CASSAZIONE

La Cassazione si pronuncia sull’onere di motivazione dell’appello

Tributi – Contenzioso tributario – Procedimento – Appello – Motivi – Chiara individuazione delle questioni e dei punti contestati della sentenza impugnata – Nozione di “motivi specifici di impugnazione” – Art 53 del D.Lgs. 546/92

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 18669 dell’8 settembre 2020, tornaa interessarsi della portata del requisito della specificità dei motivi d’appello per affermare, ancora una volta, che l’impugnazione deve contenere una chiara individuazione delle questioni e dei punti contestati della sentenza impugnata e, con essi, delle relative doglianze, affiancando alla parte volitiva una parte argomentativa che confuti e contrasti le ragioni addotte dal primo giudice.

Rammentiamo che la questione, invero dibattuta, a seguito dell’emanazione del decreto legge n. 83/2012 (convertito, con modificazioni, in legge n. 134/2012) che ha introdotto importanti modifiche agli articoli 342 e 434 del codice di procedura civile, è stata oggetto di interpretazioni contrastanti che sono state poi uniformate dalle Sezioni Unite civili della Corte di Cassazione con la sentenza n. 27199 del 16 novembre 2017.

Le Sezioni Unite, in questa sostanziale decisione, hanno affermato che l’interpretazione degli artt. 343 e 434 c.p.c., nel testo di cui al citato Dl 83 deve essere effettuata nel senso che l’impugnazione individui chiaramente le questioni e i punti contestati della sentenza impugnata e, con essi, dei relativi motivi di dissenso, affiancandosi alla parte volitiva una parte argomentativa che contrasti le ragioni del provvedimento impugnato, ma dovendosi escludere, permanendo la natura di revisio prioris instantiae dell’appello, che il relativo atto debba rivestire particolari forme sacramentali o contenere la redazione di un progetto alternativo di decisione.

Rappresenta, pertanto, una fase del processo nella quale il giudizio può essere rinnovato, non con il semplice e globale riesame della sentenza di primo grado, ma con un nuovo esame della causa nei limiti delle specifiche censure contenute nella domanda d’appello o meglio – a seguito delle modifiche apportate all’art. 342, c.p.c. dall’art. 54, Dl n. 83/2012 – nei limiti dei motivi che sono in essa esplicitati.

La modifica in questione, lungi dallo sconvolgere i tradizionali connotati dell’atto di appello, ha in effetti recepito e tradotto in legge ciò che la giurisprudenza della Corte di Cassazione, condivisa da autorevole e maggioritaria dottrina, aveva affermato già a partire dalla sentenza n. 16 del 2000 e cioè che, ove l’atto di impugnazione non risponda ai requisiti stabiliti, la conseguente sanzione è quella dell’inammissibilità dell’appello.

Al riguardo è opportuno ricordare che nella proposizione dell’appello, al fine di evitare una dichiarazione di inammissibilità dell’impugnazione, il ricorrente deve osservare le disposizioni contenute nell’articolo 53, D.lgs. n. 546/1992, tra le quali vi è l’onere della specificità dei motivi.

Occorre sottolineare che con la formulazione dell’impugnazione l’appellante individua le questioni che formano l’oggetto e l’ambito del riesame chiesto al giudice di seconde cure, denunciando gli errori in procedendo e in iudicando commessi dal primo giudice e precisando le ragioni concrete per cui invoca la riforma della sentenza impugnata, come peraltro è stato più volte affermato dalla recente giurisprudenza della S.C., in cui i Giudici di legittimità hanno ampiamente chiarito che “… la specificità dei motivi di appello (finalizzata ad evitare un ricorso generalizzato e poco meditato al giudice di seconda istanza) esige che alle argomentazioni svolte nella sentenza impugnata vengano contrapposte quelle dell’appellante, volte ad incrinare il fondamento logico giuridico delle prime, ragion per cui alla parte volitiva deve sempre accompagnarsi una parte argomentativa che confuti e contrasti le ragioni addotte dal primo giudice”(ex multis Ord. n. 18225/2018).

Tale esigenza, tuttavia, non può impedire che il dissenso della parte soccombente investa la decisione impugnata nella sua interezza e che esso si sostanzi proprio in quelle argomentazioni che suffragavano la domanda disattesa dal primo giudice, essendo innegabile che in tal caso, sottoponendo al giudice d’appello dette argomentazioni perché ritenute giuste e idonee al conseguimento della pretesa fatta valere, si adempia pienamente all’onere di specificità dei motivi (cfr. Cass. n. 14908/2014, Cass. n. 22510/2015, Cass. n. 13007/2015).

Tanto premesso e tornando al caso dibattuto, un contribuente che aveva ricevuto l’accertamento per l’omesso deposito dei documenti contabili attestanti i crediti e le detrazioni IVA e ricevuto parere negativo dai giudici tributari regionali, ha proposto ricorso per Cassazione in cui lamentava essenzialmente la violazione dell’art. 53, D.lgs. n. 546/1992 in cui sarebbe incorsa la CTR e che avrebbe omesso di rispondere al quesito già esposto innanzi alla CTP.  Da segnalare che la CTR aveva peraltro confermato l’inammissibilità del ricorso per assenza di specifici motivi di censura della sentenza impugnata e per assoluta genericità delle conclusioni rassegnate.

I Supremi Giudici di legittimità hanno però ritenuto di seguire l’interpretazione offerta dalla corrente  giurisprudenza in merito, affermando che “… la giurisprudenza di questa Corte è ferma nel ritenere che “la specificità dei motivi di appello (finalizzata ad evitare un ricorso generalizzato e poco meditato al giudice di seconda istanza) esige che alle argomentazioni svolte nella sentenza impugnata vengano contrapposte quelle dell’appellante, volte ad incrinare il fondamento logico giuridico delle prime, ragion per cui alla parte volitiva deve sempre accompagnarsi una parte argomentativa che confuti e contrasti le ragioni addotte dal primo giudice. Tale esigenza, tuttavia, non può impedire che il dissenso della parte soccombente investa la decisione impugnata nella sua interezza e che esso si sostanzi proprio in quelle argomentazioni che suffragavano la domanda disattesa dal primo giudice essendo innegabile che, in tal caso, sottoponendo al giudice d’appello dette argomentazioni – perché ritenute giuste e idonee al conseguimento della pretesa fatta valere -, si adempia pienamente all’onere di specificità dei motivi” – cfr. Cass. n. 14908/2014, Cass., n.22510/2015, Cass., n. 13007/2015.  Si è ancora aggiunto, di recente, proprio dalle Sezioni Unite di questa Corte, che ‘[…] gli artt. 342 e 434 cod. proc. civ., nel testo formulato dal decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, nella legge 7 agosto 2012, n. 134, vanno interpretati nel senso che l’impugnazione deve contenere una chiara individuazione delle questioni e dei punti contestati della sentenza impugnata e, con essi, delle relative doglianze, affiancando alla parte volitiva una parte argomentativa che confuti e contrasti le ragioni addotte dal primo giudice. Resta tuttavia escluso, in considerazione della permanente natura di revisio prioris instantiae del giudizio di appello, il quale mantiene la sua diversità rispetto alle impugnazioni a critica vincolata, che l’atto di appello debba rivestire particolari forme sacramentali o che debba contenere la redazione di un progetto alternativo di decisione da contrapporre a quella di primo grado – cfr. Cass., S.U., n.27199/2017. A tali principi si è conformato il giudice di appello. Ed infatti, la CTP, per come risulta dallo stralcio di motivazione riportato dalla parte ricorrente, aveva giustificato la legittimità della ripresa a tassazione dell’ufficio in relazione al mancato deposito della documentazione contabile relativa ai bilanci del 2014, dalla quale secondo il giudice di primo grado sarebbe dovuto emergere la mancata riscossione dei crediti riportati nel bilancio 2009 e dunque l’esclusione che tali crediti concorressero alla determinazione della base imponibile per i redditi dell’anno 2010 e alla mancata giustificazione documentale dei costi relativi alla pretesa detrazione IVA alla quale, secondo il giudice di primo grado, la parte contribuente non aveva provveduto. Orbene, la società C., invece di contestare in modo specifico tali assunti esposti dal giudice di primo grado, ha limitato la propria impugnazione circoscrivendola all’argomento, già esposto in quella fase, relativo all’impossibilità di poter considerare come base imponibile un credito maturato nell’anno 2009 se riscosso successivamente. Ora, a fronte di una motivazione della sentenza del primo giudice che aveva attribuito valore decisivo sia all’assenza dei bilancio 2014 per escludere la prova della riscossione dei crediti nell’anno 2010, sia alla mancata dimostrazione dei costi detraibili ai fini IVA, l’impugnazione è stata giustamente ritenuta priva di specifici motivi, non avendo aggredito la ratio decidendi della pronunzia di primo grado, rivolta a sostenere che i crediti d’imposta per l’anno 2009 erano stati riscossi nell’anno 2010 e che non era stata fornita la prova dei costi detraibili. Sulla base di tali considerazioni il primo motivo di ricorso va rigettato. Il secondo motivo di ricorso, in relazione all’esito del primo motivo, rimane assorbito. Il ricorso va quindi rigettato”.

Corte di Cassazione – Ordinanza 8 settembre 2020, n. 18669

sul ricorso 1389-2019 proposto da:

C. SRL, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato ARMANDO DANILO PECORARO;

 – ricorrente –

contro AGENZIA DELLE ENTRATE;

– intimata –

avverso la sentenza n. 4729/24/2018 della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE della CAMPANIA, depositata il 18/05/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 12/02/2020 dal Consigliere Relatore Dott. ROBERTO GIOVANNI CONTI.

Fatti e ragioni della decisione

La C. s.r.l. ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi, contro la sentenza resa dalla CTR Campania indicata in epigrafe, con la quale è stato dichiarato inammissibile per assenza di specifici motivi di censura della sentenza impugnata e per assoluta genericità delle conclusioni rassegnate l’appello proposto avverso la sentenza di primo grado che aveva ritenuto legittimo l’avviso di accertamento emesso a carico della contribuente per la ripresa a tassazione di imposte per l’anno 2010 in relazione all’omesso deposito dei documenti contabili attestanti i crediti e le detrazioni IVA.

L’Agenzia delle entrate non si è costituita.

La ricorrente deduce, con il primo motivo, la violazione dell’art.53 d.lgs. n.546/1992.

La CTR, reiterando l’omissione nella quale era incorso il giudice di primo grado, avrebbe omesso di rispondere al quesito già esposto innanzi alla CTP, a tenore del quale si era evidenziato come i crediti riportati in bilancio nell’anno 2009 non avrebbero potuto determinare una base imponibile se riscossi successivamente a tale anno d’imposta. Questione non esaminata nemmeno dal giudice di appello.

Con il secondo motivo la ricorrente ha dedotto la violazione dell’art.112 c.p.c., prospettando l’omessa pronunzia sulla domanda esposta nel primo motivo di ricorso.

Il primo motivo è infondato e determina l’assorbimento del secondo.

Ed invero, la giurisprudenza di questa Corte è ferma nel ritenere che “la specificità dei motivi di appello (finalizzata ad evitare un ricorso generalizzato e poco meditato al giudice di seconda istanza) esige che alle argomentazioni svolte nella sentenza impugnata vengano contrapposte quelle dell’appellante, volte ad incrinare il fondamento logico giuridico delle prime, ragion per cui alla parte volitiva deve sempre accompagnarsi una parte argomentativa che confuti e contrasti le ragioni addotte dal primo giudice. Tale esigenza, tuttavia, non può impedire che il dissenso della parte soccombente investa la decisione impugnata nella sua interezza e che esso si sostanzi proprio in quelle argomentazioni che suffragavano la domanda disattesa dal primo giudice essendo innegabile che, in tal caso, sottoponendo al giudice d’appello dette argomentazioni – perché ritenute giuste e idonee al conseguimento della pretesa fatta valere -, si adempia pienamente all’onere di specificità dei motivi” – cfr. Cass. n. 14908/2014, Cass., n.22510/2015, Cass., n. 13007/2015 -.

Si è ancora aggiunto, di recente, proprio dalle Sezioni Unite di questa Corte, che ‘[…] gli artt. 342 e 434 cod. proc. civ., nel testo formulato dal decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, nella legge 7 agosto 2012, n. 134, vanno interpretati nel senso che l’impugnazione deve contenere una chiara individuazione delle questioni e dei punti contestati della sentenza impugnata e, con essi, delle relative doglianze, affiancando alla parte volitiva una parte argomentativa che confuti e contrasti le ragioni addotte dal primo giudice. Resta tuttavia escluso, in considerazione della permanente natura di revisio prioris instantiae del giudizio di appello, il quale mantiene la sua diversità rispetto alle impugnazioni a critica vincolata, che l’atto di appello debba rivestire particolari forme sacramentali o che debba contenere la redazione di un progetto alternativo di decisione da contrapporre a quella di primo grado – cfr. Cass., S.U., n.27199/2017.

A tali principi si è conformato il giudice di appello.

Ed infatti, la CTP, per come risulta dallo stralcio di motivazione riportato dalla parte ricorrente, aveva giustificato la legittimità della ripresa a tassazione dell’ufficio in relazione al mancato deposito della documentazione contabile relativa ai bilanci del 2014, dalla quale secondo il giudice di primo grado sarebbe dovuto emergere la mancata riscossione dei crediti riportati nel bilancio 2009 e dunque l’esclusione che tali crediti concorressero alla determinazione della base imponibile per i redditi dell’anno 2010 e alla mancata giustificazione documentale dei costi relativi alla pretesa detrazione IVA alla quale, secondo il giudice di primo grado, la parte contribuente non aveva provveduto.

Orbene, la società C., invece di contestare in modo specifico tali assunti esposti dal giudice di primo grado, ha limitato la propria impugnazione circoscrivendola all’argomento, già esposto in quella fase, relativo all’impossibilità di poter considerare come base imponibile un credito maturato nell’anno 2009 se riscosso successivamente.

Ora, a fronte di una motivazione della sentenza del primo giudice che aveva attribuito valore decisivo sia all’assenza dei bilancio 2014 per escludere la prova della riscossione dei crediti nell’anno 2010, sia alla mancata dimostrazione dei costi detraibili ai fini IVA, l’impugnazione è stata giustamente ritenuta priva di specifici motivi, non avendo aggredito la ratio decidendi della pronunzia di primo grado, rivolta a sostenere che i crediti d’imposta per l’anno 2009 erano stati riscossi nell’anno 2010 e che non era stata fornita la prova dei costi detraibili.

Sulla base di tali considerazioni il primo motivo di ricorso va rigettato.

Il secondo motivo di ricorso, in relazione all’esito del primo motivo, rimane assorbito.

Il ricorso va quindi rigettato.

Nulla sulle spese, dando atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater del d.P.R. n. 115 del 2002, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13, se dovuto.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Dà atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater del d.P.R. n. 115 del 2002, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale a norma dei commi 1-bis dello stesso articolo 13, se dovuto.

Così deciso il 12.2.2020 in Roma.

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