla precisazione del ricorrente secondo cui gli indagati avrebbero la possibilità di visionare i verbali di esecuzione del decreto, potrebbe gravare sull’ indagato l’onere di munirsi di un difensore affinché egli attivi la procedura del riesame al solo scopo di conoscere quali beni gli siano stati sottratti. In ogni caso il decreto del 09/04/2015 sarebbe affetto da nullità per il fatto che il P.M. ha reiterato al Gip, ancor prima di presentare ricorso per cassazione, la richiesta di decreto di sequestro.

Considerato in diritto

  1. L’ordinanza impugnata, pur avendo riconosciuto che il Gip che adotti provvedimento di sequestro finalizzato alla confisca per equivalente, non è tenuto, in linea generale, ad individuare i beni da sottoporre a vincolo, ma unicamente l’importo in relazione al quale il sequestro viene adottato, e pur avendo aggiunto che nessuna previsione di legge impone la notifica di per sé del verbale di esecuzione del sequestro stesso, ha concluso ugualmente per la nullità del decreto di sequestro del Gip laddove, come nella specie, detta notifica non venga effettuata, in quanto detto verbale dovrebbe essere considerato parte integrante e necessaria del provvedimento ablativo, da notificare all’Interessato. Tuttavia, già sotto un primo profilo, se si considera che le ipotesi di nullità degli atti sono soggette al principio di tassatività ex art. 177 c.p.p. e che, come parrebbe Implicitamente riconosciuto dallo stesso Tribunale, non vi è previsione codicistica che contempli nullità del provvedimento di sequestro nel caso in cui il verbale di esecuzione non venga notificato, è difficile non cogliere l’erroneità della conclusione cui è addivenuto il Tribunale.

Né si potrebbe comunque ritenere sussistente la nullità facendo leva sull’obbligo di notifica del decreto di sequestro: anche a volere ritenere corretta l’affermazione secondo cui nel decreto di sequestro per equivalente dovrebbe ricomprendersi anche il verbale di esecuzione dello stesso (ché tale è, nella sostanza, l’assunto del Tribunale, contrastante tuttavia, a tacer d’altro, con l’evidente diversità dei due atti sì che diverrebbe arduo ritenere affermato dal legislatore un tale concetto), osterebbe ad una detta conclusione, ancora una volta, il principio di tassatività poco sopra ricordato: infatti, come già affermato da questa Corte, seppure la norma del comma 3 ter dell’art. 321 c.p.p. stabilisce che copia dell’ordinanza di convalida del sequestro di urgenza, per analogia estensibile a copia del decreto di sequestro emesso dal giudice su richiesta del P.M. ex comma 1 dell’art. 321, deve essere immediatamente notificata alla persona alla quale le cose sono state sequestrate, la sua violazione non può ritenersi stabilita a pena di nullità (cfr., Sez. 3^, n. 232/05 del 21/10/2004, Buzzoni, Rv, 230797, non massimata sul punto).

E del resto, in più occasioni, ed in evidente continuità logica con tale presupposto, si è precisato che la mancata notifica del provvedimento ha il solo effetto di impedire la decorrenza del termine di impugnazione e pertanto non pregiudica l’intervento, l’assistenza o la rappresentanza dell’interessato ai sensi dell’art. 178 lett. c) c.p.p. (da ultimo, Sez, 3^, n. 6914 del 12/12/2008, Benassi e altro, Rv. 242519; vedi anche Sez. 5^, n. 5002 del 11/11/1997, Paolillo e altri, Rv. 209561; Sez, 3^, n. 1099 del 7/03/1996, Giorgio, Rv. 204267).

  1. Va aggiunto, inoltre, che nessun obbligo, poi, come preteso dalla Difesa degli indagati, può essere posto in capo al giudice di specifica individuazione dei beni aggrediti: in costante senso contrario va ricordato che questa Corte ha affermato che in tema di sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente, il giudice che emette il provvedimento ablativo è tenuto soltanto ad indicare l’importo complessivo da sequestrare, mentre l’individuazione specifica dei beni da apprendere e la verifica della corrispondenza del loro valore al “quantum” indicato nel sequestro è riservata alla fase esecutiva demandata al P.M. (da ultimo, Sez, 3^, n. 37848 del 07/05/2014, Chidichimo,Rv. 260148; Sez. 3^ n. 10567/13 del 12/07/2012, Falcherò, Rv. 254918) ben potendo del resto il destinatario ricorrere al giudice dell‘esecuzione qualora dovesse ritenersi pregiudicato dai criteri adottati dal P.M. nella selezione dei cespiti da confiscare, (Sez. 3^, n. 20776 del 06/03/2014, P.G. in proc. Hong, Rv. 259661).
  2. Quanto rammentato sin qui rende dunque evidente l’illegittimità del provvedimento impugnato che ha fondato una nullità del decreto di sequestro su circostanze non considerate dalla legge come produttive di una tale conseguenza.

Né, peraltro, si comprende, ove si voglia spingere l’analisi più a fondo fino a considerare possibili aspetti di attrito della normativa con principi di carattere costituzionale, perché l’assetto codicistico sul punto come appena illustrato potrebbe risultare lesivo dei diritti difensivi, ed in particolare del diritto a conoscere tempestivamente quali siano i beni aggrediti.

Anche a volere, per un momento, prescindere dalla considerazione che lo strumento della impugnazione cautelare, nella specie attivata dagli interessati, è diretta proprio a far valere i diritti che si assumono lesi dal vincolo cautelare, non può trascurarsi di considerare che l’interesse ad una conoscenza dei beni aggrediti dal provvedimento di sequestro (la cui preminenza, secondo quanto argomentato nella memoria difensiva di cui sopra condurrebbe ad imporre al Gip l’individuazione dei beni stessi) se potrebbe, in astratto, eventualmente porsi con riferimento, in particolare, al sequestro nel quale assuma rilevanza il nesso pertinenziale tra bene aggredito e reato per il quale si proceda (proprio perché tale nesso presuppone una specifica individuazione delle cose assoggettabili al vincolo), va invece escluso nei casi nei quali, come il sequestro per equivalente, tale nesso sia irrilevante (cfr, da ultimo, Sez. 2, n. 21228 del 29/04/2014, Riva Flre S.p.a., Rv. 259717; Sez. 3, n. 1261 del 25/09/2012, Marseglia, Rv. 254175) e, dunque, sia ininfluente anche la specifica identità del bene stesso, assoggettato a sequestro solo perché di valore, appunto, equivalente al profitto del reato posto in essere. E, del resto, ai fini della scelta dei beni da sottoporre in concreto a sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente, le preferenze eventualmente espresse dall’indagato sono prive di rilievo (Sez. 2^, n. 41049 del 26/10/2011, Cappa, Rv. 251515), rientrando appunto l’Individuazione dei beni da sequestrare nell‘ambito della discrezionalità del giudice della fase esecutiva del provvedimento cautelare, con l’unico limite – applicabile analogicamente anche al settore penale – di dover preferire comunque il denaro (art. 517, comma 2, c.p.c.).

  1. In definitiva, dunque, il provvedimento impugnato deve essere annullato con rinvio al Tribunale di Belluno per l’esame del merito della richiesta di riesame presentata a suo tempo dagli indagati; nell’ambito di tale esame, ed in particolare del fumus della condotta illecita loro attribuita, formalmente ricondotta al reato di dichiarazione infedele di cui all’art. 4 del d.lgs. n. 74 del 2000, e materialmente consistita però, come già accennato in principio e stando all’addebito riportato in ricorso, in una “condotta fraudolenta in violazione della disciplina antielusiva dell’interposizione prevista dall’art. 37 bis del d. P.R. 29.9.1973, n. 600”, il Tribunale dovrà anche considerare se, e quali effetti siano stati nel frattempo apportati su tale fatto dalle modifiche alla disciplina in oggetto intervenute nelle more; infatti, da un lato l’art. 10 bis, u. co. della I. 27/07/2000, n. 212 come introdotto dall’art. 1, comma 1, del d.lgs. 05/08/2015 n. 128, ed in vigore dal 01/10/2015, ha previsto che “le operazioni abusive non danno luogo a fatti punibili ai sensi delle leggi penali tributarie”, dall’altro, l’art. 1 comma 2 di detto d.lgs. n. 128 del 2015 ha abrogato l’art. 37 bis cit. e, dall’altro ancora, in virtù dell’art. 4 del D. Lgs. 24/09/2015, n. 158, in vigore dal 22/10/2015, la fattispecie della “dichiarazione infedele” di cui all’art. 4 del D.Lgs. n. 74 del 2000 è stata significativamente modificata, attraverso l’introduzione di nuove previsioni rispetto al precedente assetto. Va in proposito solo aggiunto che, quanto al primo di tali interventi normativi, questa Corte, con sentenza n. 40272 del 01/10/2015, Mocali, non ancora massimata, ha già affermato (vedi in particolare i § 18-19) che, una volta accertato che la condotta contestata come illecita si esaurisca effettivamente in una mera operazione abusiva, lo stesso deve applicarsi anche alle operazioni poste in essere prima dell’entrata in vigore del citato D.Lgs. n. 128 del 2015.

P.Q.M.

Annulla l’ordinanza impugnata con rinvio al Tribunale di Belluno.

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