CASSAZIONE

Il prelevamento di contante prima dell’atto non prova l’evasione dell’imposta di registro

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 1743 del 24 gennaio 2018, ha reputato che i prelevamenti di somme di denaro in contanti in prossimità della data dell’atto di compravendita di un immobile non sono da considerarsi come elemento sufficiente per attestare il pagamento di denaro in nero. Come è noto, il comma 24 dell’art. 35 del Dl n. 223/2006 ha introdotto il nuovo articolo 53-bis nel DPR n. 131/1986, che estende i poteri di controllo previsti per le imposte sui redditi dal DPR n. 600/1973, in particolare negli articoli 32 e 33, anche ai fini dell’imposta di registro e delle imposte ipotecaria e catastale previste dal Testo unico di cui al decreto legislativo n. 347/1990. Inoltre, ai sensi del primo comma dell’art. 32 del citato DPR 600 gli uffici, per l’adempimento dei loro compiti possono procedere all’esecuzione di accessi, ispezioni e verifiche a norma del successivo art. 33, che richiama espressamente le disposizioni in materia di IVA di cui all’art. 52, DPR n. 633/1972, che in definitiva consente ai funzionari dell’Amministrazione finanziaria muniti di apposita autorizzazione di eseguire accessi, ispezioni e verifiche presso i luoghi ove viene esercitata un’attività commerciale, agricola, artistica o professionale, quando l’attività stessa abbia riflessi sull’imposta di registro.

Tali poteri istruttori saranno pertanto finalizzati, oltre che all’accertamento di valore per le cessioni di aziende, anche al controllo relativo alla sussistenza dei requisiti per la fruizione di agevolazioni fiscali e, infine al controllo concernente gli obblighi formali e sostanziali previsti in materia di imposta di registro.

Nel caso di specie, il Fisco accertava una maggiore imposta di registro sulla compravendita, ritenendo che una parte della somma fosse stata occultata e pagata in nero, collegando questo fatto a prelievi di contante, peraltro piuttosto elevati, effettuati alcuni giorni prima. I giudici tributari poi intervenuti negavano la validità dell’accertamento non supportata da fatti concreti, ritenendo quindi illegittima l’applicazione dei poteri in materia di indagine finanziaria nell’ambito dell’imposta di registro.

Giudizio condiviso dalla Suprema Corte, che ha ritenuto valido il richiamo espresso operato dall’art.53-bis del DPR 131/1986 agli artt. 31 e ss. del DPR n. 600/1973, che consente l’applicazione dell’accertamento dell’imposta di registro ma compatibilmente con le caratteristiche proprie dell’imposta. Conseguentemente, i Supremi giudici hanno accolto l’appello proposto dalla contribuente (cedente degli immobili) annullando l’atto impositivo costituito da avviso di liquidazione per imposta di registro 2009, e specificando che “…il ricorso censura la sentenza sotto il profilo della violazione di legge (in relazione agli artt. 53-bis d.P.R. n. 131 del 1986, 32 d.P.R. n. 600 del 1973) per avere escluso il giudice di secondo grado l’utilizzabilità, ai fini dell’accertamento dell’imposta di registro, dei poteri di cui agli artt. 31 e seguenti del d.P.R. n. 600 del 1973, nel caso di specie utilizzati svolgendo nei confronti dell’acquirente degli immobili (B.E.) le indagini finanziarie di cui all’art. 32 del medesimo decreto, indagini da cui sono emersi ingiustificati prelevamenti per la complessiva somma di euro 49.200 in corrispondenza con il pagamento del prezzo di vendita, somma ritenuta versata in nero alla venditrice C.L. e perciò sommata al prezzo dichiarato in atto di euro 540.000; in dottrina è comune l’osservazione secondo cui le disposizioni contenute nell’art. 53-bis d.P.R. n. 131 del 1986 siano di difficile interpretazione anche perché le discipline richiamate, sia in tema di imposte dirette (art. 31 e seguenti del d.P.R. n. 600 del 1973), sia di IVA (art. 52 d.P.R. n. 633 del 1972, in forza dell’art. 33, comma 1, d.P.R. n. 600 del 1973), non si presentano del tutto compatibili con la disciplina dell’accertamento dell’imposta di registro, sia dall’angolo visuale del riferimento alla determinazione del reddito contenuto nel primo d.P.R., sia con riguardo alla qualità di imprenditore richiesta dal secondo d.P.R.;

questa Corte si è recentemente occupata dell’estensione all’accertamento dell’imposta di registro dei poteri di accesso previsti dall’art. 52 d.P.R. n. 633 del 1972, affermando che «in tema di revoca dell’agevolazione prima casa, è legittimo l’accertamento realizzato mediante accesso all’abitazione di un privato ai sensi dell’art. 53-bis del d.P.R. n. 131 del 1986, dovendosi ritenere chiara l’intenzione del legislatore di estendere tale potere, già previsto dall’art. 52, comma 2, del d.P.R. n. 633 del 1972, anche nei confronti di chi non è imprenditore o soggetto IVA» (Sez. 5, Sentenza n. 13145 del 24/06/2016 Rv. 640155);a non diverse conclusioni si deve giungere con riguardo all’applicabilità all’imposta di registro, in forza dell’espresso richiamo contenuto nell’art. 53-bis d.P.R. n. 131 del 1986, dei poteri previsti dagli artt. 31 e seguenti del d.P.R. n. 600 del 1973, pur dovendosi fare applicazione dei medesimi in quanto compatibili con le caratteristiche proprie dell’imposta di registro. In particolare, risultano direttamente applicabili i poteri di accesso, verifica e ispezione (art. 32, comma 1, n. 1, d.P.R. n. 600 del 1973; 52 d.P.R. n. 633 del 1972), nonché, per l’omogeneità del mezzo – trattandosi di un accesso indiretto – di richiedere dati, notizie e documenti relativi alle attività finanziarie (art. 32, comma 1, n. 7, d.P.R. n. 600 del 1973), con il conseguente invito a fornire i dati e le notizie (art. 32, comma 1, n. 2, d.P.R. n. 600 del 1973) in relazione a quelli in tal modo acquisiti;ciò nonostante, il motivo è infondato poiché l’affermazione della sentenza gravata, che dubita dell’applicabilità dei poteri di cui agli artt. 31 e seguenti d.P.R. n. 600 del 1973, pur essendo errata e perciò da correggere a mente dell’art. 384, comma quarto, cod. proc. civ., non ha prodotto conseguenze sulla decisione, avendo il giudice di merito correttamente valorizzato – in ciò non venendo censurato nel ricorso – che l’accertata esistenza a carico dell’acquirente di indizi relativi a prelevamenti ingiustificati non determina di per sé l’esistenza dell’ulteriore e diverso indizio, necessario allo scopo di fondare l’accertamento sulla venditrice C., che dette somme siano state versate in nero per la compravendita”.

CORTE DI CASSAZIONE Ordinanza 24 gennaio 2018, n. 1743

 

sul ricorso 20064-2013 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro C. L.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 21/2013 della COMM.TRIB.REG. di GENOVA, depositata il 31/01/2013; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 12/12/2017 dal Consigliere Dott. STEFANO APRILE.

La Corte, riunita nella camera di consiglio ex art. 380-bis.1 cod. proc. civ. del 12 dicembre 2017, udita la relazione del consigliere Stefano Aprile

Rilevato che

L’ AGENZIA DELLE ENTRATE ha proposto ricorso, sulla scorta di un unico motivo, per la cassazione della sentenza con cui la Commissione Tributaria Regionale di Genova, riformando la sentenza della Commissione Tributaria Provinciale di Savona, ha accolto l’appello proposto da C.L. (cedente degli immobili), annullando l’atto impositivo costituito da avviso di liquidazione per imposta di registro 2009;

Considerato che

il ricorso censura la sentenza sotto il profilo della violazione di legge (in relazione agli artt. 53-bis d.P.R. n. 131 del 1986, 32 d.P.R. n. 600 del 1973) per avere escluso il giudice di secondo grado l’utilizzabilità, ai fini dell’accertamento dell’imposta di registro, dei poteri di cui agli artt. 31 e seguenti del d.P.R. n. 600 del 1973, nel caso di specie utilizzati svolgendo nei confronti dell’acquirente degli immobili (B.E.) le indagini finanziarie di cui all’art. 32 del medesimo decreto, indagini da cui sono emersi ingiustificati prelevamenti per la complessiva somma di euro 49.200 in corrispondenza con il pagamento del prezzo di vendita, somma ritenuta versata in nero alla venditrice C.L. e perciò sommata al prezzo dichiarato in atto di euro 540.000;

in dottrina è comune l’osservazione secondo cui le disposizioni contenute nell’art. 53-bis d.P.R. n. 131 del 1986 siano di difficile interpretazione anche perché le discipline richiamate, sia in tema di imposte dirette (art. 31 e seguenti del d.P.R. n. 600 del 1973), sia di IVA (art. 52 d.P.R. n. 633 del 1972, in forza dell’art. 33, comma 1, d.P.R. n. 600 del 1973), non si presentano del tutto compatibili con la disciplina dell’accertamento dell’imposta di registro, sia dall’angolo visuale del riferimento alla determinazione del reddito contenuto nel primo d.P.R., sia con riguardo alla qualità di imprenditore richiesta dal secondo d.P.R.;

questa Corte si è recentemente occupata dell’estensione all’accertamento dell’imposta di registro dei poteri di accesso previsti dall’art. 52 d.P.R. n. 633 del 1972, affermando che «in tema di revoca dell’agevolazione prima casa, è legittimo l’accertamento realizzato mediante accesso all’abitazione di un privato ai sensi dell’art. 53-bis del d.P.R. n. 131 del 1986, dovendosi ritenere chiara l’intenzione del legislatore di estendere tale potere, già previsto dall’art. 52, comma 2, del d.P.R. n. 633 del 1972, anche nei confronti di chi non è imprenditore o soggetto IVA» (Sez. 5, Sentenza n. 13145 del 24/06/2016 Rv. 640155);

a non diverse conclusioni si deve giungere con riguardo all’applicabilità all’imposta di registro, in forza dell’espresso richiamo contenuto nell’art. 53-bis d.P.R. n. 131 del 1986, dei poteri previsti dagli artt. 31 e seguenti del d.P.R. n. 600 del 1973, pur dovendosi fare applicazione dei medesimi in quanto compatibili con le caratteristiche proprie dell’imposta di registro. In particolare, risultano direttamente applicabili i poteri di accesso, verifica e ispezione (art. 32, comma 1, n. 1, d.P.R. n. 600 del 1973; 52 d.P.R. n. 633 del 1972), nonché, per l’omogeneità del mezzo – trattandosi di un accesso indiretto – di richiedere dati, notizie e documenti relativi alle attività finanziarie (art. 32, comma 1, n. 7, d.P.R. n. 600 del 1973), con il conseguente invito a fornire i dati e le notizie (art. 32, comma 1, n. 2, d.P.R. n. 600 del 1973) in relazione a quelli in tal modo acquisiti;

ciò nonostante, il motivo è infondato poiché l’affermazione della sentenza gravata, che dubita dell’applicabilità dei poteri di cui agli artt. 31 e seguenti d.P.R. n. 600 del 1973, pur essendo errata e perciò da correggere a mente dell’art. 384, comma quarto, cod. proc. civ., non ha prodotto conseguenze sulla decisione, avendo il giudice di merito correttamente valorizzato – in ciò non venendo censurato nel ricorso – che l’accertata esistenza a carico dell’acquirente di indizi relativi a prelevamenti ingiustificati non determina di per sé l’esistenza dell’ulteriore e diverso indizio, necessario allo scopo di fondare l’accertamento sulla venditrice C., che dette somme siano state versate in nero per la compravendita;

in mancanza di costituzione non vi è da provvedere sulle spese;

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

 

 

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