CASSAZIONE

Il vizio di omessa o apparente motivazione nel contenzioso tributario

Tributi – IRES, IRAP e IVA – Accertamento – Maggior reddito imponibile – Contenzioso tributario – Procedimento – Ricorso per cassazione – Motivi – Vizio di omessa o apparente motivazione – Omesso esame di fatti controversi e decisivi per il giudizio – Art. 360, comma 1, del Cpc – Nullità della sentenza

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 28043 del 9 dicembre 2020, intervenendo sull’obbligatorietà motivazionale è tornata a occuparsi della validità della sentenza corredata da una motivazione meramente apparente, ricordando che ricorre allorquando il giudice, in violazione di un preciso obbligo di legge costituzionalmente imposto (Cost., art. 111, sesto comma), omette di esporre concisamente i motivi in fatto e diritto della decisione, di specificare o illustrare le ragioni e l’iter logico seguito per pervenire alla decisione assunta, e cioè di chiarire su quali prove ha fondato il proprio convincimento e sulla base di quali argomentazioni è pervenuto alla propria determinazione, in tal modo consentendo anche di verificare se abbia effettivamente giudicato senza la violazione del principio “Iudex iuxta alligata et probata iudicare debet”.

I precedenti giurisprudenziali della S.C. che hanno definito questo percorso sono peraltro noti e, come affermato dalle Sezioni Unite della Cassazione nella sentenza n. 8053 del 7/4/2014, è possibile ritenere che con la riforma del 2012 si è realizzata la riduzione al minimo costituzionale del sindacato sulla motivazione in sede di legittimità, per cui l’anomalia motivazionale denunciabile in questa sede è solo quella che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante e attiene all’esistenza della motivazione in sé, come risulta dalla lettura del testo della sentenza, prescindendo dal confronto con le risultanze processuali e si esaurisce, con esclusione di alcuna rilevanza del difetto di sufficienza, nella mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico.

Ne consegue che la ricostruzione del fatto operata dai giudici di merito è sindacabile in sede di legittimità soltanto ove la motivazione al riguardo sia viziata da vizi giuridici, oppure se manchi del tutto, oppure se sia articolata su espressioni o argomenti tra loro manifestamente e immediatamente inconciliabili, oppure perplessi, oppure obiettivamente incomprensibili.

Conforme a tale interpretazione possiamo citare, tra le molte, anche l’ordinanza n. 5272 del 22 febbraio 2019, dove la Corte aveva specificato che “… i motivi, che possono essere unitamente esaminati, sono inammissibili; la postulazione, invero, risulta del tutto generica e tale da condurre alla valutazione di inammissibilità per difetto di specificità alla stregua del consolidato principio di diritto riaffermato da questa Corte (Cass. Sez. Un. 20 marzo 2017, n. 7074) e già in precedenza espresso (Cass. civ. n. 4741/2005)”.

Dal punto di vista dei diritti costituzionali rientra anche l’appena citato art. 111, sesto comma della Costituzione, che dispone “Tutti i provvedimenti giurisdizionali devono essere motivati”. La norma parrebbe esprimere un concetto vincolante, valutabile in termini di responsabilità del magistrato, di esplicitare le ragioni che stanno alla base delle pronunce giudiziali. Ulteriore fondamento positivo dell’obbligo in parola, come più volte affermato dagli Ermellini, è rinvenibile nell’art. 132 del codice di procedura civile che disciplina il contenuto formale minimo della decisione, necessario per produrre quell’effetto di certezza giuridica che è lo scopo del giudicato (Cass. 8842/2003; Cass. 12363/1999

Una conforme interpretazione è avallata anche da parte della dottrina, che ritiene la funzione della norma sarebbe quella di costringere il giudice a mettere in gioco la propria “reputazione professionale” manifestando le motivazioni della propria decisione: ciò in quanto la motivazione addotta si presenta intrinsecamente inidonea a far percepire le reali ragioni che stanno alla base della statuizione adottata (v. Cass. nn.13733/2014; 13426/2004; 1532/2000; 5098/1988; 1125/87).

L’obbligo del giudice “di specificare le ragioni del suo convincimento” quale elemento essenziale di ogni decisione di carattere giurisdizionale è un’affermazione  storica nella giurisprudenza della Corte: nella sentenza delle Sezioni Unite n. 1093 del 1947 la Corte precisò che “l’omissione di qualsiasi motivazione in fatto e in diritto costituisce una violazione di legge di particolare gravità” e che “le decisioni di carattere giurisdizionale senza motivazione alcuna sono da considerarsi come non esistenti”.

A tal riguardo è infatti vero che “le decisioni di carattere giurisdizionale senza motivazione alcuna sono da considerarsi come non esistenti” (v. anche Cass. n. 2876 del 2017; Cass. Sez. U., n. 16599 e n. 22232 del 2016 e n. 7667 del 2017 nonché la giurisprudenza ivi richiamata). Alla stregua di tali principi deriva che la sanzione di nullità colpisce non solo le sentenze che siano del tutto prive di motivazione dal punto di vista grafico o quelle che presentano un “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e che presentano una “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile” – come peraltro ben affermato dalle SS.UU. con la cennata pronunzia n. 8053 del 2014 e la successiva n. 21257 del 2014 – ma anche quelle che contengono una motivazione meramente apparente, del tutto equiparabile alla prima più grave forma di vizio.

Infine segnaliamo, per invidiabile sintesi tecnica-giuridica, quanto affermato dalla Cassazione attraverso l’ordinanza n. 5335/2018, nella quale si dichiara che la sanzione di nullità non interessa esclusivamente le sentenze del tutto carenti di motivazione dal punto di vista sostanziale o quelle che evidenziano un “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” o che espongono una “motivazione perplessa e obiettivamente incomprensibile”, ma anche quelle che accolgono una motivazione manifestamente apparente e, di conseguenza, integralmente paragonabile alla più rilevante espressione di irregolarità .

Tale ipotesi ricorre quando la pronuncia reca argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal magistrato per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarlo con le più varie e ipotetiche congetture (in tal senso, la vicina pronunzia Cass. civ. Sez. V, Ord. 05/02/2020, n. 2650; e le conformi Cass. civ. Sez. VI – 5 Ord. 22/03/2019, n. 8264; Cass. SS.UU. 3 novembre 2016, n. 22232; Cass. civ. Sez. VI – 5, Ord. 15 giugno 2017, Sent. n. 14927, n. 14018/07). Sinteticamente possiamo allora ritenere che la sentenza, secondo i supremi giudici, dovrebbe essere permeata da un’imprescindibile linea logico-razionale che faccia comprendere, esplicitamente, le premesse fattuali e le ragioni giuridiche che hanno condotto alla res decidendi.

Tanto premesso e tornando al caso in dibattimento, una società riceveva avvisi di accertamento relativi a più anni d’imposta, con i quali l’ufficio contestava un maggior reddito imponibile ai fini IRES, IRAP e IVA, assumendo come ricavi non dichiarati movimentazioni ingiustificate sui conti correnti bancari. La contribuente presentava ricorsi, poi riuniti, parzialmente accolti. L’Ufficio proponeva appello e il gravame veniva accolto dalla CTR.

Avverso la sentenza della CTR la società proponeva ricorso per Cassazione deducendo in particolare che i giudici di appello, con una motivazione carente ovvero comunque apparente o indebitamente motivata per relationem, avevano affermato la legittimità della ripresa a tassazione operata dall’ufficio, senza indicare l’iter logico argomentativo e i presupposti fondanti la decisione.

I Supremi Giudici riconoscono le ragioni poste a sostegno dalla parte contribuente, ricordando che “…  con il secondo motivo, la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c., l’omesso esame di fatti controversi e decisivi per il giudizio, e, in subordine, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c., la nullità della sentenza per violazione dell’art. 132 c.p.c., per avere la CTR, con una motivazione carente ovvero, comunque, apparente o indebitamente motivata per relationem, affermato la legittimità della ripresa a tassazione operata dall’Ufficio stante le rilevate “numerose incongruenze tra la documentazione extracontabile e bancaria prodotta dalla società contribuente con il ricorso introduttivo e quanto emerso dalla verifica della G.d.F.” senza indicare l’iter logico- argomentativo e i presupposti fondanti la decisione; – il motivo, quanto alla censura formulata in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c., è fondato;- va precisato, in particolare, che costituisce ius receptum (in termini, Cass. n. 2876 del 2017) il principio secondo cui il vizio di motivazione meramente apparente della sentenza ricorre allorquando il giudice, in violazione di un preciso obbligo di legge, costituzionalmente imposto (art. 111 Cost., comma 6), e cioè dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4 (in materia di processo civile ordinario) e dell’omologo D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, comma 2, n. 4 (in materia di processo tributario), omette di esporre concisamente i motivi in fatto e diritto della decisione, di specificare o illustrare le ragioni e l’iter logico seguito per pervenire alla decisione assunta, e cioè di chiarire su quali prove ha fondato il proprio convincimento e sulla base di quali argomentazioni è pervenuto alla propria determinazione, in tal modo consentendo anche di verificare se abbia effettivamente giudicato iuxta alligata probata;  invero, l’obbligo del giudice “di specificare le ragioni del suo convincimento”, quale “elemento essenziale di ogni decisione di carattere giurisdizionale” è affermazione che ha origine lontane nella giurisprudenza di questa Corte e precisamente alla sentenza delle Sezioni unite n. 1093 del 1947, in cui la Corte precisò che “l’omissione di qualsiasi motivazione in fatto e in diritto costituisce una violazione di legge di particolare gravità” e che “le decisioni di carattere giurisdizionale senza motivazione alcuna sono da considerarsi come non esistenti”.  Pertanto, la sanzione di nullità colpisce non solo le sentenze che siano del tutto prive di motivazione dal punto di vista grafico (che sembra potersi ritenere mera ipotesi di scuola) o quelle che presentano un “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e che presentano una “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile” (cfr. Cass. S.U. n. 8053 del 2014; conf. Cass. n. 21257 del 2014), ma anche quelle che contengono una motivazione meramente apparente, del tutto equiparabile alla prima più grave forma di vizio, perché dietro la parvenza di una giustificazione della decisione assunta, la motivazione addotta dal giudice è tale da non consentire “di comprendere le ragioni e, quindi, le basi della sua genesi e l’iter logico seguito per pervenire da essi al risultato enunciato” (cfr. Cass. n. 4448 del 2014), venendo quindi meno alla finalità sua propria, che è quella di esternare un “ragionamento che, partendo da determinate premesse pervenga con un certo procedimento enunciativo”, logico e consequenziale, “a spiegare il risultato cui si perviene sulla res decidendi” (Cass. cit.; v. anche Cass., Sez. un., n. 22232 del 2016 e la giurisprudenza ivi richiamata; v. da ultimo Cass.22949 del 2018 ). Come da ultimo precisato da questa Corte, «ricorre il vizio di omessa o apparente motivazione della sentenza allorquando il giudice di merito ometta ivi di indicare gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento ovvero li indichi senza un’approfondita loro disamina logica e giuridica, rendendo, in tal modo, impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del suo ragionamento» (Cass. n. 9105 del 2017; Cass. n. 25456 del 2018); nella specie, le considerazioni svolte dalla CTR circa la legittimità della ripresa a tassazione operata dall’Ufficio essendo emerse “numerose incongruenze tra la documentazione extracontabile e bancaria prodotta dalla società contribuente con il ricorso introduttivo e quanto emerso dalla verifica della G.d.F.” non sono tali da disvelare chiaramente quale sia la ratio decidendi e l’iter logico seguito per pervenire al risultato enunciato, non risultando, in alcun modo, enunciate le ragioni della affermata inattendibilità probatoria della documentazione prodotta dalla contribuente facendo, sul punto, il giudice di appello un generico rinvio al verbale della G.d.F.”.

Corte di Cassazione – Ordinanza 9 dicembre 2020, n. 28043

sul ricorso iscritto al numero 12011 del ruolo generale dell’anno 2014, proposto da:

I. M. s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa, giusta procura speciale a margine del ricorso, dall’Avv.to Dario Moresco, elettivamente domiciliato presso lo studio dell’Avv.to Giacinto Gaetano Mancusi, in Roma Via A. Bafile n. 3;

-ricorrente-

Contro Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore, domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi n. 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato che la rappresenta e difende;

-controricorrente-

per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria regionale della Lombardia, sezione staccata di Brescia n. 203/66/2013, depositata in data 12 novembre 2013, non notificata;

Lette le conclusioni scritte del P.G., in persona del sostituto procuratore generale dott.ssa Paola Mastroberardino, il quale ha chiesto l’accoglimento del ricorso.

Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 29 settembre 2020 dal Relatore Cons. Maria Giulia Putaturo Donati Viscido di Nocera.

Rilevato che

– con sentenza n. 203/66/2013, depositata in data 12 novembre 2013, la Commissione tributaria regionale della Lombardia, sezione staccata di Brescia, aveva accolto l’appello principale proposto dall’Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore, nei confronti di I. M. s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, e rigettato l’appello incidentale proposto da quest’ultima nei confronti dell’Ufficio avverso la sentenza n. 101/12/10 della Commissione tributaria provinciale di Bergamo che, previa riunione, aveva accolto parzialmente i ricorsi proposti dalla suddetta società avverso tre avvisi di accertamento con i quali l’Ufficio – previo p.v.c. della G.d.F., nell’ambito del procedimento penale RGNR n.5105/06 presso la Procura della Repubblica – Tribunale di Bergamo- aveva contestato nei confronti della medesima, per gli anni 2004-2006, un maggiore reddito imponibile, ai fini Ires, Irap e Iva, assumendo come ricavi non dichiarati movimentazioni risultate ingiustificate sui conti correnti bancari intestati alla società;

 – la CTR – in punto di diritto, per quanto di interesse, ha osservato che:

1) la documentazione prodotta dalla società in primo grado a giustificazione delle contestate movimentazioni bancarie e, in particolare, alcuni estratti del libro giornale, relativi alle annualità 2004-2006, erano del tutto inattendibili, atteso che il libro giornale non era più soggetto all’obbligo di vidimazione;

2) legittimamente, pertanto, l’Ufficio – avendo rilevato numerose incongruenze tra la documentazione extracontabile e bancaria prodotta dalla società contribuente con i ricorsi introduttivi e quanto emerso dalla verifica operata dalla G.d.F. – aveva operato le riprese a tassazione in questione ai sensi dell’art. 32, comma 1, n. 2 del d.P.R. n. 600/73;

3) l’Ufficio aveva puntualmente dimostrato, quanto alle riprese operate con gli avvisi di accertamento impugnati, l’inattendibilità della documentazione prodotta dalla contribuente con i ricorsi introduttivi;

– avverso la sentenza della CTR, la società contribuente propone ricorso per cassazione affidato a tre motivi, cui resiste, con controricorso, l’Agenzia delle entrate;

– il ricorso è stato fissato in camera di consiglio, ai sensi dell’art. 375, secondo comma, e dell’art. 380-bis 1 cod. proc. civ., introdotti dall’art. 1-bis del d. l. 31 agosto 2016, n. 168, convertito, con modificazioni, dalla legge 25 ottobre 2016, n. 197.

Considerato che

– con il primo motivo, la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 32, comma 1, n. 2, del d.P.R. n. 600 del 1973, 51, comma 2, n. 2 del d.P.R. n. 633 del 1972, in combinazione con gli artt. 2215 c.c. e 8 della legge n. 383 del 2001, per avere la CTR erroneamente escluso – ritenendo legittimo l’accertamento fiscale dell’Ufficio – l’efficacia probatoria delle scritture contabili prodotte dalla contribuente in giudizio a giustificazione delle contestate movimentazioni bancarie, in quanto non vidimate, ancorché fossero state redatte successivamente alla modifica dell’art. 2215 c.c., in forza dell’art. 8 della legge n. 383/2001, e, dunque, una volta soppresso l’obbligo di vidimazione con conseguente regolarità e veridicità delle stesse anche in assenza di tale adempimento divenuto, per stessa definizione del legislatore, “inutile”;

in particolare, ad avviso della ricorrente, così come la mancata vidimazione delle scritture contabili redatte successivamente alla novella non poteva legittimare più l’accertamento induttivo così non poteva condizionare l’attendibilità delle medesime;

– il motivo è inammissibile in quanto non attinente al decisum, avendo la CTR – non ancorandosi alla giurisprudenza richiamata (Cass. n. 14018/07) sulla mancata valenza probatoria della contabilità non vidimata

– ritenuto che proprio perché il libro giornale non era più soggetto all’obbligo di vidimazione, gli estratti di quest’ultimo prodotti dalla contribuente, relativamente alle annualità 2004-2006, erano da ritenersi inattendibili (e non, quindi, suscettibili di valore privilegiato), valutazione che poi ha rafforzato facendo riferimento alle numerose incongruenze rilevate dall’ufficio tra la documentazione extracontabile e bancaria nonché con l’affermazione “l’ufficio ha puntualmente dimostrato, con particolare riferimento alle riprese operate con gli avvisi di accertamento impugnati ) l’inattendibilità probatoria della documentazione prodotta dalla contribuente con i ricorsi introduttivi”;

-in ogni caso, il motivo pare fondarsi sull’assunto che le scritture contabili fanno prova a favore dell’imprenditore, circostanza che di per sé, invece, è destituita di fondamento ex art. 2709 c.c. (ex multis, Cass., sez. 5, n. 5079 del 28/02/2017Cass. n. 3305 del 2009, n. 16115 del 2007, n. 16461 del 20139);

– con il secondo motivo, la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c., l’omesso esame di fatti controversi e decisivi per il giudizio, e, in subordine, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c., la nullità della sentenza per violazione dell’art. 132 c.p.c., per avere la CTR, con una motivazione carente ovvero, comunque, apparente o indebitamente motivata per relationem, affermato la legittimità della ripresa a tassazione operata dall’Ufficio stante le rilevate “numerose incongruenze tra la documentazione extracontabile e bancaria prodotta dalla società contribuente con il ricorso introduttivo e quanto emerso dalla verifica della G.d.F.” senza indicare l’iter logico- argomentativo e i presupposti fondanti la decisione;

– il motivo, quanto alla censura formulata in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c., è fondato;

– va precisato, in particolare, che costituisce ius receptum (in termini, Cass. n. 2876 del 2017) il principio secondo cui il vizio di motivazione meramente apparente della sentenza ricorre allorquando il giudice, in violazione di un preciso obbligo di legge, costituzionalmente imposto (art. 111 Cost., comma 6), e cioè dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4 (in materia di processo civile ordinario) e dell’omologo D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, comma 2, n. 4 (in materia di processo tributario), omette di esporre concisamente i motivi in fatto e diritto della decisione, di specificare o illustrare le ragioni e l’iter logico seguito per pervenire alla decisione assunta, e cioè di chiarire su quali prove ha fondato il proprio convincimento e sulla base di quali argomentazioni è pervenuto alla propria determinazione, in tal modo consentendo anche di verificare se abbia effettivamente giudicato iuxta alligata probata;

invero, l’obbligo del giudice “di specificare le ragioni del suo convincimento”, quale “elemento essenziale di ogni decisione di carattere giurisdizionale” è affermazione che ha origine lontane nella giurisprudenza di questa Corte e precisamente alla sentenza delle Sezioni unite n. 1093 del 1947, in cui la Corte precisò che “l’omissione di qualsiasi motivazione in fatto e in diritto costituisce una violazione di legge di particolare gravità” e che “le decisioni di carattere giurisdizionale senza motivazione alcuna sono da considerarsi come non esistenti”.

Pertanto, la sanzione di nullità colpisce non solo le sentenze che siano del tutto prive di motivazione dal punto di vista grafico (che sembra potersi ritenere mera ipotesi di scuola) o quelle che presentano un “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e che presentano una “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile” (cfr. Cass. S.U. n. 8053 del 2014; conf. Cass. n. 21257 del 2014), ma anche quelle che contengono una motivazione meramente apparente, del tutto equiparabile alla prima più grave forma di vizio, perché dietro la parvenza di una giustificazione della decisione assunta, la motivazione addotta dal giudice è tale da non consentire “di comprendere le ragioni e, quindi, le basi della sua genesi e l’iter logico seguito per pervenire da essi al risultato enunciato” (cfr. Cass. n. 4448 del 2014), venendo quindi meno alla finalità sua propria, che è quella di esternare un “ragionamento che, partendo da determinate premesse pervenga con un certo procedimento enunciativo”, logico e consequenziale, “a spiegare il risultato cui si perviene sulla res decidendi” (Cass. cit.; v. anche Cass., Sez. un., n. 22232 del 2016 e la giurisprudenza ivi richiamata; v. da ultimo Cass.22949 del 2018 ).

Come da ultimo precisato da questa Corte, «ricorre il vizio di omessa o apparente motivazione della sentenza allorquando il giudice di merito ometta ivi di indicare gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento ovvero li indichi senza un’approfondita loro disamina logica e giuridica, rendendo, in tal modo, impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del suo ragionamento» (Cass. n. 9105 del 2017; Cass. n. 25456 del 2018); nella specie, le considerazioni svolte dalla CTR circa la legittimità della ripresa a tassazione operata dall’Ufficio essendo emerse “numerose incongruenze tra la documentazione extracontabile e bancaria prodotta dalla società contribuente con il ricorso introduttivo e quanto emerso dalla verifica della G.d.F.” non sono tali da disvelare chiaramente quale sia la ratio decidendi e l’iter logico seguito per pervenire al risultato enunciato, non risultando, in alcun modo, enunciate le ragioni della affermata inattendibilità probatoria della documentazione prodotta dalla contribuente facendo, sul punto, il giudice di appello un generico rinvio al verbale della G.d.F.;

– con il terzo motivo, la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c., la nullità della sentenza per violazione dell’art.112 c.p.c. e, in subordine, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c., l’omesso esame di un fatto decisivo e controverso per il giudizio, per avere la CTR omesso di pronunciare (dichiarando “assorbito” ogni altro motivo), o, comunque, omesso del tutto di motivare in ordine alla censura proposta dalla contribuente con l’appello incidentale concernente l’assunta illegittimità della ripresa a tassazione operata dall’Ufficio, con l’avviso di accertamento per l’anno 2005, di euro 16.000,00, quale somma asseritamente non dichiarata proveniente dalla vendita di un immobile dalla società a tale sig. B.B., in base a elemento estraneo all’indagine bancaria quale era la dichiarazione resa da quest’ultimo alla G.d.F. di per sé, ad avviso della ricorrente, non sufficiente a fondare la decisione della CTR;

– l’accoglimento del secondo motivo di ricorso rende inutile la trattazione del terzo, con assorbimento dello stesso;

-in conclusione, va accolto il secondo motivo di ricorso, dichiarato inammissibile il primo, assorbito il terzo; con cassazione della sentenza impugnata – in relazione al motivo accolto – e rinvio, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Commissione tributaria regionale della Lombardia, in diversa composizione;

Pqm

la Corte

accoglie il secondo motivo di ricorso, dichiara inammissibile il primo, assorbito il terzo; cassa la sentenza impugnata- in relazione al motivo accolto – e rinvia, anche per le spese, alla Commissione tributaria

regionale della Lombardia, in diversa composizione. Cosi deciso in Roma il 29 settembre 2020

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