CASSAZIONE

Il contraddittorio preventivo: caratteristiche, limiti e applicazione

Tributi – IRPRG, IRAP e IVA – Riscossione – Cartella di pagamento – Controllo automatizzato della dichiarazione – Necessità di previa comunicazione – Regolarità della dichiarazione e assenza di incertezze su aspetti rilevanti ex art. 6, comma 5, dello Statuto del contribuente – Esclusione – Conseguenze

La Corte di Cassazione, con l’Ordinanza n. 29520 del 24 dicembre 2020, torna a interessarsi dell’applicazione del contraddittorio endoprocedimentale tributario, imposto dall’art. 6, comma 5, legge 212/2000, per riaffermare, con una stringata sintesi, che esso non è imposto in tutti i casi in cui si debba procedere a iscrizione a ruolo, ai sensi del DPR 600/1973, art. 36-bis, ma soltanto qualora sussistano incertezze su aspetti rilevanti della dichiarazione, situazione che non è dato rinvenire nella specie.

In altre parole la Suprema Corte, menzionando l’attuale giurisprudenza, ha voluto ricordare che nelle iscrizioni a ruolo derivanti dalla liquidazione di tributi risultanti dalle dichiarazioni, l’obbligo del contraddittorio preventivo è imposto non in via generalizzata, ma soltanto qualora sussistano incertezze su aspetti rilevanti della dichiarazione. A onor del vero giova allora ricordare che il diritto al contraddittorio endoprocedimentale è stato delineato da una parte della dottrina italiana come un diritto immanente nel nostro sistema, ricavabile dalle numerose anche se circoscritte disposizioni che lo disciplinano: questa interpretazione ha avuto, però, solo dei limitati seguiti nell’attuale giurisprudenza, che anzi ha costantemente seguito una linea interpretativa di senso contrario, affermando cioè che esso opera solo ove la legge espressamente lo preveda.

Tra le più importanti disposizioni che disciplinano specifiche tipologie di contraddittorio anteriore alla notifica dell’avviso di accertamento vi sono: l’art. 38, comma 7, del DPR 600/1973 sugli accertamenti sintetici; l’art.10, comma 3-bis, della legge 146/1998 in riferimento agli studi di settore; l’art. 9-bis, comma 16, del Dl 50/2017 per gli accertamenti sintetici ai fini delle imposte sui redditi, IRAP e IVA; ex artt. 39 del DPR 600/1973 e 55, DPR 633/1972.

Nella rilevante e più generale giurisprudenza della Suprema Corte, nello specifico del contraddittorio l’interpretazione vigente, sia in quanto rese dalle Sezioni unite, sia in quanto non successivamente superate.

Con una prima decisione, la n. 18184/2013, le Sezioni unite hanno fissato che con riferimento ai diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, il mancato rispetto del termine di 60 giorni determina di per sé l’illegittimità dell’avviso: “Il vizio invalidante non consiste nella mera omessa enunciazione nell’atto dei motivi di urgenza che ne hanno determinato l’emissione anticipata, bensì nell’effettiva assenza di detto requisito (esonerativo dall’osservanza del termine), la cui ricorrenza, nella concreta fattispecie e all’epoca di tale emissione, deve essere provata dall’ufficio”.

Ulteriore chiave di lettura è stata poi fornita per i controlli c.d. a tavolino dalla Sentenza 9 dicembre 2015 n. 24823, secondo la quale: “In tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, non sussiste per l’Amministrazione finanziaria alcun obbligo di contraddittorio endoprocedimentale per gli accertamenti ai fini IRPEG e IRAP, assoggettati esclusivamente alla normativa nazionale, vertendosi in ambito di indagini cd. a tavolino”. La medesima decisione ha inoltre sancito la necessità di operare, per i tributi armonizzati, una “prova di resistenza” ai fini della valutazione del rispetto del contraddittorio endoprocedimentale, in determinati casi.

Tornando nello specifico areale dell’art. 6, comma 5, della legge 212/2000, ovvero sulla parte dedicata alla conoscenza degli atti e semplificazione, ricordiamo che esso testualmente così recita: “… Prima di procedere alle iscrizioni a ruolo derivanti dalla liquidazione di tributi risultanti da dichiarazioni, qualora sussistano incertezze su aspetti rilevanti della dichiarazione, l’amministrazione finanziaria deve invitare il contribuente, a mezzo del servizio postale o con mezzi telematici, a fornire i chiarimenti necessari o a produrre i documenti mancanti entro un termine congruo e comunque non inferiore a trenta giorni dalla ricezione della richiesta. La disposizione si applica anche qualora, a seguito della liquidazione, emerga la spettanza di un minor rimborso di imposta rispetto a quello richiesto. La disposizione non si applica nell’ipotesi di iscrizione a ruolo di tributi per i quali il contribuente non è tenuto ad effettuare il versamento diretto. Sono nulli i provvedimenti emessi in violazione delle disposizioni di cui al presente comma”.

Per quanto riguarda l’applicazione  di questo specifico punto nella giurisprudenza di legittimità degli Ermellini, vale rammentare che con la pronunzia n. 5394/2016, essi avevano già chiarito che “… il legislatore, pur avendo ben presente la sanzione di nullità, espressamente comminata dall’art. 6, comma 5, legge n. 212/2000, allorquando è nuovamente intervenuto a novellare, nel 2005, gli artt. 36-bis e 54-bis, non l’ha prevista in caso di violazione delle prescrizioni di queste norme; il che induce a ritenere che si sia inteso limitare la grave sanzione di invalidità dell’atto impositivo esclusivamente alla ipotesi di ‘rilevante incertezza’ sui dati esposti nella dichiarazione considerata dalla norma dello statuto dei diritti del contribuente (espressamente in termini, Cass. 22 aprile 2015, n. 8154).

Da queste premesse il Collegio affermava inoltre che “… È, allora, errata la statuizione in diritto, secondo la quale l’omessa instaurazione del contraddittorio in queste ipotesi non sarebbe causa di nullità». E ricorda le ragioni della sanzione di nullità: ‘Espressamente il 5° comma dell’art. 6 dello statuto dei diritti del contribuente stabilisce, come visto, la nullità dei «provvedimenti emessi in violazione delle disposizioni di cui al presente comma’. La norma è con ogni evidenza posta a presidio del pieno dispiegarsi del contraddittorio procedimentale, il quale, come ha già sottolineato la corte, costituisce primaria espressione dei principi, di derivazione costituzionale, di collaborazione e buona fede tra amministrazione e contribuente ed è diretto al migliore e più efficace esercizio della potestà impositiva (Cass., sez. un., 29 luglio 2013, n. 18184; valorizzano la necessità di rispetto del contraddittorio procedimentale anche sez. un., 19 settembre 2014, n. 19667; discorre inoltre di nullità in caso di violazione del comma 5 dell’art. 6 della legge 212 del 2000 (Cass. 14 gennaio 2011, n. 795)”.

Giova segnalare che gli Ermellini si soffermano volutamente, nell’attuale pronunzia, sul precedente arresto fornito dall’ordinanza n. 33344/19, nella quale si affermava che “…  la notifica della cartella di pagamento a seguito di controllo automatizzato è legittima anche se non preceduta dalla comunicazione del c.d. “avviso bonario” ex art. 36 bis, comma 3, d.P.R. n. 600 del 1973, nel caso in cui non vengano riscontrate irregolarità nella dichiarazione; nè il contraddittorio endoprocedimentale è invariabilmente imposto dall’art. 6, comma 5, l. n. 212 del 2000, il quale lo prevede soltanto quando sussistano incertezze su aspetti rilevanti della dichiarazione, situazione, quest’ultima, che non ricorre necessariamente nei casi soggetti al citato art. 36 bis, che implica un controllo di tipo documentale sui dati contabili direttamente riportati in dichiarazione, senza margini di tipo interpretativo”.

Alla luce del quadro sopra delineato è possibile ritenere che la sanzione per il mancato rispetto dell’invito obbligatorio è l’invalidità dell’atto impositivo, ma essa non è garantita in via automatica, bensì previa dimostrazione avanti al giudice della “prova di resistenza”, come elaborata dalla giurisprudenza eurounitaria e dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione.

Tanto premesso, e tornando al caso oggi in dibattimento, una società contribuente proponeva ricorso avverso cartella di pagamento deducendo la illegittimità e nullità dell’atto impositivo per assenza della comunicazione contenente l’invito a fornire i necessari chiarimenti, ai sensi dell’art. 6 della citata legge 212/2000.

Nel contraddittorio con l’Agenzia delle entrate, nel frattempo costituitasi, la Commissione Tributaria Provinciale di Palermo riteneva la fondatezza del ricorso con conseguente accoglimento dello stesso.

Tesi che non convinceva i giudici tributari regionali,  che riconoscendo la fondatezza delle osservazioni della parte tributaria, asserivano che “…le somme iscritte a ruolo, a seguito di controllo automatizzato ex DPR 600/73, art. 36-bis, e DPR 633/72, art. 54-bis, sono state determinate nella misura esposta in dichiarazione, non risultando che erano state riscontrate difformità tra i dati forniti dalla contribuente e quelli desunti dall’Ufficio, ma avendo gli esiti della liquidazione messo in evidenza soltanto omessi o ritardati versamenti, omissioni e ritardi che la stessa contribuente non ha disconosciuto”.

Di qui seguiva il ricorso in Cassazione da parte della società contribuente affidato a un solo motivo, consistente nella violazione e falsa applicazione dell’art. 36-bis, DPR 600/1973, dell’art. 54-bis, DPR 633/1972, nonché dell’art. 6, comma 5, legge 212/2000 (art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.), per cui si lamentava che contrariamente a quanto ritenuto dalla CTR, l’invio del c.d. avviso bonario è un adempimento obbligatorio e inderogabile la cui inosservanza inficia la successiva iscrizione a ruolo.

La tesi prospettata dalla società non è stata accolta dalla Suprema Corte, la quale ha fermamente ricordato che “…Sulla questione si è ormai formato, e consolidato, un orientamento giurisprudenziale, al quale ritiene il collegio di dare seguito con la presente decisione. Nella fattispecie, il debito non è controverso; è stato lo stesso contribuente a procedere alla autoliquidazione dell’imposta; non sussistono le condizioni di obiettiva incertezza su aspetti rilevanti della dichiarazione previsti dalla normativa fiscale per l’invio delle comunicazioni di cui all’art. 6 comma 5 legge 212/2000; la pretesa fiscale per cui è causa è costituita dalla imposta come sopra determinata, il cui pagamento omesso ovvero ritardato ha giustificato la successiva iscrizione a ruolo; la CTR, invero, ha accertato che non “erano state riscontrate difformità tra i dati forniti dalla contribuente e quelli desunti dall’ufficio”, con la conseguenza che sono stati iscritti a ruolo i soli tributi riconosciuti come dovuti dalla contribuente, la quale ne aveva omesso il pagamento, senza che fosse necessaria la preventiva comunicazione del c.d. avviso bonario. 

– Con riferimento specifico, poi, al contraddittorio endoprocedimentale imposto dall’art. 6, comma 5, legge 212/2000, si evidenzia che esso non è imposto in tutti i casi in cui si debba procedere ad iscrizione a ruolo, ai sensi del DPR 29.9.1973 n. 600, art. 36-bis, ma soltanto qualora sussistano incertezze su aspetti rilevanti della dichiarazione, situazione che non è dato rinvenire nella specie (di recente, cass. n. 33344 del 2019).

– Le considerazioni esposte spiegano altresì perché è da giudicare infondata la questione di legittimità costituzionale sollevata dalla ricorrente con riguardo alla necessità che il c.d. avviso bonario debba, in ogni caso, essere notificato a parte contribuente e non solamente in caso di “incertezze su aspetti rilevanti della dichiarazione”.

– Conclusivamente il ricorso va rigettato.

Corte di Cassazione – Ordinanza 24 dicembre 2020, n. 29520

sul ricorso 23966-2012 proposto da:

G. I. SRL, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA XXIV MAGGIO 43, presso lo studio dell’avvocato PAOLO PURI, che lo rappresenta e difende unitamente 2020 all’avvocato GIULIO AZZARETTO;

 – ricorrente –

contro AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 139/2011 della COMM.TRIB.REG . della Sicilia, depositata il 07/09/2011;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 22/07/2020 dal Consigliere Dott. FRANCESCO MELE.

Per la cassazione della sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Sicilia n. 139/25/11 depositata il 7.9.2011, non notificata.

Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 22 luglio 2020 dal relatore, cons. Francesco Mele.

Rilevato che

– La s.r.l. G.I., società incorporante la G. s.r.l. proponeva ricorso avverso cartella di pagamento per Irpeg, Irap ed Iva in relazione all’anno di imposta 2003, deducendo la illegittimità e nullità dell’atto impositivo per assenza della comunicazione contenente l’invito a fornire i necessari chiarimenti ai sensi dell’art. 6 della legge 27.7.2000 n. 212.

– Nel contraddittorio con l’Agenzia delle Entrate, nel frattempo costituitasi, la Commissione Tributaria Provinciale di Palermo riteneva la fondatezza del ricorso con conseguente accoglimento dello stesso.

– Decidendo sull’appello proposto dall’Ufficio, in contraddittorio con la contribuente, la CTR della Sicilia accoglieva il gravame sul rilievo che l’obbligo di invitare la parte a fornire in chiarimenti necessari e a produrre i documenti mancanti sussiste quando – a seguito della liquidazione dei tributi risultanti da dichiarazioni – siano riscontrate incertezze su aspetti rilevanti della dichiarazione; nella specie – per come si legge nella sentenza della CTR – “le somme iscritte a ruolo, a seguito di controllo automatizzato ex DPR 600/73, art. 36-bis, e DPR 633/72, art. 54-bis, sono state determinate nella misura esposta in dichiarazione, non risultando che erano state riscontrate difformità tra i dati forniti dalla contribuente e quelli desunti dall’Ufficio, ma avendo gli esiti della liquidazione messo in evidenza soltanto omessi o ritardati versamenti, omissioni e ritardi che la stessa contribuente non ha disconosciuto”.

– Per la cassazione della predetta sentenza la società contribuente propone ricorso affidato ad un motivo.

– Resiste con controricorso l’Agenzia delle Entrate.

Considerato che

– Il motivo di cui consta il ricorso reca: “Violazione e falsa applicazione dell’art. 36 bis DPR 600/73, dell’art. 54 bis DPR 633/72, nonché dell’art. 6, comma 5 Legge 212/2000 (art. 360, comma 1 n. 3 c.p.c.).

– Assume la ricorrente che – contrariamente a quanto ritenuto dalla CTR – l’invio del c. d. avviso bonario è un adempimento obbligatorio e inderogabile la cui inosservanza inficia la successiva iscrizione a ruolo.

– Il ricorso non è fondato.

– Sulla questione si è ormai formato, e consolidato, un orientamento giurisprudenziale, al quale ritiene il collegio di dare seguito con la presente decisione. Nella fattispecie, il debito non è controverso; è stato lo stesso contribuente a procedere alla autoliquidazione dell’imposta; non sussistono le condizioni di obiettiva incertezza su aspetti rilevanti della dichiarazione previsti dalla normativa fiscale per l’invio delle comunicazioni di cui all’art. 6 comma 5 legge 212/2000; la pretesa fiscale per cui è causa è costituita dalla imposta come sopra determinata, il cui pagamento omesso ovvero ritardato ha giustificato la successiva iscrizione a ruolo; la CTR, invero, ha accertato che non “erano state riscontrate difformità tra i dati forniti dalla contribuente e quelli desunti dall’ufficio”, con la conseguenza che sono stati iscritti a ruolo i soli tributi riconosciuti come dovuti dalla contribuente, la quale ne aveva omesso il pagamento, senza che fosse necessaria la preventiva comunicazione del c.d. avviso bonario.

– Con riferimento specifico, poi, al contraddittorio endoprocedimentale imposto dall’art. 6, comma 5, legge 212/2000, si evidenzia che esso non è imposto in tutti i casi in cui si debba procedere ad iscrizione a ruolo, ai sensi del DPR 29.9.1973 n. 600, art. 36-bis, ma soltanto qualora sussistano incertezze su aspetti rilevanti della dichiarazione, situazione che non è dato rinvenire nella specie (di recente, Cass. n. 33344 del 2019).

– Le considerazioni esposte spiegano altresì perché è da giudicare infondata la questione di legittimità costituzionale sollevata dalla ricorrente con riguardo alla necessità che il c.d. avviso bonario debba, in ogni caso, essere notificato a parte contribuente e non solamente in caso di “incertezze su aspetti rilevanti della dichiarazione”.

– Conclusivamente il ricorso va rigettato.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese che liquida in euro 10.000,00 oltre spese prenotate a debito.

Roma, 22 luglio 2020

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