CASSAZIONE SANZIONI

Il professionista che opera in uno studio associato deve sempre contribuire all’IRAP

Tributi – IRAP – Studio associato notai – Determinazione del valore della produzione – Contenzioso tributario – Litisconsorzio necessario dei singoli associati – Violazione – Nullità dell’intero giudizio

Con l’ordinanza n. 15341 del 3 giugno 2021, la Corte di Cassazione torna sulla questione del pagamento dell’IRAP da parte degli studi associati, respingendo il ricorso presentato dai professionisti contro la decisione dei giudici tributari regionali e affermando, in forza della linea giurisprudenziale contenuta nella pronunzia n. 29128/2018, che “Nelle controversie aventi ad oggetto l’IRAP dovuta da uno studio professionale associato, trattandosi di imposta imputata per trasparenza agli associati, sussiste il litisconsorzio necessario tra l’associazione ed i propri associati: peraltro, ove al giudizio abbiano partecipato tutti gli associati, il contraddittorio non deve essere integrato nei confronti dell’associazione, non avendo la stessa distinta personalità giuridica”.

La questione dell’IRAP è ormai da anni al centro dell’interesse dei professionisti, vista e considerata anche l’esistenza di una giurisprudenza non univoca e lineare.

Riassumendo, è possibile ritenere che lo studio professionale associato è ex lege soggetto passivo ai fini IRAP e, in quanto tale, non può sottrarsi a imposizione dimostrando l’assenza del requisito dell’autonoma organizzazione, che si presume implicito nella forma associativa con cui viene svolta l’attività. È fatta salva la possibilità, per il singolo professionista che voglia contestare la pretesa erariale, di fornire la prova circa l’insussistenza dell’esercizio in forma associata della propria attività.

E’ anche sin troppo semplicistico ricordare che l’esercizio della professione in forma societaria costituisce sempre il presupposto dell’IRAP, essendo implicita nella forma di esercizio dell’attività diretta alla produzione e allo scambio, ovvero alla prestazione di servizi, e costituisce ex lege presupposto dell’imposta regionale sulle attività produttive, senza che occorra accertare in concreto la sussistenza di un’autonoma organizzazione, essendo questa compresa nella forma di esercizio dell’attività.

In particolare i giudici della Corte Costituzionale, con la sentenza 156/2001, hanno anche sancito l’inammissibilità delle varie questioni di legittimità concernenti l’intero D.lgs. 446/1997 e hanno dichiarato specificamente infondate le questioni di legittimità degli artt. 2, 3, l° comma, 4, 8, 1l, 36 e 76 dello stesso decreto, che concernono direttamente o indirettamente il lavoro autonomo artistico o professionale. Nella motivazione della sentenza la Corte Costituzionale si è soffermata a lungo proprio sulla questione della rispondenza ai principi costituzionali dell’assoggettamento a IRAP del lavoro autonomo, spiegando che questo è pienamente conforme ai principi di eguaglianza e capacità contributiva rispetto all’imposizione che colpisce la base imponibile costituita dall’attività imprenditoriale, essendo identica in entrambi i casi l’idoneità alla contribuzione ricollegabile alla nuova ricchezza prodotta e non apparendo, inoltre, la suddetta uguaglianza lesiva della garanzia costituzionale prestata al lavoro.

Subito dopo, però, ha osservato che l’elemento organizzativo necessario ai fini dell’imposizione IRAP è connaturato alla nozione d’impresa, mentre è possibile ipotizzare un’attività professionale svolta in assenza di organizzazione di capitali o lavoro altrui: in tal caso, in mancanza di specifiche disposizioni normative, l’accertamento costituisce una questione di mero fatto e quindi l’imposta non va applicata (v. Cassazione 238/2016).

Si è fatto ricorso, infine, alla valutazione dei giudici europei per definire anche il problema della contrarietà dell’imposta alla normativa comunitaria, ritenendo quindi l’IRAP una sorta di IVA camuffata e considerando il fatto che il diritto comunitario ammette una sola imposta sul valore aggiunto, per cui l’IRAP sarebbe stata quindi illegittima.

La questione è stata definitivamente risolta in senso negativo con la sentenza della Corte europea del 3 ottobre 2006, con la causa C-475/03, che ha ritenuto l’IRAP legittima.

Appare quindi utile rammentare che, sempre in materia di accertamento dell’imposta dovuta da uno studio professionale associato, trattandosi di imposta imputata per trasparenza agli associati, sussiste il litisconsorzio necessario sostanziale tra questi ultimi e l’associazione; tuttavia, ove nel giudizio siano stati parti tutti gli associati della medesima associazione professionale, quest’ultima deve ritenersi ritualmente partecipe della lite, difettando essa di distinta personalità giuridica.

In relazione all’esercizio professionale in forma associata e al relativo inquadramento ai fini IRAP, la Corte di Cassazione si è espressa più volte in passato affermando un principio oramai maggioritario e consolidato, secondo cui la struttura organizzativa (in forma associativa o societaria) utilizzata per l’esercizio dell’attività costituisce ex lege presupposto d’imposta (così Cassazione n. 16784/2010 su uno studio professionale di dottore commercialista e Cassazione  n. 25313/2014 su uno studio legale associato).

L’affermazione per cui l’attività professionale esercitata in maniera strutturalmente organizzata costituisce in ogni caso presupposto dell’imposta regionale porta a escludere la necessità di operare un accertamento “caso per caso” in ordine alla sussistenza del requisito dell’autonoma organizzazione.

La questione è stata definitivamente chiarita da due importanti sentenze delle Sezioni Unite del Collegio di legittimità, la n. 7291 e la n. 7371, emesse nel 2016 a un giorno di distanza l’una dall’altra.

In tal senso, quindi, a nulla rileva che lo studio associato dimostri, ad esempio, di non aver mai sostenuto spese per lavoro dipendente o per collaborazioni coordinate e continuative a riprova dell’assenza di autonoma organizzazione, proprio perché, come si è detto, la natura giuridica prescelta costituisce presupposto legale dell’imposta regionale.

A sostegno di questa tesi degli Ermellini emerge il principio consolidato nella propria giurisprudenza a partire dalla sentenza delle Sezioni Unite n. 14815/2008 e successivamente ribadito dalle sezioni semplici (cfr., ex multis, Cass. n. 27337/2014; n. 11459/2009; n. 13073, n. 17925 e n. 23096/2012; n. 1047/2013; n. 25300 e 27337/2014; n. 2094/2015; n. 11727 e n. 13737/2016), secondo cui “… in materia tributaria, l’unitarietà dell’accertamento che è alla base della rettifica delle dichiarazioni dei redditi delle società di persone e delle associazioni di cui al D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, articolo 5, e dei soci delle stesse e la conseguente automatica imputazione dei redditi a ciascun socio, proporzionalmente alla quota di partecipazione agli utili ed indipendentemente dalla percezione degli stessi, comporta che il ricorso tributario proposto, anche avverso un solo avviso di rettifica, da uno dei soci o dalla società riguarda inscindibilmente sia la società che tutti i soci – salvo il caso in cui questi prospettino questioni personali -, sicché tutti questi soggetti devono essere parte dello stesso procedimento e la controversia non può essere decisa limitatamente ad alcuni soltanto di essi”.

Secondo molta della giurisprudenza della Cassazione, quindi, la predetta tipologia di controversia non ha ad oggetto la singola posizione debitoria bensì gli elementi comuni della fattispecie costitutiva dell’obbligazione dedotta nell’atto impugnato, con conseguente configurabilità di un caso di litisconsorzio necessario originario. Conseguentemente, il ricorso proposto anche da uno soltanto dei soggetti interessati impone l’integrazione del contraddittorio ai sensi dell’articolo 14, D.lgs. 546/1992, e fatta salva la possibilità di riunione ai sensi dell’articolo 29 del medesimo decreto.

Ancora, nella sentenza n. 28709/2020, riferita in questo caso a una società di persone, si affermava che “il presupposto impositivo dell’Irap si realizza direttamente in capo ai soci”. E nell’ordinanza 15341/2021 si attestava anche che “… nel caso di specie non risulta che abbia preso parte personalmente al giudizio di merito nessuno degli associati, per cui è stato violato il litisconsorzio necessario”.

Da ultimo sovviene anche ricordare che nella pronunzia n. 24549 del 2 ottobre 2019, i giudici di piazza Cavour hanno ritenuto che il professionista inserito in un’associazione professionale, anche se esercita una distinta e separata attività, è tenuto al pagamento del tributo salvo che dimostri che l’attività oggetto di contestazione non rientri tra quelle svolte in forma associata.

Ora, tornando alla sentenza in commento, gli Ermellini hanno affrontato la vicenda nella quale la Commissione tributaria regionale aveva accolto l’appello dell’Agenzia delle entrate avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale che aveva accolto il ricorso di un contribuente professionista contro l’avviso d’accertamento emesso nei suoi confronti.

Nel ricorso il contribuente segnalava che i giudici aditi avrebbero erroneamente reputato che i contributi versati dal notaio alla Cassa nazionale e al Consiglio nazionale del notariato sono costi inerenti all’attività esercitata, e come tali deducibili nella determinazione del reddito professionale. La tesi proposta non è stata però accolta dal supremo consesso, che ha quindi ritenuto che “… occorre ricordare che questa Corte ha già affermato che « Nelle controversie aventi ad oggetto l’IRAP dovuta da uno studio professionale associato, trattandosi di imposta imputata per trasparenza agli associati, sussiste il litisconsorzio necessario tra l’associazione ed i propri associati: peraltro, ove al giudizio abbiano partecipato tutti gli associati, il contraddittorio non deve essere integrato nei confronti dell’associazione, non avendo la stessa distinta personalità giuridica» (Cass., Sez. 5 – , Ordinanza n. 29128 del 13/11/2018). Nel caso di specie non risulta che abbia preso parte personalmente al giudizio di merito nessuno degli associati, per cui è stato violato il litisconsorzio necessario. Pertanto, come doveroso anche d’ufficio, va dichiarata la nullità dell’intero giudizio e la sentenza impugnata va cassata, con rinvio alla CTP di Bari. Infatti, Quando risulta integrata la violazione delle norme sul litisconsorzio necessario, non rilevata né dal giudice di primo grado, che non ha disposto l’integrazione del contraddittorio, né da quello di appello, che non ha provveduto a rimettere la causa al primo giudice ai sensi dell’art. 354, comma 1, c.p.c., resta viziato l’intero processo e s’impone, in sede di giudizio di cassazione, l’annullamento, anche d’ufficio, delle pronunce emesse ed il conseguente rinvio della causa al giudice di prime cure, a norma dell’art. 383, comma 3, c.p.c. (Cass.,Sez. 2, Ordinanza n. 23315 del 23/10/2020)”.

Corte di Cassazione – Ordinanza 3 giugno2021, n. 15341

sul ricorso 33191-2019 proposto da:

Studio Associato Notai G. L. E T. C., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE G. MAZZINI, 11, presso lo studio dell’avvocato MARCO DE BONIS, rappresentato e difeso dall’avvocato ANTONIO DAMASCELLI;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE DIREZIONE PROVINCIALE BARI;

– intimata-

avverso la sentenza n. 1017/1/2019 della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE DELLA PUGLIA, depositata il 01/04/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 24/03/2021 dal Consigliere Relatore Dott. MICHELE CATALDI

Rilevato che

1. Lo Studio Associato Notai G.L. e T.C. propone ricorso per cassazione, affidato ad un unico motivo, avverso la sentenza n. 1017/01/2019, depositata l’11 aprile 2019, con la quale la Commissione tributaria regionale della Puglia ha accolto l’appello dell’Agenzia delle Entrate avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Bari, che aveva accolto il ricorso del medesimo contribuente contro l’avviso d’accertamento emesso nei suoi confronti, con il quale, per l’anno d’imposta 2009, era stata recuperata a tassazione l’Irap per € 6.977,00, per l’indeducibilità delle somme versate alla Cassa del Notariato.

L’Agenzia delle Entrate è rimasta intimata.

La proposta del relatore è stata comunicata, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza camerale, ai sensi dell’articolo 380-bis cod. proc. civ.

Considerato che

1. Con l’unico motivo il contribuente deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, num. 3, cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione degli artt. 2 e 5 d. Igs. 15 dicembre 1997, n. 446, e degli artt. 10 e 54 d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917.

Assume infatti il ricorrente che il giudice a quo, nell’accogliere il relativo motivo di appello erariale, avrebbe erroneamente reputato che i contributi versati dai notai alla Cassa nazionale del notariato non costituiscano costi inerenti all’attività esercitata, deducibili dalla base imponibile dell’Irap.

Preliminarmente, deve rilevarsi che dalla sentenza impugnata e dallo stesso ricorso per il quale si procede risulta che l’unica parte privata del giudizio di merito è stata lo “Studio Associato Notai G.L. e T.C.”, che coincide con il medesimo soggetto che, in persona del suo legale rappresentante, ha proposto ricorso per cassazione.

Tanto premesso, occorre ricordare che questa Corte ha già affermato che « Nelle controversie aventi ad oggetto l’IRAP dovuta da uno studio professionale associato, trattandosi di imposta imputata per trasparenza agli associati, sussiste il litisconsorzio necessario tra l’associazione ed i propri associati: peraltro, ove al giudizio abbiano partecipato tutti gli associati, il contraddittorio non deve essere integrato nei confronti dell’associazione, non avendo la stessa distinta personalità giuridica» (Cass., Sez. 5 – , Ordinanza n. 29128 del 13/11/2018).

Nel caso di specie non risulta che abbia preso parte personalmente al giudizio di merito nessuno degli associati, per cui è stato violato il litisconsorzio necessario.

Pertanto, come doveroso anche d’ufficio, va dichiarata la nullità dell’intero giudizio e la sentenza impugnata va cassata, con rinvio alla CTP di Bari.

Infatti, Quando risulta integrata la violazione delle norme sul litisconsorzio necessario, non rilevata né dal giudice di primo grado, che non ha disposto l’integrazione del contraddittorio, né da quello di appello, che non ha provveduto a rimettere la causa al primo giudice ai sensi dell’art. 354, comma 1, c.p.c., resta viziato l’intero processo e s’impone, in sede di giudizio di cassazione, l’annullamento, anche d’ufficio, delle pronunce emesse ed il conseguente rinvio della causa al giudice di prime cure, a norma dell’art. 383, comma 3, c.p.c. (Cass.,Sez. 2, Ordinanza n. 23315 del 23/10/2020).

P.Q.M.

Pronunciando sul ricorso, dichiara la nullità dell’intero giudizio e cassa la sentenza impugnata, rinviando alla Commissione tributaria provinciale di Bari, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità. Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 24 marzo 2021

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