CASSAZIONE

Illegittima la cartella IRAP se l’imposta non è dovuta

La Corte di Cassazione, con la sentenza 7 luglio 2017, n. 16747, ha stabilito che in caso di dichiarazione IRAP presentata con imposta a debito ma non versata per mancanza del presupposto oggettivo dell’autonoma organizzazione, deve ritenersi impugnabile la cartella di pagamento emessa all’esito del controllo formale della dichiarazione, in considerazione della ritrattabilità in sede processuale. L’evoluzione del percorso giurisprudenziale sulla materia IRAP e, in particolare, sulla definizione dell’autonoma organizzazione, è avvenuto fra molte incertezze e interpretazioni, spesso non del tutto allineate. Solo recentemente le SS.UU. con la sentenza n. 9451/20156 hanno dato una risposta risolutiva alla questione sulla quale negli ultimi anni si sono avute posizioni discordanti all’interno di molte Commissioni Tributarie, sino a creare due correnti interpretative all’interno della stessa Sezione Tributaria della Corte di Cassazione.

Sin dal 2013 il fatto è obiettivamente incerto: si è dibattuto tra una alternanza di pronunce di senso opposto, che a volte affermavano la dirimenza in senso sfavorevole al contribuente per la presenza del dipendente, altre volte ribadivano, invece, l’insufficienza dell’elemento e la necessità di valutare caso per caso la tipologia delle mansioni svolte e l’incidenza sulla capacità reddituale del contribuente, magari con l’esclusione del presupposto impositivo in caso di dipendenti meramente “esecutivi”. Tale produzione giurisprudenziale, peraltro debitamente ben motivata, ha reso al contribuente come conseguenza alquanto difficile il valutare l’opportunità di promuovere o meno il ricorso. Lo spartiacque è nella citata sentenza n. 9451/2016 con la quale le Sezioni Unite, enunciando un nuovo principio di diritto “…con riguardo al presupposto dell’IRAP, il requisito dell’autonoma organizzazione – previsto dall’art. 2 del d.lgs. 15 settembre 1997, n. 446 – il cui accertamento spetta al giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità se congruamente motivato, ricorre quando il contribuente; a) sia, sotto qualsiasi forma, il responsabile dell’organizzazione e non sia, quindi, inserito in strutture organizzative riferibili ad altrui responsabilità ed interesse; b) impieghi beni strumentali eccedenti, secondo l’id quod plerumque accidit il minimo indispensabile per l’esercizio dell’attività in assenza di organizzazione, oppure si avvalga in modo non occasionale di lavoro altrui che superi la soglia dell’impiego di un collaboratore che esplichi mansioni di segreteria ovvero meramente esecutive”, hanno messo definitivamente in chiaro l’orientamento della Corte.

In tema di IRAP, inoltre, nel caso che non sia stato effettuato il versamento del tributo lasciando poi spirare il termine di decadenza per il rimborso, è possibile contestare la debenza del tributo, frutto di errore nella dichiarazione presentata, anche in sede d’impugnazione della cartella di pagamento, atteso che le dichiarazioni dei redditi sono, in linea di principio, sempre emendabili sin in sede processuale, ove per effetto dell’errore commesso derivi l’assoggettamento a imposta più gravoso di quello previsto dalla legge. Nella fattispecie, sulla base del consolidato principio affermato in giurisprudenza in materia di applicazione dell’IRAP sull’attività di lavoro autonomo, i giudici hanno rilevato l’assenza dell’autonoma organizzazione quale presupposto di applicazione dell’imposta nell’attività svolta dal professionista, sostenendo spese per l’acquisto di beni strumentali e per beni immobili di un certo importo e nonché compensi a terzi per euro 10.000.

Per effetto dell’accertata esclusione dall’assoggettamento all’IRAP, dunque, deve ritenersi illegittima la richiesta di pagamento dell’imposta avanzata dall’Amministrazione finanziaria, ancorché formulata sulla base della dichiarazione presentata dallo stesso contribuente, atteso che lo stesso non può, a causa di un errore, essere assoggettato a un carico tributario più oneroso di quello previsto dalla legge.

Ne caso in esame i giudici della Suprema Corte hanno accolto il ricorso del contribuente affermando il principio secondo il quale “… l’impugnazione della cartella esattoriale, emessa in seguito a procedura di controllo automatizzato della dichiarazione non è preclusa dal fatto che l’atto impositivo sia fondato sui dati evidenziati dal contribuente nella propria dichiarazione, in quanto tale conclusione presupporrebbe la irretrattabilità delle dichiarazioni del contribuente che, invece, avendo natura di dichiarazioni di scienza, sono ritrattabili in ragione della acquisizione di nuovi elementi di conoscenza o di valutazione”. Infine, concludono i supremi Giudici: “… La ratio decidendi della sentenza impugnata – secondo cui ‘a prescindere dall’assoggettabilità dell’IRAP da parte del contribuente, dalla documentazione prodotta dall’ufficio, anche sulla base delle dichiarazioni presentate dal contribuente, lo stesso nel 2002 ha sostenuto spese per l’acquisto di beni strumentali e per beni immobili di un certo importo e corrisposto a terzi compensi per euro 10.000’ – non è conforme al consolidato principio affermato da questa Corte in materia, secondo cui, a norma del combinato disposto degli artt. 2, comma 1, primo periodo, e 3, comma 1, lettera c), del d.lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, l’esercizio delle attività di lavoro autonomo di cui all’art. 49, comma primo, del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, è escluso dall’applicazione dell’imposta soltanto qualora si tratti di attività non autonomamente organizzata: il requisito della “autonoma organizzazione”, il cui accertamento spetta al giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità se congruamente motivato, ricorre quando il contribuente: a) sia, sotto qualsiasi forma, il responsabile dell’organizzazione, e non sia quindi inserito in strutture organizzative riferibili ad altrui responsabilità ed interesse; b) impieghi beni strumentali eccedenti, secondo l’id quod plerumque accidit, il minimo indispensabile per l’esercizio dell’attività in assenza di organizzazione, oppure si avvalga in modo non occasionale di lavoro altrui; al riguardo, si è più recentemente chiarito come il detto requisito dell’autonoma organizzazione non ricorre quando il contribuente responsabile dell’organizzazione si avvalga di lavoro altrui non eccedente l’impiego di un dipendente con mansioni esecutive; costituisce poi onere del contribuente che richieda il rimborso fornire la prova dell’assenza delle condizioni anzidette (ex plurimis, Cass. n. 3676, n. 3673, n. 3678, n. 3680 del 2007; Cass. sezioni unite 10 maggio 2016, n. 9451)”.

 

CORTE DI CASSAZIONE Sentenza 7 luglio 2017, n. 16747

Fatti di causa

F.P., avvocato, propone ricorso per cassazione con tre motivi, illustrati con successiva memoria, nei confronti della sentenza della Commissione tributaria regionale del Lazio che, rigettandone l’appello, ha dichiarato fondata la pretesa avanzata con la cartella di pagamento emessa all’esito della liquidazione in base alla dichiarazione dell’IRAP per l’anno 2002, ravvisando la sussistenza dei presupposti per la soggezione all’imposta.

Secondo il giudice d’appello, infatti, “a prescindere dall’assoggettabilità dell’IRAP da parte del contribuente, dalla documentazione prodotta dall’ufficio, anche sulla base delle dichiarazioni presentate dal contribuente, lo stesso nel 2002 ha sostenuto spese per l’acquisto di beni strumentali e per beni immobili di un certo importo e corrisposto a terzi compensi per euro 10.000. Il contribuente, nella dichiarazione per l’anno 2002 ha dichiarato l’importo IRAP senza però provvedere al relativo versamento e, quindi, è corretto l’operato dell’ufficio che ha rilevato l’omesso versamento. Il contribuente avrebbe dovuto effettuare il versamento e, successivamente, se dimostrava di averne diritto, avrebbe potuto chiederne il rimborso”

L’Agenzia delle entrate e la spa Equitalia Gerit non hanno svolto attività nella presente sede.

Ragioni della decisione

Con il primo motivo, denunciando la violazione della normativa in materia di IRAP di cui all’art. 2 del d.lgs. n. 446 del 1997, censura la decisione per aver ritenuto sussistente il presupposto dell’autonoma organizzazione; con il secondo motivo, denunciando violazione di legge e vizio di ultrapetizione, critica la decisione in quanto, secondo una prospettazione assolutamente non richiesta, per il solo fatto di essere stato il contribuente, in dipendenza delle note forzature informatiche del programma di invio della dichiarazione, costretto a compilare il quadro relativo all’IRAP, avrebbe dovuto provvedere al pagamento di quanto indicato, salvo ripetere le somme versate; con il terzo motivo denuncia insufficiente e contraddittoria motivazione della sentenza in ordine alla verifica dei presupposti di applicabilità dell’imposta.

Il secondo motivo del ricorso, il cui esame logicamente precede, è fondato.

“L’impugnazione della cartella esattoriale, emessa in seguito a procedura di controllo automatizzato ai sensi dell’art. 36-bis del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 – come questa Corte ha avuto modo di chiarire – non è preclusa dal fatto che l’atto impositivo sia fondato sui dati evidenziati dal contribuente nella propria dichiarazione, in quanto tale conclusione presupporrebbe la irretrattabilità delle dichiarazioni del contribuente che, invece, avendo natura di dichiarazioni di scienza, sono ritrattabili in ragione della acquisizione di nuovi elementi di conoscenza o di valutazione” (Cass. n. 9872 del 2011).

Si è in particolare precisato che in tema di IRAP, il contribuente può contestare la debenza del tributo, frutto di errore nella dichiarazione presentata, anche in sede d’impugnazione della cartella di pagamento – beninteso, qualora non abbia effettuato il versamento del tributo stesso lasciando poi spirare il termine di decadenza per il rimborso, “nonostante la scadenza del termine di cui all’art. 2, comma 8 bis, del d.P.R. 22 luglio 1998, n. 322, atteso che le dichiarazioni dei redditi sono, in linea di principio, sempre emendabili, sin in sede processuale, ove per effetto dell’errore commesso derivi, in contrasto con l’art. 53 Cost., l’assoggettamento del dichiarante ad un tributo più gravoso di quello previsto dalla legge” (Cass. n. 4049 del 2015).

Sono del pari fondati il secondo ed il terzo motivo.

La ratio decidendi della sentenza impugnata – secondo cui “a prescindere dall’assoggettabilità dell’IRAP da parte del contribuente, dalla documentazione prodotta dall’ufficio, anche sulla base delle dichiarazioni presentate dal contribuente, lo stesso nel 2002 ha sostenuto spese per l’acquisto di beni strumentali e per beni immobili di un certo importo e corrisposto a terzi compensi per euro 10.000” – non è conforme al consolidato principio affermato da questa Corte in materia, secondo cui, a norma del combinato disposto degli artt. 2, comma 1, primo periodo, e 3, comma 1, lettera c), del d.lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, l’esercizio delle attività di lavoro autonomo di cui all’art. 49, comma primo, del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, è escluso dall’applicazione dell’imposta soltanto qualora si tratti di attività non autonomamente organizzata: il requisito della “autonoma organizzazione”, il cui accertamento spetta al giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità se congruamente motivato, ricorre quando il contribuente: a) sia, sotto qualsiasi forma, il responsabile dell’organizzazione, e non sia quindi inserito in strutture organizzative riferibili ad altrui responsabilità ed interesse; b) impieghi beni strumentali eccedenti, secondo l’id quod plerumque accidit, il minimo indispensabile per l’esercizio dell’attività in assenza di organizzazione, oppure si avvalga in modo non occasionale di lavoro altrui; al riguardo, si è più recentemente chiarito come il detto requisito dell’autonoma organizzazione non ricorre quando il contribuente responsabile dell’organizzazione si avvalga di lavoro altrui non eccedente l’impiego di un dipendente con mansioni esecutive; costituisce poi onere del contribuente che richieda il rimborso fornire la prova dell’assenza delle condizioni anzidette (ex plurimis, Cass. n. 3676, n. 3673, n. 3678, n. 3680 del 2007; Cass. sezioni unite 10 maggio 2016, n. 9451).

Il ricorso deve essere pertanto accolto, la sentenza impugnata deve essere cassata e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito con raccoglimento del ricorso introduttivo del contribuente.

In considerazione dell’epoca di formazione della giurisprudenza di riferimento vanno compensate fra le parti le spese dell’intero processo.

P.Q.M.

Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, accoglie il ricorso introduttivo del contribuente.

Dichiara compensate fra le parti le spese dell’intero processo.

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