CASSAZIONE

Illegittima la sospensione del rimborso IVA se motivata con la semplice affermazione “verifica in corso”

Tributi – IVA – Reati tributari –Contenzioso tributario – Tutela cautelare – Credito –  Verifica – Curatela fallimentare – Rimborso – Sospensione – Carenza di motivazione – Inidoneità – Art 38-bis del DPR 633/72

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 27165 del 15 settembre 2022, occupandosi della compatibilità della sospensione dei rimborsi IVA di cui all’art. 23, D.lgs. n. 472/1997, ha affermato che i provvedimenti che dispongono la sospensione dei rimborsi d’imposta devono essere convenientemente giustificati e quindi non basta indicare nelle motivazioni la generica asserzione: … “che è in corso una verifica”.

E’ stato asserito, pertanto, il principio secondo cui “… in tema di rimborsi Iva, la sospensione disposta dall’Amministrazione finanziaria ai sensi dell’art. 38 bis, comma 8, d.P.R. n. 633 del 1972 (ratione temporis disciplinata nel comma 3 della medesima norma), costituisce una tutela cautelare specifica e circoscritta alle ipotesi di reato in essa richiamate (prima ai reati di cui all’articolo 4, comma 1, n. 5, del d.l. n. 429 del 1982, n. 429, convertito con modificazioni dalla, ora ad uno dei reati di cui agli articoli 2 e 8 del d.lgs. n. 74 del 2000), che non impedisce all’Ufficio il ricorso ad ulteriori strumenti di tutela cautelare alternativi al primo, anche nel corso di un giudizio avente ad oggetto l’impugnazione del silenzio-rifiuto di un rimborso, quali quello previsto dall’art. 23 del d.lgs. n. 472 del 1997, o dall’art. 69 del r.d. n. 2440 del 1923, a condizione che sussistano ragioni diverse da quelle presidiate dall’art. 38 bis, comma 8 cit., e sia adottato un formale provvedimento, da cui evincere la sussistenza dei presupposti richiesti dagli ulteriori strumenti cautelari invocati ed una adeguata motivazione”.

In definitiva, come confermano gli Ermellini, è da ritenersi carente di motivazione il provvedimento di sospensione del rimborso del credito IVA giustificato dalla sola circostanza che è in corso una verifica: il Fisco deve quindi fornire un’adeguata motivazione

Del resto è noto che in caso di rimborso IVA è possibile avvalersi del fermo amministrativo di cui all’art 23 del D.lgs. 472/1997 o della norma generale di cui all’art. 69 del RD 2440/1923, quali strumenti alternativi alla garanzia prevista all’art 38-bis, comma 8, del DPR 633/1972, anche nel corso di un giudizio avente a oggetto l’impugnazione del silenzio-rifiuto del rimborso, a condizione  che sussistano ragioni diverse da quelle previste nel citato art 38-bis, in presenza  di un formale provvedimento di sospensione dal quale si può evincere la sussistenza dei presupposti richiesti dagli ulteriori strumenti adeguatamente  motivati.

Con il termine rimborso fiscale solitamente si intende in linea generale la restituzione, da parte dell’AF, di imposte e ritenute che il contribuente ha versato o subito in misura superiore al dovuto, o di un eventuale credito che si è configurato in suo favore in seguito alla presentazione di una dichiarazione dei redditi. Più specificamente, però, occorre chiarire in cosa consiste il rimborso del credito d’imposta che si concretizza nella restituzione al contribuente delle somme che ha indebitamente versato (in misura superiore rispetto a quelle effettivamente dovute), per cui tutte le volte in cui il contribuente vanti una posizione creditoria potrà chiedere la restituzione delle somme che gli sono state illegittimamente prelevate.

Nell’ordinamento processuale tributario, quando non si è ancora formato un titolo esecutivo, l’unica disciplina generale concernente le misure cautelari a favore dell’Amministrazione finanziaria, è quella contenuta nell’articolo 22, del D.lgs. 474/1997, che a tutela del credito vantato dal Fisco nei confronti del contribuente, ha previsto un procedimento ad hoc per la concessione, a favore della stessa AF, dell’ipoteca e del sequestro conservativo.

Si reputa preferibile, sotto un profilo più “stringente” sul piano della classificazione giuridica, includere nella categoria delle misure cautelari a tutela dei crediti erariali solamente quegli istituti che assolvono propriamente una funzione di tipo “cautelare”, volta a preservare le garanzie patrimoniali a favore del Fisco, dopo l’esercizio dei poteri istruttori, distinguendo da essi gli strumenti tipici della riscossione amministrativa, che svolgono una funzione mista: conservativa della garanzia erariale e, al contempo, finalizzata all’imminente esecuzione forzata.

Premesso ciò, le misure cautelari in ambito tributario sono volte alla garanzia della pretesa tributaria, ossia a evitare che i beni del contribuente-debitore possano essere distratti nel lasso di tempo necessario per poter procedere alla riscossione di quanto dovuto.

Nel tempo si sono formati tre diversi orientamenti circa la natura delle specifiche misure cautelari previste dalla normativa IVA.

Secondo una prima tesi (ex multis, Cass. n. 27784/ 2018, Cass. ord. n. 28739/2018 e Cass. ord. n. 2893/2019), la disciplina in considerazione avrebbe natura speciale, per cui l’art. 38-bis precluderebbe l’intervento di qualsiasi altra misura cautelativa per l’Erario, trattandosi di un sistema chiuso e completo, non suscettibile di subire influenze esterne.

Un secondo orientamento (Cass. n. 16535/2010 e Cass. ord. n. 7630/2013) vorrebbe, invece, sostenere l’implicita abrogazione dello stesso art. 38-bis, nella parte in cui limita la sospensione a fattispecie specifiche, in quanto il citato art. 23 sarebbe una norma successiva, di pari rango, capace di soppiantare la disciplina di settore.

Una terza interpretazione (ex plurimis, Cass. n. 4567/2004; Cass. n. 9853/ 2011; Cass. n. 4505/2012; Cass. n. 7320/2014; Cass. n. 5139/2016; Cass. n. 25893/ 2017 e Cass. n. 4038/2019), che sembra essere quella condivisa dalle Sezioni Unite, sostiene invece che la normativa IVA sia volta a offrire una garanzia specifica per l’ipotesi in cui sia particolarmente incerto il diritto al rimborso di quell’imposta e, perciò, non preclude a priori all’Ufficio l’applicazione di ulteriori misure di natura cautelativa rispetto a un’eventuale futura compensazione con propri controcrediti.

E’ poi intervenuta una recente decisione delle SS.UU., la n. 2320/2020, che ha confermato che esisterebbe una “alternatività “ tra la prestazione della garanzia di cui all’art. 38-bis, comma 10, DPR 633/1972 , e la possibilità di operare il fermo amministrativo del rimborso IVA a tutela di un contro credito del Fisco, affermando che la sospensione cessa in ogni caso di avere efficacia qualora intervenga una pronuncia, ancorché non passata in giudicalo, che annulli il provvedimento che aveva legittimato la misura cautelare.  

Riportiamo uno stralcio della pronuncia, peraltro illuminante: “…La disamina della giurisprudenza sopra riportata denota che il contrasto sulla prima delle due questioni poste in seno all’ordinanza interlocutoria si fonda essenzialmente sugli aspetti, sottolineati dalla prima serie di sentenze, della “specialità” dell’art. 38 bis della disciplina sull’IVA e dell’autosufficienza del previsto sistema di garanzie a tutelare l’interesse dell’Erario alla restituzione del rimborso in tesi indebitamente percepito dal contribuente. A tali elementi si oppone, da parte del secondo gruppo di sentenze, la diversa funzione della disposizione di cui al R.D. n. 2440 del 1923, art. 69, che, con portata generale, garantisce la possibilità di operare la compensazione di detto credito con i controcrediti dell’Amministrazione, e mira a garantire la certezza dei rapporti patrimoniali con lo Stato mediante la concorrente estinzione delle poste reciproche (attive e passive). Le poche decisioni che hanno riguardato l’istituto del fermo di cui all’art. 23 del decreto del 1997 che, come si è detto, viene qui in rilievo – si sono basate essenzialmente sulla medesima relazione di specialità ed autosufficienza della disposizione del decreto IVA, e generalità di quella di cui al D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 23, che, secondo alcune decisioni, avrebbe abrogato la disposizione precedente.
Tirando le fila del discorso che si va conducendo, il Collegio ritiene che la verifica della tesi che qualifica il sistema previsto dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 38 bis, in termini di disposizione speciale non possa che muovere dal dato normativo, tenendo presente che la relazione lex specialis/lex generalis richiede una relazione di “inclusione” dell’insieme cui appartiene la fattispecie speciale nell’insieme cui appartiene la fattispecie generale, o, in altri termini, che la legge speciale regoli in modo più specifico lo stesso fatto giuridico disciplinato da quella generale. Le disposizioni richiamate, nei testi applicabili ratione temporis e per le parti che qui interessano, rispettivamente, dispongono: D.P.R. n. 633/1972 art. 38-bis, comma 1: “I rimborsi previsti nell’art. 30 sono eseguiti, su richiesta fatta in sede di dichiarazione annuale, entro tre mesi dalla scadenza del termine di presentazione della dichiarazione prestando, contestualmente all’esecuzione del rimborso e per una durata pari a tre anni dallo stesso, ovvero, se inferiore al periodo mancante al termine di decadenza dell’accertamento, cauzione in titoli di Stato o garantiti dallo Stato, al valore di borsa, ovvero fideiussione rilasciata da un’azienda o istituto di credito, comprese le casse rurali e artigiane indicate dell’art. 38, comma 1, o da una impresa commerciale che a giudizio dell’Amministrazione finanziaria offra adeguate garanzie di solvibilità o mediante polizza fideiussoria rilasciata da un istituto o impresa di assicurazione ….”;comma 3: “Quando sia stato constatato nel relativo periodo di imposta uno dei reati di cui al D.L. 10 luglio 1982, n. 429, art. 4, comma 1, n. 5), convertito, con modificazioni, dalla L. 7 agosto 1982, n. 516, l’esecuzione dei rimborsi prevista nei commi precedenti è sospesa, fino a concorrenza dell’ammontare dell’imposta sul valore aggiunto indicata nelle fatture o in altri documenti illecitamente emessi od utilizzati, fino alla definizione del relativo procedimento penale”;comma 6: “Se successivamente al rimborso viene notificato avviso di rettifica o accertamento il contribuente, entro sessanta giorni, deve versare all’ufficio le somme che in base all’avviso stesso risultano indebitamente rimborsate, insieme con gli interessi del 12 per cento annuo dalla data del rimborso, a meno che non presti la garanzia prevista nel comma 2 fino a quando l’accertamento sia divenuto definitivo”. D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 23; – comma 1: “Nei casi in cui l’autore della violazione o i soggetti obbligati in solido vantano un credito nei confronti dell’amministrazione finanziaria, il pagamento può essere sospeso se è stato notificato atto di contestazione o di irrogazione della sanzione, ancorché non definitivo. La sospensione opera nei limiti della somma risultante dall’atto o dalla decisione della commissione tributaria ovvero dalla decisione di altro organo”; – comma 2: “In presenza di provvedimento definitivo, l’ufficio competente per il rimborso pronuncia la compensazione del debito R.D. n. 2440 del 1923, art. 69; – comma 6: “Qualora un’amministrazione dello Stato che abbia, a qualsiasi titolo, ragione di credito verso aventi diritto a somme dovute da altre amministrazioni, richieda la sospensione del pagamento, questa deve essere eseguita in attesa del provvedimento definitivo”. In base al D.P.R. n. 633, art. 38 bis, il contribuente che voglia ottenere l’esecuzione del rimborso dell’eccedenza di IVA deve, dunque, prestare una garanzia che ne copra l’importo (primi tre periodi del comma 1). La norma non prevede, quindi, la sospensione del rimborso ma garantisce al Fisco la ripetizione dell’eccedenza di IVA che risulti indebitamente rimborsata, laddove del R.D. n. 2440 del 1923, art. 69 e del D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 23, regolano la sospensione di un pagamento – relativo ad un’esistente eccedenza di IVA – ai fini della sua eventuale compensazione con altra partita attiva dell’Erario. Nell’ipotesi, poi, in cui, dopo l’esecuzione del rimborso, il contribuente riceva la notifica di un avviso di rettifica o di accertamento, egli ha la facoltà, in alternativa alla restituzione delle somme che, in base a tale atto, risultino indebitamente rimborsate, di prestare una garanzia (comma 6). Tale fattispecie, presupponendo che il rimborso dell’eccedenza di IVA sia già stato eseguito, è all’evidenza diversa da quelle disciplinate dal R.D. n. 2440 del 1923, art. 69 e del D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 23.La sospensione del rimborso dell’eccedenza di IVA è, invece, prevista dell’art. 38 bis, comma 3, in esame, quando sia stato constatato “nel relativo periodo d’imposta” uno dei reati di cui al D.L. n. 429 del 1982, art. 4, comma 1, n. 5), (il testo attualmente vigente dell’art. 38 bis richiama, al comma 8, i reati previsti dal D.Lgs. n. 74 del 2000, artt. 2 e 8), il cui accertamento potrebbe escludere, in tutto o in parte, la spettanza dell’eccedenza chiesta a rimborso, rendendone, così, dubbia l’esistenza. La sospensione opera, infatti, fino alla definizione del relativo procedimento penale. Anche in questo caso, pur relativo ad un’ipotesi di sospensione, l’ambito applicativo dell’art. 38 bis del decreto IVA è differente da quello dal R.D. n. 2440 del 1923, art. 69 e del D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 23, che, come si è detto, autorizzano, in tesi, la sospensione del rimborso di un’eccedenza IVA esistente al fine dell’eventuale compensazione tra il relativo debito dell’Amministrazione con altra posta attiva. Da tanto, consegue che la giurisprudenza, compendiata nel primo gruppo di sentenze, che afferma il rapporto di specialità della disposizione IVA e per tale via ne predica la natura di sistema chiuso e compiuto, e, dunque, la sua “autosufficienza” non può essere avallata, per l’inesistenza della relazione lex specialis/lex generalis posta in premessa, il che porta a smentire, sotto altro profilo, la tesi dell’abrogazione della disposizione IVA, propugnata nel terzo gruppo di decisioni. Così convenendo, non v’è ragione di escludere, dalla prospettiva del diritto nazionale qui in esame che, anche nello specifico ambito dei rimborsi IVA, l’Amministrazione possa avvalersi del potere di sospensione del pagamento previsto dalle disposizioni di cui al D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 23 e del R.D. n. 2440 del 1923, art. 69, secondo i relativi regimi, a salvaguardia dell’eventuale compensazione legale del credito che l’Erario abbia o pretenda di avere con quello del contribuente suo creditore, istituti di cui va qui riaffermata la portata generale, posta in evidenza dal secondo gruppo di sentenze, in quanto essi mirano a garantire la certezza dei rapporti patrimoniali tra i cittadini e lo Stato, mediante la concorrente estinzione delle poste reciproche, attive e passive. E tuttavia l’astratta concorrenza dei due sistemi non può risolversi col ritenere, senz’altro, ammissibile il cumulo delle garanzie, secondo i principi affermati nelle medesime sentenze scrutinate nell’ambito del secondo gruppo. Queste Sezioni Unite ritengono, infatti, che l’Amministrazione non possa cautelarsi due volte, pur se con finalità diverse, in riferimento allo stesso credito del contribuente e cioè che essa possa emettere il provvedimento di fermo durante il periodo di vigenza della garanzia (cauzione, o fideiussione bancaria o polizza fideiussoria assicurativa, che sia) prestata dal contribuente ai sensi dell’art. 38 bis, del decreto IVA: tale duplice cautela risulta, da una parte, ingiustificata per l’Erario, che può rivalersi sulla garanzia già prestata e a sua disposizione, ed implica, dall’altra, un carico eccessivo per il contribuente, che, oltre all’onere della prestazione della garanzia, vede il medesimo suo credito sottoposto a fermo. Una ricostruzione del sistema di tal fatta si pone, dunque, in contrasto col principio di collaborazione e buona fede che, a norma della L. n. 212 del 2000, art. 10, comma 1 (cd. “Statuto del contribuente”) deve improntare i rapporti tra ente impositore e contribuente, e non tiene conto del principio di solidarietà economica e sociale di cui all’art. 2 Cost., al quale devono ispirarsi, anche, i rapporti fra pubblica amministrazione e cittadino.Se ciò è vero, tra la disposizione di cui al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 38-bis, comma 1, da una parte, e gli istituti cautelari di cui al D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 23, comma 1 e del R.D. n. 2440 del 1923, art. 69, dall’altra, deve ravvisarsi un rapporto di alternatività: a fronte della prestazione della garanzia ed in costanza di sua validità, il fermo cautelare non può essere opposto, e, viceversa, potrà essere opposto nei casi di assenza di garanzia
”.

Tornando al caso oggi in esame, la vicenda riguarda una curatela fallimentare che si era vista sospendere dall’Agenzia il rimborso IVA richiesto per l’anno 2013 ai sensi dell’art. 38-bis del DPR 633/1972 in ragione del fatto che era in corso una verifica. Impugnato il provvedimento, il curatore otteneva soddisfazione in entrambi i gradi di merito. Da segnalare che i giudici tributari d’appello rilevavano anche la totale carenza di motivazione del provvedimento di sospensione.

Parimenti l’Agenzia, rivolgendosi ai giudici di legittimità, insisteva sulla sussistenza dei presupposti per procedere alla sospensione, richiamando il tenore della norma citata, che contempla l’adozione dell’atto cautelare in presenza della constatazione di uno dei reati previsti negli artt. 2 e 8 del D.lgs. n. 74/2000 e invocando, altresì, l’art. 23 del D.lgs. 472/1997 e l’istituto generale del c.d. fermo amministrativo di cui all’art. 69 del RD 2440/1923, evidenziando al riguardo che la sospensione era tanto giustificata che, nelle more del giudizio, erano stati notificati alla contribuente due avvisi di accertamento ritenuti fondati dalla CTP. La Quinta sezione civile della Cassazione ha definitivamente confermato le ragioni promosse dalla curatela fallimentare di una società contribuente, e ragionando con il conforto dell’attuale  giurisprudenza, ha disposto che “Nella giurisprudenza di legittimità, come in dottrina, si è posto l’interrogativo del rapporto tra la tutela cautelare prevista nel d.P.R. n. 633 del 1972 e gli altri istituti cautelari, disciplinati dall’art. 23 del d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 472 e soprattutto dall’art. 69 del r.d. n. 2440 del 1923. Per quanto qui di interesse è sufficiente evidenziare che in tema di rimborsi l’esistenza di una specifica norma, dettata in materia di iva, non impedisce, in linea generale, il ricorso anche agli altri istituti. Infatti la lettura delle norme, secondo una interpretazione ormai prevalente, è nel senso di non escludere affatto la ricorribilità all’esercizio del potere di sospensione del pagamento previsto dall’art. 69, ultimo comma, del r.d. n. 2440 del 1923 (Cass., 5 maggio 2011, n. 9853; 28 marzo 2014, n. 7320; 31 ottobre 2017, n. 25893). Si è in particolare avvertito che «si tratta di garanzie aventi funzioni diverse: quella apprestata dal citato articolo 38 bis garantisce per l’ipotesi che il credito al rimborso sia insussistente, mentre quella prevista dal citato art. 69, garantisce la possibilità di operare la compensazione con i controcrediti dell’amministrazione». Se tuttavia sussistono ragioni che riconoscono la possibilità di ricorrere ad istituti cautelari diversi dalle regole di rimborso contemplato nell’art. 38 bis cit., è altrettanto vero che si impone l’attenzione sui limiti del cumulo tra le garanzie apprestate da quest’ultima norma e gli altri strumenti cautelari. A tal fine si è affermato che in tema di rimborsi IVA, l’amministrazione finanziaria che abbia chiesto e ottenuto dal contribuente la garanzia in base all’art. 38 bis, comma 1, d.P.R. n. 633 del 1972, durante il periodo di vigenza della medesima non può fare uso degli strumenti cautelari, rispetto ad essa alternativi, previsti dagli artt. 23, comma 1, del d.lgs. n. 472 del 1997 e 69 del r.d. n. 2440 del 1923, determinandosi, altrimenti, una ingiustificata duplicazione della cautela in favore dell’amministrazione ed un carico eccessivo per il contribuente, in violazione del principio di collaborazione e buonafede posto dall’art. 10, comma 1, I. n. 212 del 2000, nonché del principio di solidarietà sancito dall’art. 2 Cost. che deve ispirare anche i rapporti tra Pubblica amministrazione e cittadino (Sez. U., 31 gennaio 2020, n. 2320).Non v’è ragione che tale principio non sia applicabile alla fattispecie, ancor più specifica, dell’istituto cautelare previsto dal comma 8 dell’art. 38 bis (all’epoca dei fatti regolato nel comma 3 dell’art. 38 bis). Se infatti esiste una disciplina perimetrante l’ipotesi del potere di autotutela dell’Amministrazione finanziaria in presenza di reati, afferenti l’iva o le imposte dirette, riconducibili ad operazioni inesistenti, non c’è necessità di applicare strumenti più generali. Laddove invece la tutela cautelare si relazioni a fattispecie penali diverse, o anche alla sola prospettazione di compensazioni tra crediti, oppure ad accertamenti in corso, nulla impedisce che l’Ufficio faccia ricorso agli altri strumenti cautelari (cfr. Cass., 31 ottobre 2018, n. 27784), ma ciò deve essere ben chiaro e supportato da motivazione esaustiva. A tal fine la giurisprudenza di legittimità ha chiarito che in materia tributaria la causa di sospensione del pagamento di un rimborso (cd. fermo amministrativo), prevista a favore dell’Amministrazione finanziaria dall’art. 23 del d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 472 -che costituisce disciplina specifica rispetto all’istituto di cui all’art. 69, comma 6, del r.d. n. 2440 del 1923- può essere fatta valere anche nel corso del giudizio che abbia ad oggetto l’impugnazione del silenzio-rifiuto sulla richiesta del rimborso medesimo, a condizione, però, che sia adottato un formale provvedimento di sospensione; tale atto deve essere dotato dei requisiti prescritti dalla legge, compresa un’adeguata motivazione in ordine al fumus boni iuris della vantata ragione di credito da parte dell’Amministrazione, e portato a legale conoscenza dell’interessato, per garantirgli ogni tutela giurisdizionale (Cass., 11 novembre 2011, n. 23601). Venendo ora al caso di specie, il provvedimento con il quale l’Amministrazione finanziaria ha inteso sospendere il rimborso richiesto dalla curatela fallimentare richiamava l’art. 38 bis del d.P.R. n. 633 del 1972 ed era così motivato: «è in corso una verifica». Ebbene, a parte il richiamo espresso all’art. 38 bis, risulta del tutto insignificante, nel senso letterale di “privo” di significato, una motivazione del provvedimento di sospensione formulata nei termini riportati. Nel richiamo generico all’art. 38 bis cit. risulta infatti del tutto incomprensibile quale fosse la fattispecie presa in esame dall’Amministrazione finanziaria per sospendere il rimborso. Se cioè si trattava di accertamenti penali per operazioni inesistenti, così rientranti nell’alveo del comma 8 della norma (comma 3, ratione temporis vigente), oppure di altre ragioni che potessero giustificare la sospensione del rimborso. Delle motivazioni invece non v’è traccia nel provvedimento. Soprattutto, a fronte di una difesa che il ricorrente fonda sulla legittimità dell’utilizzo dello strumento cautelare previsto dall’art. 69 del r.d. n. 2440 del 1923, non si comprende da cosa possa evincersi, leggendo il provvedimento impugnato, che l’Amministrazione finanziaria abbia fatto ricorso al fermo amministrativo. Tanto più che solo nelle difese implementate nel corso del processo l’Ufficio, sembra di capire, aveva avviato degli accertamenti fiscali, da cui erano poi scaturiti due avvisi di accertamento. Ciò, astrattamente, non avrebbe impedito l’emissione di un conseguente -e successivo- provvedimento cautelare, in forza dell’art. 69 cit. o persino dell’art. 23, comma 1, del d.lgs. n. 472 del 1997, purché con una adeguata motivazione. Il ricorso in conclusione non può trovare accoglimento e va rigettato, dovendosi ribadire il principio secondo cui «in tema di rimborsi iva, la sospensione disposta dall’Amministrazione finanziaria ai sensi dell’art. 38 bis, comma 8, d.P.R. n. 633 del 1972 (ratione temporis disciplinata nel comma 3 della medesima norma), costituisce una tutela cautelare specifica e circoscritta alle ipotesi di reato in essa richiamate (prima ai reati di cui all’articolo 4, comma 1, n. 5, del d.l. n. 429 del 1982, n. 429, convertito con modificazioni dalla, ora ad uno dei reati di cui agli articoli 2 e 8 del d.lgs. n. 74 del 2000), che non impedisce all’Ufficio il ricorso ad ulteriori strumenti di tutela cautelare alternativi al primo, anche nel corso di un giudizio avente ad oggetto l’impugnazione del silenzio-rifiuto di un rimborso, quali quello previsto dall’art. 23 del d.lgs. n. 472 del 1997, o dall’art. 69 del r.d. n. 2440 del 1923, a condizione che sussistano ragioni diverse da quelle presidiate dall’art. 38 bis, comma 8 cit., e sia adottato un formale provvedimento, da cui evincere la sussistenza dei presupposti richiesti dagli ulteriori strumenti cautelari invocati ed una adeguata motivazione”.

Corte di Cassazione – Ordinanza 15 settembre 2022, n. 27165

Sul ricorso n. 19612-2017, proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, c.f. 06363391001, in persona del Direttore p.t., elettivamente domiciliata in Roma, via dei Portoghesi n. 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato, che la rappresenta e difende

– Ricorrente –

CONTRO BANCA IFIS S.p.a., cf. 02505630109, in persona del legale rappresentante p.t., elettivamente domiciliata in Roma, alla via Cicerone, n. 54, presso lo studio dell’avv. Antonio Buonfiglio, rappresentata e difesa dall’avv. Mario Martelli

– Controricorrente e ricorrente incidentale –

 NONCHE’

CAMPANIA GESTIONI IMMOBILIARI s.r.l. in Fallimento, in persona del Curatore fallimentare

– Intimato-

 Avverso la sentenza n. 3905/02/2017 della Commissione tributaria regionale della Campania, sez. staccata di Salerno, depositata il 3.05.2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio il 22~ 2022 dal Consigliere dott. Francesco Federici

Rilevato che

La Curatela fallimentare della Campania Gestioni Immobiliari s.r.l. richiese all’Agenzia delle entrate il rimborso di un credito Iva dell’importo di € 1.028.242,00 relativo all’anno d’imposta 2013. L’Amministrazione finanziaria, con atto notificato 11 dicembre 2014, comunicò la sospensione del rimborso ex art. 38 bis del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, perché in corso una verifica.

Il provvedimento fu impugnato dalla curatela dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Salerno, che con sentenza n. 910/05/2015 accolse le ragioni della ricorrente.

La decisione fu appellata dall’ufficio dinanzi alla Commissione tributaria regionale della Campania, sez. staccata di Salerno, che con sentenza n. 3905/02/2017 ne rigettò le ragioni. Confermando le ragioni addotte dal giudice di primo grado, quello regionale ha rilevato che il provvedimento di sospensione del rimborso fosse del tutto carente di motivazione, limitata nell’atto alla circostanza che era “in corso una verifica”.

Ha ritenuto che una simile motivazione fosse del tutto inidonea, tanto più che la sospensione prevista dall’art. 38 bis, comma 8, del d.P.R. n. 633 del 1972 è circoscritta a specifiche ipotesi.

Nelle more del giudizio si era intanto costituita la Banca Ifis s.p.a. nella qualità di cessionaria del credito.

Con un unico motivo l’Agenzia delle entrate ha censurato la sentenza, chiedendone la cassazione, cui ha resistito con controricorso la Banca Ifis, a sua volta spiegando ricorso incidentale condizionato fondato su un motivo.

La curatela del fallimento non ha inteso resistere.

Nell’adunanza camerale del 22 aprile 2022 la causa è stata trattata e decisa.

La controricorrente ha depositato memoria ai sensi dell’art. 380 bis.1 cod. proc. civ.

Considerato che

La ricorrente si è doluta della violazione e falsa applicazione dell’art. 38 bis, comma 8, del d.P.R. n. 633 del 1972, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ. Ha insistito sulla esistenza dei presupposti per procedere alla sospensione del rimborso, invocando il tenore della norma, che relaziona l’atto cautelare alla constatazione di uno dei reati previsti negli artt. 2 e 8 del d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74.

Ha invocato in ogni caso l’art. 23 del d.lgs. 31 dicembre 1997, n. 472, nonché l’istituto della sospensione dei pagamenti (cd fermo amministrativo), previsto dall’art. 69 del r.d. 18 novembre 1923, n. 2440, evidenziando che la sospensione era tanto giustificata che nelle more del giudizio erano stati notificati alla contribuente due avvisi di accertamento, ritenuti fondati dalla Commissione tributaria di Avellino con sentenze depositate il 15 dicembre 2016.

Deve intanto rilevarsi che il provvedimento di sospensione oggetto della presente controversia fu emesso con espresso richiamo dell’art. 38 bis cit., che, ratione temporis vigente, così recitava «Quando sia stato constatato nel relativo periodo di imposta uno dei reati di cui all’articolo 4, primo comma, n. 5), del decreto legge 10 luglio 1982, n. 429, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 1982, n. 516, l’esecuzione dei rimborsi prevista nei commi precedenti è sospesa, fino a concorrenza dell’ammontare dell’imposta sul valore aggiunto indicata nelle fatture o in altri documenti illecitamente emessi od utilizzati, fino alla definizione del relativo procedimento penale».

La norma (che a partire dal 13 dicembre 2014 fu modificata richiamando uno dei reati di cui agli articoli 2 e 8 del decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74), riconosce una tutela cautelare dell’Amministrazione finanziaria per le ipotesi nelle quali, alla richiesta di rimborso di un credito avanzata dal contribuente, si contrappongono verifiche su condotte penalmente rilevanti in materia di evasione d’imposta a mezzo di operazioni inesistenti.

Nella giurisprudenza di legittimità, come in dottrina, si è posto l’interrogativo del rapporto tra la tutela cautelare prevista nel d.P.R. n. 633 del 1972 e gli altri istituti cautelari, disciplinati dall’art. 23 del d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 472 e soprattutto dall’art. 69 del r.d. n. 2440 del 1923.

Per quanto qui di interesse è sufficiente evidenziare che in tema di rimborsi l’esistenza di una specifica norma, dettata in materia di iva, non impedisce, in linea generale, il ricorso anche agli altri istituti. Infatti la lettura delle norme, secondo una interpretazione ormai prevalente, è nel senso di non escludere affatto la ricorribilità all’esercizio del potere di sospensione del pagamento previsto dall’art. 69, ultimo comma, del r.d. n. 2440 del 1923 (Cass., 5 maggio 2011, n. 9853; 28 marzo 2014, n. 7320; 31 ottobre 2017, n. 25893).

Si è in particolare avvertito che «si tratta di garanzie aventi funzioni diverse: quella apprestata dal citato articolo 38 bis garantisce per l’ipotesi che il credito al rimborso sia insussistente, mentre quella prevista dal citato art. 69, garantisce la possibilità di operare la compensazione con i controcrediti dell’amministrazione». Se tuttavia sussistono ragioni che riconoscono la possibilità di ricorrere ad istituti cautelari diversi dalle regole di rimborso contemplato nell’art. 38 bis cit., è altrettanto vero che si impone l’attenzione sui limiti del cumulo tra le garanzie apprestate da quest’ultima norma e gli altri strumenti cautelari.

A tal fine si è affermato che in tema di rimborsi IVA, l’amministrazione finanziaria che abbia chiesto e ottenuto dal contribuente la garanzia in base all’art. 38 bis, comma 1, d.P.R. n. 633 del 1972, durante il periodo di vigenza della medesima non può fare uso degli strumenti cautelari, rispetto ad essa alternativi, previsti dagli artt. 23, comma 1, del d.lgs. n. 472 del 1997 e 69 del r.d. n. 2440 del 1923, determinandosi, altrimenti, una ingiustificata duplicazione della cautela in favore dell’amministrazione ed un carico eccessivo per il contribuente, in violazione del principio di collaborazione e buonafede posto dall’art. 10, comma 1, I. n. 212 del 2000, nonché del principio di solidarietà sancito dall’art. 2 Cost. che deve ispirare anche i rapporti tra Pubblica amministrazione e cittadino (Sez. U., 31 gennaio 2020, n. 2320).

Non v’è ragione che tale principio non sia applicabile alla fattispecie, ancor più specifica, dell’istituto cautelare previsto dal comma 8 dell’art. 38 bis (all’epoca dei fatti regolato nel comma 3 dell’art. 38 bis). Se infatti esiste una disciplina perimetrante l’ipotesi del potere di autotutela dell’Amministrazione finanziaria in presenza di reati, afferenti l’iva o le imposte dirette, riconducibili ad operazioni inesistenti, non c’è necessità di applicare strumenti più generali.

Laddove invece la tutela cautelare si relazioni a fattispecie penali diverse, o anche alla sola prospettazione di compensazioni tra crediti, oppure ad accertamenti in corso, nulla impedisce che l’Ufficio faccia ricorso agli altri strumenti cautelari (cfr. Cass., 31 ottobre 2018, n. 27784), ma ciò deve essere ben chiaro e supportato da motivazione esaustiva.

A tal fine la giurisprudenza di legittimità ha chiarito che in materia tributaria la causa di sospensione del pagamento di un rimborso (cd. fermo amministrativo), prevista a favore dell’Amministrazione finanziaria dall’art. 23 del d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 472 -che costituisce disciplina specifica rispetto all’istituto di cui all’art. 69, comma 6, del r.d. n. 2440 del 1923- può essere fatta valere anche nel corso del giudizio che abbia ad oggetto l’impugnazione del silenzio-rifiuto sulla richiesta del rimborso medesimo, a condizione, però, che sia adottato un formale provvedimento di sospensione; tale atto deve essere dotato dei requisiti prescritti dalla legge, compresa un’adeguata motivazione in ordine al fumus boni iuris della vantata ragione di credito da parte dell’Amministrazione, e portato a legale conoscenza dell’interessato, per garantirgli ogni tutela giurisdizionale (Cass., 11 novembre 2011, n. 23601).

Venendo ora al caso di specie, il provvedimento con il quale l’Amministrazione finanziaria ha inteso sospendere il rimborso richiesto dalla curatela fallimentare richiamava l’art. 38 bis del d.P.R. n. 633 del 1972 ed era così motivato: «è in corso una verifica».

Ebbene, a parte il richiamo espresso all’art. 38 bis, risulta del tutto insignificante, nel senso letterale di “privo” di significato, una motivazione del provvedimento di sospensione formulata nei termini riportati. Nel richiamo generico all’art. 38 bis cit. risulta infatti del tutto incomprensibile quale fosse la fattispecie presa in esame dall’Amministrazione finanziaria per sospendere il rimborso. Se cioè si trattava di accertamenti penali per operazioni inesistenti, così rientranti nell’alveo del comma 8 della norma (comma 3, ratione temporis vigente), oppure di altre ragioni che potessero giustificare la sospensione del rimborso. Delle motivazioni invece non v’è traccia nel provvedimento. Soprattutto, a fronte di una difesa che il ricorrente fonda sulla legittimità dell’utilizzo dello strumento cautelare previsto dall’art. 69 del r.d. n. 2440 del 1923, non si comprende da cosa possa evincersi, leggendo il provvedimento impugnato, che l’Amministrazione finanziaria abbia fatto ricorso al fermo amministrativo.

Tanto più che solo nelle difese implementate nel corso del processo l’Ufficio, sembra di capire, aveva avviato degli accertamenti fiscali, da cui erano poi scaturiti due avvisi di accertamento. Ciò, astrattamente, non avrebbe impedito l’emissione di un conseguente – e successivo – provvedimento cautelare, in forza dell’art. 69 cit. o persino dell’art. 23, comma 1, del d.lgs. n. 472 del 1997, purché con una adeguata motivazione.

Il ricorso in conclusione non può trovare accoglimento e va rigettato, dovendosi ribadire il principio secondo cui «in tema di rimborsi iva, la sospensione disposta dall’Amministrazione finanziaria ai sensi dell’art. 38 bis, comma 8, d.P.R. n. 633 del 1972 (ratione temporis disciplinata nel comma 3 della medesima norma), costituisce una tutela cautelare specifica e circoscritta alle ipotesi di reato in essa richiamate (prima ai reati di cui all’articolo 4, comma 1, n. 5, del d.l. n. 429 del 1982, n. 429, convertito con modificazioni dalla, ora ad uno dei reati di cui agli articoli 2 e 8 del d.lgs. n. 74 del 2000), che non impedisce all’Ufficio il ricorso ad ulteriori strumenti di tutela cautelare alternativi al primo, anche nel corso di un giudizio avente ad oggetto l’impugnazione del silenzio-rifiuto di un rimborso, quali quello previsto dall’art. 23 del d.lgs. n. 472 del 1997, o dall’art. 69 del r.d. n. 2440 del 1923, a condizione che sussistano ragioni diverse da quelle presidiate dall’art. 38 bis, comma 8 cit., e sia adottato un formale provvedimento, da cui evincere la sussistenza dei presupposti richiesti dagli ulteriori strumenti cautelari invocati ed una adeguata motivazione».

Il rigetto del ricorso principale assorbe l’interesse all’esame del ricorso incidentale condizionato della contribuente, che con un unico motivo aveva lamentato la violazione e falsa applicazione dell’art. 115 cod. proc. civ., degli artt. 18 e 35 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, dell’art. 38 bis del d.P.R. n. 633 del 1972, degli artt. 324 cod. proc. civ. e 2909 cod. civ., in relazione all’art. 360 primo comma, n. 3 cod. proc. civ., in ordine alla mancata decisione su una domanda di condanna al pagamento introdotta già in primo grado. All’esito del giudizio segue la soccombenza della ricorrente nelle spese processuali di legittimità, che si liquidano nella misura specificata in dispositivo. Rilevato che risulta soccombente una parte ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato per essere amministrazione pubblica difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, non si applica l’art. 13 comma 1- quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.

PQM

Rigetta il ricorso, assorbito l’incidentale, condanna la ricorrente alla rifusione in favore della controricorrente, oltre € 2.000 per esborsi, delle spese del giudizio di legittimità, che si liquidano nella misura di € 15.000,00 per competenze, oltre alle spese génerali liquidate nella misura forfettaria del 15% e accessori come per legge.

Assorbito il ricorso incidentale condizionato.  Così deciso in Roma, il giorno 22 aprile 2022

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