CASSAZIONE

Irap professionisti: l’utilizzo del lavoro dipendente

IRAP – Medico di base convenzionato con il SSN con un dipendente addetto all’accesso dei pazienti – Rimborso

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 19165 del 28/9/2016, ha stabilito che il lavoro dipendente utilizzato dal professionista, per essere indice di autonoma organizzazione ai fini dell’assoggettamento a IRAP, deve essere quello prestato ai fini del potenziamento delle capacità professionali. Nuova sentenza che ritorna su quanto già asserito dalla Corte per un tema ampiamente discusso come quello dell’IRAP per i professionisti. Da tempo si è ragionato concretamente su una revisione dell’imposta, sovente considerata un balzello che frena lo sviluppo economico del Paese. Citiamo al riguardo la legge 11/3/2014, n. 23, che aveva delegato al Governo la emanazione di norme volte a “… chiarire la definizione di autonoma organizzazione, anche mediante la definizione di criteri oggettivi, adeguandola ai più consolidati principi desumibili dalla fonte giurisprudenziale, ai fini della non assoggettabilità dei professionisti, degli artisti e dei piccoli imprenditori all’imposta regionale sulle attività produttive” (art. 11, comma 2).

In questa disposizione si poteva distinguere il recepimento di una linea interpretativa giurisprudenziale che tendenzialmente ritiene di sottrarre all’imposta “i professionisti, gli artisti e i piccoli imprenditori”. La portata della norma non era affatto scontata: il risultato doveva essere una esclusione totale dall’IRAP di professionisti e artisti, oppure tale esclusione doveva essere limitata al caso di artisti e professionisti che dispongano, di una struttura minima, limitata a un solo dipendente?

Al di là dei dubbi resta comunque il fatto che qui, come nella questione relativa all’affermazione o meno di un obbligo dell’Amministrazione di interpellare l’interessato prima della emissione di un avviso di accertamento, il legislatore delegato ha preferito non “attivare” la delega. Inoltre, è bene ricordare che esercitare la pressione verso una dimensione più ammorbidita dell’IRAP è stata proposta con continuità non dal legislatore, ma dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione. La sentenza n. 9451 del 10/5/2016 sanciva il seguente orientamento per quello che maggiormente capita, riportando: ”…Con riguardo al presupposto dell’IRAP, il requisito dell’autonoma organizzazione – previsto dall’art. 2 del d.lgs. 15 settembre 1997, n. 446 – il cui accertamento spetta al giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità se congruamente motivato, ricorrere quando il contribuente: a) sia, sotto qualsiasi forma, il responsabile dell’organizzazione e non sia, quindi, inserito in strutture organizzative riferibili ad altrui responsabilità ed interesse; b) impieghi beni strumentali eccedenti, secondo l’id quod plerumque accidit, il minimo indispensabile per l’esercizio dell’attività in assenza di organizzazione, oppure si avvalga in modo non occasionale di lavoro altrui che superi la soglia dell’impiego di un collaboratore che esplichi mansioni di segreteria ovvero meramente esecutive”.

Le Sezioni Unite hanno enunciato un massima piuttosto dettagliata e vincolante, forse nel timore che i giudici di merito possano giungere, nella valutazione circa la sussistenza di una autonoma organizzazione, a soluzioni troppo favorevoli ai contribuenti e quindi costose per l’erario.

Tale intento sembra contrastare con la frequente affermazione secondo la quale spetta al giudice di merito valutare quando l’attività del professionista sia “autonomamente organizzata”, e con il ruolo di giudice di (mera) legittimità della Corte di Cassazione; così come delineato anche dalle disposizioni di cui all’art. 54 del d.l. n. 83/2012 (conv. in legge n. 134/2012), che hanno ristretto l’ambito del controllo della Corte sull’accertamento dei fatti. L’attenzione si polarizza su un particolare punto che costituisce la novità della pronuncia, nonché il punto di mediazione fra due indirizzi giurisprudenziali: uno più favorevole ai contribuenti e l’altro meno propizio.

Ci si riferisce al punto in cui si concede che l’autonoma organizzazione non sussista ove il contribuente si avvalga si in modo non occasionale di lavoro altrui, ma tale apporto non “superi la soglia dell’impiego di un collaboratore che esplichi mansioni di segreteria ovvero meramente esecutive”. Come già sottolineato, si tratta di un’affermazione molto minuziosa, dettagliata e importante, che quindi richiede un’attenta esegesi. In primo luogo, l’apporto deve provenire da un’unica unità lavorativa e vien da domandarsi: e se sono due che insieme coprono l’orario di lavoro di una persona? L’esempio che primo balza alla mente è quello dell’infermiere, del tecnico di laboratorio: sono “meri esecutori”?, forse no. Nell’ambito della “medicina di gruppo” posta in essere da medici di base, la struttura fornisce solitamente anche prestazioni infermieristiche. E appare difficile ritenere che il ricorso a “servizi infermieristici” sia consentito ai medici inseriti nella “medicina di gruppo” e non ai medici di base che operano in forma isolata; mentre è più difficile consentire l’utilizzo di personale infermieristico al medico che operi come privato professionista.

Vi è poi da ricordare che appare scontato che non rilevi ai fini della autonoma organizzazione la presenza di un (vero) praticante, la cui funzione fondamentale è imparare e non potenziare la produttività dello studio, o la retribuzione di un altro professionista che sostituisca il titolare in ferie (circostanza frequente nei medici di base che debbono assicurare un servizio continuativo). In base alla sentenza n. 8284/2009 costituisce principio consolidato, che consente il rigetto in camera di consiglio ex art. 375 c.p.c. del ricorso dell’Amministrazione, l’affermazione secondo cui non concorre a determinare l’esistenza della “autonoma organizzazione” soggetta a imposizione IRAP il fatto che un avvocato utilizzi un collaboratore non abilitato all’esercizio della professione. Precedentemente, la rigorosa sentenza n. 21563/2010 aveva affermato che è automaticamente soggetto a IRAP il lavoratore autonomo, il professionista, il piccolo imprenditore, che si avvalga di personale dipendente, anche quando tale personale sia costituito da un apprendista part time. È praticamente impossibile svolgere una qualsiasi attività senza avvalersi dell’opera di altri. Alcune di queste forme di utilizzo del lavoro altrui non danno luogo ad alcun tipo di inserimento, sia pur labile, del prestatore d’opera nella struttura che fa capo al committente. Il professionista che prenda il taxi o anche chieda un parere “pro veritate”, un consulto a un costosissimo luminare non crea una stabile organizzazione. Per analogia, la sentenza n. 27000/2014 esclude che, ai fini della ricorrenza del presupposto dell’autonoma organizzazione del contribuente di cui all’art. 2, D.Lgs. n. 446/97, assumano rilevanza i compensi corrisposti al commercialista non dipendente per la tenuta della contabilità: in quanto l’attività remunerata dal professionista per attività diversa da quella nella quale opera non può incidere sul requisito dell’autonoma organizzazione, semmai qualificandosi come necessaria alla gestione minimale di qualunque attività professionale, soprattutto se correlata alla tenuta della contabilità, per la quale è richiesto necessariamente un apporto tecnico in ragione delle responsabilità che sul professionista incombono anche dal punto di vista fiscale. Anche la sentenza n. 961/2015 afferma che il giudice di merito non può desumere l’esistenza di un’autonoma organizzazione dal solo fatto che l’esercente un’attività artistica disponga di un agente e stipuli contratti con una società organizzatrice, senza estendere l’accertamento alla natura, ossia alla struttura e alla funzione dei due rapporti giuridici e senza prendere in esame le prove fornite dal contribuente. Non stabilisce automaticamente la sottoposizione a IRAP il fatto che un professionista, nel caso di specie uno sportivo professionista, disponga di contatti con società estere per la cura dell’immagine e dell’attività agonistica e, per loro tramite, stipuli contratti con sponsor e scuderie. Né assume rilievo decisivo la circostanza che il professionista abbia versato a terzi somme ingenti (sentenza n. 2600/2015: commette errore il giudice di merito che, per ritenere sussistente il requisito dell’autonoma organizzazione, si limiti solo a valorizzare il riconoscimento di compensi a terzi da parte del professionista senza in alcun modo soffermarsi sulla incidenza delle attività remunerate sull’autonoma organizzazione del professionista). Proseguendo nell’esame delle ipotesi in cui la collaborazione fra più soggetti non dà luogo a una struttura associativa soggetta a IRAP si ricorda l’esempio, assai significativo e di ampia applicazione, costituito dall’ipotesi che un professionista sia “ospitato”, gratuitamente o dietro compenso, all’interno della struttura che fa capo a un altro professionista. A questa casistica si adatta il principio ribadito dalla sentenza 9451/2016 secondo cui si applica l’IRAP ove il contribuente “… sia, sotto qualsiasi forma, il responsabile dell’organizzazione e non sia, quindi, inserito in strutture organizzative riferibili ad altrui responsabilità ed interesse”. Anche la recentissima sentenza n. 6855 dell’8/4/2016 cassa senza rinvio la pronuncia di merito e afferma la inapplicabilità dell’IRAP a una ragioniera che lavorava utilizzando le strutture di uno studio altrui: ciò in quanto, in base all’art. 2, D.Lgs. 446/97 (come modificato dall’art. 1, D.Lgs. 137/88), ai fini della soggezione a IRAP dei proventi di un lavoratore autonomo (o un professionista), non è sufficiente che il lavoratore si avvalga di una struttura organizzata, ma è anche necessario che questa struttura sia “autonoma”, cioè faccia capo al lavoratore stesso non solo ai fini operativi bensì anche sotto i profili organizzativi. E in termini sono anche le ordinanze n. 9276/2012 (non è soggetto a IRAP il medico chirurgo che svolga la propria attività professionale presso strutture private, cliniche, organizzate da terzi) e n. 9693/2012. Mentre un’ulteriore e decisiva conferma viene dalla sentenza delle Sezioni Unite 9451 del 10 maggio 2016, secondo cui il lavoratore autonomo è soggetto a IRAP solo se “… sia, come già ricordato, sotto qualsiasi forma, il responsabile dell’organizzazione”. Tornando ai fatti di specie, essi riguardano un medico di base convenzionato con il Servizio Sanitario Nazionale che proponeva ricorso dinanzi alla CTP avverso il silenzio-rifiuto con il quale l’ufficio aveva respinto l’istanza di rimborso IRAP: la CTP accoglieva il ricorso e l’ufficio impugnava la sentenza di primo grado. L’appello veniva respinto dalla CTR la quale, confermando quanto statuito dai giudici di prime cure, riteneva che il medico si avvalesse di collaboratori con mansioni meramente esecutive, dato non integrante quel quid pluris necessario ai fini del riconoscimento dell’imposta pretesa. L’Agenzia proponeva ricorso per Cassazione, ritenendo che la CTR aveva errato nel ritenere insussistente l’autonoma organizzazione, avvalendosi il contribuente in modo non occasionale di prestazioni di lavoro dipendente. Tanto premesso, la suprema Corte ha ricordato quanto affermato dalle Sezioni Unite (Cass., Sez. Un., n. 9451/2016), con un aggiuntivo principio di diritto in tema IRAP, ricordando che “… con riguardo al presupposto dell’IRAP, il requisito dell’autonoma organizzazione, previsto dall’art. 2 del d.lgs. 15 settembre 1997, n. 446, il cui accertamento spetta al giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità se congruamente motivato, ricorre quando il contribuente: a) sia, sotto qualsiasi forma, il responsabile dell’organizzazione e non sia, quindi, inserito in strutture organizzative riferibili ad altrui responsabilità ed interesse; b) impieghi beni strumentali eccedenti, secondo l’id quod plerumque accidit, il minimo indispensabile per l’esercizio dell’attività in assenza di organizzazione, oppure si avvalga in modo non occasionale di lavoro altrui che superi la soglia dell’impiego di un collaboratore che esplichi mansioni di segreteria ovvero meramente esecutive”.

irap

 

CORTE DI CASSAZIONE Ordinanza 28 settembre 2016, n. 19165

In fatto e in diritto

Di N. D., medico di base convenzionato con il Servizio Sanitario Nazionale, proponeva ricorso dinanzi alla CTP di Livorno avverso il silenzio-rifiuto con il quale l’Ufficio aveva respinto l’istanza di rimborso IRAP per l’anno d’imposta 2007. La CTP accoglieva il ricorso e l’ufficio impugnava la sentenza di primo grado. L’appello veniva respinto dalla CTR Toscana la quale, confermando quanto statuito dai giudici di prime cure, riteneva che il medico si avvalesse di collaboratori con mansioni meramente esecutive, dato non integrante quel quid pluris necessario ai fini del riconoscimento dell’imposta pretesa dall’Ufficio.

L’Agenzia propone ricorso per Cassazione affidato ad un motivo. Il contribuente non ha depositato difese scritte.

Con l’unico motivo di ricorso l’Agenzia deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 2 e 3, co. 1, lett. c del D.lgs n. 446/97, in relazione all’art. 360, n. 3 c.p.c. La CTR aveva errato nel ritenere insussistente l’autonoma organizzazione, avvalendosi il contribuente in modo non occasionale di prestazioni di lavoro dipendente.

Il motivo di ricorso è infondato.

Le Sezioni Unite di questa Corte (Cass. Sez. Un., n. 9451/2016) hanno di recente chiarito enunciato un ulteriore principio di diritto in tema IRAP. È stato statuito che “con riguardo al presupposto dell’IRAP, il requisito dell’autonoma organizzazione, previsto dall’art. 2 del d.lgs. 15 settembre 1997, n. 446, il cui accertamento spetta al giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità se congruamente motivato, ricorrere quando il contribuente: a) sia, sotto qualsiasi forma, il responsabile dell’organizzazione e non sia, quindi, inserito in strutture organizzative riferibili ad altrui responsabilità ed interesse; b) impieghi beni strumentali eccedenti, secondo l’id quod plerumque accidit, il minimo indispensabile per l’esercizio dell’attività in assenza di organizzazione, oppure si avvalga in modo non occasionale di lavoro altrui che superi la soglia dell’impiego di un collaboratore che esplichi mansioni di segreteria ovvero meramente esecutive”. Nella specie, la CTR, non ritenendo sussistente il requisito dell’autonoma organizzazione, si è uniformata al principio di diritto su espresso. Ed invero, il contribuente, come risulta dalla parte in fatto della sentenza impugnata, risulta essersi avvalso di un dipendente addetto all’accesso dei pazienti, elemento non suscettibile di combinarsi con il lavoro del professionista, di potenziarne le possibilità e di porre il professionista medesimo in una condizione più favorevole.

Corretta si palesa, pertanto, la sentenza impugnata.

Il ricorso va quindi rigettato.

Nulla sulle spese.

P.Q.M.

Visti gli artt.375 e 380 bis c.p.c.

Rigetta il ricorso.

 

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